lunedì 8 dicembre 2025

Accoglienza reciproca nella Chiesa

Pieve di Romena
in Casentino (Ar)
Lettera ai romani 

Capitolo 14

Paolo, dopo aver parlato del rapporto tra i cristiani con le autorità, tratta ora una seconda questione specifica che gli stava molto a cuore: spegnere la discordia tra i credenti che provenivano dall’ebraismo (giudeo-cristiani) e i credenti che provenivano dal paganesimo (etno-cristiani). Gli ebrei erano abituati a rispettare rigorose norme di carattere alimentare. La Legge, di per sé, proibiva soltanto l’astensione dagli animali definiti impuri ma alcune correnti giudaiche avevano esteso questa proibizione fino a proibire il consumo di tutte le carni (Cf Dn 1,8-16). Inoltre avevano stabilito altre pratiche ed osservanze in certe scadenze del calendario (14,5). 

I giudeo-cristiani, anche dopo il Battesimo, continuavano a seguire tali pratiche. Questo comportamento suscitava un certo disappunto da parte degli etnocristani. Forse alcuni di loro, per evitare tensioni, trasgredivano delle norme alle quali, però, si sentivano obbligati in coscienza. Diventavano allora persone “deboli”, a rischio di peccare, rispetto agli altri che liberi da scrupoli, si sentivano “forti”. L’apostolo invita tutti all’accoglienza reciproca evitando atteggiamenti di disprezzo o di condanna gli uni contro gli altri (14,10-12). Devono imitare l’accoglienza verso tutti manifestata da Dio stesso (14,3). Tutti infatti adottano un loro particolare stile di vita animati dal desiderio di essere fedeli al Signore Gesù, il quale ha il potere di rendere ogni credente capace di fedeltà secondo la sua particolare convinzione (14,4). Tutti appartengono a lui durante questa vita ed anche oltre la morte (14,8). Bisogna evitare che, proprio all’interno della comunità, qualcuno cada in peccato trascinato da altri a trasgredire ai dettami di coscienza (14,15). Ogni credente è prezioso agli occhi del Signore il quale ha donato la sua vita per tutti (14,15). A suo parere, non esiste una differenza religiosa tra i cibi e nessun alimento è impuro (14,14). Il Regno di Dio introdotto da Gesù è interessato a far acquisire beni spirituali molto più rilevanti (14,17) ma, proprio la novità creata dal Signore esige un profondo rispetto reciproco fondato sulla carità (14,21). Bisogna imparare a ridimensionare le proprie convinzioni, non vincolanti, quando questo è necessario per favorire la comunione. 

1Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni. 2Uno crede di poter mangiare di tutto; l’altro, che invece è debole, mangia solo legumi. 3Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui. 

«Considerate la prudenza di Paolo e vedete come qui egli dimostra la sua consueta saggezza in ciò che dice delle due categorie di fedeli: esprime loro un rimprovero moderato. Non osa dire (agli ex-pagani) che rimproveravano gli altri: fai male [a deridere gli ebrei]. Non vuole neppure che i Giudei persistano nelle loro osservanze. Non dice loro: fate bene [a conservare le pratiche legali], per non consolidarli ancora di più. I più deboli sono sempre quelli che richiedono più cure. Pertanto, rivolgendosi subito ai più forti [etno-cristiani], dice loro: [c’è] chi è ancora debole nella fede. Denominare qualcuno così è mostrare che è malato. Accoglietelo con carità: questo invito dimostra ancora una volta che ha bisogno di molte cure e che la malattia è grave. 

I più progrediti deridevano quelli che chiamavano uomini di poca fede, cristiani sospetti che continuavano a “giudaizzare”. Questi ultimi [i giudeo-cristiani] giudicavano i loro accusatori; li rimproveravano di infrangere la legge per soddisfare la loro gola (il che era vero per un buon numero di gentili). Per questo l'apostolo aggiunge: Dio ha preso al suo servizio [anche chi era pagano]. Perché allora lo rimproveri di non sottostare alla legge? Dio ha accolto anche lui, cioè gli ha comunicato la sua grazia ineffabile e lo ha assolto da ogni accusa» (CLR 25,1). 

4Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone. Ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di tenerlo in piedi. 

