mercoledì 9 ottobre 2013

La speranza nella sventura


La catastrofe dell'esilio rappresentò una  profonda prova di fede. La promessa a Davide era l'assicurazione che un discendente di Davide avrebbe ereditato il trono di Gerusalemme. Durante l'esilio la situazione era terribilmente diversa. I decenni successivi suscitarono in Israele un'enorme crisi nelle promesse divine. Il popolo per il momento visse ciò che potremmo chiamare una  crisi di fede. La vittoria di Babilonia non era forse il segno che le divinità babilonesi erano più forti? 
Quando il profeta della consolazione parla del suo popolo, notiamo che rivolge a se stesso un dubbio apertamente formulato sul potere e sulla sollecitudine di Dio; cita i dubbi del popolo: «La mia sorte è nascosta al Signore è il mio diritto è trascurato dal mio Dio (Is 40,27); «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato» (Is 40,4).

Il messaggio del profeta della consolazione (40-55) va inteso come una risposta alle domande disperate suscitate dal dubbio.
Per il profeta della consolazione, l'esilio non era assolutamente un segno dell'impotenza di Dio. La sua diagnosi era completamente diversa:
1°  la calamità nazionale era invece la conseguenza ultima del peccato d'Israele: «Chi abbandono Giacobbe al saccheggio? Non è stato forse il Signore contro cui hanno peccato?» (42,24).
2º L'esilio non era destinato a essere la meta definitiva del popolo d'Israele. La missione delle proprietà era quella di predicare la libertà ai prigionieri. La liberazione ripete e addirittura supera quella dell'esodo (Is 48,20-21 e 17,6). La tipologia dell'esodo ha avuto un ruolo importante.


Dio Redentore

Uno dei termini chiave impiegati del profeta che parla di Dio come Salvatore è padà redimere; l'altra parola chiave è gaal, cioé riscattare. Il verbo redimere ha un tono giuridico, mette l'accento sul prezzo; mentre riscattare sottolinea il legame di sangue che unisce chi riscatta e chi viene riscattato.
Prima di tutto c'è il riscatto degli schiavi. Se un israelita era obbligato a venderci come schiavo, era dovere del suo parente più stretto riscattarlo Lv 25,47 55.
Poi il riscatto dell'età delle terre appartenenti al gruppo familiare. Se la povertà obbligava qualcuno vende una  parte delle sue proprietà allora era dovere del suo parente stretto intervenire e riscattare la casa in questione.
Un 3º caso era il riscatto dalla vedovanza Dt 25,5-10. Vedi il caso  di Booz.
Grazie alla sua enfasi sui legami di sangue, riscattare a una  sfumatura più calda. Questa senza dubbio è la ragione principale per cui il nostro profeta lo scelse. Quando Dio agisce come riscatta torre sta agendo come uno che interviene in un caso a favore di un parente. Passi tipici: Is 43,1-7 e Is 54,1-10.
Contro il lamento del popolo di essere stato dimenticato dal suo giro, il profeta offre il ritratto di un Dio che si impegna profondamente.


Dio creatore

Se il Riscattatore agisce sulla base di una  relazione parentale già esistente, qual è la natura di questo legame rispetto al signore e Israele? È il fatto che Dio sia il creatore del popolo.
Il profeta parla ripetutamente di Dio come creatore. Per capire la funzione teologica di questa immagine, dobbiamo ancora una  volta ricorrere ai salmi. Nelle composizioni individuali lamento, il supplicante fa presente come sia stato personalmente creato da Dio e quindi totalmente dipendente (salmo 22, 10-11; 71,5 6). Quando un supplicante comunica la sua disperazione a Dio, trova che il terreno della sicurezza sta in un fatto solo e cioè di essere stato creato da Dio; in questo può confidare. Dio era sollecito e si sentiva responsabile della sua reazione.
Il popolo di Dio fu sempre una  tentazione cercare di limitare la prospettiva storico salvifica al passato lontano all'esodo dall'Egitto. Quando gli israeliti guardavano al passato, vedevano solo i grandi eventi da cui il tempo li divideva. Ma il profeta della consolazione risvegliava il suo popolo a una  nuova intuizione: Dio non solo regna sul presente, ma anche sul futuro! Il passo più importante: Isaia 43,16-21. L'idea di Dio come creatore del mondo svolge quindi la sua parte speciale nel messaggio del profeta della consolazione. L'enfasi è sopra un Dio che ha potere.

Questo potere si estende tanto sul presente che sul futuro. Per quanto riguarda il presente basta richiamare testo di 48,12-15. Il discorso sulla creazione è seguito immediatamente dal racconto di ciò che Dio sta facendo presente, l'opera che viene eseguita attraverso il re persiano Ciro.

