lunedì 4 aprile 2011

Il racconto del paradiso (GENESI (2)


L’uomo fa esperienza del peccato. Il testo biblico spiega che cosa esso sia e come avvenga. Attraverso queste pagine ogni uomo è aiutato a conoscere se stesso guardandosi come in uno specchio.

La seduzione

Il serpente raffigura una cultura intrisa di falsa sapienza, alternativa a Dio o, anche, la stessa animalità presente nell’uomo che egli dovrebbe dominare, soprattutto quando assume la forma di bramosia che vuol prendere tutto per se e per se soltanto (Wenin). Forse l’autore presenta nella forma di un dialogo tra il serpente e la donna, lo svolgersi di una riflessione nel cuore dell’uomo.

Il rettile stravolge il contenuto e il senso del comando divino, insinuando che trasgredire sia un atto d’intelligenza e l’acquisizione di un’opportunità negata. Insinua che Dio e uomo sono rivali in concorrenza fra loro: l’uomo per essere pienamente se stesso, dovrebbe sbarazzarsi di Dio. Così è erosa alla radice la fiducia dell’uomo in Dio, che è il nucleo della fede e del rapporto normale con Lui.

3.1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?».

Nella persona umana può insinuarsi il sospetto che il comando di Dio contraddica il suo vero benessere. «Osservate la malignità del serpente. Con la sua domanda, come se avesse a cuore la loro situazione, li stimola a pensare su ciò che Dio non aveva affatto proibito. Il demonio sembra suggerire loro: perché Dio vi ha privati di una gioia tanto grande? Vi ha donato le cose che potete vedere ma vi ha proibito un piacere ben più grande. Sarebbe stato opportuno non parlare neppure con lui. Eva avrebbe dovuto piuttosto parlare con Dio, per mezzo del quale tutto era stato creato e della cui grandezza erano stati resi partecipi» [1].

2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».

Eva, ormai erosa dal dubbio, esagera la portata nel comandamento di Dio (- e non lo dovete toccare -) proprio mentre intende difenderlo. Qualcosa del messaggio del serpente è già a filtrato nel suo cuore. Incauta, prosegue a dialogare con chi è più astuto di lei e può trarla in rovina. «Non lasciatevi ingannare: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi» (1 Cor 15, 33).

«Eva avrebbe dovuto dire al serpente: taci, impostore! Tu non conosci il senso del comandamento. Dio non ci ha proibito di mangiare qualsiasi frutto, ma, per la sua immensa bontà ci ha permesso di godere e di usufruire d’ogni bene. Ci ha chiesto di astenerci soltanto da un frutto affinché non moriamo. Avrebbe dovuto opporre questi argomenti e troncare ogni discorso. Invece spiegò il comando divino ma intanto si espose ad accogliere altri suggerimenti. In pratica Eva si mise a dare perle ai porci. Gesù proibisce di fare questo (cf Mt 7,6)» [2].

Noi siamo in grado di respingere la tentazione soltanto se contiamo sull’aiuto di Dio. «La buona volontà dell’uomo ha bisogno dell’aiuto di Dio. Anzi la scelta di compiere il proprio dovere è già una cosa divina e un dono della sua bontà» [3].

La trasgressione

La donna, sola davanti all'albero, giunge alla decisione attraverso una sequenza di sensazioni: il frutto è appetibile (allusione al moto dei sensi esterni che risveglia il desiderio), è seducente per gli occhi (la percezione estetica), è desiderabile per ottenere sapienza (l'allettamento intellettuale, ancora più capace a convincere l'uomo, che è un cercatore di "sapere"). Prevale la sensazione che prevale del tutto sulla razionalità.

Dopo la trasgressione, s’aprono loro gli occhi ma per sperimentarsi più poveri: incapaci di comunicare fra loro in profondità (sentirsi nudi, imbarazzati di fonte allo sguardo dell’altro) e paurosi con Dio.

Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Non morirete affatto! Il sepente «non si accontenta di opporsi alle parole divine ma accusa il Creatore di essere un Dio invidioso» [4]. «Egli è stato omicida fin dal principio (Gv 8, 44). Il diavolo è detto omicida perché seminò nell’uomo una parola perversa e così lo uccise. Non credere di poter sfuggire all’accusa di omicidio quando spingi il tuo fratello al male. Se lo induci al male, tu lo uccidi» [5].

