venerdì 24 febbraio 2012

La storia di Giuseppe. Verso la riconciliazione

I fratelli di Giuseppe annunciano al padre Giacobbe la falsa morte di Giuseppe
Il nome biblico con cui viene indicata la storia di Giuseppe in Gen 37-50 è storia della famiglia di Giacobbe (Gen 37,2). Essa è collegata in vari modi a Gen 25-36 e presenta un carattere ancor più esemplare nelle sue varie fasi e nella descrizione degli avvenimenti. Nessun altro testo biblico descrive con tanta insistenza e tanti det­tagli dei percorsi di riconciliazione.
Questo racconto dimostra ampiamente che i conflitti passano da una generazione ali'altra. Così, da un lato, nel ruolo paterno di Giacobbe si riflette la sua precedente relazione con Isacco e, dall'altro, nei suoi figli si riflette una rivalità paragonabile a quella fra lui e il fratello gemello. Ora Giacobbe rivive con i suoi figli ciò che ha fatto a Isacco, anche attraverso il suo conflitto con Esaù.
Ciò significa che ogni generazione deve ricominciare l'opera del­la riconciliazione. I figli di Giacobbe non possono profittare sempli­cemente dell'esperienza del loro padre, il quale, d'altra parte, in Gen 37 sembra ripetere in forma aggravata gli errori dei suoi genitori.
Diversamente da quanto era avvenuto in Gen 25-33, nella sto­ria di Giuseppe si parla esplicitamente e ripetutamente di colpa e si intavolano a volte lunghi dialoghi al riguardo. Essa consente quindi una maggiore comprensione del processo mediante il quale si ela­borano le colpe passate. Qui intendiamo descrivere brevemente le varie fasi.
1. LA VENDITA DEL SOGNATORE: GEN 37
La grave colpa della vendita del fratello come schiavo a mer­canti stranieri (37,28) non è un fulmine a ciel sereno. È preceduta da errori e mancanze da parte di tutti i mèmbri della famiglia.
Questi errori e mancanze cominciano già durante la giovinezza di Giuseppe. Quando ha appena diciassette anni, egli riporta al pa­dre certi malevoli pettegolezzi che circolano sui suoi fratellastri (v. 2). Apparentemente non si rende conto del loro odio e dell'interruzione della comunicazione (v. 4) e aggrava la situazione raccontan­do sogni che sottolineano la sua superiorità su di loro e accrescono ulteriormente il loro rifiuto (vv. 5-11). Nel v. 13, all'ordine paterno risponde «Eccomi!», ma nel v. 14 Giacobbe deve ripeterglielo. Giuseppe è un giovane viziato, presuntuoso.
Il maggior responsabile è certamente il padre. Giacobbe lo pre­dilige e lo dimostra mediante un segno speciale, visibile: la tunica dalle lunghe maniche (v. 3). Benché le preferenze nella sua vita pas­sata abbiano ripetutamente causato grandi sofferenze, Giacobbe continua a comportarsi allo stesso modo e divide così la famiglia.
Le prime reazioni dei fratelli di Giuseppe sono comprensibili, ma aggravano ulteriormente il conflitto. Il «non potevano parlargli amichevolmente» (v. 4) è l'inizio di un allontanamento che porta ad architettare l'uccisione del fratello (vv. 18-20) e a etichettarlo sprezzantemente come «sognatore». Nel v. 21s, la protesta di Ruben li induce a rinunciare al loro proposito omicida e ad accontentarsi di spogliarlo e privarlo della sua libertà; nel v. 26s, Giuda motiva la vendita di Giuseppe, invece della sua soppressione fisica, con il ter­mine «guadagno» e con l'espressione «nostro fratello».
Il modo in cui viene informato il padre nei vv. 31-35 presenta dei parallelismi con Gen 27. Anche in questo caso si perpetra l'inganno mediante un capo di vestiario e si parla di capre. Là Isacco era cieco, qui Giacobbe non vede ciò che è successo, per cui subi­sce la stessa sorte del padre.
2. LA MATURAZIONE DI GIUSEPPE: GEN 39-41
Ognuno di questi tre capitoli riprende un elemento della colpa di Giuseppe descritta in Gen 37 e lo capovolge. Le esperienze della dipendenza, della vita in terra straniera e della prigionia permetto­no a Giuseppe di maturare e diventare, con l'aiuto di Dio un uomo retto e onesto.