Un altro aspetto importante: Dio crea tramite la sua parola. Nel prologo ci viene detto che secca nell'erba, ma la parola del nostro Dio dura per sempre (40,8). Nella conclusione la parola di Dio viene paragonata a fenomeni meteorologici oggettivi i cui effetti sono ben noti all'umanità (55,10-11). La parola creatrice di Dio svolge un ruolo importante anche in Isaia 44,24 ss.

martedì 8 ottobre 2013

Regalità di Dio


Qual è il centro della comprensione di Dio nell'AT? L’idea del Signore come «re» può rivendicare a buon diritto una posizione importante. Quando il profeta Isaia sperimenta la sua chiamata profetica, si trova alla presenza di uno che lui deve riconoscere come re: «eppure i miei occhi hanno visto il re, il signore degli eserciti» (Is 6,5). Quando i salmisti biblici cantano inni, è la maestà regale di Dio che scelgono di lodare. Non sarebbe esagerato sostenere che questa comprensione di Dio colleghi i due Testamenti. «Venga il tuo regno» è, ovviamente, una preghiera che presuppone qualcuno che porta il titolo regale.

La regalità del Signore è il centro di un modello di pensiero biblico che consiste in a) la battaglia di Dio contro le forze del caos, b) il suo regno, e) il suo palazzo/tempio.
Salmo 24. Un attento esame di questo salmo lo indica come un bell'esempio della combinazione di tutti e tre gli elementi della nostra struttura concettuale: battaglia contro il caos, regno e tempio. Il salmo ci dice come il «re della gloria» entri nel suo tempio - il suo palazzo (vv. . 7-10). L'ingresso regale di Dio nel suo tempio è il tema centrale del salmo. Proprio all'inizio del salmo leggiamo: Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti. È lui che l'ha fondata sui mari e sui fiumi l'ha stabilita (Sal 24,1-2).
Dietro a tutto questo intravediamo la battaglia del Creatore contro i poteri del caos; Dio ha creato il mondo e ha sottomesso le acque del caos. Così il salmo fornisce la sua risposta alla domanda del perché il «re della gloria» sia caratterizzato come «forte» e «potente in battaglia» (v. 8). La lotta da cui il Signore è appena uscito quando entra nel suo tempio è la battaglia del creatore contro i poteri del caos; con la sua vittoria su tali poteri. Dio si manifesta come re. Ovviamente questo comporta che gli venga dato un palazzo reale e il tempio sul Sion serve a questo scopo: Sollevate porte i vostri frontali, alzatevi porte antiche (Sal 24,7 e 9). La creazione del mondo da parte di Dio e il suo ingresso nel tempio sono qui posti una accanto all'altro.
Questa concezione può essere stata celebrata durante la festa annuale delle Capanne, in autunno. In occasione di tale festa autunnale il tempio stesso veniva consacrato e l'arca dell'alleanza veniva posta nel Santo dei santi (cf. 1 Re 8,1-2.65). Si ritiene che il Salmo 24 fosse stato composto per la normale celebrazione di questo evento. Quindi il tempio è il palazzo reale di Dio. Questo è il luogo in cui Dio è presente in modo speciale come re. Il ruolo del tempio come dimora regale di Dio è espresso in molti modi nell'AT. Al momento della dedicazione del tempio Salomone fa un annuncio: Io ti ho costruito una casa potente, un luogo per la tua dimora perenne (1 Re 8,13). A questo proposito, ricordo che spesso ci si riferisce al tempio di Gerusalemme come hekal (cf. Sal 27,4; Is 6,1). La stessa parola è usata anche in riferimento ai palazzi dei re terreni (IRe 21,1; 2Re 20,18) e viene tradotta automaticamente «palazzo»...

