giovedì 25 gennaio 2018

BASILIO A GREGORIO DI NAZIANZO (lettera 2)


1. Ho riconosciuto la tua lettera come quelli che riconoscono i figli dei propri amici dalla loro rassomiglianza con i genitori. Infatti negare che la posizione del luogo abbia grande importanza per spingere la tua anima alla decisione di condurre la vita insieme con noi, prima di sapere qualcosa del modo della mia esistenza, sarebbe certamente un pensiero tutto tuo e proprio della tua mente, che giudica le cose di questo mondo un nulla, dinanzi alla beatitudine contenuta nelle promesse. Che cosa io faccia in questa terra remota, di notte e di giorno, io mi vergogno a scriverlo. Ho abbandonato infatti le occupazioni della città, come origine di infiniti mali, ma non sono ancora stato capace di abbandonare me stesso. Sono simile a coloro che soccombono e soffrono il mal di mare, durante la navigazione, per inesperienza della navigazione. Essi si adirano contro la grandezza della nave, come se fosse questa la causa dei grandi ondeggiamenti; da questa passano su di un scafo o su di una piccola barca. Tuttavia continuano dovunque a soffrire il mal di mare e sono in difficoltà, poiché sono dovunque seguiti dalle loro contrarietà e dalla loro bile. Simile al loro è anche il mio comportamento. Portiamo infatti dovunque con noi i nostri intimi sentimenti, viviamo dovunque con eguali dispiaceri, così da non trarre alcun vero vantaggio da questa solitudine. Quello che si doveva fare, e per cui ci sarebbe stato possibile seguire le orme di colui che ci ha guidati alla salvezza, consiste in questo precetto: « Se uno infatti — dice — vuole venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16, 24).
2. Bisogna cercare di avere la mente in pace. Come, infatti, non è possibile che l'occhio, se vaga continuamente, e ora si volge di fianco, ora va su e giù incessantemente, veda chiaramente gli oggetti che gli capitano sotto, ma bisogna che fissi lo sguardo su un oggetto per poter rendere chiara la visione: così pure non è possibile che la mente dell'uomo, sospinta dalle infinite preoccupazioni del mondo, guardi chiaramente e fissamente alla verità. Desideri furiosi e impulsi sfrenati e amori pazzi turbano colui che non è ancora aggiogato ai legami del matrimonio; colui poi che è già costretto al giogo coniugale, è travagliato da un altro tumulto di preoccupazioni: se non ha figli, dal desiderio di averne; se ne ha, dalla preoccupazione di allevarli, dalla sorveglianza della moglie, dalla cura della casa, dal governo sulla servitù, dai danni inerenti agli affari, dalle contese con i vicini, dalle lotte dei tribunali, dai rischi del commercio, dalle fatiche dell'agricoltura. Ogni giorno che viene reca con sé la sua particolare melanconia per l'anima, e ogni notte, ereditando le preoccupazioni del giorno, delude l'animo con le medesime visioni. Da questi affanni c'è una sola via di uscita: l'isolamento assoluto da questo mondo. Questa separazione non consiste nell'esserne fuori fisicamente, ma nello staccare l'animo dai legami con il corpo e nel sentirsi slegato dalla patria, dalla casa, dalla proprietà, dagli amici, dai possedimenti, dalla vita, dagli affari, dalle relazioni con gli altri, dalla conoscenza degli insegnamenti umani, e nell'essere pronti a ricevere in cuore le impronte derivanti dall'insegnamento divino. Questa preparazione del cuore si ottiene spogliandolo delle lezioni e degli insegnamenti, che per cattiva e radicata abitudine lo posseggono. Non è infatti possibile scrivere sulla cera se prima non si sono cancellati i caratteri precedenti; e neppure imprimere nell'animo gli insegnamenti divini se prima non si sono cancellate le basi acquisite dalla consuetudine. In vista di questa, la solitudine ci procura un grandissimo vantaggio, poiché addormenta le nostre passioni e da alla ragione la possibilità di sradicarle completamente dall'animo. Come infatti si potrebbero vincere le fiere se non le si domasse? Così i desideri e l'ira e la paura e il dolore, passioni nocive all'anima, solo se sopite dalla pace e non acuite da continuo eccitamento, possono essere più facilmente vinte dalla forza della ragione.