«Quando dice starà in piedi, l'apostolo lo mostra vacillante, bisognoso di attenzione, di grande cura. Viene invocato Dio stesso per guarirlo: Egli è onnipotente per renderlo saldo. Questo è il linguaggio che usiamo quando i malati sono quasi nella disperazione. Per evitare la disperazione, chiama questo malato un servo: Chi sei tu, per giudicare il servo altrui? Un nuovo rimprovero indiretto! Non è perché la sua condotta non sia degna di giudizio che ti proibisco di giudicarlo, ma perché è il servo di un altro; il che significa che non è tuo, ma di Dio. Se rimane saldo o se cade: sia l'uno che l'altro di questi due stati, in entrambi i casi, è affare del Signore perché è lui che soffre la perdita quando il servo cade, e, quando rimane saldo, il guadagno è del Signore. Non potrebbe rimproverare più fortemente questo zelo indiscreto. Dice: Dio che subisce la perdita, soffre senza lamentarsi. Quale zelo intempestivo, quale eccesso di ansia non mostri, nel tormentare, nell'inquietare chi non fa come te?» (CLR 25,2)

5C’è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però sia fermo nella propria convinzione. 6Chi si preoccupa dei giorni, lo fa per il Signore; chi mangia di tutto, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio.

«Non si tratta qui di decisioni [etiche] capitali: ciò che bisogna sapere, infatti, è se l'uno o l'altro si comporta in vista di Dio, se, da entrambe le parti, si finisce per rendere grazie a Dio. Ebbene! Entrambi benedicono Dio. Pertanto, poiché da entrambe le parti Dio è benedetto, non c'è molta differenza» (CLR 25,2). 

7Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 

«Non siamo liberi; abbiamo un Signore che desidera la nostra vita, non la nostra morte. Egli si interessa della nostra morte e della nostra vita più di noi. Con ciò dimostra infatti di prendersi cura di noi più di quanto noi ci prendiamo cura di noi stessi, di considerare la nostra vita un tesoro per lui e la nostra morte una perdita. È sufficiente, per dimostrare che Dio si prende cura di noi, dire che viviamo per lui e che moriamo per lui. Fornisce poi un'altra prova, un segno lampante della provvidenza di Dio. Qual è questo segno? Per questo stesso motivo Gesù Cristo morì e risuscitò: per avere dominio sui morti e sui vivi. Siate dunque convinti che egli è sempre preoccupato per la nostra salvezza e per la nostra perfezione. Se infatti la sua provvidenza non si fosse preoccupata così tanto di noi, che necessità avrebbe avuto di incarnarsi tra noi? Lo zelo di farci sue membra lo portò ad assumere la forma di schiavo, fino alla morte. Dopo tali prove, ci avrebbe disprezzato? No, no; non avrebbe voluto perdere ciò che gli era costato così caro» (CLR 25,2). 

10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, 11perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. 12Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. 13D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.

«L'apostolo continua con tono più mite: tu perché condanni il tuo fratello? Il titolo di fratello che usa pone fine alla lite. Poi ricorda il terribile giorno del giudizio» (CLR 25,3). 

14Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. 15Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto! 16Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete! 

«Nulla è impuro, dice l'apostolo, se non per chi pensa che sia impuro. Perché allora non correggere il fratello, affinché si ricreda dal pensare che qualcosa è impura? Temo, dice l'apostolo, di contristarlo. Perciò aggiunge: se, mangiando qualcosa, contristi il tuo fratello, da allora in poi non cammini secondo la carità. Vedete come l'apostolo concilia i cuori? Mostra al debole cristiano di avere così tanta considerazione per lui che, per non rattristarlo, non osa nemmeno prescrivergli ciò che sarebbe tuttavia molto necessario, preferendo attirarlo con una condiscendenza piena di carità. Avendogli tolto la paura, non gli fa violenza, ma gli lascia il pieno controllo della sua condotta. Infatti, il vantaggio di far rinunciare a qualcuno un tipo di cibo non vale lo svantaggio di rattristare il fratello. Vedete fino a che punto spinge lo zelo della carità? Per questo aggiunge queste parole: Non distruggere con il tuo cibo colui per il quale Gesù Cristo è morto. Non stimi abbastanza tuo fratello da acquistare, anche a prezzo dell'astinenza, la salvezza della sua anima? Cristo ha fatto il sacrificio più grande, e tu non farai il minimo? Eppure lui è il Signore, e tu sei un fratello» (CLR 26,1). 

17Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: 18chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. 20Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo!

