giovedì 29 maggio 2025

Attingere alla sorgente

Non solo Giovanni ha attinto dalla sorgente che era Cristo. Non solo lui gode del Verbo - che era in principio, Dio presso Dio - e di tutte le prerogative divine del Cristo. Non è solo lui il privilegiato che si sazia di quelle cose che si contemplano faccia a faccia nel regno celeste, dopo essere state viste come in uno specchio e in maniera confusa in questa terra (cfr. 1 Cor 13, 12). 

Non è solo lui che attinge tutti questi tesori dal petto di Cristo, ma a tutti è aperta dal Signore stesso la fonte del Vangelo, perché tutti in tutta la terra bevano, ognuno secondo la propria capacità.

Agostino, Prima Lettera dì Giovanni

venerdì 23 maggio 2025

Lode perenne

Noi lodiamo il Signore in chiesa quando ci raduniamo. Al momento in cui ciascuno ritorna alle proprie occupazioni, quasi cessa di lodare Dio. Non bisogna invece smettere di vivere bene e di lodare sempre Dio. Bada che tralasci di lodare Dio quando ti allontani dalla giustizia e da ciò che a lui piace. Infatti se non ti allontani mai dalla vita onesta, la tua lingua tace, ma la tua vita grida e l'orecchio di Dio è vicino al tuo cuore. Le nostre orecchie sentono le nostre voci, le orecchie di Dio si aprono ai nostri pensieri.

Agostino, Commento al Salmo 148

martedì 20 maggio 2025

San Zeno

 21 Maggio festa di San Zeno di Verona

"Com'è misera la fede messa insieme soltanto dalle parole! Com'è indifesa quella fede che invoca ad ogni istante la protezione dei re, dei giudici, dei ricchi" (Discorsi ll, 3, 4.9)

O quam misera est fides, quam verba concinnant! O quam indefensa, quae regum, iudicum, divitum desiderat  per momenta patrocinia


I suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, testimoniano come egli, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l'arianesimo.
Stimato da Sant'Ambrogio e da s.Gregorio Magno che gli attribuisce un miracolo clamoroso: l'arresto di una esondazione dell'Adige (segno della larga diffusione del suo culto).





lunedì 19 maggio 2025

Il tralcio

  La linfa che che nutre il tralcio, unito al tronco, è lo Spirito Santo. Esso viene dato a tutti ma soprattutto a chi vuole seguire l'insegnamento di Cristo.

 

Cristo paragona a dei tralci i fedeli che sono uniti a Lui. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui.La radice comunica ai tralci le sue qualità. Allo stesso modo, il Verbo di Dio conferisce agli uomini il suo Spirito e concede loro ogni genere di santità, soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede

Cirillo d'Alessandria

giovedì 15 maggio 2025

In Illo uno unum

Il motto nello stemma di papa Leone è preso dal commento di sant'Agostino al salmo 127

Beato l'uomo che teme il Signore

3. Colui che riceve tali benedizioni è un uomo ben determinato e, se non si è membra di quest'uomo, non ci si può illudere di temere il Signore.

Si tratta di una moltitudine di uomini e insieme di un uomo solo, poiché, pur essendo molti i cristiani, uno solo è il Cristo. Un unico uomo, Cristo, sono i cristiani insieme col loro capo che ascese al cielo. 

Non lui un individuo singolo e noi una moltitudine, ma noi, moltitudine, divenuti uno in lui che è uno. 

Cristo dunque, capo e corpo, è un solo uomo. E qual è il corpo di Cristo? La sua Chiesa. Lo afferma l'Apostolo: Noi siamo membra del suo corpo 3, e ancora: Voi siete corpo di Cristo e [sue] membra 


3. Est enim quidam homo qui sic benedicitur; et nemo timet Dominum, nisi qui est in membris ipsius hominis: et multi homines sunt, et unus homo est; multi enim Christiani, et unus Christus. Ipsi Christiani cum capite suo, quod ascendit in coelum, unus est Christus: non ille unus et nos multi, sed et nos multi 

in illo uno unum.

 Unus ergo homo Christus, caput et corpus. Quod est corpus eius? Ecclesia eius, dicente Apostolo: Quoniam membra sumus corporis eius 3; et: Vos autem estis corpus Christi et membra

mercoledì 14 maggio 2025

Boccaccini-Mariotti



Breve sintesi del libro Boccaccini e Mariotti. 

Studio molto accurato, dal grande valore ecumenico nel dialogo ebraico-cristiano.

Status quaestionis aggiornato e completo per ogni tematica affrontata


La via di Damasco

(129) L'esperienza di Paolo sulla via di Damasco è stata definita 1) prima come conversione, di tipo sia religioso che etico, da una religione a un'altra, poi 2) come reinterpretazione radicale della legge che avrebbe spinto Paolo ai margini del giudaismo; infine 3) come un passaggio da un gruppo giudaico ad un altro all’interno della religione d’Israele. (129)

Superando la tradizionale visione di Paolo contro il giudaismo, una nuova prospettiva ha spostato l'accento sui rapporti complessi tra Paolo e il giudaismo, sottolineando la perdurante ebraicità di elementi importanti del suo pensiero e del suo approccio esegetico alle Scritture di Israele. 

La maggior parte degli esperti è giunto oggi a condividere l'idea che, nell'autocomprensione di Paolo, l'evento di Damasco da una parte fu una chiamata profetica, dall'altra che il contenuto di questa chiamata fu una rivelazione del Gesù risorto. 

Se quindi da un lato Paolo si sentì investito di una missione come gli antichi profeti biblici e la sua esperienza si è narrata con queste categorie, dall'altra questo evento gli conferì la consapevolezza che con la resurrezione di Gesù l'era escatologica fosse arrivata e che quindi il presente andava vissuto con la consapevolezza dell'imminenza del giudizio finale. La figura di Paolo emerge come quella di un profeta ebreo apocalittico, fattosi seguace del messia Gesù il quale visse la sua emissione tra i gentili nell'imminenza del giudizio e in quest'ottica elaborò il proprio pensiero. 