Giuseppe che aveva calunniato i suoi fratelli viene ora calun­niato dalla moglie di Potifar in 39,14s.l7s. La sua insensibilità verso i fratelli quando raccontava loro i suoi sogni è corretta in carcere dalla sua premurosa attenzione alla situazione degli altri (40,6s).
Il ritardo con cui risponde all'ordine paterno viene ora speri­mentato personalmente: il coppiere graziato dal faraone si dimenti­ca di Giuseppe e della sua richiesta per due anni (40,14s con 40,23-41,1). Inoltre, per quanto riguarda Patteggiamento inferiore, in Gen 41 la tergiversazione di fronte all'ordine del padre viene completamente capovolta. Ora Giuseppe elabora piani e prende ini­ziative per far fronte alla futura carestia (a partire dal v. 33) ed ese­gue immediatamente gli ordini del faraone.
I capitoli 39-41 mostrano un Giuseppe profondamente cam­biato. Per tredici anni è sopravvissuto, con l'aiuto di Dio, alle dure esperienze dell'ingiustizia ed è diventato così una figura chiave per la sopravvivenza di un grande popolo. A causa delle sue colpe pas­sate ha patito oltre misura, ma ora la sua colpa è più che «espiata»; ora la sua sofferenza può portare frutti per altri.
3. LA TRASFORMAZIONE DI GIUDA: GEN 38 E 42-44
II capitolo 38, ritenuto a volte estraneo alla storia di Giuseppe, ne fa necessariamente parte sia per i richiami sia per lo sviluppo dei personaggi. Solo così si può comprendere il cambiamento interve­nuto in Giuda fra la sua proposta di vendere il fratello (Gen 37) e il suo impegno a favore della famiglia (a partire dal cap. 43). In Gen 38 la famiglia di Giuda si sfascia. Muoiono due dei suoi tre figli e lo scaltro e audace coinvolgimento della nuora Tamar mette in luce la sua doppia morale. Essa lo induce a ritirare la sua condanna a mor­te e a riconoscere: «Lei è nel giusto, io no».5 Una donna aiuta Giu­da a rendersi conto del suo crimine e avvia così quel cambiamento che sarà decisivo per la successiva riunificazione della famiglia.
Il duro trattamento riservato ai fratelli da Giuseppe, che non si fa riconoscere, in occasione del loro primo viaggio ripropone e ri­lancia il loro precedente crimine. In 42,21 i fratelli si ricordano del­la sofferenza di Giuseppe e confessano la loro colpa.
Il secondo viaggio viene differito, poiché Giacobbe non vuole accettare la condizione posta da Giuseppe, quella di inviare insieme a loro Beniamino. Solo l'intervento personale di Giuda, in 43,8-10 può indurre il padre qui chiamato «Israele» ad accettare.
Ricerca della coppa rubata
Durante il viaggio la scoperta della coppa di Giuseppe nel sacco di Beniamino rattrista profondamente i fratelli, i quali ritornane tutti indietro (44,13). Essi rifiutano la seducente offerta (v. 10) di sbarazzarsi, come in Gen 37, del più giovane, di colui che è appa­rentemente colpevole. Questa situazione speculare rispetto a quella della vendita di Giuseppe effettuata oltre vent'anni prima dimostra il cambiamento intervenuto nei fratelli. Anzitutto in 44,16 Giuda confessa: «Dio ha scoperto la colpa dei tuoi servi». E impossibile occultare o nascondere la colpa davanti a Dio.
Alla nuova offerta (v. 17) di tornarsene in pace dal loro padre senza Beniamino, Giuda risponde con un'appassionata perorazione, il discorso più lungo di tutta la Genesi (vv. 18-24). Egli è profonda­mente scosso al pensiero del padre, al quale vuole risparmiare un ul­teriore dolore, e si offre schiavo al posto del fratello più giovane.
In una situazione assolutamente parallela a quella di Gen 37 Giu­da si comporta in un modo del tutto diverso. Invece di vendere il fra­tello e lasciare che finisca schiavo in terra straniera, supplica di poter prendere il posto del fratello e restare personalmente in terra straniera.
L'aspetto più commovente è l'immedesimazione di Giuda nel pensiero del padre. Si spinge fino al punto da ricordare e accettare il suo amore preferenziale per Beniamino, che è stato, e continua ad essere per lui fonte di sofferenza. In questo Giuda rappresenta i fratelli. Nelle sue parole e nella sua condotta si riflette chiaramente il cambiamento intervenuto in ciascuno di loro.
