giovedì 5 giugno 2025

1. NICEA. TEOLOGIA

 

La Chiesa, fin dai primordi, ha onorato Gesù come Figlio di Dio, come vero Dio. Lo attesta in primo luogo la formula battesimale: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 

Gli ariani stessi considerano Gesù come dio, anche se non come Dio vero. Nicea preciserà che Egli non è soltanto Dio ma «Dio vero, da Dio vero». 

Perché una persona divina poteva essere considerata un dio, senza essere riconosciuta come Dio vero?

Nel mondo antico si riteneva che l’essere divino appartenesse a personalità particolari (gli eroi, gli imperatori). Il titolo imperiale di Augusto (in greco Sebastòs), significava degno di venerazione. Nella mentalità greco-romana un uomo poteva essere dichiarato dio.

Nel platonismo divine erano le Forze che avevano dato origine al cosmo: dall’Uno, cioè l’entità massima divina, emana il Nous (o Intelletto), la quale è inferiore rispetto all’Uno; dal Nous emana l’Anima, a sua volta inferiore al Nous da cui proviene. 

Nell’ebraismo del tempo immediatamente prima di Cristo (epoca del secondo Tempio) tra il mondo e Dio erano state poste una serie di personalità celesti che fungevano da mediatori tra gli uomini e il Signore stesso (Enoc, Melchisedek, il Figlio dell’uomo). Anche le qualità di Dio venivano personificate e considerate esistenti nel cielo (ad esempio la Sapienza). 

Nell’ebraismo si pensava che qualsiasi personaggio divino (o qualsiasi qualità di Dio) fosse stato creato da lui. Essendo creature, non potevano mai porsi alla pari di Lui. Il mondo celeste sussisteva in una scala gerarchica e al sommo di essa stava soltanto Dio. 

Gli ariani ereditarono questo modo di pensare tipico del mondo antico. Accettando il culto tradizionale della Chiesa, ritennero che Gesù fosse da onorare come dio, ma anche che fosse soltanto una semplice creatura perfetta. Gesù era il personaggio più elevato nella scala degli esseri divini ma doveva essere posto al di sotto del Padre. Il titolo di vero Dio spettava soltanto a Dio Padre, l’Ingenerato (cioè Eterno). 

I Niceni rilevarono che Dio aveva proibito  di venerare qualsiasi creatura, quand’anche la più perfetta, ed esercitare questo culto sarebbe stato un atto idolatrico (Ap 22,8-9). 

Fissarono una demarcazione netta tra il mondo divino e quello non divino, tra l’Increato e il creato. Soltanto l’Increato (quindi eterno) poteva essere adorato come Dio mentre gli esseri creati non potevano in alcun modo essere considerati delle divinità e onorati come tali. 

2. Perché gli ariani pensavano che Gesù, venerato anche da loro come Figlio di Dio, non fosse eterno come il Padre e quindi appartenesse anche Lui al mondo creato? Confusero il generare con il creare. Dire che Gesù era stato generato, secondo loro, equivaleva a dire che era stato creato. 

Nicea definì la differenza esistente tra generare e creare: «Generato, non creato». 

Gli ariani concepivano la generazione divina del Figlio di Dio alla stessa stregua di quella umana. In questa un genitore esiste prima del figlio; un figlio, prima di essere generato, non esiste. Ritenevano quindi che Gesù non esistesse da sempre (come invece esisteva Dio Padre) ma che provenisse dal nulla, come ogni altra creatura e che ci fosse stato un momento nel quale il Verbo (o il Figlio o il Cristo) ancora non esisteva. Dapprima (o da sempre) esisteva soltanto Dio Padre ed in seguito, in un frangente successivo, quando fu creato dal nulla, cominciò ad esistere anche il Figlio. 

Secondo i Niceni, invece, questa concezione confliggeva con la logica (filosofica) e con la Sacra Scrittura (neotestamentaria). 

Dal punto di vista razionale, Dio, essendo per natura perfetto, non può subire alcun mutamento (né migliorare né peggiorare). Non poteva, quindi, ad un certo momento della sua esistenza, accrescere la sua grandezza diventando padre. Egli era stato Padre da sempre e quindi da sempre aveva un Figlio. Generare un Figlio avrebbe provocato un mutamento in se stesso mentre Egli è Immutabile. 