Dalla comprensione della conversione paolina come abbandono del giudaismo siamo così passati all'abbandono dell'idea stessa di conversione. Il giudaismo non è la religione di origine di Paolo dalla quale egli si sarebbe allontanato da apostata. Egli disse morì ebreo e non ripudiò la religione dei suoi Padri, anche nel momento in cui si unì al movimento messianico dei seguaci di Gesù. 

La sfida è piuttosto quella di capire che tipo di ebreo Paolo divenne dopo la sua esperienza sulla via di Damasco. Affermare che Paolo fosse ebreo non significa infatti sostenere che gli fosse come tutti gli altri, un pensatore privo di originalità. La presenza di elementi propri, tuttavia, non lo colloca al di fuori del giudaismo, come avviene per altre figure preminenti come Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio, o il Maestro di giustizia (Qumran). Ogni gruppo giudaico aveva le sue peculiarità che non hanno alcun parallelo in alcuno degli altri gruppi. (130-131)

Il giudaismo del tempo di Paolo non era monocentrico, ovvero costruito attorno a un unico polo normativo, ma policentrico, esprimendosi in un'ampia varietà di gruppi e movimenti. La rivelazione e la chiamata che l'apostolo ricevette sulla via di Damasco non lo hanno separato dalla tradizione giudaica e dalla fede dei padri ma lo hanno posto come seguace di Gesù nella ricca eredità spirituale della religione di Israele. 

È di questa originalità e della sua definizione e delimitazione che i massimi commentatori di Paolo si stanno occupando oggi a livello internazionale non di antiquate fantasiose speculazioni sul Paolo ellenista, nemico del giudaismo e inventore del cristianesimo e neppure di una ricerca semplicemente volta a individuare i perduranti caratteri ebraici del suo pensiero. Paolo non è un apostata né un cristiano di origine ebraica, non è né antigiudaico né post-giudaico ma un ebreo seguace di Gesù. (132)


Altri spunti di ricerca:

1. Paolo si riteneva un fedele ebreo ma alcuni suoi contemporanei non lo credevano tale e fu accusato di aver abbandonato la legge. Il passaggio del fariseismo ad un nuovo gruppo giudaico come il movimento Gesù fu un cambiamento radicale per Paolo, tanto da avere implicazioni significative sulla sua vita, ma non fu una conversione a un'altra religione. Paolo cambiò collocazione all'interno del giudaismo e questo lo portò a un ripensamento del significato della sua ebraicità. Non mise in discussione il giudaismo ma il modo in cui lo aveva inteso fino ad allora. Riguardo all'osservanza della Legge mosaica di Paolo negli Atti, per alcuni giudei contemporanei poteva sembrare che l'apostolo, con le sue affermazioni riguardo non necessarie circoncisione dei gentili, avesse egli stesso abbandonato l'osservanza della legge. Se da una parte questa era una loro interpretazione, dall'altra si cadrebbe nell'errore di pensare che tutti gli ebrei del primo secolo la pensassero allo stesso modo sulla necessità di circoncidere i gentili che volevano aderire giudaismo.

2. È molto improbabile che al tempo in cui è stata scritta la lettera ai Romani, il movimento gesuano si percepisse come staccato dal giudaismo. I discepoli di Gesù vivevano la loro fede all'interno della comunità giudaica ma sembra che essi enfatizzassero gli aspetti negativi del giudaismo. Forse Paolo scrive ai non ebrei di Roma per mediare tale situazione ricordando loro il rispetto dovuto verso il popolo ebraico. 

Paolo non abbandonò mai il giudaismo che considerava il più grande dono di Dio all'umanità, ma cerco sempre un equilibrio tra la speciale chiamata dei giudei e quella dei gentili all'interno di una visione del mondo apocalittica, una prospettiva che non era condivisa da tutti gli ebrei. 

È attestata l’esistenza di una comunità giudaica che intendeva la circoncisione soltanto come simbolo spirituale. Alcuni ebrei, seguendo questa visione, avevano smesso di praticare la circoncisione. 

La conversione sembra essere un concetto estraneo all'epoca in cui visse Paolo ma all'epoca si era o giudei o gentili, una terza scelta non era possibile. Il concetto stesso di religione è moderno e nell’antichità si parlava invece in termini di parentela con gli altri cultori della divinità prescelta. Con questo principio il giudaismo condivideva con le altre tradizioni religiose il fatto che esce fossero fondate su relazioni e obbligazioni nei confronti delle proprie divinità. Si parlava in termini di fedeltà o lealtà il cui oggetto erano le usanze ancestrali.

Il dominio del male

162. Al centro delle preoccupazioni dell’apostolo è la riflessione sul problema del male. Questo mondo non è più cosa molto buona come venne stimato da Dio perché il male ha corrotto l'originaria bontà dell'universo. Non è un problema esclusivamente paolino, ma una riflessione che accomuna tutte le componenti giudaiche del secondo Tempio, che si divideranno circa la spiegazione da offrire riguardo al problema della presenza del male nel mondo. In particolare, il tema risulta centrale nella visione del mondo apocalittica, dove il male è visto come il risultato di una ribellione cosmica, generatrice di una forza corruttrice che esercita il suo dominio in questo mondo, non come frutto del libero arbitrio dell'uomo. 

Si è spesso voluto isolare l'apostolo dall'influsso dell'apocalittica, contrapponendo la spiegazione antropologica adamitica che gli offre dell'origine del male a quella cosmologico-angelica propria delle tradizioni apocalittiche. Tuttavia nel primo secolo le due concezioni, nate in ambiti diversi, erano variamente combinate, integrandosi e relazionandosi a vicenda. I testi apocalittici, dalle parabole di Enoch alla Apocalisse di Giovanni, vedono nel serpente dell'Eden non un animale ma una presenza angelica maligna. Nelle parabole di Enoch si afferma che il serpente che induce in errore Eva non era la più astuta di tutte le bestie selvatiche ma Gadrel, uno degli angeli ribelli a Dio. L’Apocalisse di Giovanni parlerà apertamente di Satana come del grande drago, colui che chiamiamo il diavolo. Distintivo quindi non è più il peccato di Adamo o la ribellione degli Angeli, ma la presenza o meno di un agente superumano, uno degli angeli caduti o Satana stesso come forza ribelle a Dio. La diffusione del male non è mera conseguenza del libero arbitrio dell'uomo. Satana regna oggi come il dio di questo mondo. Il richiamo di Paolo al serpente che nella sua malizia sedusse Eva è fatto in un contesto in cui egli mette in guardia i Corinzi dalle macchinazioni di Satana. 