La teologia sviluppata nel tempio si concentrava sul concetto di Dio come re... Descriverei questa teologia nel seguente modo:
1) il Signore è il grande re (Sal 48,3);
2) Dio ha scelto Gerusalemme (Sal 78,68-69; 132,13); il tempio sul Sion è il palazzo reale e lì Dio è sempre presente;
3) la presenza regale di un dio sul Sion ha una serie di conseguenze:
a) la benedizione di Dio proviene da Sion (Sal 128,5;134,3); il fiume che scaturisce dal tempio ne è la manifestazione (Sal 46,5; Ez 47,1-12);
b) in una virtuale ripetizione della battaglia contro il caos, il Signore interviene contro i nemici che minacciano Sion. La presenza di Dio rende Sion inviolabile; Dio è il garante della sicurezza di Sion (Sal 46,6);
e) la presenza di Dio implica delle richieste speciali agli abitanti di Sion, poiché i peccatori non possono sostenere la sua presenza (Sal 15; 24,3-6; Is 33,13-16). Prendiamo in considerazione ora quei testi su Sion in cui il centro teologico è costituito dall'idea del Signore come re. In questi passi si noti in particolare il ruolo svolto dal tema della battaglia.
Il nostro primo testo non è certo uno dei «Salmi di Sion»; tuttavia esso mostra come il tema della battaglia contro il caos sia trasformato in modo da applicarlo alla battaglia di Dio contro i nemici che attaccano Sion:                         
Ah, il rumore di popoli immensi, rumore come il mugghio dei mari, fragore di nazioni come lo scroscio di acque che scorrono veementi. Le nazioni fanno fragore come il fragore di molte acque, ma il Signore le minaccia, esse fuggono lontano; come pula sono disperse sui monti dal vento e come mulinello di polvere dinanzi al turbine. Alla sera, ecco era tutto uno spavento, prima del mattino non è già più. Questo è il destino dei nostri predatori e la sorte dei nostri saccheggiatori (Is 17,12-14).
Qui la furiosa ribellione del mare contro Dio (cf. Sal 93,3-4) è usata come metafora dell'attacco a Sion da parte dei popoli ostili. Ma come Dio rimprovera le acque del caos, così tuona contro i popoli nemici che fuggono dalla sua collera (cf Sal 65,8). Questo scenario può essere chiamato la «battaglia di Sion».
Passando ai Salmi di Sion, cominciamo con il Salmo 48. Qui troviamo esplicitamente formulata l'idea di Dio come re, quando il v. 3 si riferisce a Gerusalemme come «la città del grande Sovrano». Lo stesso versetto contiene anche un curioso riferimento al «monte Sion nel lontano nord», che però è forse reso meglio con «monte Sion, le cime di Zaphon». Lo storico monte Zaphon, in Siria, era considerato il trono di Baal; nel Salmo 48 tuttavia il nome è stato trasferito al monte del tempio a Gerusalemme. Dopotutto non era Baal a essere re, ma YHWH. Il tema della battaglia contro i popoli è introdotto nei vv. 4-8: quando i nemici attaccano Gerusalemme, Dio si erge in battaglia e gli aggressori sono distrutti come le navi di Tarsis sono spazzate via dal vento orientale (v. 8). In questo modo Dio mantiene Sion inviolato (v. 9).
Il simbolismo della battaglia contro il caos è ancora più chiaro nel Salmo 46. Quando i nemici attaccano la città in cui dimora Dio, egli risponde con il suo potente rimprovero. Il riferimento alla «voce» di Dio descrive presumibilmente lo stesso fenomeno: Dio sta in essa: non potrà vacillare; la soccorrerà Dio, prima del mattino. Fremettero le genti, i regni si scossero; egli tuonò, si sgretolò la terra (Sal 46,6-7). La continuazione del Salmo 46 descrive la pace che Dio porta. Nonostante il fatto che lui sia il Dio che combatte - intervenendo contro ogni nuova manifestazione delle forze del caos - Dio qui è anche portatore di pace: «romperà gli archi e spezzerà le lance, brucerà con il fuoco gli scudi» (v. 10).
C'è un'altra espressione degna di nota in questo salmo: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio» (v. 11). Le varie traduzioni disponibili non riescono a cogliere l'essenza del testo ebraico. Il verbo tradotto «fermatevi», a volte significa «abbassare le mani». Così possiamo rischiare la seguente traduzione: «abbassate le mani e sappiate che io sono Dio». Sarebbe questa allora un'ammonizione a riconoscere l'inutilità di tentare di resistere a Dio che possiede il potere supremo, poiché è il re che combatte. (Cf Salmo 76).



Gesù placa la tempesta e «sgrida» i demoni

Abbiamo visto che il verbo ebraico ga'ar «sgridare, rimproverare» ha un ruolo importante nei testi dell'AT riguardanti la battaglia contro il caos. Questo verbo ha la sua controparte neotestamentaria nel greco epitimao, che di solito è tradotto «sgridare, correggere» e simili.
Il racconto in cui Gesù placa la tempesta (Mc 4,35-41) contiene un esempio significativo. I discepoli svegliarono Gesù che «sgridò il vento e disse al mare: "Taci, calmati"» (v. 39). Così come Dio nell'AT «sgrida» le acque del caos, qui Gesù «sgrida» sia il vento che il mare. Questo rende comprensibile la reazione dei discepoli: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?» (v. 41). Il comando sovrano di Gesù sugli elementi porta i suoi discepoli a essere sospettosi. Qui vediamo lo stesso potere di cui abbiamo letto nelle Scritture. Inoltre essi sanno dal Salmo 89 (in part. vv. . 10-14 e 26-28) che il Figlio, il re messianico, riceverà potere sugli elementi.
Un punto di particolare interesse è ovviamente che il verbo greco epitimao viene spesso usato da Gesù quando «sgrida» i demoni. In Mc 1,23-28 ci viene detto come Gesù incontra nella sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo: «Gesù lo sgridò dicendo: "Taci! Esci da quell'uomo!"» (v. 25). Ancora una volta è il potere della parola maestosa di Gesù che vince il demone, rappresentante di quel regno che si oppone a Dio e ai suoi piani. Ovviamente questo rende l'osservazione del demone a Gesù molto comprensibile: «Sei venuto a rovinarci?» (v. 24). Questo brano ci da una chiara indicazione sul significato di tutti gli esorcismi di Gesù: ancora una volta essi testimoniano la battaglia tra il potere divino e i poteri ad esso ostili. L’epitimao del NT  mostra che il potere di Satana sta per essere infranto, che il regno di Dio è vicino.