Sia dunque questo luogo tale quale il nostro, libero dal commercio con gli uomini, in modo che la continuità dell'ascesi non sia interrotta da alcun elemento esterno. L'esercizio della pietà nutre l'anima con pensieri divini. Che cosa c'è di più beato che l'imitazione, in terra, del coro degli angeli? Al primo apparire del giorno muoversi per le preghiere, e in inni e canti rendere onore al Creatore; più tardi, quando il sole splende alto e luminoso, volgersi al lavoro, mentre la preghiera ci accompagna dovunque, e condire l'opera, per così dire, con il sale degli inni. Infatti le consolazioni contenute negli inni danno la grazia di avere lo animo disposto a ilarità e serenità. La tranquillità è dunque il principio della purificazione dell'anima, poiché né la lingua va blaterando parole umane, ne gli occhi si soffermano a contemplare i bei colori e le armonie dei corpi, ne l'udito distrae l'attenzione dell'anima per ascoltare i canti composti per il piacere, o parole di uomini arguti e faceti, cosa questa che più di ogni altra suole distrarre l'attenzione dell'anima. La mente infatti non si disperde verso l'esterno, e se non è tratta dai sensi a riversarsi sul mondo, si ritira in sé stessa e da sé stessa sale al pensiero di Dio. Illuminata e resa splendente da quella bellezza, è presa dall'oblio verso la natura stessa, senza che l'anima sia trascinata verso preoccupazioni per il cibo o per il vestito; allora, libera da preoccupazioni terrene, trasferisce tutto il suo zelo all'acquisto dei beni eterni. Come si potrebbero ottenere la saggezza e il valore, come la giustizia, la prudenza e tutte le altre virtù, che suddivise in altrettanti generi, consigliano all'uomo di buona volontà di portare a compimento in modo conveniente ciascun atto della vita?
3. La via maestra verso la scoperta del dovere è la frequentazione delle Scritture ispirate da Dio. In esse infatti si trovano tutte le norme di condotta. Inoltre la descrizione della vita degli uomini beati, tramandataci come immagine vivente del modo di vivere secondo Dio, ci è posta dinanzi affinché imitiamo le loro buone azioni. E così ciascuno, meditando su quel lato del suo carattere in cui si accorge di essere manchevole, trova la medicina capace di sanare la sua malattia, come in un ospedale aperto a tutti. Colui che è amante della continenza medita a lungo la storia di Giuseppe e impara da lui azioni temperanti, poiché trova che egli non solo mantenne la continenza dinanzi ai piaceri, ma che fu disposto alla virtù anche per abitudine radicata.
Si impara il coraggio da Giobbe: egli, quando le sorti della sua vita si capovolsero e divenne per un solo tocco della sorte povero da ricco, privo di figli da genitore di bella prole, non solo rimase immutato mantenendo sempre alta l'elevatezza della sua mente, ma neppure si adirò contro gli amici che, venuti per consolarlo, lo insultavano e rendevano più intenso il suo dolore. Inoltre, quando qualcuno cerca il modo di divenire mite e nello stesso tempo magnanimo, in modo da potersi servire del coraggio contro i peccati, e della mitezza verso gli uomini, troverà che David era valoroso nelle nobili imprese di guerra, ma era mite e dolce nelle relazioni con i nemici.
Tale era anche Mosé, che era mosso a grande collera da coloro che peccavano contro Dio, ma sopportava serenamente le calunnie rivolte a lui stesso.
In ogni modo, come i pittori, quando dipingono una immagine tenendone un'altra per modello, guardano frequentemente all'originale e cercano di riprodurre il carattere di quello nella propria opera d'arte; così occorre che anche colui che si sforza di raggiungere la perfezione in tutte le parti della virtù, guardi alla vita dei santi come a statue viventi e operose, e che, attraverso l'imitazione, faccia proprio il bene di quelli.
4. Le preghiere poi, intercalate alle letture, trovano l'animo più giovane e più maturo, in quanto mosso dal desiderio di raggiungere Dio. Bella è la preghiera che rende più chiara all'anima l'idea di Dio. Proprio in questo consiste la presenza di Dio: nell'avere in sé Dio, rafforzato dalla memoria. E' in questo modo che noi diventiamo tempio di Dio, cioè quando la continuità del ricordo non è interrotta da preoccupazioni terrene, quando la mente non è turbata da sentimenti improvvisi, ma quando colui che ama Dio si è allontanato da ogni cosa, e si rifugia in Dio, quando respinge tutto ciò che ci richiama al male, e passa la sua vita nelle opere che conducono alla virtù.
5. Prima di tutto occorre badare a non ignorare il modo di usare la parola, ma a interrogare senza animosità, a rispondere senza ambizione, senza interrompere l'interlocutore quando dice qualcosa di utile, senza desiderare di mettere avanti il proprio discorso per mettersi in mostra; a porre discrezione nel parlare e nell'ascoltare, a imparare senza vergognarsi, a insegnare senza invidia; e se si è imparato qualcosa da un altro, a non nasconderlo (come invece accade alle donne stolte che fanno passare per figli propri gli illegittimi), ma a proclamare equamente l'autore di quel tale discorso. Il tono di voce da preferire è quello medio, in modo che l'ascolto non sfugga per troppa fievolezza né sia troppo faticoso per eccessiva intensità. Solo dopo avere esaminato in precedenza il contenuto del discorso, bisogna esporlo in pubblico. Bisogna essere affabili negli incontri, dolci nelle conversazioni; non andare alla ricerca della piacevolezza attraverso le arguzie, ma accattivarsi simpatia con benevolo incoraggiamento. Bisogna comunque evitare l'acredine, anche se si deve rimproverare. Abbassando, infatti, te stesso con umiltà, diverrai bene accetto a colui che ha bisogno del tuo rimprovero. Spesso infatti ci è utile anche il tipo di rimprovero usato dal profeta, il quale, quando David aveva peccato, non propose il tipo di punizione lui stesso, ma introdusse in modo fittizio un'altra persona e rese David giudice del suo proprio peccato, in modo che quello, dopo aver pronunciato spontaneamente la condanna, non poté più rimproverare nulla al suo accusatore (Re 12, 1-14).