Il motivo per cui Paolo mette l'accento sul Peccato di Adamo deriva dalla personalizzazione del parallelismo che gli stabilisce tra i due figli di Dio, Adamo e Gesù. La visione apocalittica del mondo emerge in Paolo come la struttura essenziale che plasma tutti gli aspetti della sua teologia. Essa condiziona anche l'idea che Paolo ha della legge e del rapporto tra ebrei e gentili, nonché la sua concezione della missione messianica di Gesù come rimedio ultimo al dominio del male. 164

Altri spunti

Non tutti gli studiosi sembrano concordi nell'attribuire a Paolo l'idea di una personificazione del male; riducono l'idea di Potenza malvagia a metafora, ritenendo che Paolo si riferisca non tanto all'apocalittica quanto ad un concetto sapienziale. Penna riscontra invece una chiara convergenza tra Paolo e l'apocalittica nell'interpretazione dell'idea di peccato. Emerge una condizione di base, impersonale, del peccato più che un singolo atto. Il peccato al singolare non è soltanto l'insieme dei peccati di tutti gli uomini. In Rm 5-8 si ha una tematizzazione del peccato in cui è evidente la personificazione di hamartia (Peccato). Esso entra nel mondo, vi regna così che gli uomini ne sono schiavi, venduti a essa e ne ricevono una paga. È persino paragonata a un inquilino che abita a casa mia privandomi dei miei diritti di proprietario, e uccide; ma in definitiva è oggetto di una sentenza di condanna. 

All'interno del giudaismo del secondo Tempio si è diffusa l'idea di una progressiva personificazione del male. Il peccato, a partire dalle occorrenze in romani 5-7, dovrebbe essere quindi considerato non solo come potere cosmico ma anche come un essere personale che irrompe nel mondo e opera contro Dio. L'uomo sotto il peccato non può nulla, è schiavo e il suo volere è incapace di desiderare e raggiungere il bene. Ciò non però non togliere la sua responsabilità e colpevolezza quando compie il male. Il peccato così è quello stesso inganno che inverte le categorie di bene e male, che avrebbe contraddistinto anche la vita di Paolo prima dell'evento di Damasco. L'apostolo criticherebbe la teoria delle due vie di Siracide, poiché l'uomo ingannato dal Peccato non è più capace di sapere ciò che è bene e male secondo Dio. Il peccato abiterebbe in lui, nonostante egli non lo abbia scelto. Tutta l'umanità sarebbe vittima di questo potere. L'azione che l'uomo può mettere in campo contro questa entità è vista da Paolo come una vera e propria battaglia è l'uomo può vincere solo con l'aiuto di Dio. L'irruzione di Dio nel mondo con Cristo stabilisce la sua signoria e porta la Liberazione per coloro che sono schiavi del male. (162)

Israele e le genti

(196) Paolo era convinto che il tempo in cui viveva fosse l'ultima ora della storia. Il presente , compreso tra le due parusie del messia, è già il tempo escatologico, ma non lo è ancora in senso definitivo. Prima del ritorno di Gesù come giudice, il male ancora esercita il suo dominio in questo mondo. La prima venuta del messia ha comunque creato una situazione nuova: in primo luogo riguardo ai peccatori per i quali si è aperta una nuova via di salvezza che la Legge non poteva loro offrire, segnata da un atto di perdono e di giustificazione; in secondo luogo, riguardo al ruolo dell'atteggiamento da avere verso i gentili in un nuovo contesto temporale che possiamo definire già come l'inizio dell'era escatologica. È proprio a causa della consapevolezza di questa specifica temporalità, tra il già è il non ancora, che il movimento dei discepoli di Gesù e quindi Paolo diventano missionari verso i gentili. 

Le questioni che Paolo si pone in quanto ebreo, ruotano attorno a due aspetti fondamentali : i gentili battezzati devono farsi proseliti e osservanti della legge attraverso la circoncisione? Come far convivere nelle sue comunità coloro che erano ebrei per nascita e coloro che vi giungevano dalle genti? In nessun modo Paolo si spinge ad affermare che i cristiani che facevano parte di Israele dovessero abbandonare la circoncisione e la pratica della Legge. Anzi invita circoncisi (ebrei divenuti discepoli di Gesù) e incirconcisi (ex pagani) a rimanere ciascuno nello stato in cui si trovavano al momento della chiamata del battesimo . 

a) Nelle fonti apocalittiche (ebraiche) vediamo definirsi due concessioni contrapposte circa il rapporto tra ebrei e gentili nei tempi finali. Nella tradizione degli Esseni i tempi ultimi erano visti come il momento di maggior frizione tra gli ebrei e gentili. La diffusione del male costringe sulla difensiva gli eletti, l'intero popolo ebraico (costringe ancora più quel gruppo di eletti tra gli eletti che, come sotto assedio, si stringe attorno all'obbedienza della propria abitudine settaria). 

b) Nella tradizione enotica invece Israele e le genti sono ugualmente esposte al dominio del male e destinate a unirsi nel tempi finali in una comune prospettiva di salvezza, quale indicata nell'apocalisse dove il regno è aperto agli eletti di Israele e delle genti prima ancora della loro trasformazione finale nel mondo a venire in un unico popolo. 

L'opposizione netta che Paolo esprime nella lettera ai Galati alla circoncisione dei gentili battezzati non indicava che per lui essi non dovessero diventare parte di Israele, né tantomeno esprimeva un superamento del rituale per i battezzati di origine ebraica. Perché i gentili si unissero all’Israele escatologico, Paolo non riteneva fosse necessaria la circoncisione, ovvero che i non ebrei dovessero diventare ebrei dopo essere diventati seguaci di Gesù. Ciò che maggiormente contava era la fede in quel Gesù messia che di fatto ne permetteva l'innesto nell'ulivo buono, ovvero l'incorporazione nell'Israele escatologico. 

