mercoledì 31 ottobre 2018

BEATITUDINI


Con l'annuncio delle beatitudini, Gesù ci svela il suo cuore, ci rende partecipi della sua intimità e del segreto della sua vita. 
In fondo ci mostrano la sua relazione verso Dio e verso gli uomini. Parlando di sé, non ha detto sono povero in spirito ma ha usato un'espressione equivalente: Io sono mite e umile di cuore. Non ha detto: sono affamato di giustizia ma ha precisato:  mio cibo è fare la volontà di Dio; ha esercitato la misericordia, la mitezza, ha pianto, ha subito la persecuzione. 
Nonostante avesse avuto una vita travagliata, ha detto che godeva di una grande gioia e di una grande pace. Esultava nello Spirito Santo. 
Ora che è Risorto apre a noi la possibilità di partecipare al suo modo di pensare e di essere. 
Il cristiano non è uno che deve sottomettersi a tante regole, ad un'infinità di norme. Non è condannato ad una vita triste, coartata dai doveri e dalle responsabilità. Piuttosto è un albero e, al modo di una pianta, può produrre una grande quantità di frutti di un solo genere. Un melo produce soltanto mele; un susino, soltanto susine; un fico, soltanto fichi. Un albero non si sente oppresso dal dover produrre; anzi la vastità del sua produzione segnala il suo vigore. 
Ho detto che il cristiano è un albero perché è un germoglio innestato in Cristo Gesù. Egli produce l'opera di Cristo. Si può anche dire: produce l'opera dello Spirito Santo; oppure produce l'opera della carità. Produce soltanto il genere di opere che lo Spirito gli fa fare. 
Nelle situazioni della vita gli viene spontaneo essere mite con gli altri, affabile, pronto al perdono, misericordioso, desidero di compiere il volere di Dio anche se, nel fare questo, venisse osteggiato. 
Per chi vive in relazione con Cristo e si trova innestato in lui, sarebbe faticoso fare il contrario di quello che ha fatto Cristo. Per la persona santa sarebbe un sacrificio oneroso darsi all'avarizia, al risentimento, all'impurità, lasciarsi dominare dal denaro. Come un fico non sarebbe capace di produrre susine, così il cristiano vero non riuscirebbe a fare ciò che altri fanno, nascondendo quelle opere di cui si vergognano. 
Adesso siamo salvi soltanto nella speranza. Noi saremmo figli di Dio in pienezza quando parteciperemo in pienezza alla gloria del Risorto. Intanto però possiamo godere la beatitudine. Non è ancora la piena felicità o la gioia completa ma è già un anticipo della vita eterna. Infatti esiste nella fede questa legge naturale: quanto più ci doniamo a Dio, tanto più Egli si dona a noi. Quanto più perdiamo noi stessi per amore di Lui, tanto più Egli ci recupera. Quanto più ci svuotiamo del nostro egoismo, tanto più ci colma di sé. 

martedì 16 ottobre 2018

PENSIERI






Non sapevamo per quale via raggiungerlo e allora lo stesso Abitante di quella città celeste si è fatto via (cf. Gv 14,6). Non sapevamo dove passare. Lui per primo è disceso, lui che là è il primo; è disceso per cercare i cittadini della Gerusalemme del cielo, perché noi ci eravamo perduti. È disceso a cercare i suoi cittadini ed è diventato nostro concittadino. Noi non conoscevamo quella città, non conoscevamo quella regione, [allora] Lui è sceso qui, in cerca dei suoi cittadini e si è fatto concittadino nostro, ma non ha acconsentito al peccato, lo ha preso su di sé. E sceso quaggiù. In che modo è disceso? Nella forma di servo. Il Dio uomo ha camminato in mezzo a noi. Per quale via ritorniamo? Ecco, mi stendo sotto di voi, divengo per voi via, sarò per voi il fine. Egli è la via. Ora camminiamo senza timore di smarrirci (Agostino, Discorsi, 42, 1-2). 


1. È dal cuore puro che discendono frutti di vita virtuosa. Si indaga quanto uno abbia fatto, ma non si indaga attentamente con quanta virtù egli abbia agito. Si guarda se uno sia stato uomo forte e ricco e nobile; se sia stato abile e valente scrittore, cantante eccellente o bravo lavoratore; ma si tace, da parte di molti, su quanto egli sia stato povero in spirito e paziente e mite e devoto, e quanta spiritualità interiore egli abbia avuto. La natura bada alle cose esterne dell’uomo; la grazia si rivolge alle cose interiori.
(Imitazione di Cristo III, 31,2). 


2. Un uomo di vita interiore farà più breccia nei cuori con una sola parola animata dallo spirito di Dio, che un altro con un lungo discorso che gli sia costato molta fatica. Convinciamoci che nelle nostre attività non otterremo frutto se non in proporzione della nostra unione con Dio e del nostro distacco da ogni ricerca di soddisfazioni o di successi personali. 
(Louis Lallemant, Dottrina spirituale, V)


3. Niente è più dolce dell’amore; niente è più forte, più alto o più grande: niente, né in cielo né in terra, è più colmo di gioia, più completo o più buono: perché l’amore nasce da Dio e soltanto in Dio, al di sopra di tutte le cose create, può trovare riposo. 
Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell’Uno supremo, dal quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona.
(Imitazione di Cristo III, V, 2)