6. L'uomo umile, e che ha abbassato la sua superbia, è caratterizzato da un occhio grave e fisso a terra, ha l'aspetto trascurato, la chioma incolta, la veste dimessa, cosicché ci sembra connaturato in lui l'atteggia-mento che coloro che sono addolorati ostentano per usanza.
La tunica sia legata al corpo da una cintura. Questa cintura non sia sopra i fianchi (sarebbe infatti indice di effeminatezza), e neppure molle in modo da lasciar scorrere la tunica (sarebbe infatti indice di mollezza). L'incedere non sia pigro, in modo da indicare rilassatezza dell'anima; ma non sia neppure veemente e agitato, così da suggerire sentimenti incostanti dell'animo. Il fine degli abiti è uno solo, coprire il corpo in modo sufficiente per l'inverno e per l'estate. Non si curi la leggiadria del colore, e neppure la mollezza o la delicatezza della stoffa. Infatti la ricerca, nelle vesti, della bellezza dei colori, è un atteggiamento simile a quello delle donne che usano belletti, tingendosi guance e capelli con unguenti di fiori venuti da lontano. La tunica deve anche avere uno spessore tale che colui che la indossa non abbia bisogno di altro aiuto per scaldarsi. La calzatura sia modesta di valore, ma capace di adempiere al suo compito a sufficienza.
Riassumendo, come nella scelta delle vesti bisogna lasciarsi guidare dalla funzionalità, così anche per il cibo, il pane soddisferà la fame, e l'acqua lenirà la sete dell'uomo sano, con quelle pietanze vegetali che possono conservare al corpo la forza bastante alle necessità usuali. Bisogna mangiare senza mostrare una gola sfrenata, ma conservare comunque calma, dolcezza e continenza dinanzi ai piaceri; e neppur allora avere la mente inerte e distratta dal pensiero di Dio, ma trarre motivo di lode a Dio dalla natura stessa dei cibi e dalla struttura dell'uomo che li riceve. Si pensi come le varie specie di nutrimento si adattino alla peculiarità dei corpi, per opera di colui che tutto amministra.
Nelle preghiere prima dei pasti, chiediamo di divenire degni dei doni di Dio, alcuni dei quali egli dispensa subito, altri ci pone in serbo per l'avvenire. Dopo i pasti, le preghiere conterranno un rendimento di grazie per ciò che ci è stato dato, e una richiesta di ciò che è stato promesso. Vi sia un'ora sola stabilita per la refezione, e sempre la stessa, che ritorni periodicamente, in modo che, delle ventiquattro ore del giorno, questa sola sia spesa per il corpo. Le altre devono essere spese dall'asceta nell'esercizio dell'operosità spirituale. Il sonno deve essere leggero e da esso ci si deve poter facilmente svegliare e deve essere commisurato naturalmente al genere di vita: deve essere interrotto quando occorra per le preoccupazioni riguardanti argomenti importanti. Infatti l'essere dominati da un sonno profondo, con le membra rilassate in modo da offrire il destro a strane immaginazioni, rende coloro che così dormono preda di una morte quotidiana. Quello poi che per gli altri uomini è il sorgere del giorno, sia la mezzanotte per coloro che esercitano la pietà, poiché soprattutto la quiete notturna offre in dono tranquillità all'anima: durante questa infatti ne gli occhi ne le orecchie inviano al cuore visioni o suoni dannosi, ma l'anima abita sola con Dio, si corregge al ricordo dei suoi peccati, pone a sé stessa dei limiti contro l'inclinazione al male, e cerca l'aiuto di Dio per compiere il fine che si è proposto. 

martedì 23 gennaio 2018

Gregorio, Basilio e Macrina




L'esperienza cristiana valorizza i beni umani più autentici: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41). In modo particolare, vivendo la carità di Cristo, la famiglia si rafforza: fratelli e sorelle riescono a fondare meglio la loro relazione fraterna.