Se in Cristo non c'è giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, ciò significa già in questo mondo la fine della loro inimicizia ma soltanto alla fine dei tempi la distinzione tra i ebrei e gentili sarà abolita così come la distinzione tra uomo e donna e quella tra padrone e servo. 

Prima dell'instaurazione definitiva del regno, nell’Israele escatologico, tra il già il non ancora, i gentili rimangono gentili incirconcisi con la propria coscienza a guidarli nell'osservanza della legge naturale e gli ebrei restano ebrei circoncisi nell'osservanza della Torah. 

Parlare di Paolo ebreo, e osservante della legge, appare ancora oggi uno scandalo. Ma non è una novità : è quello che affermano gli Atti degli Apostoli per i quali non c'è nulla di vero nella calunnia che egli non osservasse la legge e i rituali del Tempio, un'accusa che lo stesso Paolo rigetta fermamente. 

Altrettanto Paolo chiedeva agli altri ebrei che si erano uniti alla comunità cristiana: qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda . Il messaggio di Paolo non è l'abrogazione della Torah per i circoncisi ma l'annuncio che in questo tempo intermedio tra la venuta e il ritorno del messia si è manifestato un ulteriore dono di grazia, quello quella giustificazione per fede offerta indipendentemente dalla legge ai peccatori, sia ebrei che gentili, che si pentono nell'imminenza del giudizio. In virtù del sacrificio di Cristo i confini della salvezza si sono in tal modo allargati ad accogliere anche coloro (ebrei e gentili) che ne sarebbero dovuti rimanere esclusi, compensando così con un atto di grazia gli effetti della diffusione del male e liberando l'umanità dal gioco del peccato, conseguenza della colpa di Adamo su istigazione di Satana. La venuta e il sacrificio di Cristo sono l'evento cosmico attorno al quale ruota e si ricapitola la storia della salvezza. 199

Messianismo paolino

(230) Per lungo tempo si è presupposta una dicotomia assoluta tra la cristologia paolina e il messianismo giudaico nella direzione di una sua reinterpretazione in senso universalistico. Al messia giudaico Paolo avrebbe contrapposto il Signore riducendo il termine da titolo messianico a mero sinonimo di Gesù. Tale approccio appartiene ormai al passato. La cristologia non è il risultato di un processo di ellenizzazione e di estraneazione dal giudaismo ma una variante di messianismo giudaico. 

Nel giudaismo dell'epoca convivevano concessioni messianiche diverse. Non ha neppure senso contrapporre la cristologia alta cristianesimo alla cristologia bassa del giudaismo. L'affermazione di una cristologia alta tra i primi seguaci di Gesù non rappresenta alcun elemento di rottura totale con il giudaismo, dove nozioni di cristologia alta erano già ampiamente diffuse in ambito apocalittico . Vide nel Signore Gesù una figura Divina superumana intermedia tra Dio e l'uomo. Resta aperto il dibattito sul grado di divinità da lui attribuito al messia Gesù. Soltanto alla fine del primo secolo , con il Vangelo di Giovanni, al Figlio, in quanto incarnazione del Verbo divino si applicherà il titolo di Theos, Dio uguale al Padre. Il fulcro della riflessione paolina su Gesù Cristo si trova nel parallelismo che egli stabilisce tra i due figli del Padre Celeste: Gesù, il figlio obbediente, e Adamo, il figlio disobbidiente. L'obbedienza di Cristo si manifesta il primo luogo essersi offerto come sacrificio secondo la volontà del Padre. Per questa via il messia divino e preesistente, dopo un'esperienza temporanea di abbassamento alla condizione umana e di morte, è stato non solo ristabilito nella sua condizione, ma sovraesaltato come Signore al centro dell'intera creazione ricevendo il nome che al di sopra di ogni altro nome, un nome che prima non gli apparteneva e che lo ha promosso sul campo a1 grado di divinità superiore a quello originario, al contrario di Adamo che ha subito la vergogna di una disonorevole degradazione. Ci vollaro decenni per affermare che il Figlio avesse lo stesso grado di divinità del Padre. Paolo è agli inizi di questo processo, ne rappresenta uno sviluppo importante, non il punto di arrivo. Egli ancora si esprime secondo le categorie messianiche del suo tempo incentrate sulla natura Celeste e preesistente del Figlio dell'uomo. Sarebbe Tuttavia. riduttivo confinare il problema del messianismo Paolino alla sola discussione circa la natura della divinità di Cristo. Di fondo riguarda la funzione che Paolo attribuisce al Signore Gesù e alla sua venuta terrena come messia, che ne fa il rimedio definitivo al potere del male nell'imminenza del suo ritorno e dell'istaurazione del regno. È ciò che i primi cristiani individuavano a riguardo dell'autorità data da Dio al Figlio dell'uomo sulla terra di perdonare i peccati e che Paolo vede realizzarsi in primo luogo nel dono della giustificazione per fede come conseguenza del sacrificio espiatorio di Cristo. 

Vie di salvezza in Cristo

Per un ebreo del secondo Tempio esistono due vie di salvezza: la legge naturale per i gentili e la legge mosaica per gli ebrei. Ad esse Paolo ne aggiunge ora una terza: la giustificazione per fede. Al dono della legge naturale, Dio ha aggiunto il dono dell'alleanza sinaitica, a causa delle trasgressioni. Paolo è un ebreo apocalittico e al centro del suo pensiero c'è una coscienza fortissima del potere cosmico del male, assieme a una coscienza fortissima della misericordia e della grazia di Dio che lo spinge a vedere Dio impegnato alla ricerca un rimedio per lo stato di peccato nel quale si trova l'umanità sotto il dominio di Satana, il dio di questo mondo. 

Rispetto alla legge naturale, la legge mosaica offre alla libertà dell'uomo un richiamo esplicito e quindi una conoscenza esplicita di ciò che è bene e di ciò che è male. La Legge tuttavia non ha il potere di porre l'uomo al riparo dal potere del male ma solo di rivelarne l'esistenza, ponendosi come benedizione per chi la segue ma anche come maledizione per chi la trasgredisca. 