Non solo Giuseppe, ma anche Giuda e i fratelli sono cambiati. L'allontanamento di Giuseppe, il «colpevole», in Gen 37 non ha migliorato la situazione famigliare, ma ha unicamente aggravato la tristezza del padre. Le sofferenze ed esperienze personali inducono i fratelli ad affrontare la loro colpa passata e a cercare il fratello perduto-venduto.

4. LA FAMIGLIA RIUNITA: GEN 45-47
Di fronte a tanta abnegazione da parte del fratello, Giuseppe non riesce più a sostenere il doppio gioco. Finora, senza farsi cono­scere egli ha da un lato posto i fratelli in situazioni atte a far ricor­dare loro la colpa passata e, dall'altro, dimostrato la sua sollecitudi­ne verso di loro con piccoli segni, come l'invito a tavola, la restitu­zione del danaro ecc. La sua lacerazione inferiore è chiaramente evi­denziata dalle lacrime versate di nascosto (42,24; 43,30).
L'intervento di Giuda a favore del padre e di Beniamino fa crol­lare la facciata. Non essendo più in grado di controllare le proprie emozioni, Giuseppe si fa riconoscere, chiedendo al tempo stesso no­tizie del padre (45,3) e cercando di tranquillizzare i fratelli spaventati (v. 5), il che dimostra che Giuseppe non serba loro alcun rancore per la colpa passata. Il nuovo atteggiamento di Giuda ha riconquistato il fratello venduto. La maturazione di Giuseppe, ottenuta attraverso la sofferenza, affiora ripetutamente. Egli interpreta il suo destino come missione di Dio; la triplice ripetizione (vv. 5.7s) accentua questa vi­sione del suo cammino. Al tempo stesso egli sottolinea il senso nasco­sto della sua sofferenza nel piano di Dio, il quale in tal modo vuole conservare e salvare la vita (v. 7). Il poter vedere e accettare il suo de­stino in questo modo facilita notevolmente la riconciliazione.
Inoltre Giuseppe accetta di prendersi cura della famiglia allar­gata in questo particolare periodo di carestia e di fame. L'ordine di affrettarsi ad andare a prendere il padre (vv. 9.13) inquadra questa parte e dimostra sia il suo ardente desiderio di rivedere il padre, sia la sua volontà di migliorare il più celermente possibile le sue condi­zioni di vita.
Infine, i gesti e le parole (v. 14s) esprimono il ristabilimento della familiarità e della comunicazione fra i fratelli, che si erano in­terrotte in 37,4.
Ciò che accade in 45,1-15 è un vero concentrato di elementi di riconciliazione: la riacquisizione del fratello, l'assenza di rancore da parte sua, la concreta sollecitudine per il sostentamento di tutti, i ge­sti di fraterna intimità. Al centro, e certamente alla base di tutto questo sta l'interpretazione dell'esperienza di Giuseppe come mis­sione ricevuta da Dio. Essa sostiene tutto ciò che accade e apre la
strada verso un futuro comune. Gen 46 descrive la riunione dell'in-tera famiglia. L'incontro con Giuseppe realizza il sogno che era per Giacobbe la ragione stessa della sua vita (46,30). Qui, con il nome Israele egli vede realizzato non solo il suo più ardente desiderio, ma anche un incontro accogliente («visione del volto») analogo al suo precedente incontro con Esaù (33,10).
Anche il gettarsi al collo senza dire nulla e il pianto nel verset­to precedente (46,29) riecheggiano la storia passata. Ora la colpa del padre - la sua preferenza per Giuseppe - ha trovato il suo lieto fi­ne. Gli oltre vent'anni di separazione dal figlio prediletto hanno co­stretto anche Giacobbe a percorrere la via del dolore, nel suo caso già per la seconda volta.
5. IL COMPIMENTO DELLA RICONCILIAZIONE:
GEN 48-50
I capitoli 48 e 49 della Genesi hanno apparentemente ben po­co a che vedere con il nostro tema. Ma hanno una relazione con i precedenti gravi conflitti di Gen 21 e 27. Nel primo caso l'egiziana Hagar viene cacciata insieme al figlio dalla famiglia di Abramo; nel secondo caso, a causa della sua intenzione di benedire, segretamen­te e contro l'oracolo di Dio (25,23), il solo Esaù, Isacco ha avviato la rovina delle relazioni familiari.