Una delle testimonianze più vive della realizzazione di questo ideale, la troviamo nei figli di due sposi, Basilio ed Emmelia, vissuti nel Ponto e in Cappadocia, nel secolo IV: Macrina, la primogenita, che divenne la guida spirituale per i componenti della famiglia; Basilio, divenuto vescovo di Cesarea di Cappadocia, grande teologo e animatore della vita monastica; Gregorio (detto Nisseno perché scelto come vescovo di Nissa), riconosciuto come valente teologo ed omileta. Per completare la presentazione ricordo gli altri due figli, Naucrazio e Pietro rimasti più in ombra. Naucrazio perì in un evento tragico ancora giovane; Pietro divenne vescovo di Sebaste, in Armenia[1]. Infine rimane Teosebia, denominata compagna del Nisseno in una lettera inviata a lui da Gregorio di Nazianzo; alcuni la considerano una sorella, altri la moglie[2]. La questione rimane irrisolta.
La famiglia proveniva dal Ponto ma Basilio e Gregorio operarono soprattutto in Cappadocia, un'ampio altipiano, a clima continentale, nel cuore dell'Asia Minore (attuale Turchia). La regione era rimasta isolata e in stato di arretratezza in epoca classica, ma, in epoca imperiale, si era aperta alla cultura greco-romana. La popolazione, stretta attorno alle città più importanti (quali Cesarea e Tiana), conduceva una vita piuttosto stentata: il territorio era occupato in gran parte da latifondi, lavorati da coloni sparsi in piccoli villaggi. Questa regione, evangelizzata da san Gregorio Taumaturgo, si era strutturata dal punto di vista religioso in modo che l'autorità ecclesiastica più rilevante era tenuta dal vescovo di Cesarea, coadiuvato da chorepiscopi, sparsi nei centri rurali minori.
Entriamo ora nella vicenda dei fratelli, esposta nella Vita di Macrina[3], scritta da Gregorio di Nissa.
Provenivano da una famiglia cristiana benestante e fervente. Macrina, la primogenita, fu educata nel cristianesimo dalla madre (Emmelia), che la spinse ad apprendere la Sacra Scrittura[4]; la sua formazione umana venne completata dall'apprendimento dell'arte della tessitura e del ricamo, un vanto per le donne nobili dell'epoca.
Basilio, invece, fu inviato fino ad Atene per attendere ad un corso superiore di studi retorici[5]. Atene era rimasta la capitale culturale dell’impero romano, la sede più ambita per chi voleva prepararsi, dal punto di vista accademico, alla vita sociale e politica. Basilio si proponeva di intraprendere la carriera di retore, necessaria per ottenere cariche politiche. Intendeva proseguire la tradizione di famiglia, incoraggiato, senza dubbio, dal padre.
Dopo la morte del padre (Basilio senior), Macrina divenne la figura più rilevante all’interno del gruppo familiare. Aderì con sempre maggiore convinzione al Vangelo e, a motivo di questa conversione religiosa, cominciò ad interessarsi dell'amministrazione del patrimonio e della formazione dei fratelli più giovani, coadiuvando la madre[6].
Gregorio ricevette la formazione basilare, culturale e religiosa, in casa; soltanto i seguito la completò frequentando altre scuole di cultura profana. A motivo di questa felice convivenza, rimase molto legato alla sorella, della qual nutrì sempre grande stima. Egli non ci riferisce in che modo la ella si fosse presa cura di lui. Lo possiamo intuire, osservando il comportamento materno di Macrina verso il fratello più giovane, Pietro, che fu il suo vero discepolo. Scrive Gregorio: «Subito lo allontanò dalla nutrice e lo allevò lei stessa. Lo spinse verso la forma più alta di educazione, facendolo esercitare fin da bambino nelle discipline sacre. Divenuta tutto per il piccolo, padre, maestro, pedagogo, madre, consigliera d’ogni bene…»[7]. Benché solo con Pietro, Macrina abbia potuto dispiegare in totalità il suo progetto pedagogico, senza alcuna limitazione, anche Gregorio fu oggetto di una attenzione particolare da parte sua.
All'età di circa trent'anni, Macrina diede una svolta decisa alla sua esistenza. Intraprese una vita di tipo monastico[8] e spingerla a questa decisione, con ogni probabilità, fu Eustazio di Sebaste[9], figura di grande fascino, animatore di un movimento religioso di tipo monastico, che proponeva una vita cristiana più aderente al Vangelo (con risvolti radicali). Macrina convinse la madre, rimasta vedova, a condividere la sua nuova esistenza[10]. Si stabilirono ad Annisi, nel Ponto, in un podere di loro proprietà. La loro vita era caratterizzata dalla preghiera, dalla lettura della Sacra Scrittura, dal lavoro. A questo proposito, le due donne decisero si svolgere anche i lavori manuali più umili, quelli riservati alla servitù, in modo da evidenziare l'uguaglianza che deve regnare tra le sorelle che condividevano la medesima fede. Il segno del cambiamento di vita, oltre l’impegno in una preghiera intensa, fu proprio nella scelta di impegnarsi nei lavori manuali, propri dei servi[11].