«Come nuova ragione per porre fine ai timidi scrupoli dell'uno, allo spirito contenzioso dell'altro, dice: il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere. È per questo che possiamo essere giustificati? Quali sono dunque i titoli che ci danno accesso al cielo? Giustizia, pace, gioia, pratica della virtù, concordia fraterna, che sono ostacolati da tali dispute; la gioia dell'armonia che è rovinata da tali rimproveri. Queste riflessioni l'apostolo le ha rivolte non a una sola delle due parti, ma a entrambe contemporaneamente, perché c'è l'opportunità di farle comprendere a entrambi. Le vostre lotte, le vostre dispute, i problemi che causate, le divisioni che provocate nella Chiesa, i vostri insulti al vostro fratello, il vostro odio contro di lui, eccitano maldicenze dall'esterno, così che non solo, con ciò, non correggete nulla, ma producete un effetto completamente contrario. Il vostro bene è la carità, l'amore fraterno, l'unione, la concordia, la pace, una vita dolce e clemente» (CLR 26,1).

Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. 21Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. 22La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. 23Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato.

«Per evitare che le concessioni fatte rafforzassero il più debole nei suoi errori, l'apostolo si rivolge a lui e lo rimprovera: tutti i cibi siano puri, ma un uomo fa male a mangiarli, quando lo fa con una cattiva coscienza. Quindi se hai costretto tuo fratello con la forza e lui ha mangiato, non ci sarebbe alcun profitto; non è il cibo che contamina, ma l'intenzione di chi mangia. Se, quindi, non correggi questa intenzione, tutti i tuoi sforzi sono vani e hai solo fatto del male; perché c'è una grande differenza tra credere semplicemente che un cibo sia impuro e mangiarlo quando si crede che lo sia. Quando, quindi, violi quest'anima debole, pecchi doppiamente: accresci il suo pregiudizio combattendolo, la costringi a mangiare qualcosa che crede impuro. Pertanto, finché non hai operato la persuasione, non esercitare costrizione. L'apostolo è più esigente; non gli basta che ci asteniamo dalla costrizione, vuole anche che abbiamo condiscendenza verso il cristiano giudaizzante. Egli stesso, infatti, ha spesso dato l'esempio, come quando circoncise il suo discepolo, quando gli rasò i capelli, quando fece le oblazioni legali. Nulla può essere paragonato alla salvezza del vostro fratello. E questo è ciò che Cristo ci mostra a sufficienza, lui che è disceso dal cielo, che ha sofferto ogni cosa per noi. 

Non obiettarmi, dice l'apostolo, che il tuo fratello agisce senza ragione, ma che tu puoi correggerlo. La sua debolezza è una ragione sufficiente per venire in suo aiuto, soprattutto perché non ti reca alcun danno. La tua condiscendenza non sarà ipocrisia, ma un'indulgenza edificante e saggia. Se usi costrizione con lui, ti resiste, ti condanna e persiste nel suo pregiudizio e nel suo scrupolo; se, al contrario, ti trova indulgente, si affeziona a te; il tuo insegnamento non gli sembra sospetto e ti permette di seminare gradualmente i semi della verità in lui. [Al contrario] dal momento in cui ha concepito odio contro di te, tu stesso avrai chiuso ogni accesso alle tue parole nella sua anima. Perciò non costringerlo, ma per il suo bene astieniti; Non perché consideri impuro il cibo, ma perché saresti per lui motivo di scandalo; in questo modo aumenterai il suo affetto per te» (CLR 26,2). 

Capitolo 15

Nei primi versetti (1-13) riprende e conclude l’argomento sviluppato nel capitolo precedente. Ogni credente deve cercare di edificare il prossimo e evitare ogni motivo di scandalo. Si tratta di di imitare lo stile di vita di Gesù. In tutta la vita non curò mai il proprio interesse ma si spese per quello degli altri (15,3.7); non soltanto li beneficò ma accettò con pazienza i loro insulti. Lo attesta la Sacra Scrittura che offre sempre un insegnamento molto utile per consolidare la nostra speranza. I membri della comunità, provenienti da culture diverse, devono accogliersi imitando Gesù che si pone a servizio degli Ebrei per attuare la promessa di Dio ai Padri e che serve anche i pagani per manifestare la sua misericordia. 