4. Il cuore umano tende a Dio per inclinazione, senza sapere veramente chi sia; ma quando lo trova alla fonte della fede, e lo scopre così buono, bello, dolce e così amabile verso tutti e così disposto a donarsi a tutti coloro che lo vogliono, quanta contentezza e quanti santi movimenti nello spirito, per unirsi per sempre a quella bontà così sommamente amabile!
Finalmente ho trovato, dice l'anima così toccata, ho trovato colui che desideravo, ed ora sono contenta. Come Giacobbe, vista la bella Rachele, scoppiava in lacrime di dolcezza per la felicità che provava, così il nostro povero cuore, avendo trovato Dio, si fonde poi nella dolcezza dell’amore, per il bene infinito che vede in quella bellezza.
(Francesco di Sales, Trattato dell'amore di Dio, II, 15)


5. Venga meno, nel lodarti, l’anima mia, nella gioia dell’amore. Che io ti ami più che me stesso, e me stesso soltanto per te; che in te io ami tutti coloro che ti amano veramente, come comanda la legge dell’amore, luce che da te proviene. In Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino, perché non si vive nell’amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e ad ubbidire al suo Diletto, non è degno di essere chiamato uomo d’amore; questi deve abbracciare con slancio tutte le avversità e le amarezze per il suo Diletto, senza da ciò deflettere, qualsiasi evidenza si frapponga.
(Imitazione di Cristo, III, VI, 4)


6. Te l’ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te stesso e godrai di grande pace interiore. Da’ il tutto per il tutto; non cercare, non richiedere nulla; sta’ risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai libertà di spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di tutto ciò che è tuo proprio, a metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a te stesso, a vivere sempre in me. Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le inutili preoccupazioni, tutto questo scomparirà. Allora scompariranno il timore dissennato, e ogni amore non conforme al volere di Dio.
(Imitazione di Cristo III, 37, 2)


7. Solo Dio ha il diritto di sovranità sui cuori. Né il potere civile né la Chiesa stessa estendono fin là il loro dominio. Ciò che avviene nei cuori non dipende affatto da loro. Dio solo ne è il re. Quello è veramente il suo regno. E' lì che egli innalza il trono della sua grazia. In questo regno interiore sta la sua gloria. La nostra perfezione e la nostra felicità consistono nel sottomettere il nostro cuore a questo regno di Dio. Più il nostro cuore gli sarà sottomesso, più noi saremo perfetti e felici. Dio trovale sue delizie nel conversare con i cuori degli uomini. Sono essi il luogo del suo riposo. Viceversa Dio solo è il centro dei cuori, ed essi non devono riposarsi che in lui, né battere che per lui. 
(Louis Lallemant, Dottrina spirituale, pp. 83-84)


8. Chi vuol amare Gesù Cristo con tutto il cuore bisogna che scacci dal cuore ogni cosa che non è Dio ma è amor proprio. Alcuni vogliono farsi santi ma a modo loro: vogliono amar Gesù Cristo, senza lasciar quei loro divertimenti, quella vanità di vestire, quei cibi più golosi: amano Dio, ma se non giungono ad ottener quella carica vivono inquieti: se poi sono toccati nella stima diventano di fuoco: se non guariscono da un'infermità perdono la pazienza. Amano Dio, ma non lasciano l'affetto alle ricchezze, agli onori del mondo ed alla vanità di essere tenuti per sapienti e migliori degli altri. A costoro il Signore neppure parla, perché vede che spreca le parole. Chi ha il cuore pieno di terra, chi è pieno di affetti terreni, non è capace neppure di sentire la voce di Dio che gli parla. 
(Alfonso de Liguori, Pratica di amare Gesù Cristo, XI, 1-2)


9. Quando ci occorre di dover rispondere a chi ci maltratta, stiamo attenti a rispondere sempre con dolcezza: una risposta dolce basta a spegnere ogni fuoco di collera. Quando ci sentiamo turbati, allora è meglio tacere, perché allora ci sembra giusto di dir quel che ci viene in bocca; ma sedata poi la passione, vedremo che tutte le parole da noi proferite sono state difetti. Quando accade che noi stessi commettiamo qualche difetto, bisogna che ancora con noi medesimi usiamo la dolcezza. L'adirarci con noi non è umiltà... come se noi non fossimo quei deboli che siamo. Diventa un difetto più grave del difetto fatto. Bisogna in questa vita essere come gigli tra le spine.
(Alfonso de Liguori, Pratica di amare Gesù Cristo, VI, 10)


10. Abbandonare totalmente se stesso nella divina provvidenza. Non vi ha forse un'altra massima, che più questa conferisca ad ottenere la pace del cuore, e la serenità propria della vita del Cristiano. Non ve n'ha forse nessun'altra, che venendo praticata con quella semplicità e generosità di cuore che ella richiede, renda il seguace di Gesù Cristo più caro al celeste Padre. 
Essa infatti racchiude un'intera confidenza in Lui, ed una confidenza in Lui solo; un intero distacco da tutte le cose della terra dilettevoli, potenti, e illustri in apparenza; racchiude un tenero amore tutto riservato pel solo Dio; racchiude una fede la più viva, la quale fa tenere per certo, che tutte le case piccole e grandi del mondo pendono ugualmente nella mano del Padre celeste, e nulla fanno se non come Egli dispone al conseguimento degli altissimi suoi fini; fede in una infinita bontà, misericordia, liberalità, e generosità di esso Padre celeste, che dispone tutto per il bene di coloro che confidano in Lui, sicché i suoi doni, le sue finezze, le sue sollecitudini, le sue grazie stiano in ragione (in proporzione) della confidenza che in Lui hanno i suoi bene amati figli.
(A. Rosmini, Massime di perfezione cristiana, V, 1-2)