Ritornato in patria, Basilio, ben attrezzato dal punto di vista culturale, suscitò l’inquietudine di Macrina. Desideroso di fare carriera, si mostrava sprezzante nei confronti di colleghi, meno preparati di lui ed era ben distante dall’ideale evangelico, a cui lei s’era votata con Emmelia. «Lo trovò insuperbito oltre misura per le sue capacità nell’oratoria…»[12]. Del resto anche il Nazianzeno lamenterà che Basilio tendeva a trattare gli altri con una certa supponenza[13]. Vinto dall’assedio della sorella, ma anche dalla testimonianza evangelica di Eustazio, Basilio accettò il battesimo e divenne lettore nella Chiesa. «Rinunciando alla notorietà mondana e disdegnando il fatto di essere oggetto d’ammirazione per il suo talento oratorio, disertò, per passare ad una vita di lavoro»[14].
Basilio volle iniziare anch’egli una sorte di vita monastica, situandosi nelle vicinanze di Annisi. Tentò di coinvolgere l’amico conosciuto ad Atene, Gregorio (di Nazianzo), il quale si lasciò convincere, superando la sua riluttanza iniziale. I due, aperti alla cultura, studiavano insieme le opere di Origene, del quale avevano sentito parlare già in famiglia, e compilarono un’antologia dei suoi scritti (Filocalia) ma dovettero faticare anche in un duro lavoro manuale. Invitò anche il fratello più giovane, Gregorio (Nisseno) ad associarsi a loro. Quali parole usò per persuadere quest’ultimo, di per sé poco propenso ad una vita ecclesiastica? Conosciamo la lettera inviata da Basilio al Nazianzeno per persuaderlo a raggiungerlo[15]. Possiamo pensare che esortazioni analoghe le abbia rivolte anche al fratello. La lettera, colma di entusiasmo per quel tipo di vita appena scelto, presenta un tono programmatico (con aspetti di regola di vita), con accenti pubblicitari.
Ciò nonostante quel tipo di vita non li soddisface del tutto, molto fervente ma anche improvvisata. Il primo a lasciare il gruppo fu il Nisseno perché desiderava intraprendere una normale carriera, come insegnante, avvocato o uomo politico. Intendeva anche sposarsi, come fece. In questo modo, abbandonava il ministero ecclesiale che aveva accettato, facendosi ordinare lettore. Il cambiamento dispiacque molto a Basilio ma l’interprete del suo rammarico fu l’amico Gregorio, che indirizzò al transfuga uno scritto piuttosto risentito. Gregorio lo tratta molto duramente; è chiaro che può permetterselo perché suffragato da Basilio (e forse anche da Macrina stessa): «La tua brama d’onori è infausta più d’ogni altro demonio… Ricusasti i libri sacri che estinguono la sete, libri che leggevi ad alta voce ai fedeli, prendendo al loro posto nelle tue mani libri pieni di sale che non placano per nulla la sete. Hai voluto aver fama di retore più che di cristiano»[16].
In seguito anche il Nazianzeno, si staccò da Basilio. A differenza del Nisseno, non s’allontanò per darsi ad una carriera mondana, ma per impegnarsi meglio nella Chiesa; non detestava affatto una vita filosofica (come veniva chiamata) ma voleva dedicarsi anche alle necessità della Chiesa e prestare aiuto al padre che era vescovo[17]. Lontano da Basilio, Gregorio gli scrisse per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Voleva replicare ai rimproveri che riceveva. È vero che vita vissuta con l’amico era stata colma di fervore, ma era anche molto grama e limitata. Gregorio gli ricorda alcuni aspetti del godimento spirituale ottenuto ma anche tanti altri gravi inconvenienti. Nella Epistola VI, Gregorio comincia a ricordare la dolcezza della devozione religiosa: «Chi mi recherà ancora in dono quelle salmodie, le veglie, i pellegrinaggi a Dio attraverso la preghiera? Il fervente studio degli oracoli divini e la luce che trovammo in essi, scortati dallo Spirito Santo?». Detto questo, comincia, ironicamente, anche a richiamare i disagi: «Chi mi recherà in dono il quotidiano servizio e il lavoro, frutto delle nostre fatiche? Il trasporto della legna e il taglio delle pietre». Nell’Epistola V, Gregorio, tra i disagi, richiama l’imperizia culinaria di entrambi, al punto che «se non ci avesse prontamente tratto in salvo quella donna davvero grande e nutrice dei poveri, che è tua madre… saremmo già morti da tempo»[18]. In questo modo veniamo a conoscere i disagi sperimentati anche dal Nisseno, che, insieme alle altre motivazioni, contribuirono anch’essi al distacco dal fratello.