L’apostolo ha esaurito tutte le sue istruzioni e comincia a congedarsi dalle comunità. Ora deve chiedere il loro aiuto e per questo riprende ad usare un linguaggio molto dimesso. Non è il loro fondatore e neppure una loro guida specifica. Si scusa di aver voluto impartire istruzioni, comunicando loro insegnamenti che già conoscevano. Detto questo, richiama ciò che più gli interessava. Ricorda che egli è un servitore di Cristo, accreditato da lui. Ha realizzato in modo magnifico l’incarico ricevuto. È come un sacerdote che offre a Dio non vittime sacrificali ma una miriadi di persone che si dedicano a Dio, così che la sua missione è un vero atto di culto. Questo è stato reso possibile per il fatto che Cristo stesso ha agito per mezzo di lui. 

Essere graditi al prossimoo

1Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. 2Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. 

«Vedete come li esalta con queste parole lusinghiere, in cui non solo li chiama forti, ma li mette anche sullo stesso piano di sé? E fa di più, li prende per l'idea di utilità, senza dire loro nulla di penoso. Voi siete forti, dice loro, e se usate condiscendenza non vi fate alcun male; ma l'infermo corre i rischi maggiori se non è sostenuto. Ora non parla di infermi, ma delle debolezze degli infermi, per suscitare la compassione dei fedeli. Siete diventati forti? Rendi la ricompensa a Dio che vi ha creati tali; sarete graditi a lui, se aiuterete gli ammalati a risorgere. Anche noi eravamo deboli, ma la grazia ci ha resi forti.

Questa condotta non si deve osservare solo nelle debolezze della fede, ma anche in ogni altra debolezza. Ad esempio, se un uomo è incline all'ira, o è incline a pronunciare parole violente, o ha qualche altro difetto, sopportatelo. Non cerchiamo la nostra soddisfazione personale. Ciascuno di voi si sforzi di soddisfare il prossimo in ciò che è buono e può edificarlo. Sei forte Lascia che l'infermo senta la tua forza; fagli sapere per esperienza qual è la tua forza, pensa a soddisfarlo» (CLR 27,2). 

3Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me. 

«Di nuovo ricorre a Cristo. Questo è ciò che l'apostolo non manca mai di fare. Quando parla dell'elemosina, indica Cristo, dicendo: Voi conoscete la bontà del nostro Signore Gesù Cristo, che, essendo ricco, si è fatto povero per noi (2 Cor 8,9); per persuadere alla carità, si affida di nuovo a Cristo, dicendo: Come Cristo ci ha amati ( Ef 5,25); e quando consiglia di sopportare la vergogna e affrontare i pericoli, ricorre di nuovo a Cristo, dicendo: il quale, invece della vita felice, che avrebbe potuto godere, sopportò la croce e disprezzò la vergogna (Eb 12,2). Ecco l'apostolo propone Gesù Cristo come esempio, chiedendo [al forte] di portare le infermità altrui, e cita un oracolo dei profeti: Come sta scritto: Gli oltraggi fatti a voi sono ricaduti su di me. Ma ora, che cosa significano queste parole: Non cercò di piacere a se stesso? Non avrebbe potuto sopportare i rimproveri, non avrebbe potuto soffrire ciò che ha sopportato, se avesse voluto pensare solo ai propri interessi. Ma non volle. Pensando solo a noi, non pensò più a se stesso» (CLR 27,2). 

4Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. 

L'apostolo rafforza poi i fedeli contro le tentazioni che dovranno subire, dicendo: Tutto ciò che è stato scritto è stato scritto per nostra istruzione, affinché conserviamo la speranza mediante la pazienza e la consolazione che ci danno le Scritture, cioè affinché non cadiamo. In effetti, i conflitti sono di mille tipi, interiori ed esteriori, e l'apostolo vuole che noi, rafforzati e confortati dalle Scritture, mostriamo la nostra pazienza; che la perseveranza nella pazienza sia per noi perseveranza nella fede. Esse si generano a vicenda, la speranza produce pazienza, la pazienza produce speranza, ed entrambe nascono dalle Scritture (CLR 27,2). 

5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, 6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

«L'apostolo qui trasforma di nuovo le sue esortazioni in preghiere. È nella natura della carità avere per gli altri gli stessi sentimenti che si hanno per sé (CLR 27,2). Poi, per dimostrare che non raccomanda un amore qualsiasi, aggiunge: sull’esempio di Cristo Gesù. Questa è l'abitudine costante di Paolo; perché non c'è un altro amore oltre a questo. Qual è il frutto della concordia? Con un solo animo e una voce sola rendere gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non dice soltanto: Con una sola bocca, ma prescrive la comunione delle anime. Vedete come cementa ulteriormente l'unione di tutto il corpo della Chiesa e come conclude glorificando Dio? (Cf CLR 27,3)

7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. 

