Capitolo 12
Nel capitolo attuale e in quelli seguenti (13-15), espone quale deve essere la risposta degli uomini all’iniziativa divina, dopo aver riconosciuto la sua misericordia così sorprendente.
1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Paolo comincia rievocando la misericordia divina. Parakalò: chiedo a voi, vi supplico, vi incoraggio ad accogliere le conseguenze pratiche di quanto vi ho annunciato riguardo all’agire di Dio. Avete ora la possibilità di offrirvi a lui in dono, imitando la sua carità. Nel loro culto, i pagani e gli ebrei offrono dei sacrifici di cose o di animali, mentre Dio chiede che la vostra vita diventi un atto di culto.
«Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo» (Sal 40,7-9). «Chi osserva la legge vale quanto molte offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva. Chi ricambia un favore offre fior di farina, chi pratica l’elemosina fa sacrifici di lode. Cosa gradita al Signore è tenersi lontano dalla malvagità, sacrificio di espiazione è tenersi lontano dall’ingiustizia» (Sir 35,1-5).
«Dopo aver parlato a lungo della generosità di Dio e aver mostrato la sua infinita bontà, che nessuno può sondare, la ripropone per spingere coloro che hanno ricevuto tanti doni e tanti benefici a rendersene degni con la loro condotta. Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, affinché il vostro culto sia spirituale. Come può il corpo essere offerto in sacrificio? Non fissi il tuo occhio nulla di male e diventerà un sacrificio; non pronunci nulla di iniquo e diventerà un'offerta; non faccia nulla di contrario alla legge e diventerà un olocausto. Questo non basta ma dobbiamo aggiungervi la pratica delle buone opere, affinché la mano faccia l'elemosina, la bocca ricambi con benedizioni le maledizioni e l'orecchio si applichi diligentemente all'ascolto della parola di Dio. Il culto ebraico [del tempio] presentò a Dio un corpo morto mentre il nostro culto rende più vivo ciò che viene immolato, perché è mortificando le nostre membra che possiamo vivere. Se quando Elia offrì una vittima visibile, una fiamma discesa dal cielo consumò tutto (l'acqua, la legna, persino le pietre) quanto più accadrà lo stesso a te. Se hai ancora qualcosa di carnale, ma presenti il culto con cuore retto, il fuoco dello Spirito scenderà, consumerà tutto questo e completerà il sacrificio» (CLR 21,1).
2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
Dovete distinguervi sempre di più dal modo di pensare e di agire degli altri uomini, ma soprattutto comprendere sempre meglio ciò che il Signore vi chiede e vi dona la possibilità di fare (12,2). Più che seguire delle norme fissate, lasciatevi trascinare dalla forza della carità.
«L'uomo è soggetto a peccare ogni giorno, perciò l'apostolo consola il suo ascoltatore, dicendo: rinnovatevi ogni giorno. Fate a voi stessi ciò che facciamo alle nostre case, riparando i danni causati dal tempo. Avete peccato oggi? Avete fatto invecchiare la vostra anima? Non scoraggiatevi, ma rinnovatela con il pentimento, facendo il bene e, in questo, non venite mai meno» (CLR 21,1).
Molti «ignorano ciò che è loro utile, non conoscono la volontà di Dio: due cose che sono una sola. Dio vuole ciò che è utile per noi; e ciò che è utile per noi è ciò che Dio vuole. Ora, cosa vuole Dio? Che viviamo in povertà, in umiltà, nel disprezzo della gloria, nella temperanza; in breve, nella pratica di tutte le virtù che ci ha comandato. La maggior parte degli uomini, tuttavia, le rifiuta come cose odiose, tanto sono lontani dal considerarle utili e come espressione della volontà di Dio» (CLR 21,1).
3Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. 4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. 6Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; 7chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; 8chi esorta si dedichi all’esortazione.
La carità esige l’edificazione di una comunità e questa presuppone la rinuncia ad ogni atteggiamento egoistico. La comunità è un unico corpo composto da molte membra ed ognuna esercita la sua funzione con diligenza a vantaggio di tutti (12,6-8). L’apostolo elenca le azioni a cui si deve dare la prevalenza e gli atteggiamenti interiori con i quali vanno accompagnate. «Da dove viene la tua alta opinione di te stesso? O perché un altro disprezza se stesso? È da Dio che tutto vi è venuto. Voi avete solo ricevuto, non siete voi ad aver trovato qualcosa. Pertanto, trattando di doni e grazie, l'apostolo non dice: questo ha ricevuto un dono maggiore, quello, invece, minore. Che cosa dice? Ognuno ha il suo dono diverso (Cf 1 Cor 7,7). Che importa infatti che non vi siano stati affidati gli stessi beni, se il corpo è lo stesso?» (CLR 21,1).
Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
«Dopo aver parlato dello spirito di profezia e del ministero, conclude con l'elemosina, per la cura e la protezione che si dimostra per gli altri. Era probabile che alcuni fedeli fossero dotati di virtù, senza avere il dono della profezia. Per consolarli, l'apostolo mostra che il dono (dell’elemosina) è molto più grande perché seguito da una ricompensa, mentre il dono della profezia non è accompagnato da una ricompensa, essendo un dono puro, una grazia pura. La misericordia non basta, bisogna aggiungere la generosità dell'anima che usa misericordia senza tristezza. Non basta dire senza tristezza, ma con una gioia che prorompe e risplende. La misericordia deve avere queste due caratteristiche: sia abbondante e sia fatta con piacere. Se trovate dolorosa la misericordia, non siete misericordiosi, ma duri e senza umanità. Nulla nell'uomo sembra così vergognoso come il ricevere, a meno che la gioia manifesta di chi dona non dissolva ogni amarezza. Se non dimostri di ricevere più di quanto dai, sarai più di peso che di sollievo per colui al quale è rivolto il tuo dono» (CLR 21,1). «Non vuole che ci accontentiamo di aiutare i poveri con il nostro denaro, vuole che li serviamo con le nostre parole, con le nostre azioni, con le nostre persone» (CLR 21,2)
9La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene;
«Spesso, senza fare il male, sentiamo il desiderio di farlo. L'apostolo scaccia questo desiderio col comando: detestate. Vuole purificare anche il pensiero, ispirarci la profonda avversione per il male. Non si accontenta, poi, di ordinare di fare il bene, ma di farlo con amore; è il significato del precetto espresso dal verbo attaccatevi!» (CLR 21,2)
10amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. 11Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore.
«La carità non solo deve essere sincera, ma anche intensa, calda, ardente. Che importa che il vostro affetto sia esente da perfidia, se non ha calore? Ecco perché l'apostolo dice: Ciascuno abbia tenerezza per il prossimo, un affetto caloroso. Non aspettare che l'inizio dell'affetto venga da un altro, sii il primo a offrire il tuo slancio, a iniziare, perché è in questo modo che raccoglierai la ricompensa dell'amicizia di quell'altro fratello» (CLR 21,2).
12Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.
«Nulla rende l'anima di un uomo così virile e pronta a tutto quanto una buona speranza. Quindi, prima dei beni sperati, dà un'altra ricompensa. Perché è la speranza dei beni futuri che gli fa dire: Siate costanti nelle tribolazioni. Prima di gustare questi beni che il futuro ci riserva, raccoglieremo dalle tribolazioni presenti un grande frutto: la costanza e la virtù provata» (CLR 21,3). «Indica ancora un altro aiuto: perseveranti nella preghiera. Così l'amore rende facile la virtù, lo Spirito viene in aiuto, la speranza alleggerisce la fatica, l'afflizione dà la costanza che sopporta ogni cosa con generosa fermezza. Oltre a questi aiuti, tu hai un'altra arma ed è la più potente, la preghiera e l'assistenza ottenuta con umili suppliche. D'ora in poi che cosa troverai gravoso nei precetti? Nulla. Vedi come l'apostolo si è preoccupato di rafforzare il suo atleta in ogni modo e come sia riuscito a rendere i precetti completamente leggeri?» (CLR 21,3)
13Condividete le necessità dei santi;
«Fa’ elemosina con i tuoi beni e, nel fare elemosina, il tuo occhio non abbia rimpianti. Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo. In proporzione a quanto possiedi fa’ elemosina, secondo le tue disponibilità; se hai poco, non esitare a fare elemosina secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e impedisce di entrare nelle tenebre. Infatti per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo» (Tb 4,7-11).
«Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7).
siate premurosi nell’ospitalità.
«Non dice: operate l'ospitalità, ma letteralmente: perseguite l'ospitalità. Non dobbiamo aspettare che coloro che hanno bisogno di noi vengano da noi; siamo noi che dobbiamo corrergli dietro e inseguirli. Ciò che fece Lot, ciò che fece Abramo: questi trascorse la giornata in questa generosa caccia, e alla vista dello straniero, si precipitò avanti, gli corse incontro. Guardatevi, quindi, dall'indagare con curiosità sulla vita e sulle azioni (del bisognoso): è il colmo della goffaggine, per concedere un pezzo di pane, andare a scrutare con curiosità un'intera vita. Quest'uomo che chiede, se fosse un assassino, un ladro, qualsiasi cosa vogliate, non vi sembra meritevole di un pezzo di pane, di un po' di denaro? Ma il Signore vostro Dio fa sorgere per lui persino il suo sole; e tu non lo giudichi degno del cibo di un giorno?» (CLR 21,3).
14Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.
«Non dice: dimentica gli insulti, non vendicarti, ma esige una virtù molto più alta. Dimenticare gli insulti è proprio di un filosofo, ma ciò che l'apostolo esige appartiene solo agli angeli. E dopo aver detto: Benedici, aggiunge: non maledire, affinché dopo aver benedetto non malediciamo. Coloro che ci perseguitano ci portano ricompense. E ora, se sei vigilante, otterrai, oltre alla ricompensa della persecuzione, un'altra ricompensa. Il tuo persecutore ti porta la prima, tu ti attiri la seconda, benedicendo, e mostrando così il più grande segno di amore per Cristo. Con questo [stile] colpisci i tuoi avversari con stupore, li ammaestri con le tue opere, mostri loro che stai seguendo la strada che conduce a un'altra vita. Questo non è tutto, produrrai ancora un altro bene: se si vede che gli insulti, lungi dal causarti dolore, provocano solo le tue benedizioni, cesseranno di perseguitarti. Dio sarà glorificato e la tua saggezza sarà stata una lezione divina per l'uomo che sbaglia» (CLR 22,1).
17Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.
«Ora vedi che l'apostolo qui non fa alcuna distinzione, è una legge assoluta che stabilisce. Non chiede di non rendere male al fedele, ma di non rendere a nessuno male per male, né al gentile, né al malvagio, a nessuno, a nessuno» (CLR 22,2). «Considera questo: qualcuno ti insulta e ti muove guerra? Ti costringe a stare in guardia e ti dà l'opportunità di essere come Dio. Se ami l'uomo che ti tende trappole, sarai come colui che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni (Mt 4,5). Un altro ti toglie la fortuna? Se la sopporti coraggiosamente, riceverai la stessa ricompensa di coloro che hanno donato tutto ai poveri» (CLR 10,6) .
15Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto.
«Ci vuole più saggezza per rallegrarsi con coloro che gioiscono che per piangere con coloro che piangono. La natura da sola è sufficiente a suscitare compassione per i dolori; nessuno ha un cuore duro come la pietra per non versare lacrime per gli infelici; ma ciò che richiede tutta la generosità di un'anima grande non è solo non invidiare chi prospera, ma anche condividere la sua gioia» (CLR 22,2).
16Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi.
«Non esiste principio di separazione, di lacerazione nel corpo della Chiesa così tristemente potente come il pensiero che uno sia sufficiente a se stesso; ecco perché Dio ha voluto che avessimo bisogno gli uni degli altri. Per quanto saggio tu sia, avrai bisogno di un altro, e se ti capita di pensare di non averne bisogno, sei completamente privo sia di intelligenza che di buon senso. Perché spesso vediamo anche l'uomo saggio ignorare cosa fare e quello che ha meno intelligenza trovare la condotta da adottare. È ciò che vediamo in Mosè e suo suocero; in Saul e nel suo servo. Non pensare, quindi, che sia umiliante per te aver bisogno di un altro ma questo, al contrario, è ciò che ti eleva e ti rafforza» (CLR 22,2).
18Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti.
«Questo precetto è opportunamente spiegato con queste parole: se è possibile, per quanto dipende da voi. Ci sono infatti circostanze in cui ciò è impossibile, ad esempio quando si tratta di religione, quando si tratta di difendere gli oppressi. E cosa c'è da stupirsi che tra gli uomini la pace non sia sempre possibile, quando l'apostolo riconosce, tra marito e moglie, la possibilità di una rottura: se l'incredulo si separa, si separino (Cf 1 Cor 7,15). Ciò che l'apostolo dice equivale a questo: fate ciò che è in vostro potere e non date motivo di litigio o di discordia a nessuno, ma se vedi la religione attaccata, non sacrificare la verità alla concordia, ma combatti generosamente fino alla morte. Anche allora, tuttavia, non portare la guerra nella tua anima, non concepire avversione o odio, combatti solo con le tue opere. Se il tuo avversario non mantiene la pace, non andare a riempire la tua anima di tempeste, ma con l’intenzione, rimani amico di colui che combatti e non tradire la verità in alcun modo» (CLR 22,2).
19Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore.
«L'oppresso desidera godere della vendetta. Dio soddisfa abbondantemente la vittima e, se non ti vendichi, avrai Dio come tuo vendicatore. Lascia fare a lui. Poi aggiunge la testimonianza della Scrittura e, dopo aver così ristorato l'anima scossa, le chiede una sapienza ancora più alta: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare» (CLR 22,3).
20Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da Bibbia bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo.
«Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico» (Es 23,4-5).
«Non basta vivere in pace, vuole che i nemici vengano ripagati con dei benefici. Dategli da mangiare e da bere. Poi, poiché ciò che richiede è un compito doloroso e difficile, aggiunge: Perché così facendo radunerai carboni ardenti sul suo capo. Queste parole intendono da un lato intimorire il nemico e dall'altro rendere gli oppressi più ardenti per il bene, con la speranza della ricompensa. L'apostolo sa bene, infatti, che il nemico, anche se fosse una bestia feroce, non rimarrà nemico, dopo aver ricevuto cibo. Per quanto inferma, per quanto ristretta possa essere l'anima dell'oppresso, dopo avergli dato da mangiare e da bere, non sentirà più il desiderio di vendetta» (CLR 22,3).
21Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.
«Chi ha subito un'ingiustizia, non si preoccupa tanto dei beni perduti quanto della vendetta. L'apostolo ha iniziato col dare all'oppresso ciò che desidera, e poi, quando l'odio ha riversato il suo veleno, eleva l'anima a pensieri più elevati. Si rivolge agli oppressi con voce imperiosa: Non lasciarti vincere dal male, ma impegnati a vincere il male con il bene. Insinua dolcemente che è necessario spogliarsi dal sentimento di odio perché il rancore è una sconfitta in cui si è sopraffatti dal male. In questo consiste la vittoria.
Perché la vittoria più grande per l'atleta non è quando si espone ai colpi ricevuti, ma quando, stando in piedi, costringe l'avversario a riversare tutta la sua forza nell'aria. Perché, in questo modo, sfuggirà a tutti i colpi e paralizzerà tutta l'energia dell'altro. E questo è ciò che accade con gli insulti. Quando rispondi loro con insulti, sei sconfitto, non da un uomo, ma dalla passione servile, dall'ira che ti agita; al contrario, se rimani in silenzio, hai ottenuto la vittoria. Molti saranno desiderosi di onorarti e di condannare l'oltraggio che avrei subito. Chi risponde agli insulti sembra rispondere solo perché ne ha sentito il dolore, e chi ne sente il dolore dà l'impressione di riconoscere la giustezza dei discorsi ingiuriosi; ridi, e con la tua risata ti metterai al di sopra di ogni sospetto. Se insisti per una dimostrazione che ti faccia comprendere chiaramente il significato di queste parole, chiedi al tuo nemico stesso cosa lo fa soffrire di più: è quando sei acceso d'ira e gli rispondi con insulti? È quando questi insulti provocano solo il tuo riso? Ti dirà che è quando adotti quest'ultima soluzione. Il nemico non è tanto contento di vederti risparmiargli una risposta oltraggiosa, quanto si sente punto nel vivo dalla sua incapacità di smuoverti. Non vedi i furiosi, insensibili alla grandine di colpi, precipitarsi in avanti, più violenti dei cinghiali, per ferire il prossimo, mirando solo a quello, senza preoccuparsi altro che di quello, senza preoccuparsi delle ferite che potrebbero capitargli? Perciò, quando, soprattutto, privi il tuo nemico di ciò che più desidera, è fatta: ti sei guadagnato il titolo di uomo saggio, hai inflitto al tuo nemico la reputazione di essere brutale e malvagio.
Vuoi infliggere al tuo nemico un colpo mortale? Porgigli l'altra guancia, lo trafiggerai così con mille ferite. Coloro che ti ammirano, gli sono di peso più che se gli tirassero pietre. Anticipando il loro giudizio, la coscienza del colpevole lo condannerà. Come se stesse subendo la più schiacciante sconfitta, lo vedrai ritirarsi confuso. Ci sentiamo sempre in sintonia con coloro che vediamo maltrattati ma è soprattutto quando non rispondono con colpi a chi li colpisce. La nostra emozione cessa di essere semplice pietà per trasformarsi in ammirazione» (CLR 22,3).
Capitolo 13
Rapporto con le autorità
La comunità cristiana, mentre cerca di costituirsi come organismo animato dall’amore, vive all’interno di un consorzio più ampio, la società civile, con la quale è in relazione, alla quale dona molto ma dalla quale anche riceve molto. Paolo non sviluppa qui una riflessione articolata sulla istituzione statale ma è preoccupato piuttosto di soffocare un sentimento di rifiuto globale, dovuto al fatto che i fedeli avrebbero potuto sentirla come ostile. La Chiesa antica ha vissuto la sottomissione anche ad uno Stato persecutorio; oltrettutto la sua lealtà fungeva da argomento apologetico. Lo Stato non è una creazione del Vangelo ma appartiene alla sfera della creazione che è buona e degradata nello stesso tempo, come l’uomo è una creatura voluta da Dio ma contrassegnata dal peccato. Offre elementi di bontà ed altri che provocano l’ira di Dio. È una istituzione provvisoria che verrà annientata insieme a tutto il nostro mondo e sostituita dalla cittadinanza celeste, già iniziata nel nostro presente; a quest’ultima soltanto i cristiani appartengono in modo totale e definitivo. Le autorità sono stabilite da Dio perché senza di esse la convivenza sarebbe impossibile ma non tutto ciò che esse impongono corrisponde al volere di Dio. È necessario, in questo caso, obbedire a lui piuttosto che agli uomini (At 5,29). Agli arbitrii dell’autorità, il cristiano si oppone con la denuncia profetica e con la disobbedienza per motivi di coscienza. La spada dell’autorità, almeno sul piano teorico, cerca di limitare o annientare l’insorgere di altre violenze, magari più pericolose ancora, dalle quali ci protegge. Da questa punto di vista è esecutrice dell’ira di Dio, cioè della sua disapprovazione della malvagità. Così protetto, il cristiano rinuncia più facilmente alla vendetta. Anche nel momento presente, quindi, Dio giudica e interviene secondo criteri a noi inaccessibili. Il cristiano presta i suoi servizi alla comunità civile per amore verso gli uomini, libero dalla paura o dalla finzione (13,5-6).
1Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna.