Sareste come Dio. Dio vuole che noi diveniamo come lui ma a quel modo con cui Egli lo è. Gesù, ci ha mostrato il vero modo di diventare dio, quando, pur trovandosi nella condizione divina, ha accettato di svuotarsi d’ogni privilegio per il nostro vantaggio (Fil 2): «Avrebbero raggiunto quest’obiettivo della deificazione, se solo avessero vissuto sotto il loro Dio e avessero osservato il comandamento ricevuto» [6].

Vide che l’albero era gradevole. «C’è il bene vero e il bene apparente. La facoltà che discerne è l’intelligenza: o raggiungiamo il vero bene o, per un inganno dell’apparenza, otteniamo l’opposto. Una cagna vedendo nell’acqua un riflesso del cibo che stringeva in bocca, lasciò il cibo vero e volendo afferrare l’apparenza, rimase affamata. L’intelligenza, tratta in inganno proprio nel suo desiderio di vero bene, fu distolta versò ciò che non ha esistenza» [7].

Anch’egli ne mangiò. «Lo so Signore: l’uomo non è padrone della sua via, chi cammina non è in grado di dirigere i suoi passi» (Ger 10,23). «Appagarono la concupiscenza della carne, gustando l’albero interdetto. Seguirono la concupiscenza degli occhi, perché vollero che i loro occhi si aprissero. Accolsero la superbia mondana, con il credere di poter diventare ciò che Dio è (cf Gv 2, 16). Cupidigia e superbia costituiscono un unico male: non posso commettere alcun peccato senza soddisfare un piacere malvagio, come richiede la cupidigia e senza disprezzare i comandamenti di Dio, come impone la superbia» [8].

Si accorsero d’essere nudi. «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, l’ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (Sap 2,23-24). In che cosa consiste in primo luogo l’esperienza della privazione mortale rappresentata dalla nudità? L’uomo possiede i beni presenti nel mondo ma è stato creato anche e soprattutto «perché goda e gioisca con Dio, di Dio, e di tutto il resto in lui solo. Il suo male è allontanarsi da questa conversione a Dio, da questa ricerca e desiderio» [9]. «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» [10].

Punti di meditazione

«Cosa sia l’uomo vecchio e anche cosa sia l’uomo nuovo. Vedi, il vecchio è Adamo, la disubbidienza, la seità, l’egoità ecc. Invece l’uomo nuovo è Cristo e l’ubbidienza. Quando si parla del morire, si intende che l’uomo vecchio deve essere annientato, e, se ciò accade in una vera luce divina, allora nasce al suo posto l’uomo nuovo. Si dice anche che l’uomo deve morire a se stesso, ovvero che deve morire l’egoità e la seità dell’uomo. Ne parla san Paolo: «Spogliatevi dell’uomo vecchio e delle sue opere, e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato e formato secondo Dio» (Ef 4,22.24). Chi vive nella sua seità e secondo l’uomo vecchio, si chiama ed è figlio di Adamo. Può vivere in tale stato così profondamente da essere anche figlio e fratello del demonio. Invece chi vive nell’ubbidienza e nell’uomo nuovo, è fratello di Cristo e figlio di Dio. Se fosse possibile che un uomo si liberasse da se stesso, stando in vera ubbidienza, come lo fu Cristo in quanto uomo, allora quell’uomo sarebbe senza peccato ed anche una cosa sola con Cristo, e per grazia lo stesso che Cristo fu per natura. Sta anche scritto: quanto più diminuisce il mio «io», ovvero l’egoità e la seità, tanto più si accresce in me l’«io» di Dio, che è Dio stesso. Lo si tenga presente: se l’uomo in questa ubbidienza fosse una cosa sola con Dio, un tale uomo sarebbe Dio stesso. Vedi, anche se probabilmente nessun uomo sta in questa ubbidienza così totalmente e puramente come Cristo, tuttavia è possibile all’uomo approssimarvisici tanto da essere ed esser chiamato divino e divinizzato. E quanto più l’uomo vi si approssima e diventa uomo divino e divinizzato, tanto più gli dispiace ogni disubbidienza, peccato, ingiustizia» [11].