Come ho detto, la scelta operata da Gregorio (Nisseno) non dovette piacere né a Macrina, né a Basilio. Abbandonare un ufficio ecclesiastico era un fatto disdicevole, anche per la folla dei fedeli. Tutta la famiglia era pervasa dall’ideale monastico suggerito con ardore da Eustazio. Tra tutti i fratelli, Naucrazio fu quello che scelse la vita più austera. Si mise a vivere in solitudine, da vero eremita, accompagnato soltanto da un servo. Oltre alla vita ritirata, egli, però, voleva impegnarsi nelle opere di solidarietà, prendendosi cura di alcuni anziani poveri, incapaci di provvedere a se stessi. Per procurare loro il cibo necessario, si recava spesso a caccia, mettendo così a disposizione ad un ideale di solidarietà, un passatempo appreso da giovane aristocratico. Fu in una circostanza del genere, che morì nei boschi, aggredito da una fiera. Fu un colpo durissimo per tutti i fratelli, soprattutto per la madre e per la sorella: «In questa occasione si rivelò la virtù della grande Macrina quando, opponendo al dolore la ragione, si mantenne salda e, divenuta sostegno della debolezza della madre, la fece riemergere dall’abisso della disperazione. Di conseguenza anche la madre non fu trascinata nel dolore e non si lasciò andare a niente di disdicevole, come gridare contro il male, strapparsi il mantello, o lamentarsi per la sofferenza, o intonare i canti funebri con melodie piene di gemiti. Invece in silenzio sopportava pazientemente, respingendo gli assalti della natura, grazie ai suoi ragionamenti e alle ragioni portate dalla figlia per curarla dal suo male. Allora soprattutto si manifestò relevata e grandissima anima della vergine, perché anche in lei la natura sopportava il medesimo strazio: era suo fratello e, fra i fratelli, il più caro, il giovane che in questo modo le era stato strappato dalla morte»[19].
Basilio infine rinunciò anch’egli alla vita ritirata che aveva abbracciato in un primo tempo. Infatti lo vediamo prima esercitare il ministero presbiterale e, poi, impegnarsi per favorire la sua elezione a vescovo di Cesarea di Cappadocia[20].
Ottenuto l’incarico auspicato, ebbe bisogno, allora, di contare su chorepiscopi fedeli. Fece quanto possibile perché l’amico Gregorio accettasse la sede di Sasima, mentre desiderava che il fratello divenisse vescovo di Nissa. Questi, nel frattempo, aveva modificato le sue prospettive di vita. Le esortazioni di Macrina, del fratello e dell’amico stavano per conseguire il risultato da loro sperato. Gregorio aveva rinunciato alla carriera per interessarsi dei problemi della Chiesa, divenendo un suo ministro. Così accolse la proposta di Basilio e divenne vescovo di Nissa.
Era in grado di svolgere la funzione pastorale che gli veniva affidata? Per un certo verso, sì. Egli era molto abile nella predicazione, nel commentare i testi biblici, l’ufficio principale di un vescovo. Inoltre sapeva intrattenere buoni rapporti con i suoi fedeli. Gli mancava però una qualità che gli sarebbe stata assai utile, tenendo conto di tutti gli affari nei quali veniva coinvolto un vescovo dell’epoca: la precisione amministrativa e l’abilità a districarsi nelle contese. Basilio se n’accorse e se ne lamentò: lo definisce «assolutamente inesperto degli affari della chiesa… troppo assorto, siede troppo in alto per poter udire quanti gli dicono la verità parlando da terra»[21]. Infatti il vicario (civile) del Ponto, Demostene, per suggerimento dell’imperatore Valente che voleva favorire gli ariani, trovò il modo di accusarlo di cattiva amministrazione. Fu destituito dalla carica e costretto all’esilio. Invano Basilio accorse in difesa del fratello chiedendo a Demostene, per lettera, di fissare una nuova udienza in tribunale in modo da riesaminare l’accusa che gli era stata rivolta: «Se si fa questione di denaro, pensando che sia stato sciupato, qui ci sono gli amministratori del denaro della chiesa pronti a rendere conto a chiunque lo desideri e a scoprire la calunnia di coloro che non hanno avuto timore del tuo orecchio attento»[22]. Dalla stessa lettera, veniamo a sapere che Gregorio aveva dovuto interrompere il viaggio verso la località a cui era stato destinato, perché «tormentato dalla pleurite e dalla malattia di reni, in seguito al freddo preso». In questo caso Basilio si mostra preoccupato della situazione del fratello.
Più tardi, in seguito all’elevazione del nuovo imperatore, Teodosio, Gregorio fu scagionato e poté riprendere il suo ministero episcopale a Nissa.
Sofferenze più gravi lo attendevano. In questo periodo della vita, dovette affrontare due lutti, la morte di Basilio e quella, ancora più dolorosa, della sorella Macrina. Se ci atteniamo ai documenti, Basilio sembra aver mantenuto un rapporto piuttosto distaccato con i due fratelli; non parla mai di Macrina e nei confronti di Gregorio appare piuttosto una guida, un padre più che un fratello. Quest’ultimo, a sua volta, mostra verso di lui, grande ammirazione ma non lascia trasparire, in qualche scritto, un particolare legame. In realtà i due fratelli erano legati reciprocamente da affetto molto di più di quanto volevano far credere.