«Cristo non è venuto per rovesciare i governi stabiliti tra gli uomini e le sue leggi servono solo a migliorarli. Per mostrare che questo dovere è imposto a tutti, anche ai sacerdoti e ai monaci, e non solo ai secolari, inizia dichiarando: ciascuno sia sottomesso alle autorità superiori. L'apostolo non si limita a dire: obbedite, ma siate sottomessi. La prima ragione di questa legge è appropriata alla fede dei cristiani: è Dio che l'ha voluta. Perché non c'è potere, dice l'apostolo, che non venga da Dio. Che ne dici? Ogni principe è stato ordinato principe da Dio? Non dico questo, risponde l'apostolo, perché non parlo dei principi singolarmente, ma solo dell'istituzione stessa. Che ci siano autorità, che alcuni governino, che altri siano governati, che non tutto sia lasciato al caso e alla confusione, che i popoli non siano trasportati come onde, questo è ciò che chiamo opera della sapienza di Dio. Allo stesso modo, quando il saggio dice: È dal Signore che una donna è adatta all'uomo (Proverbi 19,14), afferma che il matrimonio è istituito da Dio, e non che sia Dio stesso a voler sposare un tale uomo con una tale donna. Spesso vediamo matrimoni infelici che non sono conformi alla legge del matrimonio e non dobbiamo attribuirli a Dio.
Poiché l'uguaglianza è spesso causa di guerra, Dio ha stabilito un gran numero di supremazie come i rapporti tra figlio e padre, tra vecchio e giovane, tra principe e suddito, tra maestro e discepolo. E cosa c'è da stupirsi che ciò sia così tra gli uomini, dal momento che nel corpo stesso (della Chiesa) Dio ha stabilito lo stesso ordine? La stessa legge [vige] tra gli animali, come le api, le gru, i greggi di mufloni. Perché dove non c'è comando, c'è solo sventura e confusione. Perciò, dopo aver spiegato da dove proviene l'autorità, l'apostolo aggiunge: Chi dunque si oppone all'autorità, si oppone al comando di Dio.
I fedeli avrebbero potuto dire: Voi ci degradate! Noi che dovremmo possedere il regno dei cieli, ci sottomettete ai principi. L'apostolo mostra che non è ai principi, ma a Dio, che li sottomette, perché chi si sottomette alle autorità obbedisce a Dio. Agendo così, infatti, l'apostolo attirò i principi infedeli alla religione e associò i fedeli all'obbedienza. Si ripeté allora ovunque che gli apostoli erano sediziosi, strumenti di rivoluzioni, che agivano e parlavano solo per ottenere il rovesciamento di tutte le leggi. Mostrate il precetto che il nostro comune Signore impone a tutti coloro che lo servono, chiuderete la bocca a coloro che accusavano gli apostoli di essere istigatori di novità e avrete più libertà di predicare la verità e i suoi dogmi (CLR 23,1).
3I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. 5Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. 7Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.
«Le autorità non sono da temere, quando si fanno solo buone azioni, ma quando si fanno cattive. Chi pratica la virtù ha forse ragione di temerla? Per questo l'apostolo aggiunge: Non temerete i governanti! Fate il bene, ed essi vi loderanno. Vedete come l'apostolo, per legare l'uomo a chi comanda, gli mostra il principe stesso pronto a lodarlo? Vedete come fa uscire l'ira dal cuore? Il principe è ministro di Dio per favorirvi nel bene. Egli è così lontano dall'essere temuto, dice l'apostolo, che al contrario ti loda; è così lontano dall'essere un ostacolo per te, che al contrario ti favorisce. Se trovi lode e aiuto in lui, perché non sottometterti? Egli ti rende più facile la virtù, castiga i malvagi, fa del bene ai buoni e li onora, coopera alla volontà di Dio; per questo l'apostolo lo ha chiamato ministro di Dio.
Ecco: io ti consiglio di essere saggio, ed egli ti dà lo stesso consiglio per mezzo delle leggi; le mie esortazioni ti dicono che è proibito arricchirsi con la rapina, con la violenza, ed egli siede a giudicare queste colpe. Egli lavora con noi, viene in nostro aiuto, è Dio che gli ha affidato questa missione. Ma se il principe stesso lo ignora? Il principe non è meno istituito da Dio. Molti hanno iniziato a praticare la virtù per timore dei principi; in seguito, è stato il timore di Dio a condurli ad essa.
È quindi necessario che ci sottomettiamo ad essa, non solo per timore della punizione, ma anche per un dovere di coscienza. Dimenticate che il principe è per voi la fonte dei beni più grandi, poiché vi assicura la pace e stabilisce l'ordine nello Stato. Questi poteri sono fonti inesauribili di benefici per gli Stati, e se li sopprimete, tutto scomparirà; non più città, non più villaggi, non più case, non più piazze pubbliche; non rimarrà nulla, ci sarà un sommovimento universale, il più forte divorerà il più debole. Così che, anche nel caso in cui nessuna punizione colpisca la disobbedienza, dovrete comunque la vostra sottomissione, per coscienza.
Che riceviate benefici dal principe, dice l'apostolo, voi stessi lo testimoniate pagandogli il tributo. Infine, dice l'apostolo, perché gli paghiamo il tributo? Non è forse perché provvede a noi? Non è forse per ricompensare il governante di tutte le sue cure? Ovviamente non pagheremmo alcun tributo, se non sapessimo fin dall'inizio che traiamo profitto da un tale governo; ecco perché, fin dall'inizio, è stato decretato da tutti che coloro che ci comandano, sarebbero stati sostenuti da noi» (CLR 23,2).
«Questa è la loro vita, questa è la loro passione, far sì che tu goda della pace. Per questo motivo, in un'altra epistola, non solo ordina la sottomissione a loro, ma prescrive anche la preghiera per loro. A questo proposito, mostra il beneficio che ne deriva per tutti: affinché possiamo condurre una vita calma e pacifica (Cf 1 Tm 2,1-2) Infatti, non riceviamo piccolo vantaggio in questa vita da quei principi che mettono in moto gli eserciti, respingono i nemici dall'esterno, reprimono i sediziosi nelle città e dirigono tutte le controversie.
Non ditemi, quindi, che un certo principe abusa spesso di questo potere; considerate solo il bene dell'istituzione e troverete lì una prova della perfetta saggezza di Colui che l'ha istituita fin dal principio. Se questo precetto fu dato quando i principi erano pagani, quanto più dovrebbe essere praticato oggi che sono dei fedeli.
Sappiate che la vostra ora non è ancora giunta; sei ancora uno straniero e un viaggiatore. Verrà il tempo in cui il tuo splendore eclisserà ogni cosa; in questo momento, la tua vita è nascosta con Cristo nel seno di Dio. Quando Cristo apparirà, anche tu allora apparirà con lui nella sua gloria. Non cercare dunque, in questa vita che sta finendo, la tua ricompensa e, se devi stare con timore al cospetto del principe, non vedere in questo dovere nulla di indegno della tua nobiltà. Quanto a te, otterrai uno fulgore più splendente; non è l'onore che dai che può umiliarti, ma l'onore che rifiuti; e il principe non farà che ammirarti di più e, anche se è infedele, coglierà l'occasione per glorificare il Signore» (CLR 23,3).
Amore al prossimo
8Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.
«Dopo aver spiegato come si deve amare, mostra il vantaggio della carità con queste parole: Chi ama il prossimo adempie la legge. Se da questo amore trai l'immenso vantaggio di adempiere tutta la legge, devi amare il tuo fratello, in cambio del beneficio che ricevi da lui. L'apostolo dice che i comandamenti sono compresi in forma abbreviata, cioè la parola amore contiene in una concisa brevità l'insieme completo dei comandamenti. Il principio e il fine della virtù è l'amore; questa è la radice, questo è il fondamento, questo è il culmine» (CLR 23, 3)
«Dopo aver stabilito due tipi di amore, vedete a quali altezze eleva l'amore del prossimo. Dopo aver detto: Questo è il primo comandamento, Amerai il Signore Dio tuo; continua: Questo è il secondo e il prossimo tuo come te stesso. Dove si può trovare qualcosa che eguagli questa bontà del Salvatore? Nonostante l'immensa distanza che ci separa da lui, egli colloca l'amore che gli uomini devono agli uomini molto vicino all'amore che è dovuto a lui per se stesso, dichiara che questi due amori sono simili. Ora Paolo insegna che senza amore per il prossimo non si ricava molto beneficio dall'amore di Dio. Proprio come noi, quando abbiamo amore per qualcuno, diciamo: se ami lui, amerai me. Così fece Cristo, quando disse a Pietro: Se mi ami, pasci i miei agnelli (Gv 21,16). L'amore non solo ci insegna ciò che dobbiamo sapere (che è l'ufficio della legge), ma ci dà un potente aiuto per eseguirli. Amiamoci gli uni gli altri, poiché questo è il modo di amare quel Dio che ci ha tanto amati. Se amate coloro che amo, allora crederò nella sincerità del vostro amore per me. In verità, egli desidera grandemente la nostra salvezza e ce l'ha fatta conoscere da tempo» (CLR 23,4).
11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne.
«Dopo averci spogliati delle nostre vesti malvagie, ascoltate quale ornamento ci adorna con queste parole: Rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo. Chi ne è rivestito possiede la virtù perfetta nella sua integrità. È lo stesso pensiero che l'apostolo esprime altrove: Se Gesù Cristo è in voi (Rm 8,10); e ancora: Cristo abiti nell'uomo interiore (Ef 3,16-17).
Ciò che egli desidera, infatti, è che la nostra anima sia la sua dimora, che Cristo sia per noi come una veste, che sia tutto per noi, sia interiormente che esteriormente. Perché Cristo è la nostra pienezza: la pienezza di colui che realizza ogni cosa in tutti (Ef 1,23); Egli è la via, Egli è l'uomo, Egli è lo sposo (2 Cor. 11,2) Egli è la radice, la bevanda, il cibo, la vita: non sono più io che vivo, ma Gesù Cristo vive in me (Gal 2,20). Egli è l'apostolo, il sommo pontefice, il maestro, il padre, il fratello, il coerede, il compagno della tomba e della croce: noi stessi siamo stati sepolti, dice ancora l'apostolo, e siamo stati innestati in lui, per mezzo della somiglianza della sua morte (Rm 6, 4-5) Egli è anche il nostro avvocato presso il Padre, perché intercede per noi (Rm 8, 34). Egli è sia la dimora che l'abitante. Egli dimora in me e io in lui (Gv 6, 57) Egli è inoltre un amico (Gv 15, 14.) Egli è il fondamento, la pietra angolare; quanto a noi, siamo le sue membra, il campo che egli coltiva, l'edificio che egli costruisce, la sua vigna. Che cosa non vuole essere per noi? Quali mezzi non usa per applicarci, per unirci a lui?» (CLR 23,5).