In questa situazione il comportamento di Giacobbe in Gen 48s significa conversione e compensazione. Egli adotta Manasse e Efraim, figli dell'egiziana Asenat (48,5) e impartisce a entrambi la benedizione, nonostante la predilezione (vv. 14-20). Questo cancel­la, a tre generazioni di distanza da Gen 21, la passata ingiustizia.
La benedizione di tutti i figli viene ripetuta poi in Gen 49 per i suoi figli. Anche lì appaiono delle differenze a livello sia di conte­nuto delle promesse, sia di lunghezza delle stesse, ma tutti ottengo­no una promessa del padre. Ancora una volta Giacobbe rovescia un
atteggiamento di un predecessore, in questo caso la benedizione di suo padre Isacco che voleva privilegiare una sola parte (Gen 27). E come se cercasse di espiare anche l'ingiustizia delle precedenti ge­nerazioni e propiziare così la riconciliazione.
In Gen 50 si descrive anzitutto (vv. 1-14) la sepoltura di Gia-cobbe da parte di tutti i suoi figli, segno della ritrovata unità della famiglia (cf. 35,29). Ma la morte del padre suscita nei fratellli il ti­more di una vendetta da parte di Giuseppe (v. 15; cf. 27,41), il che significa che in 45,1-15 non tutto è risolto.
Il tema scottante della loro colpa viene trattato con estrema sen­sibilità. Nel v. 16 i fratelli inviano un messaggio a Giuseppe per ri­cordargli un ordine impartito dal padre prima di morire. Così, in for­ma doppiamente indiretta, gli ricordano le parole del padre (v. 17):
«Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti han­no fatto del male! Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!».
Qui la novità rispetto a Gen 44s consiste nella menzione della loro colpa e nella richiesta di poterla portare. La cosa viene ripetu­ta ed espressa con la stessa parola-immagine usata da Caino in 4,13. Colpisce, inoltre, l'espressione unica nel suo genere: «servi del Dio di tuo padre». Da un lato, l'espressione menziona due autorità (Dio e il padre) e i fratelli sperano che Giuseppe le rispetti, dall'altro es­sa designa lo stesso Giuseppe, evidenziando così una comunanza con i suoi fratelli.
Di fronte alle lacrime di Giuseppe, che piange per la settima e ultima volta, i fratelli osano (v. 18) gettarsi a terra davanti a lui -nuovo e ultimo parallelismo con le affermazioni dei sogni (37,7.9) -e accompagnare il loro gesto con la dichiarazione: «Eccoci tuoi schiavi!». Così si dicono disposti ad addossarsi la responsabilità di ciò che gli hanno fatto, il che equivale a una sorta di espiazione.
Ma nel v. 19 Giuseppe li libera da ogni timore. Come già fece suo padre in 30,2, egli rifiuta la loro proposta, dicendo: «Sono io forse al posto di Dio?». I fratelli non devono essere schiavi gli uni degli altri.
Il v. 20 è stato scelto come motto da preporre a questa parte.
Esso condensa il succo della storia di Giuseppe. In questo versetto Giuseppe approfondisce l'interpretazione teologica di 45,5-8, attri­buendo a Dio persino il potere di trasformare in bene il male pro­grammato dagli uomini. Chi ha questa fede è riconciliato.
Concludendo, nel v. 21 Giuseppe ripete la richiesta di non te­mere del v. 19; questi due imperativi incorniciano per così dire le due affermazioni interne su Dio. Per l'uomo che pensa in questo modo il timore della vendetta è assolutamente immotivato. L'inco-raggiamento di Giuseppe (cf. 45,11) e le sue cordiali parole di con­solazione cancellano definitivamente le passate tensioni.

G. Fischer

venerdì 10 febbraio 2012

Il valore dei salmi

Come la manna degli ebrei aveva ogni sorta di diletto e sapore, così i salmi contengono ogni insegnamento spirituale che può servire per qualunque bisogno. Cosi quando si cantano in coro i salmi, sono parole della Chiesa che loda Dio; quando vengono recitati dal peccatore, sono parole che implorano il perdono; quando vengono cantati dalle persone giuste, sono parole di ringraziamento; quando si cantano per le anime del purgatorio, sono parole dell’anima che grida a Dio dal luogo delle pene. I salmi si adattano a qualsiasi intenzione della persona che li prega. (...)