11. Ci sono poi in noi  tendenze naturali le quali, visto che non hanno origine dai nostri peccati personali, e non sono nemmeno veri e propri peccati, le chiamiamo imperfezioni, e i loro atti difetti o mancanze. 
Alcuni sono per natura loro di spirito leggero, altri burberi, altri ancora incapaci di ascoltare; alcuni sono portati ad indignarsi di tutto, altri a montare in collera, altri ad innamorarsi; se guardiamo bene troviamo pochissima gente che non abbia qualche imperfezione. Ora, benché siano spontanee e naturali, si riesce, con cura e attenzione, a correggerle, o almeno a temperarle, e qualche volta addirittura anche a correggerle e ad eliminarle totalmente: io ti dico allora che devi farlo!
Non c’è temperamento al mondo che, per buono che sia, non possa essere reso cattivo dalle cattive abitudini; al contrario, non esiste temperamento così perverso che, con la grazia di Dio in primo luogo, e poi con lo sforzo e l’impegno, non possa essere corretto e migliorato.
(Francesco di Sales, Filotea, I, 24)

12. È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. San Girolamo, per il quale «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura. Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep 52,7)
(Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, 30)

13. «Rinnovare la fede della Chiesa nella Parola di Dio»; per questo è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine, che con il suo sì alla Parola d’Alleanza e alla sua missione, compie perfettamente la vocazione divina dell’umanità. La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la sua figura compiuta proprio nella fede obbediente di Maria. La sua fede obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all’iniziativa di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola; serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico mosaico (cfr Lc 2,19.51). 
 Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne. Maria è anche simbolo dell’apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza, assimila, in cui la Parola diviene forma della vita.
(Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, 27)

14. Desidero richiamare l’attenzione sulla familiarità di Maria con la Parola di Dio. Ciò risplende con particolare efficacia nel Magnificat. Qui, in un certo senso, si vede come Ella si identifichi con la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la sua stessa Parola: «Il Magnificat — un ritratto, per così dire, della sua anima — è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata». 
Contemplando nella Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso, concepisce e genera il Verbo di Dio in se stesso: se c’è una sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti. Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in ciascuno di noi ogni giorno nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti. 
(Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, 28)

15. Chi lascia dunque l'orazione lascerà di amare Gesù Cristo. L'orazione è la beata fornace ove si accende e si conserva il fuoco del santo amore: nella mia meditazione divamperà un fuoco (Sal 38, 4). « Chi non frequenta l'orazione si priva di quel legame che stringe l'anima con Dio. Non sarà difficile allora al demonio, trovando la persona fredda nel divino amore, spingerla a cibarsi di qualche frutto avvelenato».  «Chi persevera nell'orazione, per quanti peccati opponga il demonio, tengo per certo che alla fine il Signore lo condurrà al porto di salvezza» (S. Teresa).  Ed in altro luogo scrive che il demonio perciò si affatica tanto a distogliere dall'orazione, perché « sa il demonio che l'anima la quale con perseveranza s'impegna a pregare, egli l'ha perduta». Nella preghiera si concepiscono i santi pensieri, si esercitano gli affetti devoti, si eccitano i grandi desideri e si fanno le ferme risoluzioni di darsi a Dio interamente. Così l'anima poi gli sacrifica gli appetiti disordinati.
 (Alfonso de Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo, VIII,20)

16. La malizia del nostro cuore orgoglioso si mostra ancora in questo che, se uno ha un piccolo difetto, benché d'altronde eccella in tutto il resto, noi lasciamo da parte tutte le perfezioni che egli possiede e ci appigliamo a quell'unico difetto che ha, vi pensiamo, ne parliamo, ne prendiamo motivo per stimarlo meno di noi, innalzandoci interiormente al di sopra di lui; di modo che, a poco a poco, nel nostro intimo finiamo con il ritenerci superiori a tutti.
Abbiamo un'estrema difficoltà ad ammettere le colpe che commettiamo contro le virtù che crediamo di aver acquistato. Il nostro spirito superbo non ama abbassarsi a riconoscerle umilmente, perché tale ammissione contrasta con il concetto che abbiamo di noi stessi e ferisce la vanagloria di cui ci nutriamo.
(Louis Lallemant, Dottrina Spirituale, [Purezza del cuore, II,3])



17. C'è una grande differenza tra un uomo che medita sulla parola di Dio, perché questo esercizio gli è dolce e benefico per la sua anima (così facendo e fa esultare il suo cuore e confortare il suo spirito)  e l'uomo, invece, che medita su di essa soltanto per ripeterla ad altre persone. Nel primo caso, egli costruisce un rapporto con Dio; nel secondo caso, il testo biblico passa semplicemente nella memoria intellettuale. Se uno legge la Bibbia per insegnarla alla gente, dando una testimonianza di sole parole, prima di essersi sottomesso alla verità divina e di agire secondo i suoi insegnamenti, guadagna solo conoscenza e non offre una testimonianza fruttuosa.
La comprensione spirituale degli insegnamenti di Dio corrisponde al nostro ingresso nel mistero del Vangelo: «A voi è dato di conoscere i segreti del il Regno di Dio» (Lc 8,10). Può avvenire che a qualcuno che ha solo pochi mesi d’esperienza con essa, gli sia dato questo senso, in modo che l'utilizzo dei pochi versi con cui ha familiarità, lo renda capace di parlare di Dio con zelo, con una sincerità una forza che attraggono a Dio il cuore degli altri. Per questo uomo è sufficiente leggere un versetto una volta perché esso si imprima indelebilmente nel suo cuore per sempre, perché la parola di Dio è spirituale, è anche in un certo senso uno spirito, come il Signore dice: «Le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (Gv 6,63).
La sola indagine intellettuale non ha alcuna possibilità di entrare nel vangelo perché il vangelo è spirituale. Deve essere vissuto grazie allo Spirito per poter essere capito. Se qualcuno vive fuori del vangelo e, ciò nonostante, cerca di capirlo, inciamperà e cadrà. Se oserà cercare d’insegnarlo, diventerà una pietra d'inciampo per coloro che lo seguono. Ma se qualcuno ha vero zelo, amore ardente e totale obbedienza a Dio, quella persona entra nel mistero del Vangelo, senza rendersene conto. 
 (Matta al Meskin, Come leggere la Bibbia)