«Dico [questa esortazione] non perché risuscitassimo i morti o guarissimo i lebbrosi, ma perché mostrassimo un segno ben al di sopra di tutti gli altri: la carità. Perché dovunque c'è questa bontà, il Figlio viene subito con il Padre e discende la grazia dello Spirito. Infatti, è scritto: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro ( Mt 18,22). Forse qualcuno riderà di me e dirà: Che cosa stai dicendo? Ci vedi tutti riuniti nello stesso luogo, formando in perfetta armonia lo stesso gregge e tu vieni a parlare di guerra e discordia? Vedo davvero ciò che vedo e so che siamo nello stesso gregge e sotto lo stesso pastore. Ed è questo che più di ogni altra cosa mi fa venire le lacrime agli occhi: che, pur avendo così tante ragioni per unirci, siamo tuttavia divisi. Che divisione vedi qui, ti chiederai? Qui, nessuna ma non appena la predica sarà finita, uno accuserà l'altro; uno insulterà pubblicamente, un altro sarà geloso, o avaro, o ladro, un altro ricorrerà alla violenza, un altro si abbandonerà ad amori illeciti, un altro ancora tramerà mille inganni. E se tutte le nostre anime potessero essere messe a nudo, vedresti tutto questo nei dettagli e riconosceresti che non sono pazzo… Questo è esattamente ciò che vediamo qui: ci guardiamo e ci temiamo a vicenda, sussurriamo al nostro vicino e poi, se arriva un terzo, taciamo, interrompiamo l'argomento della conversazione: il che non è segno di fiducia, ma piuttosto di estrema sfiducia. Direte, stiamo solo cercando di proteggerci, non di causare danno. Questo è ciò che mi fa gemere: che, vivendo tra fratelli, dobbiamo stare in guardia contro l'ingiustizia, accendere tanti fuochi e mantenere tante sentinelle e posti di guardia. E la causa di tutto ciò è l'abitudine alla menzogna e all'inganno, la mancanza di carità e la guerra implacabile. Così, troviamo una moltitudine di persone che si fidano più dei pagani che dei cristiani. Cosa si può fare, direte? Il tale è irascibile e difficile da trattare. Ma dov'è la vostra saggezza? Dove sono le leggi apostoliche che ci comandano di portare i pesi gli uni degli altri? Vedendo il titolo di cristiani ridotto a una mera denominazione, non riesco a trovare lamenti commisurati all'argomento. Ci armiamo gli uni contro gli altri, quando dovremmo armarci contro il diavolo, il nostro comune nemico! Ecco perché ci indeboliamo, mentre lui diventa ogni giorno più forte. Non ci difendiamo a vicenda contro di lui, ma combattiamo con lui contro i nostri fratelli, e lo prendiamo come nostro generale in queste campagne, invece di rivolgere tutte le nostre armi solo contro di lui (CLR 8,7-8).
Capitolo 14
Accoglienza reciproca
Paolo tratta ora una questione che gli stava a cuore e sulla quale si dilunga. Il suo intento è quello di evitare discordie tra i credenti che provenivano dall’ebraismo (giudeo-cristiani) e quelli che erano stati un tempo pagani (etno-cristiani). Gli ebrei erano abituati a rispettare rigorose norme di carattere alimentare. Di per sé la Legge proibiva soltanto l’astensione dagli animali definiti impuri ma alcune correnti giudaiche avevano esteso questa proibizione fino a proibire il consumo di tutte le carni (Cf Dn 1,8-16). Inoltre avevano stabilito altre pratiche ed osservanze in certe scadenze del calendario (14,5). Questo comportamento suscitava la derisione e il disprezzo da parte degli etnocristani. Forse dei giudeo-cristiani, per evitare tensioni, trasgredivano delle norme alle quali, però, si sentivano obbligati in coscienza. Diventavano allora persone “deboli”, a rischio di peccare, rispetto agli altri che liberi da scrupoli, si sentivano “forti”. L’apostolo invita tutti all’accoglienza reciproca evitando atteggiamenti di disprezzo o di condanna gli uni contro gli altri (14,10-12). Devono imitare l’accoglienza verso tutti manifestata da Dio stesso (14,3). Tutti infatti adottano un loro particolare stile di vita animati dal desiderio di essere fedeli al Signore Gesù, il quale ha il potere di rendere ogni credente capace di fedeltà secondo la sua particolare convinzione (14,4). Tutti appartengono a lui durante questa vita ed anche oltre la morte (14,8). Bisogna evitare che, proprio all’interno della comunità, qualcuno perisca trascinato da altri a trasgredire ai dettami di coscienza (14,15). Ogni credente è prezioso ai suoi occhi e per tutti ha donato la sua vita (14,15). A suo parere, non esiste una differenza religiosa tra i cibi e nessun alimento è impuro (14,14). Il Regno di Dio introdotto da Gesù è interessato a far acquisire beni spirituali molto più rilevanti (14,17) ma, proprio la novità creata dal Signore esige un profondo rispetto reciproco fondato sulla carità (14,21). Bisogna imparare a mettere da parte le proprie convinzioni, non vincolanti, quando questo è necessario per favorire la comunione.
1Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni. 2Uno crede di poter mangiare di tutto; l’altro, che invece è debole, mangia solo legumi. 3Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui.
«C'era tra i fedeli un gran numero di ebrei che, anche dopo aver ricevuto il Vangelo, osservavano ancora le osservanze relative al cibo, perché non osavano trasgredire la legge. Altri, al contrario, più progrediti, non praticavano alcuna astinenza e tormentavano coloro che vedevano astenersi dalle carni. Considerate la prudenza di Paolo e vedete come qui egli dimostra la sua consueta saggezza in ciò che dice delle due categorie di fedeli: Non osa dire (agli ex-pagani) che rimproverano gli altri: Fai male (a deridere gli ebrei). Non vuole neppure che i Giudei persistano nelle loro osservanze. Non dice loro: Fate bene (a conservare le pratiche legali), per non consolidarli ancora di più, ma esprime un rimprovero moderato.
I più deboli sono sempre quelli che richiedono più cure. Pertanto, rivolgendosi subito ai più forti [ex-pagani], dice loro: [c’è] chi è ancora debole nella fede. Denominare qualcuno così è mostrare che è malato. Accoglietelo con carità: questo invito dimostra ancora una volta che ha bisogno di molte cure e che la malattia è grave.
I più progrediti deridevano gli altri che chiamavano uomini di poca fede, cristiani sospetti che continuavano a giudaizzare. Questi ultimi [i giudeo-cristiani] giudicavano i loro accusatori; li rimproveravano di aver infranto la legge per essere dediti ai loro stomaci (il che era vero per un buon numero di gentili). Per questo l'apostolo aggiunge: Dio lo ha preso al suo servizio. Perché allora lo rimproveri di non sottostare alla legge? Dio ha accolto anche lui, cioè gli ha comunicato la sua grazia ineffabile e lo ha assolto da ogni accusa» (CLR 25,1).
4Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone. Ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di tenerlo in piedi.
«Quando dice rimarrà saldo, l'apostolo lo mostra vacillante, bisognoso di attenzione, di grande cura. Viene invocato è Dio stesso per guarirlo: Egli è onnipotente per renderlo saldo. Questo è il linguaggio che usiamo quando i malati sono quasi nella disperazione. Per evitare la disperazione, chiama questo malato un servo: Chi sei tu, per giudicare il servo altrui? E qui di nuovo un rimprovero indiretto. Non è perché la sua condotta non sia degna di giudizio che ti proibisco di giudicarlo, ma perché è il servo di un altro; il che significa che non è tuo, ma di Dio. Se rimane saldo o se cade: sia l'uno che l'altro di questi due stati, in entrambi i casi, è affare del Signore; perché è lui che soffre la perdita quando il servo cade, e, quando rimane saldo, il guadagno è del Signore. Non potrebbe rimproverare più fortemente questo zelo indiscreto. Dice: Dio che subisce la perdita, soffre senza lamentarsi. Quale zelo intempestivo, quale eccesso di ansia non mostri, nel tormentare, nell'inquietare chi non fa come te?» (CLR 25,2)
5C’è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però sia fermo nella propria convinzione. 6Chi si preoccupa dei giorni, lo fa per il Signore; chi mangia di tutto, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio.
«Non si tratta qui di azioni capitali: ciò che bisogna sapere, infatti, è se l'uno o l'altro si comporta in vista di Dio, se, da entrambe le parti, si finisce per rendere grazie a Dio. Ebbene! Entrambi benedicono Dio. Pertanto, poiché da entrambe le parti Dio è benedetto, non c'è molta differenza» (CLR 25,2).
7Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
«Non siamo liberi; abbiamo un Signore che desidera la nostra vita, non la nostra morte; che si interessa della nostra morte e della nostra vita più di noi. Con ciò dimostra infatti di prendersi cura di noi più di quanto noi ci prendiamo cura di noi stessi, di considerare la nostra vita un tesoro per lui e la nostra morte una perdita. È sufficiente, per dimostrare che Dio si prende cura di noi, dire che viviamo per lui, e che moriamo per lui. Fornisce poi un'altra prova, un segno lampante della provvidenza di Dio. Qual è questo segno? «Per questo stesso motivo Gesù Cristo morì e risuscitò: per avere dominio sui morti e sui vivi». Siate dunque convinti che egli è sempre preoccupato per la nostra salvezza e per la nostra perfezione. Se infatti la sua provvidenza non si fosse preoccupata così tanto di noi, che necessità avrebbe avuto di incarnarsi tra noi? Lo zelo di farci sue membra lo portò ad assumere la forma di schiavo, fino alla morte. Dopo tali prove, ci avrebbe disprezzato? No, no; non avrebbe voluto perdere ciò che gli era costato così caro (CLR 25,2)
10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, 11perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. 12Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. 13D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.