È assai utile capire ciò che cantiamo continuamente fino alla morte; infatti quando si capiscono i salmi, si cantano con maggiore devozione, e lo spirito, occupato dall'intelletto, non si distrae. Dall’approfondire i salmi ne deriva che in ciascuno di essi si scorge Gesu Cristo presente, e allora lodandolo con la mente e nello stesso tempo con la bocca non vi è dubbio che lo si ama con più attenzione. Quando tu mediti i salmi, Gesu è nella tua mente; quando li canti con la bocca, Gesu è sulla tua bocca. Meditando i salmi hai questo vantaggio: abbracci tutto ciò che contengono l'Antico e Nuovo Testamento. Cantando o recitando devotamente i salmi uno ha la gioia di avere Gesù presente, e di essere lodato dagli angeli; produce infiammati affetti, si purifica dai vizi e vince i demoni con la spada dello spirito, che è la Parola di Dio. I demoni infatti non possono sopportare chi canta devotamente i salmi. L'origine dei salmi non è sulla terra, ma in cielo, poiche lì vi è Cristo, oggetto e fine di tutti i salmi; lì vi è la vita e il dialogo della Chiesa, che è il corpo di Cristo.
Perciò dice S. Gregorio Magno: «Nel sacrificio delle divine lodi, si prepara la via a Gesù, poiché mediante la salmodia viene infusa la compunzione e si prepara nel nostro cuore la via per cui finalmente si giunge a Gesù».
Nessun mortale e capace di concepire o spiegare il valore dei salmi, quando sono cantati non superficialmente con le sole labbra, ma con mente attenta e cuore puro. Nei salmi infatti, se li canti o reciti con attenzione e non in fretta, troverai un'orazione così intima, che non potresti in alcun modo formarne o concepirne una tale da te stesso. Nei salmi troverai un dolore sincero dei tuoi peccati e una preghiera perfetta per implorare la divina misericordia. Nei salmi troverai un soccorso in qualunque tua avversità ed un ringraziamento per ogni circostanza.
Nei salmi manifesti e confessi la tua debolezza e miseria, e con ciò muovi Dio ad usarti misericordia. Nei salmi troverai tutte le virtù, se meriti che Dio ti illumini per vedere la forza che sta riposta in essi. Percio non occorre che ti distragga lo spirito in diversi libri, poiché nel solo salterio trovi materia sufficiente da leggere, studiare e insegnare per tutto il tempo della tua vita.
Nel salterio trovi gli scritti dei profeti, il Vangelo e gli insegnamenti degli apostoli ed inoltre tutti i libri della Scrittura, citati nel senso spirituale e descritti in parte in modo chiaro; in esso è profetizzata tanto la prima come la seconda venuta del Signore. Nei salmi trovi descritta 1'incarnazione,
la passione, la risurrezione e 1'ascensione del Signore. Chi arriva, con la grazia di Dio, a penetrarli bene, vede in essi ogni virtù divina.
S. Agostino parlando dell'eccellenza dei salmi e della loro efficacia, dice che il salmo illumina 1'anima e la mente. Esso arreca tranquillità all’anima; e apportatore di pace, sedando l'agitarsi e il fluttuare dei cattivi pensieri, reprimendo l'ira, eliminando il lusso e suggerendo la vita sobria, conciliando 1'amore, portando a concordia i dissidenti, riconciliando i nemici. Infatti chi potrà tenere sentimenti di inimicizia con chi canto assieme a lui le stesse lodi di Dio? Da questo si vede come la salmodia ristabilisce la carità che e il massimo dei beni, congiungendo gli animi con la sintonia delle voci, e, per lo stesso motivo, formando di diversi popoli un popolo solo.
La salmodia è un cantico gradito sommamente a Dio: allontana ogni peccato, perfeziona il vincolo della carità, da luce per penetrare ogni cosa e per soffrire ogni cosa; deifica 1'uomo. Chi ama la salmodia non può amare il peccato.
Per le ragioni suddette, la Chiesa fa giustamente tanto uso dei salmi nel suo Ufficio. Perciò le persone consacrate, e specialmente i religiosi, dovrebbero con grande buona volontà impegnarsi per capire bene i salmi, che devono quotidianamente recitare o cantare, per poter cosi gustare la soavità che sta in essi riposta, ed inoltre evitare le noie, le distrazioni e le suggestioni del demonio; e la loro fatica diventerà più fruttuosa e meritevole, in modo da rallegrare tutta la corte celeste.
(In Psalmos enarratio clarissima, Proemium, pp. Iss)