18. Immaginiamo un pozzo melmoso, dal quale si attinga continuamente acqua; da principio non viene su quasi altro che fango; ma poi, a forza di attingere, l'acqua del pozzo si depura e diventa più limpida; tanto che, dopo un certo tempo, si tira su un'acqua veramente pura e cristallina. Così, lavorando senza posa a purificare il nostro cuore, il fondo si rischiara a poco a poco e Dio vi manifesta la sua presenza con potenti e meravigliosi effetti che opera nel’anima, e che per mezzo di essa irradia a beneficio degli altri. 
 (Lois Lallemant, Dottrina spirituale, Purezza di cuore 2,1)

19. Immaginate che per terra vi sia un cerchio. Immaginate che questo cerchio sia il mondo, il punto centrale del cerchio Dio, e i raggi che dalla circonferenza vanno al centro siano le vie o i modi di vivere degli uomini. Quanto più i santi, desiderando avvicinarsi a Dio, avanzano verso l'interno, quanto più avanzano, tanto più si avvicinano a Dio e si avvicinano gli uni agli altri. Quanto più si avvicinano a Dio, tanto più si avvicinano gli uni agli altri, e quanto più si avvicinano gli uni agli altri, tanto più si avvicinano a Dio. Immaginate nello stesso modo la separazione: infatti e chiaro che quando si separano da Dio e ritornano verso l'esterno, quanto più escono e si allontanano da Dio, tanto più si allontanano gli uni dagli altri e quanto più si allontanano gli uni dagli altri, tanto più si allontanano anche da Dio.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti 6,76-78)

20. Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale exuperat omnem sensum (Ef 3.2), supera tutte le soddisfazioni del mondo. Lo stolto si muta come la luna, ch’oggi cresce domani manca: oggi lo vedrai ridere, domani piangere: oggi mansueto, domani stizzato, come una tigre; e perché? perché la sua contezza dipende dalle prosperità, o avversità, che incontra, e perciò si muta, come si mutano le cose che gli accadono. Ma il giusto è come il sole sempre uguale nella sua serenità, in qualsivoglia cosa, che succede; perché il suo contento è nell’uniformarsi alla divina volontà, e perciò gode una pace imperturbabile. Et in terra pax hominibus bonae vluntatis (Luc. 2.15), disse l’Angelo ai Pastori. E chi mai sono quest’ uomini di buona volontà, se non coloro, che stan sempre uniti alla volontà di Dio, ch’ è sommamente buona, e perfetta? Voluntas Dei baona, beneplacens, et perfecta. Sì, perché Dio non vuole, che il meglio, e il più perfetto.
Non mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma nella superiore dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità, stando la volontà unita a quella di Dio. 
(Alfonso de Liguori, Uniformità alla volontà di Dio)

21. Mentre eravamo lì seduti, alcuni vescovi cominciarono a chiedere al [vescovo] Nonno di essere istruiti in qualcosa da lui; e subito, dalla sua bocca, il santo vescovo comincio a parlare per l'edificazione e la salvezza di tutti coloro che ascoltavano.
Mentre tutti noi ammiravamo la sua santa dottrina, ecco che all’improvviso passò in mezzo a noi la prima delle attrici di Antiochia, che era anche la prima delle danzatrici mimiche, seduta su un asinello; e venne avanti con molta appariscenza, adornata a tal punto che nulla si vedeva su di lei se non oro e perle e pietre preziose, anche la nudità dei suoi piedi era ricoperta d'oro e di perle. Passando in mezzo a noi, riempì tutta l'aria del profumo di muschio e della fragranza di tutti gli altri soavissimi aromi. E quando i vescovi la videro passare in modo così inverecondo deplorarono in silenzio e distolsero i loro volti...
In seguito giungemmo all'ostello, dove ci fu data una camera. [Il vescovo Nonno] entrato nella sua camera si gettò sul pavimento con il volto a terra e battendosi il petto piangeva con lacrime, dicendo: "Signore Gesù Cristo, perdona me peccatore e indegno, poiché l'ornamento di un sol giorno di una prostituta supera l'ornamento della mia anima. Con che faccia rivolgerò a te lo sguardo? O con quali parole mi giustificherò al tuo cospetto? Non nasconderò, infatti, il mio cuore davanti a te, poiché tu scruti dall’alto i miei segreti. E guai a me, peccatore e indegno, poiché mi presento al tuo altare e non offro l'anima bella che tu mi richiedi. Lei, infatti, ha promesso di piacere agli uomini e l'ha fatto, e io ho promesso di piacere a te e non ho mantenuto la parola per la mia pigrizia. Nudo sono, così in cielo come in terra, poiché non ho adempiuto i precetti dei tuoi comandamenti. Dunque, nessuna speranza mi viene dalle buone opere, ma la mia speranza sta nella tua misericordia, per la quale confido di essere salvato".
(Da La vita di Santa Pelagia scritta dal diacono Giacomo 2. 4). Cf. Benedicta Ward, Donne del deserto, Qiqajon, 1993, 88.90