«L'apostolo continua con tono più mite: Tu dunque, perché condanni il tuo fratello? Il titolo di fratello che usa pone fine alla lite. Poi ricorda il terribile giorno del giudizio» (CLR 25,3).
14Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. 15Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto! 16Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete!
«Nulla è impuro, dice l'apostolo, se non per chi pensa che sia impuro. Perché allora non correggere il fratello, affinché non creda più che la cosa sia impura? Temo, dice l'apostolo, di contristarlo. Perciò aggiunge: se, mangiando qualcosa, contristi il tuo fratello, da allora in poi non cammini secondo la carità. Vedete come l'apostolo concilia i cuori? Mostra al debole cristiano di avere così tanta considerazione per lui che, per non rattristarlo, non osa nemmeno prescrivergli ciò che è tuttavia molto necessario, preferendo attirarlo con una condiscendenza piena di carità. E, avendogli tolto la paura, non gli fa violenza, ma gli lascia il pieno controllo della sua condotta. Infatti, il vantaggio di far rinunciare a qualcuno un tipo di cibo non vale lo svantaggio di rattristare il fratello. Vedete fino a che punto spinge lo zelo della carità? Per questo aggiunge queste parole: Non distruggere con il tuo cibo colui per il quale Gesù Cristo è morto. Non stimi abbastanza tuo fratello da acquistare, anche a prezzo dell'astinenza, la salvezza della sua anima? Cristo ha fatto il sacrificio più grande, e tu non farai il minimo? Eppure lui è il Signore, e tu sei un fratello» (CLR 26,1).
17Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: 18chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. 20Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo!
«Come nuova ragione per porre fine ai timidi scrupoli dell'uno, allo spirito contenzioso dell'altro, dice: il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere. È per questo che possiamo essere giustificati? Quali sono dunque i titoli che ci danno accesso al cielo? Giustizia, pace, gioia, pratica della virtù, concordia fraterna, che sono ostacolati da tali dispute; la gioia dell'armonia che è rovinata da tali rimproveri. Queste riflessioni l'apostolo le ha rivolte non a una sola delle due parti, ma a entrambe contemporaneamente, perché c'è l'opportunità di farle comprendere a entrambi. Le vostre lotte, le vostre dispute, i problemi che causate, le divisioni che provocate nella Chiesa, i vostri insulti al vostro fratello, il vostro odio contro di lui, eccitano maldicenze dall'esterno, così che non solo, con ciò, non correggete nulla, ma producete un effetto completamente contrario. Il vostro bene è la carità, l'amore fraterno, l'unione, la concordia, la pace, una vita dolce e clemente» (CLR 26,1).
Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. 21Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. 22La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. 23Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato.
«Per evitare che le concessioni fatte rafforzassero il più debole nei suoi errori, l'apostolo si rivolge a lui e lo rimprovera: Tutti i cibi siano puri, ma un uomo fa male a mangiarli, quando lo fa con una cattiva coscienza. Quindi se hai costretto tuo fratello e lui ha mangiato con la forza, non ci sarebbe alcun profitto; non è il cibo che contamina, ma l'intenzione di chi mangia. Se, quindi, non correggi questa intenzione, tutti i tuoi sforzi sono vani e hai solo fatto del male; perché c'è una grande differenza tra credere semplicemente che un cibo sia impuro e mangiarlo quando si crede che lo sia. Quando, quindi, violi quest'anima debole, pecchi doppiamente: accresci il suo pregiudizio combattendolo, la costringi a mangiare qualcosa che crede impuro. Pertanto, finché non hai operato la persuasione, non esercitare costrizione. L'apostolo è più esigente; non gli basta che ci asteniamo dalla costrizione, vuole anche che abbiamo condiscendenza verso il cristiano giudaizzante. Egli stesso, infatti, ha spesso dato l'esempio, come quando circoncise il suo discepolo, quando gli rasò i capelli, quando fece le oblazioni legali. Nulla può essere paragonato alla salvezza del vostro fratello. E questo è ciò che Cristo ci mostra a sufficienza, lui che è disceso dal cielo, che ha sofferto ogni cosa per noi.
Non obiettarmi, dice l'apostolo, che tuo fratello agisce senza ragione, ma che tu puoi correggerlo. La sua debolezza è una ragione sufficiente per venire in suo aiuto, soprattutto perché non ti reca alcun danno. La tua condiscendenza non sarà ipocrisia, ma un'indulgenza edificante e saggia. Se usi costrizione con lui, ti resiste, ti condanna e persiste nel suo pregiudizio e nel suo scrupolo; se, al contrario, ti trova indulgente, si affeziona a te; il tuo insegnamento non gli sembra sospetto e ti permette di seminare gradualmente i semi della verità in lui. [Al contrario] dal momento in cui ha concepito odio contro di te, tu stesso avrai chiuso ogni accesso alle tue parole nella sua anima. Perciò non costringerlo, ma per il suo bene astieniti; Non perché consideri impuro il cibo, ma perché saresti per lui motivo di scandalo; in questo modo aumenterai il suo affetto per te» (CLR 26,2).
Capitolo 15
Nei primi versetti riprende e conclude l’argomento sviluppato nel capitolo precedente. Ogni credente deve cercare di edificare il prossimo e evitare ogni motivo di scandalo. Non si tratta di farci carico di un comportamento marginale, ma di imitare lo stile di vita di Gesù. In tutta la vita non curò mai il proprio interesse ma si spese per quello degli altri (15,3.7); non soltanto li beneficò ma accettò con pazienza i loro insulti. Lo attesta la Sacra Scrittura che offre sempre un insegnamento molto utile per consolidare la nostra speranza. La comunità, composta di giudeo ed etno-cristiani, devono accogliersi imitando Gesù che si pone a servizio degli Ebrei per attuare la promessa di Dio ai Padri e che serve anche i pagani per manifestare la sua misericordia. L’apostolo ha esaurito tutte le sue istruzioni e comincia a congedarsi dalle comunità. Ora deve chiedere il loro aiuto e per questo riprende ad usare un linguaggio molto dimesso. Non è il loro fondatore e neppure una loro guida specifica. Si scusa di aver voluto impartire istruzioni, comunicando loro insegnamenti che già conoscevano. Detto questo, richiama ciò che più gli interessava. Ricorda che egli è un servitore di Cristo, accreditato da lui. Ha realizzato in modo magnifico l’incarico ricevuto. È come un sacerdote che offre a Dio non vittime sacrificali ma una miriadi di persone che si dedicano a Dio, così che la sua missione è un vero atto di culto. Questo è stato reso possibile per il fatto che Cristo stesso ha agito per mezzo di lui.
1Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. 2Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo.
«Vedete come li esalta con queste parole lusinghiere, in cui non solo li chiama forti, ma li mette anche sullo stesso piano di sé? E fa di più, li prende per l'idea di utilità, senza dire loro nulla di penoso. Voi siete forti, dice loro, e se usate condiscendenza non vi fate alcun male; ma l'infermo corre i rischi maggiori se non è sostenuto. Ora non dice gli infermi, ma le debolezze degli infermi, per suscitare la compassione dei fedeli. Siete diventati forti? Rendi la ricompensa a Dio che vi ha creati tali; e sarete graditi a lui, se aiuterete gli ammalati a risorgere. Anche noi eravamo deboli, ma la grazia ci ha resi forti.
E ora, questa condotta non si deve osservare solo nelle debolezze della fede, ma anche in ogni altra debolezza. Ad esempio, se un uomo è incline all'ira, o è incline a pronunciare parole violente, o ha qualche altro difetto, sopportatelo. E non cerchiamo la nostra soddisfazione personale. Ciascuno di voi si sforzi di soddisfare il prossimo in ciò che è buono e può edificarlo. Sei forte Lascia che l'infermo senta la tua forza; fagli sapere per esperienza qual è la tua forza, pensa a soddisfarlo» (CLR 27,2).
3Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me.
«Di nuovo ricorre a Cristo. Questo è ciò che l'apostolo non manca mai di fare. Quando parla dell'elemosina, indica Cristo, dicendo: Voi conoscete la bontà del nostro Signore Gesù Cristo, che, essendo ricco, si è fatto povero per noi (2 Cor 8,9); per persuadere alla carità, si affida di nuovo a Cristo, dicendo: Come Cristo ci ha amati ( Ef 5,25); e quando consiglia di sopportare la vergogna e affrontare i pericoli, ricorre di nuovo a Cristo, dicendo: il quale, invece della vita felice, che avrebbe potuto godere, sopportò la croce e disprezzò la vergogna (Eb 12,2) Ecco dunque che l'apostolo propone Gesù Cristo come esempio, chiedendogli di portare le infermità altrui, e cita un oracolo dei profeti: Come sta scritto: Gli oltraggi fatti a voi sono ricaduti su di me. Ma ora, che cosa significano queste parole: Non cercò di piacere a se stesso? Non avrebbe potuto sopportare i rimproveri, non avrebbe potuto soffrire ciò che ha sopportato, se avesse voluto pensare solo ai propri interessi. Ma non volle. Pensando solo a noi, non pensò più a se stesso» (CLR 27,2) .
4Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.
L'apostolo rafforza poi i fedeli contro le tentazioni che dovranno subire, dicendo: Tutto ciò che è stato scritto è stato scritto per nostra istruzione, affinché conserviamo la speranza mediante la pazienza e la consolazione che ci danno le Scritture, cioè affinché non cadiamo. In effetti, i conflitti sono di mille tipi, interiori ed esteriori, e l'apostolo vuole che noi, rafforzati e confortati dalle Scritture, mostriamo la nostra pazienza; che la perseveranza nella pazienza sia per noi perseveranza nella fede. Esse si generano a vicenda, la speranza produce pazienza, la pazienza produce speranza, ed entrambe nascono dalle Scritture (CLR 27,2).