Per contrastare il dominio del male è necessario un dono ancora più grande, già profeticamente annunciato ad Abramo nella stessa Bibbia. È questo dono che Paolo annuncia. Si è realizzato con il sacrificio della morte di Cristo ovvero la giustificazione per fede. Come apocalittico, Paolo aveva certo una visione molto drammatica e pessimistica della forza del male. Giunge persino a descrivere lo status dell'umanità come di un popolo sconfitto e reso schiavo del peccato, che vive sotto il dominio del peccato, e che quindi ha bisogno di essere riscattato a caro prezzo attraverso il sangue di Cristo. A suo avviso, questo non è solo un problema dei gentili, ma è un problema universale. Nessuno può affermare di essere risparmiato o immune dal male. 

Ogni ebreo del secondo tempio sarebbe stato d'accordo su questa nozione: essere giusti non significa essere senza peccato. I peccatori sono persone i cui peccati sono così seri e persistenti che la penitenza non è sufficiente a cancellarli. Il punto di Paolo è questo: al dominio del male, conseguenza di una ribellione cosmica manifestatasi attraverso il peccato di Adamo, Dio ha opposto un atto dalle conseguenze altrettanto universali: il sacrificio del Figlio. 

Per Paolo esiste in parallelismo perfetto tra Adamo, figlio disobbediente di Dio, e Gesù il figlio obbediente di Dio. A causa della caduta di Adamo tutti gli esseri umani sono stati esposti alla potenza del male e di conseguenza molti (ma non tutti) hanno ceduto al peccato. Allo stesso modo, attraverso il sacrificio di Cristo a tutti è offerta la grazia del perdono e molti sono coloro che attraverso di essa saranno salvati. Paolo mai suggerisce che gli esseri umani abbiano perso il loro libero arbitrio e siano ora completamente incapaci di operare il bene. Il dominio del peccato non implica il venir meno completo della legge naturale e della legge mosaica. Giustificazione e salvezza non sono termini sinonimi, tra loro intercambiabili. Il male sotto il cui dominio tutti vivono a causa della ribellione di Satana e del peccato di Adamo non ha reso tutti gli esseri umani dannati, così come non tutti saranno salvi attraverso la giustificazione (257).

Cristo ha una centralità assoluta, un ruolo insostituibile. Il Cristo preesistente è il Signore del mondo e il secondo Adamo la cui morte viene a controbilanciare in modo definitivo il potere del male; è la risposta definitiva di Dio al problema del male. La giustificazione per la fede, che con la sua morte si è inaugurata, non è una terza via posticcia è irrilevante. È la via maestra tanto che Paolo considera il suo ministero più grande di quello di Mosè che annunciava la condanna dei trasgressori mentre Paolo annuncia la salvezza anche per il trasgressore. 

Quindi è necessario chiedersi se il dono della Grazia annulli i precedenti doni di Dio o se piuttosto si aggiunga o si sostituisca ad essi. A questo proposito fa sempre tenuto presente che, come nel caso del dono della legge mosaica, il fine del dono della giustificazione per fede è quello di allargare i confini della salvezza non di restringerli. Attraverso la giustificazione per fede, la misericordia di Dio offre ora una possibilità di salvezza gratuita per i peccatori, cosa che né alla legge naturale né alla legge mosaica era stato dato potere il potere di fare. Paolo non è un messaggero di sventura ma di misericordia. Al centro del suo messaggio è nell'annuncio dell'amore di Dio che si estende a tutti gli uomini anche i nemici, i molti, i peccatori che sono coloro per i quali specificatamente Cristo ha versato il suo sangue. In questo risiede la differenza non la contrapposizione tra il dono della legge e il dono della giustificazione. Non è la grazia che si contrappone alle opere. La Legge è un dono di grazia che offre salvezza a chi la obbedisce ma per i trasgressori essa è econdanna e maledizione. Mentre la giustificazione è un dono di grazia di Dio ai peccatori perché anche coloro che sono sotto la maledizione che è conseguente alla trasgressione della legge possano avere accesso alla salvezza. 


L'ostilità verso gli ebrei si è spinta al punto da considerare la pratica stessa della legge un fatto malvagio, proibito ai cristiani (p.258) Eppure Paolo non parla dell'alleanza con Israele della legge mosaica al passato ma al presente: Le Alleanze di Dio sono irrevocabili, la legge è buona e santa. Paolo immagina uno scenario in cui Cristo è l'unica via di salvezza ma la legge per i circoncisi non è abrogata. La legge naturale, la legge mosaica e la giustificazione per fede non sono vie tra loro mutualmente esclusive perché i doni non si annullano ma si integrano nel piano di Dio. Non si tratta però neppure di tre vie autonome separate perché tutto è ora da Paolo ricondotto al Cristo che, nella sua ermeneutica missianica, è il principio e il fine di ogni cosa e quindi unica via di salvezza che ricapitola le altre. Dal punto di vista di Paolo, la salvezza è sempre e comunque in Cristo il quale è colui che in virtù del quale esistono tutte le cose. Cristo è il fondamento della legge naturale, è la Sapienza rivelatasi all'umanità come strumento della creazione. Cristo è anche il fine della legge mosaica che di lui è profezia. Quindi nella prospettiva paolina, la salvezza in Cristo include non solo giustificati per fede ma anche coloro che tra le nazioni sono giusti secondo la legge naturale e coloro che tra gli israeliti sono giusti secondo la legge mosaica. Anch'essi ricevono la salvezza in Cristo pur non conoscendolo o non essendone consapevoli. 



domenica 11 maggio 2025

Già e non ancora

 Ciò che nella vita futura si possiede per condizione connaturale, lo anticipiamo già qui con le disposizioni della nostra anima.

  Già qui per mezzo dello Spirito Santo veniamo riammessi in paradiso, possiamo salire nel regno dei cieli, ritorniamo allo stato di adozione di figli, ci viene dato il coraggio di chiamare Dio nostro Padre, di compartecipare alle grazie di Cristo, di venire chiamati figli della luce, di essere partecipi della gloria eterna e, in breve, di vivere nella pienezza della benedizione. 