Dio cerca i peccatori

La dialettica colpa – punizione vuole esprimere la connessione tra un’azione sbagliata e la negatività che da questa ne consegue. Il linguaggio biblico, che fa derivare tutto da Dio in modo diretto, potrebbe far dimenticare che il Signore resta sempre il Dio della vita. Rimanendo sempre presente tra gli uomini, Egli li aiuta a superare le situazioni negative, anche drammatiche, che spesso derivano da intenzioni inique. Dio cerca di svelare il peccato non con l’intenzione di umiliare, ma con quella di recuperare il peccatore. Gli uomini possono soltanto constatare il delitto e infliggere i castighi, ma Dio può e vuole liberare l’uomo dal suo male e incoraggiarlo a perseguire il bene (pensiamo alla lotta tra il serpente e l’uomo nel v. 3,15).

8 Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».

Udirono il rumore dei passi del Signore. «Dio, quando vide che avevano peccato e si erano esposti alle sue minacce, vuole rassicurarli. Non smette d’essere buono. Continua ad essere se stesso, come lo è un padre tenerissimo che vede la degradazione del figlio. Si commuove nelle viscere, non lo abbandona ma gli presta soccorso; sollevandolo un po’ alla volta dalla sua umiliazione, lo riporta alla dignità di prima. Allo stesso modo Dio ha avuto pietà dell’uomo. Come un medico s’avvicina al malato, subito Egli si reca in soccorso di chi sta male e si trova all’estremo» [12].

Si nascose dal Signore Dio. «Quando Adamo disse: ho udito la tua voce e ho avuto paura, era ormai decaduto dalla sua santità, era già divenuto indegno di contemplare Dio. Com’è sereno chi è in pace con la coscienza! Quanta inquietudine e umiliazione sono presenti nel cuore di chi si vergogna d’aver peccato!» [13]. «Non voglio nascondermi come Adamo dal volto di chi vede tutto, che approvi o disapprovi quel che vede. Al contrario, cerco il tuo volto, Signore. Mi darai l’agilità di spirito per capire quello che ti riguarda» [14].

Ma il Signore chiamò l’uomo: Adamo, dove sei? «Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio, e non avere più timore di me» (Ger 2,19). «Con il suo stile misericordioso, Dio ci offre un insegnamento: quando esercitiamo il ruolo di giudice, non dobbiamo parlare al reo in modo inumano né aggredirlo con crudeltà. Dobbiamo usare piuttosto molta tolleranza e pazienza, come se trattassimo con le nostre stesse membra. Considerando che i colpevoli sono uomini come noi, dobbiamo diluire la durezza con la misericordia» [15].

Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura. «Adamo pensò di nascondersi non appena avvertì la presenza divina. Tentò di celarsi, quantunque lo chiamasse con parole che dovevano trafiggere il suo cuore: Adamo dove sei? Per quale motivo vuoi evitare il Signore che desideravi vedere? La colpa rimorde la coscienza al punto tale che, anche senza il giudice, si punisce da se stessa e desidera occultarsi. Non riesce, però, a celarsi agli occhi di Dio» [16].

Il decadimento provocato dal peccato non riguarda soltanto i singoli uomini ma anche nazioni intere, come risulta da questo oracolo rivolto al principe di Tiro: «Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza in Eden, giardino di Dio. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati» (Ez 28,12-16).

Inchiesta

Il serpente non è interrogato perché esso rappresenta il male, mentre Dio interpella gli uomini perché sono responsabili delle loro azioni e non dipendono da qualche fatalità incoercibile. Il brano mette in risalto la difficoltà che abbiamo a riconoscerci peccatori o almeno di riconoscere la permanente inclinazione al male. Vivendo nell’oscurità della colpa, diventiamo ostili a Dio e agli altri: «Se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri» (1 Gv 1, 7). Vivere nella grazia di Dio ci rende capaci di comunione con il fratello. «A mano a mano che si avviciniamo a Dio, ci avviciniamo gli uni agli altri, e quanto più ci avviciniamo l’un l’altro, ci avviciniamo a Dio» [17]. Ma il camminare nella luce non significa essere innocenti, quanto piuttosto intraprendere con decisione il lungo cammino di liberazione.

11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12 Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».

Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? «Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?» (Ger 2,21). «Osserva la profondità della bontà divina, Egli parla come un amico parla all’amico e rivolge domande a chi aveva trasgredito i suoi precetti» [18].