Il momento rivelatore lo troviamo nel racconto dell’addio a Macrina, poco prima che ella morisse. È chiaro che tra lei e Gregorio s’era creato un legame molto intenso. Concluso il Sinodo d’Antiochia, più libero da assillanti impegni pastorali, poté finalmente incontrare la sorella. Non la vedeva ormai da otto anni, dall’epoca del suo esilio forzato. Avvicinandosi ad Annisi, dove lei abitava con tutta la comunità, venne a sapere che era gravemente ammalata. Temendo che fosse prossima alla morte, si precipitò al capezzale.
Ascoltiamo ora in modo diretto le parole del Nisseno: «Protendendosi fuori dal giaciglio, cercava di farmi l’onore di venirmi incontro. Anch’io mi affrettai verso di lei e sollevandole il viso, la raddrizzai. Ella, tendendo la mano verso Dio, disse: “Anche di questa grazia mi hai colmata, Signore, e non mi hai privata di quello che desideravo, perché hai spinto il tuo servo a visitare la tua ancella”»[23]. Macrina cerca di contenere le manifestazioni del suo male per non rattristare il fratello e instaura una conversazione fraterna. «Poiché nel proseguimento della conversazione si inserì il ricordo del grande Basilio, l’anima si piegava: inclinavo il volto per l’abbattimento e le lacrime correvano già dalle palpebre»[24]. Ora Gregorio svela l’intensità del suo dolore per la scomparsa del fratello maggiore. Macrina, per consolarlo, richiama i disegni della Provvidenza. L’affetto profondo di Gregorio verso il fratello maggiore, ci viene testimoniato anche dal Nazianzeno nella lettera che gli inviò appena appresa la morte di Basilio: «Anche questo era in serbo per la mia vita grama, apprendere la notizia della morte di Basilio… Penso che tu, che disponi di molti amici e di parole per trovare conforto, da nessuno di loro possa riceverne così tanto come da te stesso e dal ricordo che hai di lui»[25].
Gregorio ha altre sofferenze da confidare alla sorella morente. Si sente ancora oppresso per le umiliazioni e la solitudine patite a motivo della sua deposizione dal seggio episcopale e del suo esilio: «Io le raccontavo gli affanni nei quali mi trovavo, in primo luogo allorché l’imperatore Valente mi fece esiliare a motivo della fede, poi perché la confusione fra le Chiese ci chiamava a lotte e a pene»[26]. Di nuovo viene interrotto da Macrina e invitato a risollevarsi riconoscendo le grazie che aveva ricevuto e di cui ancora godeva: «Non vedi la grazia di cui sei oggetto? Non riconosci la causa di beni tanto grandi, cioè le preghiere dei nostri genitori?»[27]. Sarebbe interessante proseguire la lettura del racconto delle ultime ore di Macrina ma questo ci allontanerebbe dall’intento di questo studio. Tentiamo piuttosto una sintesi.
Tra i fratelli, soltanto Gregorio ci tramanda notizie sulla famiglia e sui rapporti che intercorrevano tra loro, in modo un po’ più ampio.
È chiaro che Macrina ha avuto un ruolo nella formazione spirituale di Basilio e di Gregorio; pur non avendo cariche ecclesiali e neppure una formazione teologica adeguata, influì su di loro grazie alla sua testimonianza di vita. Preferisco riportare un breve elogio che Gregorio traccia della sorella: «Avevamo una sorella, per noi maestra di vita e seconda madre: essa aveva tanta confidenza con Dio che era per noi torre munita e scudo di grazia... Abitava in una remota solitudine del Ponto da quando si era esiliata dalla umana convivenza; intorno a lei c'era un numeroso coro di vergini. …Il suo domicilio era melodioso sempre perché notte e giorno risonava di salmodie… una bocca che in ogni momento meditava la Legge divina, un orecchio attento alle cose divine, una mano in continuo movimento per eseguire le prescrizioni divine»[28].
Tornando al rapporto tra Basilio e Gregorio, la storia ci suggerisce un vicinanza più stretta di quello che appare dai loro scritti. Questi ha collaborato da vicino con il fratello nell’affrontare i problemi ecclesiali dell’epoca. Sulle questioni teologiche primarie teologiche avevano una visione comune: entrambi difendevano le deliberazioni del concilio di Nicea; combattevano l’arianesimo radicale (di Eunomio), difendevano la divinità dello Spirito Santo (accettando, su questo punto, di interrompere l’amicizia con Eustazio di Sabaste). Gregorio sarà in grado di assumere l’eredità del fratello e proseguire la sua opera. Dopo la scomparsa di Basilio si imporrà come uno dei teologi più validi del fronte ortodosso. Questo dimostra che il giudizio dato dal fratello maggiore, non era del tutto corrispondente alla verità (oppure che in seguito operò un cambiamento notevole).