La parousia di Cristo: la venuta regale di Gesù

È un fatto assodato che le idee del NT sulle cose ultime sono profondamente radicate nell'escatologia dell'AT. La differenza importante è che quello che viene detto di Dio nell'AT è trasferito a Cristo nel NT. Nell'AT il giorno del Signore è il tempo della dimostrazione finale del suo potere regale. Nel NT espressioni come il «giorno del Signore» o il «Giorno di Cristo» designano il giorno del ritorno di Gesù, il giorno in cui egli manifesterà definitivamente il suo potere regale.
Nel NT, proprio il carattere regale del ritorno di Cristo è stato espresso in un modo nuovo mediante una terminologia presa in prestito dal linguaggio della corte ellenistica. In particolare si dovrebbe notare il termine chiave greco applicato al ritorno di Gesù -parousia - sempre tradotto con «venuta» (Mt 24,3.27.37.39; 1 Cor 15,23; ITs 2,19(18); 3,13; 4,15; 5,23; 2Ts 2,1.8; Gc 5,7-8; 2Pt 1,16; IGv 2,28). La parola stessa significa sia «presenza» che «arrivo»; nel linguaggio della corte ellenistica era applicato all'arrivo del re o dell'imperatore. Il termine latino corrispondente è adventus: era usanza, quando l'imperatore faceva visita a una città, che quella città coniasse una moneta speciale per commemorare l'evento. Questo accadde per esempio quando l'imperatore Nerone andò in visita a Corinto.
Molti termini importanti si trovano in ITs 4,15-18. Al v. 15, che parla di «noi che viviamo e che saremo ancora in vita per la venuta del Signore», troviamo il termine parousia impiegato per designare l'arrivo di Cristo. Al v. 17, in riferimento a coloro che saranno rapiti «per andare incontro al Signore nell'aria». Paolo usa un termine diverso, apantesis, che normalmente significava l'accoglienza ufficiale di un re in visita di stato. Anche questo termine ha un retroterra ellenistico. In queste due espressioni troviamo un riferimento al «grido di comando» di Cristo, la parola di potere che sveglia i morti per la risurrezione. Il termine greco è keleusma (v. 16), che significa un ordine militare; esso era conosciuto molto bene anche nel mondo ellenistico, benché nell'uso di Paolo il termine abbia profonde radici veterotestamentarie. Questo comando divino è l'ultimo collegamento nella lunga catena degli interventi divini contro le forze del caos, dei «rimproveri» di Dio contro i suoi nemici. È il comando definitivo alla Morte di liberare coloro che dormono.



Il libro dell'Apocalisse: il trionfo regale di Dio


Quando leggiamo la descrizione delle varie fasi del tempo finale nell'ultimo libro della Bibbia, non possiamo non farci questa domanda: non siamo qui di fronte al problema dell'impotenza di Dio e del conseguente trionfo del male? Per avere una risposta prendiamo in considerazione l'inizio e la fine del libro dell'Apocalisse.
Ap 1,19 contiene un indizio relativo alla struttura della composizione: «ciò che è» (di solito impiegato per riferirsi ai cc. 1-3) e «ciò che accadrà» (cc. 4-22). La visione del futuro è introdotta nei capitoli 4-5 da una visione di Dio seduto sul suo trono. Il trono è chiaramente un simbolo di potere e non è affatto «vuoto», poiché Dio stesso lo occupa (4,2-3). Il capitolo 5 paria del famoso rotolo con i sette sigilli, che contiene i segreti del futuro; il testo è esplicito riguardo alla collocazione di questo oggetto: «nella mano destra di colui che era assiso sul trono» (5,1). Non potrebbe essere affermato in modo più chiaro che il mondo non è stato abbandonato alle forze del male. Il tema è questo: qualcuno siede sul trono!
Lo stesso tema riemerge in pieno in quello che potrebbe essere chiamato «il coro dell'alleluia» alla fine del libro (19,1-10). In particolare si dovrebbe notare il v. 6: «Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente». Il riferimento biblico al regno di Dio rimanda indietro all’alba della creazione e in avanti al giudizio, al compimento.

da IN CERCA DI DIO di Mettinger (EDB)