22. Per il fatto che non ci si preoccupa dei mali propri e non si piange, come dicevano i Padri, il proprio morto, non si riesce assolutamente a correggere se stessi, ma sempre ci si da da fare intorno al prossimo: e nulla irrita tanto Dio, nulla denuda tanto l'uomo e lo porta all'abbandono da parte di Dio quanto lo sparlare, condannare, disprezzare il prossimo. Altro e infatti sparlare, altro condannare, e altro disprezzare. Sparlare significa dire contro qualcuno: «Il tale ha mentito», oppure: «Si è adirato», oppure: «Ha fornicato», o altre cose del genere. Questo è già sparlare di lui, cioè parlare contro di lui, parlare del suo peccato accanendoglisi contro. Condannare significa dire: «Il tale è mentitore, iracondo, fornicatore». Ecco: si è condannata la disposizione stessa della sua anima e ci si è pronunciati su tutta quanta la sua vita dicendo che egli è così, e lo si è condannato in quanto tale. Ed è una cosa grave. Altro, infatti, è dire: «Si è adirato», e altro dire: «È un iracondo» e pronunciarsi, come ho detto, su tutta quanta la sua vita. Condannare è una cosa tanto più grave di ogni altro peccato che Cristo stesso ha detto: Ipocrita, togli prima la trave che e nel tuo occhio, e allora ci vedrai per togliere la. pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. Egli ha rassomigliato il peccato del prossimo alla pagliuzza, e la condanna alla trave. 
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, VI, 69-70)


23. Ci sono alcuni che devono tuffarsi in mare per necessità e, se conoscono l'arte del tuffo, quando l'onda viene verso di loro, si curvano sotto di essa e si lasciano andare giù finché passa, e così poi continuano a nuotare senza alcun danno. Se invece vogliono opporsi all'onda, essa li respinge fuori e li scaglia lontano un bel pezzo. Come poi vogliono tuffarsi di nuovo, viene loro addosso un'altra onda, e se si oppongono ancora, li respinge e li butta fuori un'altra volta, e non ottengono altro che essere battuti senza concludere nulla. Se invece, come ho detto, si curvano sotto l'onda e si umiliano sotto di essa, passa oltre senza far loro alcun male e continuano a nuotare quanto vogliono e a svolgere la loro attività. Così è anche per le prove: se uno sopporta la tentazione con pazienza ed umiltà, essa gli passa oltre senza nuocergli, ma se continua ad affliggersi, a turbarsi, a incolpare tutti, si tormenta, rende più pesante, a proprio danno, la prova e non ne riceve giovamento, anzi, viene anche danneggiato. 
(Dororeo di Gaza, Insegnamenti spirituali, XIII, 140)


24. Dice nelle epistole cattoliche san Giovanni: L'amore perfetto caccia via il timore. Che cosa vuol farci capire con queste parole il santo? Di quale amore e di quale timore intende parlare?... Il santo vuole mostrarci che ci sono due specie di timori, uno introduttivo e uno perfetto, e che il primo è proprio di coloro che sono principianti, per così dire, nella vita di pietà, mentre l'altro è proprio dei santi giunti alla perfezione, che sono pervenuti alla misura dell'a­more santo. Sarebbe a dire: uno fa la volontà di Dio per timore delle punizioni; costui, come abbiamo detto, è appena un principiante: egli non fa ancora il bene per se stesso, ma per timore delle percosse. Un altro invece fa la volontà di Dio perché ama Dio per se stesso, ama particolarmente di riuscir gradito a Dio. Costui sa che cos'è il bene in se stesso, sa che cosa vuol dire essere con Dio. Ecco, questi è colui che possiede l'amore vero, quello che il santo chiama perfetto, e questo amore lo porta al timore perfetto. Egli infatti teme e osserva la volontà di Dio non più per le battiture, non più per non essere punito, ma, come abbiamo detto, perché ha gustato la dolcezza stessa dell'essere con Dio, e teme di caderne fuori, teme di esserne privato. Questo timore perfetto, che dall'amore, caccia via il timore introduttivo. E per questo dice: l'amore perfetto caccia via il timore. Ma è impossibile che il timore perfetto si realizzi senza passare attraverso quello introduttivo.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, 47)

25. Dei trent’anni della vita nascosta di Gesù il Vangelo si limita a questo accenno: "Era obbediente a Maria e a Giuseppe" (Lc 2, 51). Quando ci convinceremo che l’umiltà deve essere il nostro pane quotidiano e il fondamento della nostra santità? Signore, tienimi sempre basso e fa' che la mia vita trascorra, come la tua, nell'oscurità e nell'oblio. Senza umiltà non saremo mai niente. Umiliamoci, nel cuore, vivendo nascosti con il nostro Signore Gesù Cristo. Egli ritirato nella casa di Nazareth rendeva gloria al Padre come quando predicava nella Giudea, perché in Lui si compiva la volontà divina. Questa vita che ad occhio umano sembrava inutile fu invece così perfetta e così cara al cielo che nessuno riuscì ad uguagliarla. È un errore ritenere che per giungere alla perfezione sia necessario compiere opere straordinarie: per essere santi basta vivere bene dove il Signore ci ha posti. Se dunque il Signore ci affida mansioni umili, se ci chiede il sacrificio della salute, ricordiamoci che, facendo il volere di Dio, adempiamo ogni nostro dovere. Quanto più la virtù è ricoperta di vesti meschine tanto più si avvicina agli esempi del Salvatore.
(Giuseppe Nascimbeni)