Tutto questo già ora come poi nel tempo futuro. 

San Basilio 

La Parola

 La lectio divina nello stemma di papa Leone

Vulnerasti cor meum verbo tuo
Hai ferito il mio cuore con la tua parola

Vidi, pur col cuore ferito, il tuo splendore e, abbagliato, dissi: "Chi può giungervi?". Fui proiettato lontano dalla vista dei tuoi occhi. Tu sei la verità che regna su tutto, io nella mia avidità non volevo perderti, ma volevo possedere insieme a te la menzogna… Così ti persi, poiché tu non accetti di essere posseduto insieme alla menzogna
Confessioni, X, 41



sabato 10 maggio 2025

I due papi e i loro stemmi

  La salvezza è poter partecipare alla vita eterna e alla gloria di Cristo Risorto. Tutti gli altri doni come il perdono dei peccati e i nuovi suggerimenti di vita etica fanno parte della salvezza ma non rappresentano la sua essenza né il suo culmine. La salvezza è il corpo glorificato di Cristo e il fatto che Dio sia tutto in tutti. 

Ripeto: che cosa significa essere salvi? Mentre siamo su questa terra, la salvezza consiste nell’evitare il male e compiere il bene, il Signore ci dona il suo perdono e ci rende capaci di migliorare il nostro comportamento vivendo nell’amore. Questo è molto ma non è tutto. Fin qui siamo ancora nell’Antico Testamento, soltanto un po’ migliorato. Il vero dono del Nuovo Testamento consiste nella vita eterna e questa consiste nell’essere tutti una cosa sola con Cristo in Dio. 


Le frasi guida scritte sulla stemma dei due ultimi papi ci ricordano queste due verità. Papa Francesco aveva scelto la frase del Vangelo di Matteo: miserando atque eligendo, riferita a Gesù quando ebbe compassione del peccatore Levi/Matteo. Papa Leone ha scelto la scritta: in illo uno unum. Uniti a quella persona unica che è Cristo, siamo una cosa sola. Questo va bene anche al presente ma vale soprattutto per il futuro nella vita eterna. Non dobbiamo contrapporre i due moti ma comporli insieme. 

Ritorniamo all’immagine di Cristo Agnello. L’Apocalisse sottolinea che gli eletti hanno lavato le loro vesti nel Sangue dell’Agnello. È un’immagine paradossale. Immergendolo nel sangue le vesti si tingono o si sporcano di rosso. Nonostante la stranezza dell’immagine, il significato è grandissimo: noi veniamo purificati dalla passione morte del Signore. La croce è il perdono dei nostri peccati e l’inizio di una nuova vita, il dono massimo della misericordia di Dio. Questo vale per sempre. La nosta santificazione non è in primo luogo il risultato dei nostri sforzi ma un dono incomparabile del Signore. Siamo costituiti santi prima di cominciare a diventarlo. 

Adesso parliamo di Cristo Pastore. Per spiegarlo mi servo di una frase di sant’Agostino citata da papa Leone sulla loggia di san Pietro: per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Agostino ha detto questo celebrando l’anniversario della sua ordinazione episcopale. Quando era stato eletto dal popolo, provò un’ansia continua. Lo dice lui stesso: la preoccupazione della mia dignità mi tiene veramente in ansia continua. Poi aggiunge: se Cristo non condivide il nostro peso, ne restiamo schiacciati ma nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi (cioè avere l’autorità di vescovo), mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Il nome di vescovo è un nome di pericolo, quello di cristiano è un nome di grazia. Agostino richiama poi l’immagine dell’Agnello: mentre ci troviamo in alto mare, sbalottati dalla tempesta ci ricordiamo di essere stati redenti dal sangue di Lui, Gesù e con la serenità di questo pensiero, entriamo nel porto della sicurezza. 

È molto bello che, scegliendolo dalle sei milioni di parole scritte da sant’Agostino, il nuovo papa abbia ricordato queste frasi che troviamo nel discorso 340. Egli chiedeva ai suoi fedeli che lo sorreggessero con le sue preghiere, anche noi dobbiame pregare per papa Leone perché sarà molto combattutto, soprattutto dai grandi potentati economici. Come un leoene dovrà ruggire non contro le persone, ma contro i disegni iniqui di questo mondo. 




giovedì 8 maggio 2025

Con voi sono cristiano

  Nel momento in cui mi dà timore l'essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. 


Da quando è stato posto questo carico sulle mie spalle - e di cui si dà un rigoroso rendiconto - la preoccupazione della mia dignità mi tiene veramente in ansia continua; nondimeno, mi procura molto più turbamento riflettere su questo oneroso incarico quando me lo ripresenta il giorno anniversario che attualizza quella data, al punto che, ciò che un tempo ho ricevuto lo porto come se debba comparire oggi a riceverlo. Ma, in questo servizio, che cosa si teme tanto se non il rischio che ci torni più gradito ciò che la nostra dignità comporta di pericolo, piuttosto che quanto è utile alla vostra salvezza? Che io abbia perciò l'aiuto delle vostre preghiere così che si degni di portare con me il mio peso colui che non disdegna di portare me stesso. Quando chiedete questo nella preghiera, pregate anche per noi: infatti, questo mio peso di cui vi sto parlando che altro è se non voi stessi? Chiedetene per me le forze, così come io prego che voi non siate gravosi. In verità il Signore Gesù non direbbe "mio peso" se non lo sostenesse con chi lo porta. Sorreggetemi però anche voi in modo che, secondo il precetto dell'Apostolo, portiamo l'un l'altro i nostri pesi e così adempiamo la legge di Cristo

2. Se egli non condivide il nostro peso, ne restiamo schiacciati; se egli non porta noi, finiamo per morire. 

Nel momento in cui mi dà timore l'essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. 