5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, 6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
L'apostolo qui trasforma di nuovo le sue esortazioni in preghiere. È nella natura della carità avere per gli altri gli stessi sentimenti che si hanno per sé (CLR 27,2).
Poi, per dimostrare che non raccomanda un amore qualsiasi, aggiunge: sull’esempio di Cristo Gesù. Questa è l'abitudine costante di Paolo; perché non c'è un altro amore oltre a questo (Cf CLR 27,3)
Qual è il frutto della concordia? Con un solo animo e una voce sola rendere gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non dice soltanto: Con una sola bocca, ma prescrive la comunione delle anime. Vedete come cementa ulteriormente l'unione di tutto il corpo della Chiesa e come conclude glorificando Dio?
7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.
Cediamo dunque a questo desiderio di Cristo, uniamoci strettamente gli uni agli altri. Se qualcuno vuole separarsi da voi, non separatevi, non pronunciate queste fredde parole: chi mi ama, io amo; se il mio occhio destro non mi amasse, lo caverei: queste sono parole di Satana, degne dei pubblicani, e che ispirano l'odio dei pagani. Siete chiamati a una vita superiore, siete iscritti in cielo, siete soggetti a leggi più nobili. Non fate dunque tali discorsi. Chi non vuole amarvi, circondatelo di un affetto più vivo, per attirarlo a voi; è uno dei vostri membri. Quando uno dei nostri membri viene separato dal resto del nostro corpo, facciamo di tutto per riunirlo, allora lo circondiamo di più cura e attenzione. Maggiore sarà la vostra ricompensa se attirerete a voi colui che non vi amerà. Se il Signore ci comanda di invitare alla nostra mensa coloro che non possono ricambiare, e questo affinché la nostra ricompensa sia accresciuta, quanto più dovremmo comportarci allo stesso modo nell'amicizia. Perché colui che ami, e che ti ama, ti ha pagato ciò che ti è dovuto, mentre colui che ami e che non ti ama, ha sostituito Dio al suo posto come debitore verso di te; inoltre, colui che ti ama non ha bisogno di tutta la tua sollecitudine; al contrario, colui che non ti ama è colui che ha bisogno del tuo aiuto.
Del resto, è impossibile che chi ama diventi così facilmente oggetto di odio; una bestia selvaggia risponde all'affetto che si ha per lei con affetto; questo è ciò che, dice il Signore, fanno i pagani e i pubblicani (Mt 5, 46-47). Se è naturale amare coloro da cui si è amati, come si può non amare coloro che rispondono all'odio con amore? Praticate dunque questa carità; non stancatevi di ripetere: Quanto più mi odiate, tanto più vi amerò. Ecco una parola che placa tutte le liti, che ammorbidisce tutti i cuori. Questa malattia dell'odio è o un'infiammazione o un raffreddamento; in entrambi i casi il dolce calore della carità opera la cura» (CLR 27,3).
8Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; 9le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. 10E ancora: Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo. 11E di nuovo: Genti tutte, lodate il Signore; i popoli tutti lo esaltino. 12E a sua volta Isaia dice: Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni: in lui le nazioni spereranno.
«Parla della sollecitudine di Cristo, per mostrare quanto Cristo abbia fatto per noi, senza pensare al proprio vantaggio. Dimostra che sono i Gentili i più debitori a Dio. Ora, se sono i più debitori, è giusto che sopportino le debolezze degli Ebrei. Mostra che le benedizioni concesse agli Ebrei, sono state elargite in virtù delle promesse fatte ai loro padri; quanto ai Gentili, devono queste benedizioni solo alla misericordia, alla bontà di Dio. Gesù Cristo divenne ministro del vangelo per i Giudei, per adempiere le promesse fatte ai loro padri. Alla sua venuta, il Figlio di Dio, cooperando con il Padre, fece sì che queste promesse si adempissero. Quanto ai pagani, devono glorificare Dio per la sua misericordia. Ciò significa: gli ebrei, benché indegni, hanno ricevuto gli effetti della promessa; ma voi, che non avevate ricevuto neppure una promessa, è per un puro effetto della bontà di Dio che siete stati salvati» (CLR 28,1)
13Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.
«Affinché la vostra speranza abbondi, cioè affinché troviate non solo consolazione nelle vostre tribolazioni, ma gioia nell'abbondanza della fede e della speranza. Perché con questo attirerete lo Spirito; con questo conserverete tutti i beni con il suo aiuto. Come il cibo sostiene la nostra vita e la vita distribuisce il cibo, così se abbiamo le cose giuste, avremo lo Spirito; e se abbiamo lo Spirito, avremo buone opere. E allo stesso modo, è vero anche il contrario: se non abbiamo le cose, anche lo Spirito ci sfugge. Se perdiamo il sostegno dello Spirito, inciampiamo subito nelle nostre opere: perché una volta che lo Spirito se ne va, arriva l'impuro» (CLR 28,2).
Il ministero di Paolo
14Fratelli miei, sono anch’io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro. 15Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio 16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti.
«Osservate l'umiltà di Paolo, osservate la sua prudenza; ha dapprima un discorso profondamente incisivo; poi, dopo aver compiuto l'operazione salutare che si proponeva, ricorre a tutti gli ammorbidenti. Indipendentemente da tutto ciò che aveva detto, bastava confessare di aver parlato con una certa libertà, questa confessione serviva ad ammorbidire gli animi dei fedeli. Ecco perché dice in questo passo: "Vi ho scritto questo con libertà"; notate, questa espressione non gli sarebbe bastata; dice "con un po' di libertà", cioè con una dolce libertà. E non si ferma qui ma cosa dice? "Come per ricordarvi". Non dice: "Per insegnarvi"; ma "Facendovi ricordare", cioè ricordandovi dolcemente. Scende di tanto in tanto dalla cattedra di maestro e parla loro come a fratelli, ad amici, a pari. Il primo talento di un maestro, consiste nel variare il suo discorso a beneficio dei suoi ascoltatori» (CLR 29,1).
… adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio.
«Non parla più solo di culto, come all'inizio, ma della liturgia e del santo ministero: il mio sacerdozio è l'annuncio, la predicazione del Vangelo, questo è il sacrificio che offro. Nessuno ha mai rimproverato il sacerdote di aver cura che la sua offerta fosse pura: che l'offerta dei Gentili gli sia gradita, essendo santificata dallo Spirito Santo. Vale a dire, è necessario che le anime dei discepoli siano gradite a Dio. Perché non è tanto per onorarmi che Dio mi ha chiamato a questo ministero, quanto per garantire la tua salvezza. Non mi obietterete, dice l'apostolo, che la vanità ispiri le mie parole; vi parlo solo dei segni del mio sacerdozio, e non mi sento in imbarazzo a fornirvi i segni della missione conferitami; non sono vesti strascicate, né una mitra o una tiara, né un ornamento per la fronte, ma segni molto più formidabili, miracoli. E non si può dire neppure che ho ricevuto una missione, ma che non ho fatto nulla: mi sbaglio, non sono io che ho fatto qualcosa, ma Cristo. Perciò mi vanto in lui, non nelle opere comuni, ma nelle opere spirituali. Questo è ciò che si intende per per il servizio di Dio. La prova che ho compiuto la mia missione, e che le mie parole non sono vanto, sono i miracoli compiuti e la sottomissione delle nazioni» (CLR 29,1).
18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21ma, come sta scritto: Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.
«Osservate i suoi sforzi, la sua insistenza nel dimostrare che tutto è opera di Dio. Che io parli, o faccia, o compia miracoli, è Dio che fa tutto, l'autore di tutto è lo Spirito Santo. Queste parole intendono mostrare anche la potenza dello Spirito. Egli si guarda bene dal recarsi tra i popoli che avevano già ricevuto la dottrina» (CLR 29,3).
22Appunto per questo fui impedito più volte di venire da voi. 23Ora però, non trovando più un campo d’azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi, 24spero di vedervi, di passaggio, quando andrò in Spagna, e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza.
«Quando avrò goduto un po’: mostra il valore che attribuisce al loro affetto; queste parole dimostrano che non li ama con un amore volgare, ma vivo e appassionato. Non potrei mai godere abbastanza da soddisfare la mia fame della vostra presenza. Vedete come dimostra il suo affetto? Per quanto possa avere fretta, non li lascerà finché non avrà goduto della loro presenza» (CLR 29,3). «Come un buon padre ama il suo unico figlio, il suo stesso figlio, così Paolo amava tutti i fedeli: diceva infatti: Chi è malato, che io non sia malato con lui? Chi è scandalizzato, che io non arda? (2 Cor 11,29). Questa deve essere la prima di tutte le virtù in chi insegna. Per questo Cristo disse a Pietro: Se mi ami, pasci le mie pecore (Gv 21,17). Chi ama Cristo ama anche il suo gregge» (CLR 29,4).
25Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi di quella comunità; 26la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione con i poveri tra i santi che sono a Gerusalemme. 27L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali. 28Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato raccolto, partirò per la Spagna passando da voi. 29So che, giungendo presso di voi, ci verrò con la pienezza della benedizione di Cristo. 30Perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, vi raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio, 31perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme sia bene accetto ai santi. 32Così, se Dio lo vuole, verrò da voi pieno di gioia per riposarmi in mezzo a voi. 33Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.
Capitolo 16
L’apostolo, nel congedarsi dai Romani, si dilunga nei saluti ma ci offre anche alcune notizie interessanti sul momento che sta vivendo. Siamo a Corinto, durante l’impero di Nerone. È ospitato in casa di Gaio, presso una chiesa domestica (16,23), dove detta la sua lettera ad un “tachigrafo” (stenografo) di nome Terzo (16,22). La lettera viene poi consegnata a Febe (16,1), una collaboratrice membro autorevole della comunità di Cencre (il porto di Corinto), la quale la porterà con sé a Roma e la esporrà a quelle chiese. Si tratta di un’ipotesi ben fondata. Nonostante la triste fama che gli è stata attribuita, egli non è affatto un misogino; al contrario vanta numerose collaboratrici.
