mercoledì 16 luglio 2025

Dodicesimo grado dell’umiltà

 

Il capitolo 7 della Regola di San Benedetto tratta dell’umiltà, presentata come una scala a dodici gradini che conduce il monaco al culmine della perfezione cristiana. 

«Il dodicesimo grado dell’umiltà si raggiunge quando il monaco non solo con la bocca, ma anche con il cuore, si mostra sempre umile a Dio, rendendosi simile a quello che dice il profeta: 'Io invece ero sempre con te, tutto umile e pieno di dolore' (Sal 72,23), e ancora: 'Mi sono umiliato e il Signore mi ha salvato' (Sal 114,6)». 

Qui Benedetto distingue tra espressione esterna e disposizione interiore. L’umiltà non è solo apparenza, linguaggio pio o postura fisica, ma una verità del cuore. Il monaco vive costantemente in presenza di Dio, consapevole della sua povertà radicale e della grandezza divina. Questo passaggio segna il compimento del processo di purificazione interiore. L'umile non si finge piccolo, è piccolo e lo riconosce serenamente.

 In ambito spirituale, si parla qui di "unità interiore": non c’è più divario tra ciò che si dice, si fa e ciò che si è. È la trasparenza dell’anima.

 Il riferimento biblico – Salmo 72(73),23: "Io ero sempre con te, tutto umile e pieno di dolore".

Questo versetto, tratto dalla Vulgata, indica un'anima che rimane con Dio anche nella prova. L’umile non si separa da Dio nel dolore, ma vi si aggrappa. Questa presenza continua è il segno della fedeltà profonda. Non è un’umiltà passiva, ma una scelta consapevole di camminare nella fiducia anche nei momenti di buio o afflizione. L’umile ha una intimità stabile con Dio.

"Mi sono umiliato e il Signore mi ha salvato" (Sal 114 (116),6). Questo secondo versetto è fondamentale. Esprime il legame tra umiliazione e salvezza. L'umiltà non è fine a sé stessa, ma è la via per essere toccati dalla grazia. 

Qui troviamo la dinamica evangelica: “Chi si umilia sarà esaltato” (Mt 23,12). 

La salvezza (culminante), in San Benedetto, non è guadagnata con la forza o il merito, ma è ricevuta da chi si svuota di sé per fare spazio a Dio (kenosi). 

Nel 12° grado, il monaco: è pacificato interiormente, vive in continua presenza di Dio, non ha più bisogno di forzare la virtù: l'umiltà è diventata la sua natura trasformata. È la beatitudine dei poveri in spirito (Mt 5,3): non un’assenza di valore, ma un cuore libero. Il modello implicito di questo grado è Cristo stesso, che “spogliò sé stesso” (Fil 2,6-11). L’umile è configurato a Cristo, non tanto nell’azione eroica, quanto nella relazione filiale con il Padre. "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Secondo i Padri del deserto, Dio dimora solo nei cuori umili. Non si tratta di sminuirsi in modo distruttivo, ma di diventare trasparenti alla grazia. L’umiltà è la verità su di sé davanti a Dio.

Per Benedetto, l’umiltà è l’atteggiamento essenziale dell’uomo redento: chi si riconosce fragile non si dispera, ma si affida. E così trova salvezza. 

Il 12° grado non è una partenza, ma un arrivo. Nessuno inizia da lì. È il frutto:

 della lotta ascetica, della fedeltà quotidiana, dell’obbedienza, della pazienza nelle prove, della vittoria sulla vanagloria. In sintesi: Il dodicesimo grado dell’umiltà è la pienezza della vita spirituale benedettina: l’umiltà non è solo virtù, ma forma dell’esistenza trasformata dalla grazia. Il monaco che lo vive è totalmente radicato in Dio, libero da ogni pretesa di sé, semplice, vero, pacificato. In lui si realizza la parola di Gesù: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli."



Per Climaco, l’umiltà è al 29° gradino, appena prima dell’agape. Egli dice:

 “L’umiltà è un dono divino, e non si può descrivere con parole: essa è una grazia ineffabile dell’anima.” (Scala, gradino 25). Entrambi vedono nell’umiltà una virtù infusa, un segno di presenza di Dio, non solo frutto di sforzo umano. 

Climaco parla di una umiltà combattuta, spesso accompagnata da dolore spirituale, da un senso profondo della propria indegnità davanti a Dio. arriva a dire: “L’umiltà è un abisso di autoconoscenza… l’anima che la possiede si giudica peggiore di tutti.” (Scala, gradino 25).

Climaco: l’umile vive nell’accusa di sé costante, e questa lo mantiene vigilante: “Il segno dell’anima che ha ricevuto il dono dell’umiltà è che non si oppone a chi la umilia.”. Nonostante le differenze culturali e stilistiche, entrambi condividono una visione profondamente cristocentrica: L’umiltà è partecipazione al mistero di Cristo umiliato.

Non è una virtù “sociale” o solo morale, ma teologale: ci pone nella verità davanti a Dio. È anticamera della carità perfetta.



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