Quel nome è segno dell'incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza. Infine, quasi trovandoci in alto mare, siamo sballottati dalla tempesta di quell'attività: ma ricordandoci che siamo stati redenti dal sangue di lui, con la serenità di questo pensiero, entriamo nel porto della sicurezza; e, nella grazia che ci è comune, troviamo riposo dall'affaticarci in questo personale ufficio. Pertanto, se mi compiaccio di essere stato riscattato con voi più del fatto di essere a voi preposto, allora, secondo il comando del Signore, sarò più efficacemente vostro servo, per non essere ingrato quanto al prezzo per cui ho meritato di essere servo con voi.

Agostino, Discorso 340 nell'anniversario della sua ordinazione


lunedì 5 maggio 2025

Incontro e scontro con l'ebraismo

Nel capitolo 2 “Ascesa e declino del Paolo luterano” (pp.65-81), G. Bocaccini e G. Mariotti tracciano un riepilogo dell’incontro/scontro tra Ebrei e Cristiani. Ne presento una breve sintesi rinviando alla lettura completa della stessa opera (“Paolo di Tarso, un ebreo del suo tempo”, Carrocci Editore). 

Durante tutto il medioevo il rapporto tra cristiani ed ebrei fu segnato dal confronto tra la linea più antigiudaica del Crisostomo, prevalente nell'oriente Cristiano e quella più tollerante di Agostino affermatasi nell'occidente (pg 65). Mentre nell'oriente cristiano del IV e V secolo sinagoghe e templi pagani, nonostante la formale protezione imperiale, cadevano sotto iconoclastia di fedeli cristiani, in occidente l'ermeneutica paolina di Agostino, basata sulla necessità della presenza ebraica nel mondo cristiano e sulla profezia della salvezza escatologica di Israele, di fatto salvaguardò tale presenza. 

Il tema della sottomissione degli ebrei ai cristiani era preso dall'interpretazione del rapporto tra Esaù e Giacobbe, riportato da Paolo in Rm 9, secondo cui, all'apice della teologia della sostituzione, gli ebrei erano stati rifiutati da Dio, e al loro posto aveva scelto il cristianesimo. 

Gregorio Magno fu il Papa che contribuì maggiormente a formalizzare i rapporti tra cristiani ed ebrei, stabilendo che le conversioni e i battesimi, per essere validi non dovessero essere imposti con la forza. Questa dottrina avrebbe fornito per i secoli il fondamento teologico necessario all’accettazione e al mantenimento di un'area di diversità entro l'universo omogeneo cristianità medioevale (67). 

L’equilibrio nell'occidente tra la prospettiva di Crisostomo e quella di Agostino, si interruppe e ricevette una prima svolta già tra il XII e il XIII sec. periodo in cui si cominciò ad affermare che non c’era posto per l'ebraismo in una società Cristiana correttamente ordinata. 

La nuova fase è evidente nella stessa iconografia: le due Matrone che rappresentano la chiesa dalle genti e la chiesa dalla circoncisione diventano ora rispettivamente il simbolo della Chiesa e della Sinagoga. Alla pari dignità loro attribuita in quelle prime rappresentazioni, si sostituisce la contrapposizione di caratteristiche opposte: una regale e l'altra umiliata (68).

Benedetto Antelami: Chiesa esaltata e Sinagoga umiliata. Parma, Cattedrale

 

L'uso che Lutero fa di Paolo in funzione antigiudaica fu fortemente condizionato dalla sua rilettura dell'apostolo in senso anticattolico. Nella lettura luterana di Paolo, l'inconciliabilità tra ebraismo e cristianesimo si mostrava in particolare nell’opposizione tra giustificazione per fede e salvezza per le opere. L'idea paolina del popolo carnale sarà utilizzata non solo contro la Chiesa di Roma, rea di portare avanti il credo della giustificazione per le opere, ma anche contro l'ebraismo, che di tale legalismo veniva a rappresentare la quintessenza. (69) Gli ebrei sono condannati alla perdizione eterna. 

La teologia della riforma ha portato generazioni di studiosi vedere nel Paolo luterano un campione della Grazia contro il legalismo giudaico e a intendere il suo messaggio come un messaggio di liberazione dalla Legge (71). 

Nel secolo XVI si fa strada l'idea che fosse necessario cacciare gli ebrei dalla società (71). Riforma e Controriforma in questo senso segnarono un cambiamento radicale della linea tradizionale riguardo alla presenza ebraica nella società cristiana. 

Il ruolo centrale prodotto da Paolo nella polemica antigiudaica portò a sua volta, da parte ebraica, a vedere sempre più la sua figura e il suo pensiero in antitesi con quelli di Gesù, tanto da contraddistinguerlo come il vero inventore del Cristianesimo. Sul finire del XVI secolo viene pubblicata l'opera di Isaac ben Abraham di Troki. Il testo, che vuole mostrare quali siano le autentiche parole di Cristo, mette in contrasto l'ebraicità del Nazareno con il pensiero Cristiano successivo diffuso dai suoi discepoli, in primo luogo da Paolo (73). 

Con l'Illuminismo, da una parte si è dato inizio a quella che diventerà l'esegesi storico critica dei testi biblici e quindi si è avviata la ricerca ai grandi motivi teologici paolini nel loro significato storico originale; dall'altra questa cosiddetta indagine libera da vincoli confessionali è stata condizionata da sistemi religiosi e filosofici che rispecchiavano più il loro tempo che quello dell'apostolo (73-74). 

A partire diciottesimo svilupperà una linea esegetica che attraverso i suoi interpreti porterà la teologia sia protestante che cattolica alla creazione di un terreno favorevole alo sviluppo dell’antisemitismo di tipo razziale (74). 

Nel secolo XIX assistiamo ad un rinnovato interesse per la missione cristiana verso gli ebrei con la fondazione a Londra di una società di missione verso gli ebrei, che vedeva in Paolo il modello ideale dell'ebreo convertito (1809 Society fo Promoting Christianity amongst the Jews). 

Sulla fine del secolo XIX è da segnalare, durante la preparazione del Concilio Vaticano I, un tentativo di presentare un documento che, seppur avesse lo scopo di convertire gli ebrei, prendendo spunto dalle parole di Paolo, li considerava sempre amatissimi da Dio a causa dei padri e perché da essi è Gesù secondo la carne (75). 