26. Il Signore sa che tutta la Legge e i Profeti sono compresi nel comando: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e il prossimo come te stesso; per questo si adoperò dal principio fino alla fine per osservarli quando assunse la natura umana. Il diavolo scatenò allora ogni genere di guerra contro di lui, nel tentativo di piegarlo ad anteporre il mondo materiale all'amore di Dio. Sapeva che sono tre le cose che sconvolgono tutto ciò che è proprio dell'uomo: il cibo, le ricchezze, la gloria, e per mezzo di queste egli sempre trascinava l'uomo nell’abisso della perdizione; con queste lo tento nel deserto. Ma in queste prove il Signore si mostrò più forte. Allora lottava perché Cristo trasgredisse il comando dell’amore per il prossimo. Scatenava contro di lui farisei e scribi insieme, per tendergli le più diverse insidie. Egli credeva che Cristo non riuscisse a sopportare le tentazioni e si volgesse all’odio contro coloro che l’insidiavano. Ma il Signore non nutrì odio. Bestemmiato, si dimostrava longanime, subiva e sopportava, e mostrava tutte le opere dell’amore verso di loro. Lottò fino alla morte per il comando dell’amore; e dopo aver riportato l'ultima vittoria sul diavolo, si cinse per noi della corona della resurrezione: così il nuovo Adamo rinnovò l'antico. Questo dice il divino Apostolo: Sia in voi il medesimo sentire che fu in Cristo Gesù.
(Massimo il Confessore Discorso ascetico 9-13)

27. Chiamandoci a seguirlo, il Signore Gesù ci ha, allo stesso tempo, chiamati a pregare con lui. Dobbiamo pregare, innanzi tutto, perché Dio ci ha fatti per lui ed è a lui che dobbiamo tornare; e la preghiera è la molla che accelera e provoca questo moto di ritorno verso il Padre. Si tratta di tendere a una conoscenza di Dio molto semplice, generalmente oscura, al di là di ogni linguaggio umano, dove le cose divine siano gustate nella loro dolcezza, ma anche nella loro amarezza. Talvolta, infatti, la nostra preghiera si ridurrà a essere soltanto una chiamata profonda, in una attesa umile, silenziosa, ma colma di desiderio della scienza di Dio che solo lo Spirito Santo ci può rivelare.
Dobbiamo pregare, perché siamo infinitamente miserabili e piccoli e, per essere totalmente veri, dobbiamo esprimere questa dipendenza del nostro essere, supplicando il Padre di colmare la nostra insufficienza con la sua pienezza.
Infine, dobbiamo pregare perché il Salvatore Gesù ci ha chiamati a lavorare con lui per la salvezza delle anime, non soltanto dividendo la sua croce, ma anche pregando costantemente e prendendo la nostra parte nella sua sofferta preghiera nell'orto degli ulivi. Noi siamo caricati di anime. Ricordiamo, quindi, che pregare significa fare per loro il massimo bene, aderendo al piano divino che ha voluto legare la loro sorte spirituale alla nostra miserabile collaborazione. 
(René Voillaume, Pregare per vivere)


28. Se lo leggeremo con amore, e sapremo ricevere nel nostro cuore le parole di Gesù come comandi da tradurre in atti, il Vangelo diventerà veramente per noi una regola attiva di vita. Più ci confermeremo a esso, più lo capiremo. Non riceviamo mai una luce, per debole che sia, senza farla subito passare in atto nella nostra vita. Non vi è nulla di più snervante e inutile che meditare in circolo chiuso, restando sul piano della intelligenza, delle verità o dei valori morali, senza tradurli in atti nella nostra vita.
(René Voillaume, Pregare per vivere)




29. Dice S. Paolo: Non abbiamo nulla ma possediamo tutto (2 Cor 6, 10). I santi non solo hanno avuto pazienza nella loro povertà, ma han cercato di spogliarsi di tutto per vivere distaccati da tutto ed uniti solamente a Dio. Se noi non abbiamo lo spirito di rinunziare a tutti i beni di questa terra, almeno contentiamoci di quello stato in cui ci vuole il Signore.
L'abbondanza de' beni temporali non è altro che un vischio all'anima, che la impedisce di volare a Dio. La povertà è una via di camminare a Dio senza impedimento. Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli (Mt 5, 3). Alle altre beatitudini, sta promesso il cielo in futuro; ma ai poveri sta promesso il cielo, cioè il gaudio celeste, anche in questa vita, di essi è il Regno dei cieli; sì, perché anche in questa vita i poveri godono un paradiso anticipato. Poveri di spirito, viene a dire che non solo son poveri di beni terreni, ma che neppure li desiderano; ed avendo quanto loro basta per alimentarsi e vestirsi, come esorta l'Apostolo, vivono contenti: quando abbiamo di che mangiare e coprirci, accontentiamoci (I Tm 6, 8).
(Alfonso De Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo, 14, 10-11)





30. Certo è più facile irritarsi che pazientare, minacciare un fanciullo che persuaderlo. E' più comodo alla nostra impazienza e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. 
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione.
Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l'aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere.  Allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire. 
(Giovanni Bosco)



31. Se uno ha un amico ed è sicuro di esserne amato, anche se riceve da lui un dolore, per quanto molesto esso sia, sa che egli lo ha fatto perché lo ama e non pensa mai che il suo amico voglia fargli del male: quanto più di Dio, che ci ha creato e ci ha portato dal non essere all'essere e per noi si è fatto uomo ed è morto per noi, dobbiamo sapere che fa per bontà e per amore tutto quello che fa per noi! 
Riguardo all'amico, poi, si può pensare: «Fa così perché mi ama e vuole proteggermi, ma non capisce proprio bene come occuparsi delle cose mie, e per questo, come pare, mi danneggia, pur non volendolo». Ma di Dio questo non possiamo dirlo, perché è lui la fonte della sapienza, conosce tutto quello che è a nostro vantaggio e in quella direzione governa le nostre cose, fino alle più insignificanti. 
Ancora, dell'amico si può dire: « Mi ama e mi protegge, ma non ha potere di aiutarmi in quelle situazioni in cui crederebbe di giovarmi ». 
Ma di Dio non possiamo dire nemmeno questo: tutto per lui è possibile, e niente è impossibile al suo cospetto. Dio ama e protegge la propria creatura, ed è lui la fonte della sapienza; sa come governare le cose nostre e niente gli è impossibile, ma tutto è sottomesso alla sua volontà. Tutte le cose che fa, le fa per nostro giovamento, e dobbiamo accettarle con rendimento di grazie, anche se ci affliggono. Misericordioso com'è, non disprezza neppure l'afflizione che ci capita.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, XIII, 139)