Rispose l'uomo: «La donna mi ha dato il frutto». «Dio gli domanda: perché hai peccato? Lo esortava a chiedere perdono. Ma dov’è la risposta “perdono”? Nessuna umiliazione, nessun pentimento, anzi il contrario; e gli risponde: “la donna che mi hai dato mi ha ingannato”. Non dice: la mia donna ma la donna che tu mi hai dato, come a dire: la disgrazia che mi hai fatto cadere sul capo. Quando l’uomo non è capace di rimproverare se stesso, non esita neppure ad incolpare Dio» [19]. «In realtà non c’era stata alcuna coercizione; Adamo aveva deciso assecondando il suo volere. Eva diede il frutto al marito, non lo costrinse a mangiarlo. Anche lei, tentando di allegare qualche scusa, non aveva detto che era stata costretta dal serpente e che aveva mangiato contro il suo volere. Il serpente ha predisposto l’imbroglio, ma il farsi ingannare o meno, era dipeso da lei. Al nemico della nostra salvezza bastava indurre in errore con le sue insinuazioni; in questo modo fece tutto ciò che poteva fare senza dover costringere» [20]. «Eva ha peccato, ma anche Adamo: il serpente ingannò entrambi. Non c’è stata una parte più debole e una più forte. Ora Cristo salva l’uno e l’altra con le sue sofferenze. Si è incarnato per la salvezza dell’uomo? L’ha fatto anche per quella della donna» [21].

Rispose la donna:.. «Vedi come Eva scusi le sue colpe! Come l’uomo ha cercato di gettare la colpa sulla moglie, anche questa, vedendo che non poteva negare il fatto, si mette ad accusare il serpente» [22]. «Dopo aver parlato con Adamo, Dio si rivolse alla donna, come intendendo dire: almeno tu, chiedi perdono e possa ricevere misericordia. Di nuovo non ci fu alcuna richiesta di perdono. Rispose dicendo: il serpente mi ha ingannata. Come a dire: se ha peccato lui, io che c’entro? Poveri meschini! Riconoscete la vostra caduta, abbiate pietà della vostra nudità ma nessuno di loro si degnò d’incolpare se stesso» [23].

«Nella Chiesa si arreca disonore con il non confessare le colpe, giacché tutti siamo peccatori. In essa merita di più chi è più umile, ed è più giusto chi accusa se stesso con più grande verità» [24]. «Mi sono imbattuto più spesso in persone che hanno conservato la loro innocenza che non in gente che abbia atteso a pentirsi con coerenza» [25].

«Anche se ti lavassi con soda e molta potassa, resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità» (Ger 2,22).

Punizioni e nuova speranza

Il serpente viene maledetto: il male è il contrario di Dio ed è destinato alla sterilità, all’annullamento, mentre il peccatore può essere recuperato. «Lasciati correggere, o Gerusalemme, perché io non mi allontani da te e non ti riduca a un deserto, a una terra disabitata» (Ger 6,8).

14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».

Sii tu maledetto. «Non pensare che queste espressioni si trovino solo nell’Antico Testamento ma ne troverai di simili anche nei Vangeli (cf. Mt 23, 29; 25,41). Quando Dio maledice, emette la sentenza come chi non può ingannarsi né sulla natura del peccato, né sui sentimenti del peccatore. L’uomo, invece, non ha diritto di maledire perché non può conoscere l’intenzione l’animo di un altro. Nell’uomo è il vizio, ossia l’aggressività, a proferire maledizioni, quando è provocato da oltraggi» [26].

Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno. «Ha umiliato il serpente, il diavolo, e lo ha posto sotto i nostri piedi; ci ha donato la capacità di camminargli sopra la testa. Il messaggio corrisponde a quello del Vangelo: Ecco vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni, sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi (Lc 10, 19). Da queste parole puoi intuire la benevolenza di Dio per gli uomini [27].

«Gesù vuole fare cose meravigliose sempre; vuole trionfare su spiriti del male in cielo con esseri della terra. Diceva che chi crede in lui non solo farà le cose che egli ha fatto, ma farà cose maggiori di queste. In verità mi sembra più grande che un uomo posto nella carne, fragile e caduco, armato soltanto della fede in Cristo e della sua parola, possa trionfare delle legioni dei demoni. Anche se è Lui a vincere in noi, dice che è più grande cosa vincere mediante noi che vincere da se stesso» [28]. «Preghiamo affinché i nostri piedi siano tali, tanto belli e tanto forti da poter schiacciare la testa del serpente, perché non riesca più a mordere il nostro calcagno. Chi milita sotto Gesù deve ritornare dalla battaglia incolume, senza contaminarsi nel cuore e senza offrire spazio – con l’ira, l’avarizia e qualunque altra occasione – alle ferite del demonio» [29].