Per quanto riguarda la conduzione pastorale della Chiesa, entrambi si mostrarono molto attenti alla condizione miserevole dei poveri, per suscitare la solidarietà dei fedeli nei loro confronti. Entrambi si opposero alle pretese dell’autorità politica; sulle prima Gregorio fu quello che pagò il prezzo più caro alla sua opposizione ma, alla fine, venne ripagato dalla stima manifestata nei suoi confronti dall’imperatore Teodosio e dalla moglie, l’imperatrice santa Flacilla.
Gregorio, pur dipendendo dal fratello, non appare dominato da lui. Non solo quando, da giovane, scelse una strada diversa, staccandosi da Basilio, ma anche perché sviluppò delle tematiche teologiche diverse dal fratello. Meno abile di lui nella conduzione pastorale e amministrativa della Chiesa, gli fu superiore sul piano del pensiero teologico. Appare tra loro una differenza, nella concezione della vita monastica. Furono entrambi grandi estimatori di essa e, certamente l’apporto di Basilio fu più decisivo. Il Nisseno, avvicinandosi ai movimenti radicali, si aprì all’idea che potesse valere un’esperienza monastica incentrata in modo esclusivo sulla preghiera[29]. Secondo Macrina, pur dando grande spazio alla preghiera, il passaggio fondamentale alla vita cristiana radicale avviene quando il penitente accettava il lavoro manuale. Gregorio, pur trovandosi d’accordo in questo, riteneva che in seguito l’asceta avrebbe fatto meglio (o almeno avrebbe potuto legittimamente) diventare, una persona di preghiera, in modo quasi esclusivo.


[1] Cf. Claudio Moreschini, I Padri Cappadoci, Storia, letteratura, teologia, Città Nuova, Roma 2008, pp. 30-31[Moreschini]. Basilio il Grande (Introduzione a), Morcelliana, Brescia 2005. Jean Bernardi, Gregorio di Nazianzo. Teologo e poeta nell’età d’oro della Patristica, Città Nuova, Roma 1995.
[2] Gregorio Nazianzeno, Epistole, CXCVII, a cura di Antonella Conte, Città Nuova, Roma 2017, p. 262 [Conte].
[3] Gregorio di Nissa, La vita di S. Macrina, introduzione, traduzione e note di Elena Giannarelli, Edizioni Paoline, Milano 1988 [VM].
[4] Conobbe anche gli autori classici pagani? Gregorio fornisce, a proposito, dati contrastanti. Nella Vita preferisce mostrarla come una donna nutrita soltanto alle fonti della fede ma, nell'opera L'anima e la risurrezione, la mostra come esperta di filosofia. Certamente la fede cristiana ebbe la parte primaria.
[5]In precedenza aveva ricevuto una formazione primaria dal padre; poi era stato mandato a Cesarea e a Costantinopoli. Basilio frequentò le lezioni del celebre retore dell’epoca, Libanio. Ebbe come compagno di studi Giuliano (definito poi l’apostata), che, asceso in seguito al trono imperiale, cercò di opporsi all’influsso crescente del cristianesimo. Conobbe e strinse un forte legame d’amicizia con Gregorio (il futuro vescovo di Nazianzo e di Costantinopoli).
[6] VM 5, p. 92.
[7] VM 11, p. 103.
[8] Il nuovo decorso le fu possibile anche poiché era rimasta nubile; da adolescente non aveva sposato il fidanzato, un coraggioso avvocato, difensore dei poveri, in quanto morì prima del matrimonio.
[9] Cf. Moreschini, pp. 23-26.
[10] VM 7, p. 95.
[11] VM 7 e 10, p. 95 e 100-103.
[12] VM 6, p. 93.
[13] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, II, Conte p. 30.
[14] VM 6, p. 94.
[15] Basilio, Epistolario, 2, a cura di Adriana Regaldo Raccone, Edizioni Paline, Alba 1968, pp. 44-52 [Raccone].
[16] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, XI, Conte pp. 52-55.
[17] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, I, Conte p. 29.
[18] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, V e VI, Conte pp. 37-42.
[19] VM 9, pp. 99-100.
[20] Gregorio Nazianzeno, Epistole, XL, Conte pp. 89-90
[21] Basilio, Epistolario, CCXV, Raccone, pp. 596-597. Altra severa critica nell’epistola C, p. 316.
[22] Basilio, Epistolario, CCXXV, Raccone, pp. 636-638.
[23] VM 16, p. 113.
[24] VM 16, p. 114.
[25] Gregorio Nazianzeno, Epistole, LXXVI, Conte pp. 136-137.
[26] VM 20, p. 121.
[27] VM 20, p. 122.
[28] Gregorio di Nissa, Epistolario, a cura di Renato Criscuolo, D’Auria Editore, Napoli 1981, pp. 135-136.
[29] Gregorio di Nissa, Fine, Professione e Perfezione del cristiano, a cura di Salvatore Lilla, Città Nuova 1979, p. 57.