32. In noi esistano due volontà, l'una della ragione, l'altra del senso. Tuttavia, poiché siamo uomini [soprattutto] per la ragione, anche se diciamo che con il solo senso vogliamo qualche cosa, non si intende che veramente la vogliamo, fintanto che non ci incliniamo a volerla con la volontà superiore.
Ecco in che cosa consiste tutta la nostra battaglia spirituale: la volontà ragionevole, essendo come interposta fra la volontà divina, che la sovrasta, e la volontà inferiore, è continuamente combattuta dall’una e dall’altra, mentre ciascuna di queste tenta di tirarla a sé e rendersela soggetta e obbediente.
Per questo gli uomini che sono prigionieri delle cattive abitudini, quando decidono di migliorare la loro vita corrotta e darsi all'amore e al servizio di Gesù Cristo, provano grande pena e fatica, specialmente all'inizio.
(Lorenzo Scupoli, Il combattimento Spirituale, XII)


33. Avendo perduto la pace del cuore, dobbiamo fare tutto quello che è possibile per recuperarla. Perciò devi sapere che non può succedere nessun avvenimento al mondo che ce la debba ragionevolmente togliere oppure turbare. Dobbiamo, sì rammaricarci dei nostri peccati, ma con un dolore pacifico nel modo in cui sopra in più di un luogo ho dimostrato; così, senza inquietudine d'animo, si compassioni con pio affetto di carità ogni altro peccatore e si piangano almeno interiormente le sue colpe.
Quanto agli altri avvenimenti gravi e faticosi come infermità, ferite, morti anche dei nostri più stretti parenti, pesti, guerre, incendi e simili mali, benché siano per lo più rifiutati dalle persone del mondo come molesti alla natura, pur tuttavia possiamo con la divina grazia non solo volerli, ma oltre a questo tenerli cari come giuste pene per gli scellerati e come occasioni di virtù per i buoni; per questi motivi se ne compiace anche il nostro Signore Dio e se noi asseconderemo la sua volontà, passeremo con l'animo quieto e tranquillo fra tutte le amarezze e le contrarietà di questa vita. E renditi pur certa che ogni nostra inquietudine dispiace ai suoi occhi divini, perché essa, qualunque ne sia l'origine, è sempre accompagnata da imperfezione e procede sempre da qualche cattiva radice d'amor proprio. 
(Lorenzo Scupoli, Combattimento spirituale, XXV)


34. Non sapevamo per quale via raggiungerlo e allora lo stesso abitante di quella città si è fatto via (cf. Gv 14,6). Non sapevamo dove passare. Lui per primo è disceso, lui che là è il primo; è disceso per cercare i cittadini della Gerusalemme del cielo, perché noi ci eravamo perduti e, pur essendo cittadini di Gerusalemme, eravamo diventati cittadini di Babilonia. È disceso a cercare i suoi cittadini ed è diventato nostro concittadino. Noi non conoscevamo quella città, non conoscevamo quella regione e poiché non vi andavamo e lui è sceso qui, in cerca dei suoi cittadini e si è fatto concittadino nostro, ma non ha acconsentito al peccato, lo ha preso su di sé. E sceso quaggiù. In che modo è disceso? Nella forma di servo. Il Dio uomo ha camminato in mezzo a noi. Per quale via ritorniamo? Ecco, mi stendo sotto di voi, divengo per voi via, sarò per voi il fine. Egli è la via. Ora camminiamo senza timore di smarrirci. 
(Agostino, Discorsi, 42, 1-2)


35. Chi odia tanto il peccato quanto i santi? 
E tuttavia non odiano il pecca­tore, non lo condannano, non se ne allontanano, ma ne hanno compassione, lo ammoniscono, lo consolano, lo curano come un membro malato: fanno di tutto per salvarlo.
I pescatori, quando gettano l’amo in mare e prendono un grosso pesce, se si accorgono che si agita e si divincola, non lo tirano subito con vio­lenza, perché la lenza si romperebbe e tutto andrebbe perduto, ma gli danno corda abilmente e lo lasciano andare dove vuole; quando poi capiscono che non ce la fa più e ha cessato di dibattersi, allora piano piano cominciano a tirarlo indietro. Allo stesso modo fanno anche i santi: con la pazienza e con l’amore attirano il fratello e non lo cacciano via a calci né se ne disgustano, ma come una ma­dre, se ha un figlio deforme, non se ne di­sgusta, non se ne allontana, ma vo­lentieri lo adorna e fa quello che può per renderlo gradevole, così i santi sempre proteggono il peccatore, lo preparano, se ne prendono cura per poterlo correggere al momento opportuno e per non permettergli di danneggiare qualcun altro, ma per fare anch’essi maggiori progressi nell’amore di Cristo.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti Spirituali, 76)