«Cediamo dunque a questo desiderio di Cristo, uniamoci strettamente gli uni agli altri. Se qualcuno vuole separarsi da voi, non separatevi, non pronunciate queste fredde parole: chi mi ama, io amo; se il mio occhio destro non mi amasse, lo caverei: queste sono parole di Satana, degne dei pubblicani, e che ispirano l'odio dei pagani. Siete chiamati a una vita superiore, siete iscritti in cielo, siete soggetti a leggi più nobili. Non fate dunque tali discorsi. Chi non vuole amarvi, circondatelo di un affetto più vivo, per attirarlo a voi; è uno dei vostri membri. Quando uno dei nostri membri viene separato dal resto del nostro corpo, facciamo di tutto per riunirlo, allora lo circondiamo di più cura e attenzione. Maggiore sarà la vostra ricompensa se attirerete a voi colui che non vi amerà. Se il Signore ci comanda di invitare alla nostra mensa coloro che non possono ricambiare, e questo affinché la nostra ricompensa sia accresciuta, quanto più dovremmo comportarci allo stesso modo nell'amicizia. Perché colui che ami, e che ti ama, ti ha pagato ciò che ti è dovuto, mentre colui che ami e che non ti ama, ha sostituito Dio al suo posto come debitore verso di te. Colui che ti ama non ha bisogno di tutta la tua sollecitudine; al contrario, colui che non ti ama è colui che ha bisogno del tuo aiuto. 

Del resto, è impossibile che chi ama diventi così facilmente oggetto di odio; una bestia selvaggia risponde all'affetto che si ha per lei con affetto; questo è ciò che, dice il Signore, fanno i pagani e i pubblicani (Mt 5, 46-47). Praticate dunque questa carità; non stancatevi di ripetere: Quanto più mi odiate, tanto più vi amerò. Ecco una parola che placa tutte le liti, che ammorbidisce tutti i cuori. Questa malattia dell'odio è o un'infiammazione o un raffreddamento; in entrambi i casi il dolce calore della carità opera la cura» (CLR 27,3).

8Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; 9le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. 10E ancora: Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo. 11E di nuovo: Genti tutte, lodate il Signore; i popoli tutti lo esaltino. 12E a sua volta Isaia dice: Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni: in lui le nazioni spereranno. 

«Parla della sollecitudine di Cristo, per mostrare quanto Cristo abbia fatto per noi, senza pensare al proprio vantaggio. Dimostra che sono i Gentili i più debitori a Dio. Ora, se sono i più debitori, è giusto che sopportino le debolezze degli Ebrei. Mostra che le benedizioni concesse agli Ebrei, sono state elargite in virtù delle promesse fatte ai loro padri; quanto ai Gentili, devono queste benedizioni solo alla misericordia, alla bontà di Dio. Gesù Cristo divenne ministro del vangelo per i Giudei, per adempiere le promesse fatte ai loro padri. Alla sua venuta, il Figlio di Dio, cooperando con il Padre, fece sì che queste promesse si adempissero. Quanto ai pagani, devono glorificare Dio per la sua misericordia. Ciò significa: gli ebrei, benché indegni, hanno ricevuto gli effetti della promessa; ma voi, che non avevate ricevuto neppure una promessa, è per un puro effetto della bontà di Dio che siete stati salvati» (CLR 28,1)

13Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo. 

Prego «affinché la vostra speranza abbondi, cioè affinché troviate non solo consolazione nelle vostre tribolazioni, ma gioia nell'abbondanza della fede e della speranza. Perché con questo attirerete lo Spirito; con questo conserverete tutti i beni con il suo aiuto. Come il cibo sostiene la nostra vita e la vita distribuisce il cibo, così se abbiamo le cose giuste, avremo lo Spirito; e se abbiamo lo Spirito, avremo buone opere. E allo stesso modo, è vero anche il contrario: se non abbiamo le cose, anche lo Spirito ci sfugge. Se perdiamo il sostegno dello Spirito, inciampiamo subito nelle nostre opere: perché una volta che lo Spirito se ne va, arriva l'impuro» (CLR 28,2). 




Nessun commento:

Posta un commento