Si contano almeno cinque chiese domestiche alle quali verrà consegnato lo scritto: presso Prisca ed Aquila (16,3); presso Aristobulo (16,10); presso Narciso (16,11); presso Asincrito (16,14), presso Filologo (16,15). L’apostolo conosce un numero considerevoli di Romani. Li avevi incontrati nei suoi lunghi viaggi. Il Vangelo si diffondeva attraverso la comunicazione di questi viaggiatori che affrontavano i rischi della navigazione e del cammino su strada; in molti casi non si trattava di viaggi missionari specifici ma normali, per affari o di necessità. Termina la lettera raccomandando ai fedeli di fare attenzione a personaggi in movimento che possono corrodere il Vangelo (16,17-18). Satana li sta aggredendo, ma Dio stesso lo schiaccerà sotto i loro piedi. La vera conclusione dello scritto è la glorificazione di Dio che sta svelando il suo progetto d’amore: permettere a tutti i pagani di conoscere il Vangelo, la persona e l’opera di Gesù. Egli li rende capaci di obbedire al Figlio suo per ottenere la salvezza (16,25-27). L’obbedienza della fede è la virtù più preziosa (1,5 e 16,26).
«Molti trascureranno questa parte dell'Epistola come inutile e di scarso interesse. Tuttavia, i cercatori d’oro, raccolgono minuziosamente le particelle più piccole, e le persone di cui parlo trascurano, in realtà, veri lingotti d’oro. Queste poche parole basteranno a prevenire questa indifferenza e a correggerla. Pertanto vogliamo dimostrare che non c'è nulla di inutile, nulla lasciato al caso nelle Scritture. Se i dettagli che egli fornisce non fossero utili, l'apostolo non li avrebbe aggiunti alla sua lettera, ma ci sono uomini così indolenti che considerano superflui non solo i nomi, ma interi libri, come il Levitico, il libro di Giosuè e molti altri. Così l'Antico Testamento fu rigettato da un gran numero di stolti, e, avanzando ancora più in questa detestabile via, uomini deliranti sono giunti al punto di mutilare, in gran parte, il Nuovo Testamento» (CLR 31,1).
1Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: 2accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. 3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. 4Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. 5Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.
«Vi raccomando la nostra sorella Febe, diaconessa della chiesa di Cencre (16,1). Vedete quale onore le rende; la nomina prima di tutte le altre, e la chiama sorella; non è un onore qualsiasi essere chiamata sorella di Paolo. E aggiunge a questo titolo una dignità: la chiama diaconessa. Assistetela in qualunque cosa possa aver bisogno di voi. Vedete come egli si preoccupa di non essere troppo gravoso? Non chiede: che tu la metta a suo agio, ma che tu faccia ciò che è in tuo potere, che tu le dia una mano; e questo nelle circostanze in cui potrebbe aver bisogno di te, non assolutamente in tutte le sue difficoltà, ma solo quando il tuo aiuto le è necessario. Poi viene una lode incomparabile: lei stessa ha assistito molti, e me in particolare. Come possiamo rifiutare il nome beata a questa donna che ha guadagnato una così bella testimonianza da parte di Paolo? Imitiamo dunque questa santa, imitiamola, uomini e donne, e imitiamo, dopo di lei, quest'altra santa che andiamo a vedere con suo marito. Chi è questa coppia? Salutate, dice, da parte mia Priscilla e Aquila, che hanno collaborato con me in Cristo Gesù. Anche Luca testimonia la loro virtù, con queste parole: Paolo rimase con loro, perché il loro mestiere era fabbricare tende; mostra questa santa donna che accoglie Apollo nella sua casa e lo istruisce nella via del Signore ( At 18, 2, 3).
Sono titoli grandiosi, ma Paolo ne attribuisce di ancora più grandi. Perché che cosa dice? Hanno lavorato con lui. Le sue fatiche inaudite, i suoi pericoli, l'apostolo mostra che li hanno condivisi. Poi aggiunge: hanno rischiato la testa, per salvarmi la vita. A loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. Qui intende l'ospitalità ricevuta con l'aiuto finanziario, e le esalta perché gli avrebbero dato tutto il loro sangue, tutto ciò che avevano. Vedete queste donne generose, il cui sesso non ostacola in alcun modo la fuga che le trasporta alla più alta virtù? E non c'è nulla di sorprendente in questo perché in Cristo Gesù non c'è né maschio né femmina (Cf Gal 3,28). Salutate anche la chiesa che è in casa loro. L'apostolo non lesina il nome di Chiesa alle abitazioni private; vuole che la pietà, che il timore di Dio vi sia profondo e radicato. Per questo dice anche ai Corinzi: Salutate Aquila e Priscilla, con la Chiesa che è nella loro casa (1 Cor 16,19); e, nella lettera in cui raccomanda Onesimo: Paolo a Filemone e alla nostra cara Appia, e alla Chiesa che è nella tua casa (Fi 1,1-2). Si può essere sposati e mostrare grandi virtù. Ecco, queste persone erano sposate, le loro virtù li facevano brillare, sebbene la loro professione non fosse molto brillante poiché erano solo fabbricanti di tende; la loro virtù eleva l'umiltà della loro condizione e li rendeva più brillanti del sole; né la loro professione, né il giogo del matrimonio li danneggiarono ma mostrarono quella carità che Gesù Cristo esigeva da noi: Nessuno può avere un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). Il carattere distintivo del discepolo lo dimostrarono gloriosamente: presero la croce e seguirono la strada. Ascoltate queste parole, ricchi e poveri. Se gli operai che vivono delle loro mani, hanno mostrato una generosità così grande da essere utili a un gran numero di Chiese, quale potrebbe essere la scusa dei ricchi che disprezzano i poveri? Questi fedeli non hanno risparmiato nemmeno il loro sangue nel loro desiderio di rendersi graditi a Dio; e tu, risparmi beni senza valore che spesso ti fanno trascurare la tua anima. Le Chiese dei Gentili, dice l'apostolo, rendono loro grazie. Rifletti, vedi quanti nomi di regine vengono passati sotto silenzio; ma ovunque la moglie dell'artigiano è celebrata; è proprio per il loro zelo per il Vangelo. Paolo non teme di dire che una donna ha lavorato nella sua opera; Paolo, questo vaso eletto, arriva fino a vantarsi del suo aiuto; non guarda al sesso, è la volontà generosa che incorona. Impara allora che la bellezza di una donna non è data dal suo corpo, ma dalla sua anima, che è abbellita da una bellezza imperitura, che non può essere riposta in uno scrigno, ma che fiorisce per sempre nel cielo. Non è la vista di Paolo che li ha plasmati così, sono le sue parole. Prendete i libri di questi beati, conversate sempre con i loro scritti, essi potranno edificarvi a somiglianza di questa moglie del fabbricante di tende. Ma a che serve parlarvi di Paolo? Se lo desiderate, possederete il Maestro stesso, il Maestro di Paolo; attraverso il linguaggio di Paolo, è lui stesso che converserà con voi» (CLR 30,2-4).
Salutate il mio amatissimo Epèneto, che è stato il primo a credere in Cristo nella provincia dell’Asia.
«Qui possiamo vedere la diversità delle lodi che Paolo fa di ciascuno. Epeneto è stato la primizia dell'Acaia. Con questo Paolo intende che egli per primo intraprese il nuovo cammino, accogliendo la fede, il che non è una lode da poco, oppure intende che la sua pietà supera quella di tutti gli altri. Non è solo di Corinto, ma di tutta la provincia che lo chiama la primizia: era come la porta, il vestibolo attraverso cui entravano gli altri. La ricompensa di uomini come lui non è da disprezzare; un uomo simile raccoglierà frutti preziosi, anche dalle virtù degli altri, una giusta ricompensa per il grande servizio reso nei primi tempi» (CLR 31,1)
6Salutate Maria, che ha faticato molto per voi.
«Un'altra donna incoronata, celebrata, un'altra causa di confusione per noi, che ci diciamo uomini. Mi sbaglio, non accontentiamoci di arrossire; arrossiamo e inorgogliamoci; inorgogliamoci di avere accanto a noi donne simili; arrossiamo di essere ben lontani dall'uguagliarle, noi, che ci diciamo uomini. Da dove viene dunque lo splendore di cui brillano? Ascoltate: i braccialetti, le collane, le ancelle, le vesti d'oro non c'entrano; queste donne non devono altro che il sudore che hanno versato per la verità. Ha faticato molto per noi; non solo per sé stessa, per perfezionare la propria virtù, ha lavorato per gli altri, correndo per il mondo come gli apostoli, come gli evangelisti.
Perché allora Paolo dice: Non permetto alla donna di insegnare? (1 Tm 2,12). Non vuole che presieda i maestri, non vuole che salga sul pulpito, ma non le proibisce di insegnare. Infatti Priscilla istruì Apollo (Cf Atti 18,26). Si noti, inoltre, che Paolo non dice: Che ha insegnato molto, ma: Che ha faticato molto. Queste parole mostrano che Maria, oltre alle sue buone parole, rese una miriade di altri servizi, attraverso i pericoli che corse, attraverso il suo aiuto finanziario, attraverso i suoi viaggi. A quel tempo c'erano infatti donne che condividevano con gli apostoli le fatiche della predicazione; per questo viaggiavano con loro e rendevano loro ogni genere di servizio. Anche Cristo fu seguito da donne che lo sostentavano con i loro beni e servivano il Maestro» (CLR 31,1-2).
7Salutate Andrònico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me.
Queste parole sembrano essere una lode, ma ciò che segue lo è ancora di più: erano miei compagni nelle catene. Bisogna quindi credere che questi santi personaggi abbiano condiviso i suoi pericoli, ed è per questo che l'apostolo li chiama compagni nelle sue catene; così dice, in un altro passo: Aristarco, compagno nelle mie catene (Col 4, 10). Un altro elogio ora: sono insigni tra gli apostoli. Era certamente già una grande gloria essere nel rango degli apostoli, ma ancora di più essere tra loro stimati. Quale non dev'essere stata la saggezza di questa donna Giunia, se è stata giudicata degna di essere collocata nel rango degli apostoli! E Paolo non si ferma qui, aggiunge ancora un altro titolo: erano in Cristo Gesù già prima di me. Mette gli altri al di sopra di sé, non vuole che nessuno ignori che è venuto solo dopo di loro, non arrossisce di questa confessione» (CLR 31,2).