Inoltre nell’eternità non esiste il tempo, il passaggio da un prima ad un dopo. Il tempo appartiene alla creazione. Dio Padre è sempre Padre e il Figlio che proviene da Lui esiste da sempre come Figlio. 

Nicea ribadì ed espose con maggior chiarezza la fede tradizionale della Chiesa che confessava una generazione eterna del Figlio, come lo splendore esiste in modo contemporaneo alla luce da cui promana: è «irradiazione della sua gloria» (Eb 1,3) («Dio da Dio, Luce da Luce»). Un concetto non facile da acquisire.

La Scrittura, a sua volta, afferma che il Verbo pre-esisteva presso Dio da sempre; «prima di tutti i secoli» equivale a dire dall’eternità. Il Vangelo afferma che il Verbo «era» presso Dio e che «era Dio» (Gv 1,1) e non che ha cominciato ad esistere perché «era» da sempre. Dio è per se stesso amore perché è relazione d’amore e il Verbo era da sempre «rivolto al seno del Padre» (Gv 1,18). 

In sintesi, a Nicea si discusse non tanto sulla divinità di Gesù (ammessa da tutti, con maggiore o minore precisione) ma sulla coeternità del Verbo con il Padre. Se Gesù esisteva da sempre presso Dio, mediante una generazione eterna, era eterno come il Padre, quindi era «vero Dio come Lui». Il termine della «stessa sostanza» significava che Egli era coeterno con il Padre. Egli doveva essere posto al di sopra della linea di demarcazione che distingue l’essere eterno dalla creatura. 

3. La questione non fu soltanto una diatriba intellettuale, di carattere dogmatico astratto. 

a) Se Gesù non è Figlio di Dio uguale al Padre, ma è soltanto una creatura, rimaniamo al livello dell’Antico Testamento, dove a parlarci di Dio erano delle semplici creature (i profeti e i sapienti) per quanto sante e profonde. In realtà come troviamo esposto nella Lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Gesù inaugura così l’escaton (la nuova creazione). Egli è l’immagine perfetta di Dio, «impronta [calco] della sua sostanza» (Eb 1,3). Rappresenta la verità piena: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio Unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). 

b) Soltanto se Gesù è Dio che vive nel seno del Padre, nella sua incarnazione, viene reso manifesto l’impegno di Dio Padre per gli uomini. Egli non ci dona una sua creatura ma se stesso, nel suo Figlio. «Nel Cristo, Dio ci salva entrando nella storia. Non invia un angelo o un eroe umano, ma viene lui stesso nella storia degli uomini, nascendo da una donna, Maria, nel popolo d’Israele, e morendo in un periodo storico preciso, «sotto Ponzio Pilato». «Il Figlio, luce di Dio e vero Dio, s’incarna, soffre, muore, discende allo sheol e risuscita. Si tratta ancora qui di una novità inaudita. La difficoltà di Ario non riguardava solo l’unità di Dio, incompatibile con la generazione di un Figlio, ma anche la comprensione della sua divinità, incompatibile con la passione di Cristo. Eppure, è proprio nel Cristo e soltanto nel Cristo che noi comprendiamo ciò di cui Dio stesso è capace, al di là di tutti i limiti posti dalle nostre precomprensioni. Dio Altissimo discende quanto più in basso in Gesù Cristo (cf. Fil 2,5-11). Tutta la Trinità è coinvolta, ciascuna persona in maniera singolare, nella passione salvifica di Cristo. Così, la passione ci rivela il senso realmente divino della “onnipotenza”. L’onnipotenza del Dio trinitario è identica al dono di sè e all’amore. Il Redentore crocifisso non è quindi la dissimulazione, ma la rivelazione dell’onnipotenza del Padre» (Commissione teologica internazionale, Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). 

c) Soltanto se Gesù è vero Dio, noi veniamo elevati fino al Padre insieme a Lui. San Leone commentava così il significato della festa dell’Ascensione: «Oggi ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura [umana] è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l'altezza di tutte le potestà. L'intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su una arcana serie di azioni divine per le quali l'amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi». 



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