16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». 17 All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. 19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». 20 L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.

Alla donna disse… I momenti più belli dell’esistenza, come l’innamoramento o il parto, spesso sono deturpati dalla violenza o rattristati dal dolore. L’autore biblico non afferma che deve essere così ma che questa situazione è ben lontana da ciò che Dio aveva previsto.

Eva è recuperata da Maria, madre di Gesù: «Mentre Eva, sviata dal messaggio del diavolo, disobbedì alla parola divina e si alienò da Dio, Maria invece, guidata dall'annuncio dell'angelo, obbedì alla parola divina e meritò di portare Dio nel suo grembo. Quella dunque si lasciò sedurre e disubbidì, questa si lasciò persuadere e ubbidì. In tal modo la vergine Maria poté divenire avvocata della vergine Eva» [30].

Maledetto sia il suolo per causa tua! «Osserva la bontà divina: punisce il serpente e l’uomo. Al primo aveva detto: sii maledetto sulla terra, ma all’altro non parla così. Che cosa gli dice: sia maledetta la terra» [31]. «Adamo aveva ricevuto questa condanna: per causa tua la terra sia maledetta, ti produrrà triboli e spine. Per cancellare la condanna, Gesù accettò le spine. Fu sepolto sottoterra per dare alla terra maledetta non più maledizione ma benedizione. Fu seppellito in un giardino, piantato come vite, come aveva detto di se stesso: Io sono la vera vite (Gv 15, 1)» [32].

Con il sudore del tuo volto mangerai il pane. «Si tratta di una punizione che perdura nei secoli; dev’essere utile non soltanto a Adamo ma anche ai suoi posteri, che saranno educati da questi provvedimenti. In ogni epoca, la sofferenza ti servirà da guida perché tu eviti ogni eccesso. Avrei voluto che, sgravato da tutti questi fastidi, godessi in piena libertà, ma questa condizione di favore non ti fu utile affatto» [33].

Finché tornerai alla terra, perché da quella sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!. «L’uomo si decompone e torna alla terra, allo scopo però, una volta gettata via l’impurità che porta con sé, di essere ricostituito mediante la risurrezione nella sua forma originaria» [34]. «La natura umana, prima che fosse assunta dal Creatore, era terra, non era cielo. Ecco perché all’uomo peccatore è stato detto: sei terra e in terra andrai. Ma dopo che fu assunta dal Creatore e fu innalzata al cielo, quella che era terra diventò cielo» [35].

Punti di meditazione

La vittoria del Cristo. «Cristo sconfisse il diavolo che al principio, per mezzo di Adamo, ci aveva fatti tutti suoi prigionieri. Schiacciò il capo del serpente secondo la parola di Dio riferita nella Genesi: «Porrò inimicizia tra tè e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» [Gn 3, 15). Il genere umano era sprofondato nella morte a causa dell'uomo sconfitto. Ora risaliva alla vita a causa dell'uomo vittorioso» [36].
Il privilegio straordinario di Maria. «Dio ineffabile, avendo deciso di portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà con un mistero ancora più profondo – l'incarnazione del Verbo – , dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto d’esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell'abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente. Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente» (Dalla Costituzione apostolica Ineffabilis Deus di Pio IX, 8 dicembre 1854).
Aspetti sociali del paradiso. Ricordare il progetto originario di Dio è utile per discernere con sguardo profetico la condizione storica degli uomini e operare per un ristabilimento di rapporti riconciliati nella fraternità. Ad esempio, il monastero deve essere un luogo edenico, un segno profetico di carità: «Tra i fratelli c'è una tale unità, […] che le cose dei singoli sono di tutti, e tutto è di ciascuno. Non si fa alcuna preferenza di persone, e non c'è nessuna considerazione per l'origine sociale. Solo la necessità crea la diversità, solo la malattia produce la disparità. Infatti quello che è frutto del lavoro comune di tutti è distribuito ai singoli, non come detterebbe l'affetto carnale o un'amicizia personale, ma secondo quant’è necessario a ciascuno [37].