8Salutate Ampliato, che mi è molto caro nel Signore. 9Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio carissimo Stachi. 10Salutate Apelle, che ha dato buona prova in Cristo. Salutate quelli della casa di Aristòbulo. 11Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che credono nel Signore. 12Salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside, che ha tanto faticato per il Signore. 13Salutate Rufo, prescelto nel Signore, e sua madre, che è una madre anche per me. 14Salutate Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro. 15Salutate Filòlogo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i santi che sono con loro. 16Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo.
«Dopo aver detto, nel seguito: Salutate la casa di Aristobulo, Erodione mio cugino, e quelle della casa di Narciso ora accade che egli soggiunga: Salutate Trifena e Trifosa, che faticano nel Signore. Ha già detto di Maria che ha faticato molto per noi; ora dice di queste, che stanno ancora lavorando. Non è una piccola lode sapersi occupare completamente, e non solo occuparsi, ma lavorare, stancarsi. Quanto a Perside, la chiama la sua cara Perside, dimostrando con ciò che è superiore alle altre.
Salutate Rufo, l'eletto del Signore, e sua madre, che è anche mia. L'apostolo non avrebbe detto con leggerezza: Sua madre, che è anche mia, se non avesse voluto testimoniare la grande virtù di questa donna. Salutate Asincrito, Flegonte, Erma, Patrobo, Ermete e i nostri fratelli che sono con loro. Qui, non osservate che parla di loro senza aggiungere parole di lode ai loro nomi; ma notate piuttosto che non disdegna di nominare anche il più piccolo di tutti; anzi, tributa loro una grande lode, chiamandoli con il nome di fratelli, come i santi che vengono dopo: Salutate, Filologo, Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpiade e tutti i santi che sono con loro.
Quindi, per prevenire ogni gelosia litigiosa che potrebbe sorgere dal parlare di alcuni in un modo e di altri in un modo diverso, inizia a unirli tutti insieme nell'uguaglianza della carità e li unisce con il bacio santo: Salutatevi a vicenda con un bacio santo; un bacio pacifico, che serve a bandire ogni pensiero che possa turbarli; non lascia quindi spazio a sentimenti di rivalità. Dispone le cose in modo tale che il più grande non disprezzi il più piccolo, che il più piccolo non sia invidioso del più grande, che l'orgoglio e la gelosia scompaiano con questo bacio che livella e addolcisce tutto. Perciò non solo consiglia loro di salutarsi a vicenda, ma invia loro anche il saluto di tutte le chiese. Ricevete il saluto, non di questa o quella persona in particolare, ma il saluto comune di tutti, di tutte le chiese di Gesù Cristo» (CLR 31,3).
«Volendo dare ai fedeli sicurezza e considerazione, li saluta individualmente con lodi appropriate. Uno lo chiama mio caro; un altro mio parente; se tutti questi santi personaggi furono fedeli, non lo furono tutti allo stesso modo, non avevano uguali titoli per le ricompense. Ecco perché l'apostolo, desideroso di animarli tutti con uno zelo sempre più ardente, non nasconde nessuno dei titoli che danno diritto a una giusta lode. Non ci sarà uguaglianza di onore nel regno di Dio e non c'è uguaglianza tra tutti i discepoli. Una stella, differisce da un'altra stella in splendore (1 Cor 15,41)» (CLR 31,3-4).
17Vi raccomando poi, fratelli, di guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro l’insegnamento che avete appreso: tenetevi lontani da loro. 18Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici.
«Vi esorto a stare attenti riguardo a questi uomini, che provocano dissensi e scandali contro la dottrina che avete imparato. Perché nulla sconvolge la Chiesa più delle divisioni; sono le armi del diavolo, è ciò che capovolge tutto. Finché il corpo rimane unito, gli è impossibile penetrarlo, ma la divisione produce scandalo. Ora, da dove viene la divisione? Da dottrine contrarie all'insegnamento degli apostoli. E queste dottrine, da dove vengono? Dalla sensualità schiava del ventre e da altre passioni. Perché costoro, dice, non servono il Signore nostro, ma il loro ventre. E Paolo non dice l’insegnamento che vi abbiamo insegnato, ma che avete appreso. Li ammonisce, mostra loro che sono stati persuasi, che hanno udito, che hanno accettato! Ora, cosa dobbiamo fare a coloro che mutilano tali insegnamenti? L'apostolo non dice: Andate contro di loro, combattete, ma: allontanatevi da loro» (CLR 32,1).
19La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre dunque mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male. 20Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signore nostro Gesù sia con voi.
«Parla loro del Dio della pace per dare loro la fiducia di vedersi liberati dagli uomini pericolosi. Non dice: Dio li sottometta ma l'espressione è più enfatica: Dio schiacci il loro capo, l'autore di tutti questi disordini, Satana. E non solo schiacci, ma sotto i vostri piedi; siete voi che otterrete la vittoria. Ancora un'altra consolazione attinta dal tempo: Presto.
Qui c'è insieme una preghiera urgente e una profezia. «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi». Questa è l'arma più potente, il muro indistruttibile, la torre incrollabile. Se siete stati liberati dai mali più terribili, e questo solo per grazia, quanto più vi salverà da quelli che lo sono meno, perché sarete diventati amici di Dio, perché avrete contribuito a tutto ciò che dipende da voi. Vedete come egli non vuole né preghiera senza opere, né opere senza preghiera? Solo dopo aver reso testimonianza della loro obbedienza prega per loro, mostrando con ciò il duplice bisogno che abbiamo, sia di agire da soli, sia di essere assistiti da Dio, se vogliamo assicurare la nostra salvezza a forza di sollecitudine» (CLR 32,1-2).
21Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosípatro, miei parenti. 22Anch’io, Terzo, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore. 23Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto.
«Ricevete i saluti da Timoteo, mio collaboratore. Vedete ancora le solite lodi? Come anche da Lucio, Giasone e Sosipatro, miei parenti? Luca menziona questo Giasone e ci dà un'alta idea del suo coraggio, mostrandolo trascinato, tra le grida del popolo, davanti ai magistrati della città (Cf At 17,5-9). È da credere che anche gli altri fossero persone notevoli; perché l'apostolo non li avrebbe nominati per la sola ragione della parentela, se la loro pietà non li avesse resi simili a lui. Io, Terzo, ti mando i miei saluti, che ho scritto questa lettera. Questo è un altro titolo che ha il suo valore, essere il segretario di Paolo.
Ricevi anche il saluto di Caio, mio ospite e ospite di tutta la Chiesa. Guarda quale corona egli tesse in suo onore, quando vede questa ampia ospitalità che raduna tutta la Chiesa nella sua casa! Perché qui, ospite significa colui che dà ospitalità.
Ricevete il saluto di Erasto, tesoriere della città, e del nostro fratello Quarto. Non è senza ragione che aggiunge: tesoriere della città. Scrisse ai Filippesi: Vi salutano quelli della casa di Cesare (Fil 4,22), per dimostrare che la predicazione raggiungeva grandi persone; così, quando menziona l'importante ufficio di Erasto, mostra che chi presta attenzione alla parola non trova ostacoli né nella sua fortuna, né nelle preoccupazioni dell'autorità, né in nulla che le assomigli» (CLR 32,2).
25A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, 26ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, 27a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.
Conclusione
La Lettera impone due conclusioni che riprendo dalle opere di due uomini dello Spirito.
1. È necessario in primo luogo coltivare la conoscenza di noi stessi, ammettere la nostra povertà ma soprattutto confidare nella bontà inesauribile del Signore:
«Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza; ma senza dubbio i migliori tra essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi. Colui che, stimolato dal fervore dello Spirito Santo, ha già gli occhi ben aperti verso Dio e, nell’amore di lui, è divenuto conscio della propria miseria e, volendo ma non potendo giungere fino a lui, guarda in se stesso alla luce di Dio e scopre se stesso ed ha così acquistato la certezza che la sua malattia è incompatibile con la purezza di Dio, questi prova dolcezza nel piangere e nel supplicare Dio che abbia più e più volte misericordia, fino a quando si liberi di tutta la sua miseria, nel nome di suo Figlio, unico Salvatore e illuminatore dell’uomo… Bisognava dunque convincere l’uomo della grandezza dell’amore di Dio per noi e dello stato in cui eravamo quando ci ha amato; di questa grandezza [d’amore] perché non disperassimo, di questo stato [di povertà] perché non insuperbissimo (Agostino, De Trinitate, IV, 1.1-1.2).
2. Il cristiano autentico imita la bontà gratuita di Dio verso i malvagi anche nei confronti di chi lo perseguita:
«Non condannare l'empio e neppure colui che è apertamente un malfattore: “Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone” (Rm 14,4). Non odiare chi ti calunnia né chi ti offende, né il brigante né l'omicida: essi ti crocifiggono alla destra del Signore, secondo una misteriosa disposizione dei giudizi di Dio; così, con piena coscienza e convinzione, potrai dire al Signore nella preghiera: “Ricevo quel che merito. Ricordati di me, Signore, nel tuo Regno”. Cerca di cogliere, nelle afflizioni che ti colpiscono, la tua inesprimibile fortuna, la tua elezione da parte di Dio, e prega con una preghiera ardente per quei benefattori: dalle loro mani sei strappato al mondo e dalle loro mani sei innalzato verso Dio. Prova verso di loro una compassione simile a quella che prova Dio nei confronti dell'umanità sprofondata nel peccato, lui che ha consegnato il proprio Figlio in sacrificio di redenzione per la creatura ostile, pur sapendo che la maggior parte degli uomini avrebbe deriso e disprezzato questa vittima. Tale misericordia, che va fino all'amore per i nemici, che si esprime con preghiere per loro, conduce a una conoscenza vissuta della verità» (I. Briancaninov, Preghiera e lotta spirituale… p. 72).
Bibliografia
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