Arrivando al secolo xx l'antisemitismo razziale rafforzò la caricatura legalistica dell'ebraismo al tempo di Paolo al quale l'apostolo si sarebbe contrapposto. Secondo tale visione, l'ebreo era descritto come colui che tentava invano di guadagnarsi la salvezza attraverso le proprie opere limitandosi all'osservanza di pratiche esteriori nelle quali si sarebbe vantato di una presunta e illusoria superiorità. 

In Italia, l'opera di Papini, “La storia di Cristo”, ebbe un ruolo significativo nel dare fondamento e giustificazione teologica al progetto del cattolicesimo intransigente italiano volto ad revocare i diritti civili ottenuti dagli ebrei nel Risorgimento. Questo progetto si sarebbe realizzato di lì a poco con il concordato del 1929 e le leggi razziali del 1938. Agostino Gemelli dedica nel 1924, nella rivista Vita e pensiero sarcastico necrologio dell'ebreo mazziniano Felice Momigliano in cui l'antisemitismo si mischia apertamente alla polemica politica antirisorgimentale (76). 

Il tentativo all'interno della Chiesa Cattolica di dare vita nel 1926 ad una associazione filo giudaica si arena il 25 marzo 1928 di fronte all'opposizione della Congregazione per la dottrina della fede di cancellare l'aggettivo perfidi con cui gli ebrei erano qualificati nella preghiera del Venerdì Santo. Fu sciolta nonostante fosse giunta a contare 19 cardinali, trecentoVescovi e tremila sacerdoti (77). Nel decreto di scioglimento si ribadivano i tradizionali principi della teologia della sostituzione pur aprendosi per la prima volta a una esplicita condanna dell'antisemitismo. 

L’aperto sostegno che alcuni autorevoli studiosi e teologi tedeschi dettero alla causa nazista negli anni dello sterminio resta uno dei capitoli più oscuri via della teologia Cristiana nel 900 e mostra quanto labile fosse il confine fra antigiudaismo religioso e antisemitismo razziale (78). 

Gli specialisti continueranno ad analizzare anche nel dopoguerra il pensiero di Paolo e la prospettiva tradizionale troverà il proprio superamento solo a partire dagli anni 70. Nella chiesa cattolica, con il Concilio Vaticano II si è posto un punto di non ritorno riguardo al rapporto tra chiesa e popolo ebraico. La dichiarazione Nostra aetate (1965) è stato un processo epocale di revisione autocritica, proseguito con la stesura di importanti documenti applicativi. 

80-81Se dall'epoca patristica in poi a regolare i rapporti tra ebrei e cristiani si erano affermate rispettivamente in Occidente e in Oriente, la linea della tolleranza in funzione soteriologica di Agostino e una linea maggiormente antigiudaica di Crisostomo, con la costituzione dei primi ghetti nell'Europa del secolo XVI, si oltrepassa la visione agostiniana poiché si cercherà, attraverso persecuzioni e vessazioni, a incentivare le conversioni degli ebrei. Il Paolo convertito diverrà così il modello e l'ispiratore della missione Cristiana agli ebrei. Lutero e la riforma, nell'affermazione di una radicale contrapposizione teologica tra salvezza per opere e giustificazione per fede, si spingono a piegare il pensiero Paolino in senso fortemente antigiudaico e forgiano un'immagine distorta e anacronistica dell'apostolo, come nemico del legalismo giudaico e pilastro dell'antigiudaismo Cristiano. 

In tempi recenti in conseguenza del dramma dello sterminio, questa immagine è stata apertamente messa in discussione sul piano teologico dal Concilio Vaticano II per mostrare tutta la sua inconsistenza sul piano storico. Il Paolo luterano è ormai apertamente messo in discussione, contestato e anche biasimato con sempre maggiore frequenza anche all'interno delle stesse confessioni protestanti. 

Paolo in sostanza era semplicemente Paolo un ebreo del suo tempo seguace di Gesù . Paolo è uno dei giganti che più profondamente ha ispirato la teologia Cristiana, nel bene come nel male. Con la sua costante presenza e l'autorità lui attribuita, egli ha cambiato il corso del cristianesimo e il cristianesimo a sua volta ha cambiato la sua immagine in qualche cosa di molto lontano dall'apostolo del primo secolo. I suoi testi sono stati usati come puntelli nella lotta contro la liberazione degli schiavi e delle donne che come importanti sostegni per l’antigiudausmo teologico. Paolo ha così assunto una reputazione sgradevole: l’apostolo dottrinario, irascibile, intollerante, anti-femminista, anti giudaico. Tra le idee strane al pensiero paolino ma comunemente attribuite a Paolo, va annoverata anche quella visione esclusiva Della salvezza, ancora oggi così familiare e cara ad alcuni gruppi integralisti cristiani, che fa di Paolo un profeta di sventura inviato ad annunciare la salvezza ai credenti ma perdizione a tutti coloro che non riconoscano in Cristo il loro Salvatore.



giovedì 1 maggio 2025

La vera manifestazione della divinità

Dio non si è dapprima nascosto sul Golgota nell’impotenza del Crocifisso per poi manifestarsi, il mattino di Pasqua, di persona, infine onnipotente. Al contrario, l’amore di Gesù Cristo che si lascia crocifiggere e che, soffrendo la morte fisica, discende fino al luogo in cui il peccatore è prigioniero del peccato (lo šceʾôl ossia gli inferi), è la rivelazione dell’amore del Dio trinitario che non opera mediante la forza, ma che è proprio così più forte della morte e del peccato. È appunto davanti alla croce che Marco fa dire al centurione pagano: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). Come affermava Papa Benedetto XVI nel suo libro su Gesù:

La Croce è la vera “altezza”. È l’altezza dell’amore “fino alla fine” (Gv 13,1); sulla croce Gesù è all’“altezza” di Dio, che è Amore. Lì si può “conoscerlo”, si riconoscere l’“Io Sono”. Il roveto ardente è la Croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’“Io Sono” e la Croce di Gesù sono inseparabili. 

(Nicea, Commissione teologica inter.)