Alle soglie del paradiso

Ora l’uomo vive come in esilio, fuori del giardino. Dio intende evitare che l’umanità continui ad usare le proprie possibilità e la propria libertà per procurarsi danni più rilevanti e per questo li educa mediante le vicende dolorose della vita. Li protegge nella sventura che si sono procurati (il dono del vestito). Ora l’uomo deve impegnarsi per ottenere la comunione con Dio e con i fratelli. I cherubini custodiscono la via all’albero della vita ma non l’interdicono in modo assoluto. «L’intenzione di Dio non è quella di vietare l’accesso all’albero della vita, quanto invece di preservarlo, sorvegliandolo» (Wenin). Viene esclusa di nuovo la bramosia distruttrice. L’accesso rimane aperto per chi desidera avvicinarsi in modo adeguato. Bisogna proporsi di vivere secondo Dio e non secondo un’istintività immediata ed accaparratrice. Ora lo stato di pacificazione non è più un dato già acquisito ma un progetto da perseguire.

21 Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì. 22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!». 23 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita.

Per custodire la via all’albero della vita. L’uomo ora sperimenta l’esilio ma anche parziali reintegrazioni nel paradiso, in attesa della reintegrazione definitiva che avverrà nel Cristo. «Dio cacciò i progenitori dal paradiso. Tuttavia Egli può suscitare figli anche dalle pietre e può far diventare puro un uomo corrotto. Può fare della terra il luogo della quiete, del Paradiso» [38]. «Ciascuno custodisca la parola nel cuore come in un paradiso, possa godere della grazia senza prestare ascolto al serpente. In questo paradiso entrò Noè, che aveva custodito e messo in pratica il comandamento e, grazie alla sua carità, sfuggì alla collera. Abramo custodì questo paradiso e udì la voce di Dio. Lo custodì Mosè e ricevette la gloria sul volto…» [39].

«Vivendo tutti in Adamo, cademmo quando anch’egli cadde. Avendo ormai cominciato a vivere nel Cristo, con lui risorgiamo. Tutti i beni che abbiamo potuto avere in quello, li abbiamo perduti; in questo otterremo beni ancora più grandi, e da possedere in eterno. Adamo ci portò via il paradiso, Cristo ci donò il cielo» [40].

«Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; la mucca e l’orsa pascoleranno insieme. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide. Non agiranno più iniquamente poiché la saggezza del Signore riempirà il paese» (Is 11,6-9). «Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà ricoltivata e si dirà: la terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden. I popoli sapranno che Io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto» (Ez 36,34).


[1] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVI, 2.

[2] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVI, 2-3.

[3] Gregorio di Nazianzo, Orazione 37, 10.

[4] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVI, 2-3.

[5] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 42, 11.

[6] Giuliano Pomerio, La vita contemplativa, II, XIX, 1.

[7] Gregorio di Nissa, La Grande Catechesi, XXI, 4.

[8] Giuliano Pomerio, La vita contemplativa, II, XIX, 2 e III, IV, 2.

[9] Isacco della Stella, Sermoni, 25, 3.

[10] Agostino, Confessioni, 1, 1.

[11] Anonimo, Teologia tedesca, 16.

[12] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 1.

[13] Giuliano Pomerio, La vita contemplativa, II, XVIII, 2.

[14] Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 150.

[15] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 3.

[16] Ambrogio, La Penitenza, II, 11, 103.

[17] Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, 78.

[18] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 4.

[19] Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, I, 9.

[20] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 5.

[21] Gregorio di Nazianzo, Orazione 37, 7.

[22] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 13.

[23] Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, I, 9.

[24] Ambrogio, La Penitenza, II, 10, 91.

[25] Ambrogio, La Penitenza, II, 10, 96.

[26] Origene, Omelie sui Numeri, XV, 3.

[27] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 7.

[28] Origene, Omelie sui Numeri, VII, 6.

[29] Origene, Omelie su Giosuè, XII, 2.

[30] Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 19, 1.

[31] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 9.

[32] Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XIII, 18; XIV, 11.

[33] Giovanni Crisostomo, In Genesim homiliae, XVII, 9.

[34] Gregorio di Nissa, La Grande Catechesi, VIII, 3.

[35] Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, I, VII, 19.

[36] Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 20, 2. 21, 1.

[37] Aelredo di Rievaulx, Lo Specchio …, II, 17, 43, op. cit. p. 223.

[38] Epifanio, L’ancora della fede, 61.

[39] Pseudo-Macario, Omelie, 57, 1.

[40] Giuliano Pomerio, La vita contemplativa, II, XX.