36. L'amore di Dio tende ad una unione così pura e così intima, che vuole trasformare tutto l'uomo in sé, e fare che due non siano più che una cosa sola, secondo il versetto di S. Giovanni: «Siano come noi una cosa sola... siano perfetti nell’unità» (Gv 17, 22.23).
È così infatti che il Cristo parla di questo amore. E S. Paolo non ha timore di dire: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17). È per questo che è detto: «Il nostro Dio è un fuoco divoratore» (Dt 4,24). Infatti, come il fuoco ricevendo il legno, lo rende simile a sè e lo consuma, così l'anima unita a Dio da un amore di carità, diviene simile a lui e a poco a poco si spoglia di tutto, finché, consumata in Dio, e trasformata «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18). 
(Innocent Le Masson)

36. Avremmo combattu­to apertamente e con fiducia contro chi rinnegava, chi torturava e sgozzava, e il tuo popolo, comprendendo che si trattava di una persecuzione ufficiale, ci avreb­be accompagnato fino al martirio considerandoci sue guide. 
Ora, invece combattiamo contro un persecutore che ci inganna, un nemico che lusinga: ... egli non per­cuote le spalle, ma accarezza il ventre; non ci manda in esilio affinchè otteniamo la vita, ma ci arricchisce pro­curandoci la morte; non ci spinge con il carcere verso la libertà, ma ci riempie di incarichi a palazzo facendo­ci schiavi; non tormenta i nostri fianchi, ma occupa il nostro cuore; non taglia la testa con la spada, ma uc­cide l'anima con l'oro; non minaccia un pubblico ro­go, ma di nascosto accende il fuoco della geenna. Non combatte per non essere vinto, ma lusinga per domina­re; confessa Cristo ma per rinnegarlo, costruisce delle chiese per distruggere la fede. 
Ilario di Poitiers, Contro Costanzo 4-5


37. E' assai utile capire ciò che cantiamo. Quando si capiscono i salmi, si cantano con maggiore devozione. Dall'approfondire i salmi ne deriva che in ciascuno di essi si scorge Gesù Cristo presente, e allora lodandolo con la mente e nello stesso tempo con la bocca non vi è dubbio che lo si ama con più attenzione. Quando tu mediti i salmi, Gesù è nella tua mente; quando li canti con la bocca, Gesù è sulla tua bocca. Meditando i salmi hai questo vantaggio: abbracci tutto ciò che contengono l'Antico e Nuovo Testamento. Cantando o recitando devotamente i salmi uno ha la gioia di avere Gesù presente, e di essere lodato dagli angeli; produce infiammati affetti, si purifica dai vizi e vince i demoni con la spada dello spirito, che è la Parola di Dio. I demoni infatti non possono sopportare chi canta devotamente i salmi. L'origine dei salmi non è sulla terra, ma in cielo, poiché li vi è Cristo, oggetto e fine di tutti i salmi; li vi è la vita e il dialogo della Chiesa, che è il corpo di Cristo.
(Ludolfo di Sassonia, monaco certosino)


38. Il tempo presente ci ha procurato una grande quantità di senzatetto. Alle porte di ognuno vi è una folla ... Non mancano stranieri e profughi; ovunque si vede la mano tesa a chiedere. Per costoro la casa è all'aperto, loro riparo sono i portici, i crocicchi e gli angoli più riposti delle piazze ... 
Ma tu mi dirai: "Anch'io sono povero". E sia! Da' quello che hai. Dio non chiede al di là delle nostre forze.
Tu dai del pane, un altro darà un bicchiere di vino, un altro un vestito, e così con un po' di solidarietà si libera uno dalla disgrazia. Neppure Mosè ricevette da uno solo il necessario per la tenda, ma da tutto il popolo. Un ricco infatti portò dell'oro, un altro dell'argento, il povero delle pelli, il più povero dei poveri della lana. Vedi come l'obolo della vedova supera le offerte dei ricchi (cf. Mc 12,41-44)? Diede, infatti, tutto quello che aveva, i ricchi invece avevano dato una piccola parte. Non disprezzare i poveri che giacciono a terra come se non meritassero nulla. 
Pensa chi sono e scoprirai la loro dignità: hanno rivestito il volto del nostro Salvatore… 
I poveri sono accusatori terribili e buoni avvocati. Sono avvocati e giudici senza proferire parola: il giudice li guarda. Le cure che noi prodighiamo gridano presso colui che conosce i cuori, con voce più chiara di quella di ogni araldo.
Gregorio di Nissa, Omelia sull'amore per i poveri 1,3-4.7-8


39. L' unità di spirito che si trova in noi in forza dell'amore di Dio, vi si conserva poi attraverso l'amore del prossimo che ci fa rimanere nell'amore di Dio; rimanendo in questa dilezione, dimoriamo in Dio e Dio in noi [cfr. 1 Gv 6). Con l'amore del prossimo dunque, come attraverso un nodo di amore e un vincolo di pace, si mantiene e si conserva in noi l'amore di Dio e l'unità dello spirito. Chi non ama il fratello si allontana dall'unità dello spirito, non vive dello Spirito di Dio, ma del proprio spirito, perché non vive più per Dio, ma per sé.

Non c'è vita comune perfetta, se non c'è comunione di tutte le cose, come è scritto: «Tenevano ogni cosa in comune» (At 2,44). Ma ci può stupire quel che segue: «se ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,45). 
In che modo tutto era loro comune, se ciascuno aveva qualcosa di suo? 
Rende ancora più problematica la questione l’Apostolo, quando dice: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune» (1 Cor 12,7) . Come dunque ci può essere comunione di ogni cosa se c'è tanta diversità di grazie, se ciascuno ha il suo dono? Avviene se ognuno che ha il proprio dono da Dio, si comporta in modo che non l'abbia solo per sé, ma per Dio e per il prossimo: per Dio, in modo che dal dono di Dio non cerchi di ricavare la propria gloria ma quella di lui; per il prossimo, cercando sempre l’utilità comune e non la propria. 
(Baldovino di Canterbury)