venerdì 20 giugno 2025

Api e miele

 

Sollecitato dai post di un amico che mi ha mostrato il lavoro nel suo apiario, mi sono venuti alla mente alcuni passi della Scrittura che parlano delle api. Con ogni evidenza, si tratta nel caso mio, di ossessione professionale. 
Cominciamo. Dobbiamo distinguere tra i passi in cui si parl del miele (numerosissimi) e quelli che parlano, invece, delle api. Quest'ultime non si sentono affatto offese per essere state così trascurate, perché sono insetti pieni d'umiltà. Così suppongono gli autori sacri. È umile anche se offre il prodotto migliore tra le cose dolci. Io sto già citando un passo e sto appropriandomi di un pensiero altrui. Ecco allora il passo da cui ho attinto questo messaggio: «Non lodare un uomo per la sua bellezza e non detestare un uomo per il suo aspetto. L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore fra le cose dolci. Non ti vantare per le vesti che indossi e non insuperbirti nel giorno della gloria, perché stupende sono le opere del Signore, eppure esse sono nascoste agli uomini» (Sir 11,2-4). 

Le api sono poco belle e poco simpatiche (ho chiuso la finestra per paura che qualcuna venga a pungermi). Non sono appariscenti, non vestono Prada. Non si curano dell'apparenza ma dell'operato concreto. S'impegnano, perché amano il loro lavoro e lo amano perché produce un prodotto eccellente a vantaggio di tutti. Sono simili a tante persone umili che vivono una vita intensa d'amore, nella fabbrica o in famiglia, senza aspettarsi alcun riconoscimento. 

Questo è un aspetto. Mai leggere la Scrittura soffermandosi sopra un solo passo. Uno sciame di api agitate è piuttosto pericoloso. Isaia paragona i soldati dell'Assiria, la super potenza dell'epoca, che invase la terra d'Israele, ad api piuttosto irritate: il Signore chiamerà «le api che si trovano in Assiria. Esse verranno e si poseranno tutte nelle valli scoscese, nelle fessure delle rocce, su ogni cespuglio e su ogni pascolo» (Is 7,18-19). Le api sono un'immagine dei nemici più pericolosi anche di una singola persona: «Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra i rovi, ma nel nome del Signore li ho distrutti (Sal 118,12)». Tuttavia, ecco di nuovo un cambiamento. L’ostilità stessa può trasformasi in un’occasione per diventare, ancora di più, persone d’amore: «Lo stesso Signore è stato circondato dai persecutori, come le api circondano il favo. Gli empi, non sapendo che cosa facevano, coi tormenti hanno reso più dolce il Signore, affinché vediamo e gustiamo quanto è soave il Signore» (Prospero d'Aquitania). 

Insomma le avversità della vita e perfino l'ostilità altrui, possono finire con darci giovamento. Auguri a tutti.

A volte quando postiamo qualche cosa su Facebook, veniamo aggrediti da qualche sciame di passaggio. È il momento, con pazienza, di produrre il miele della carità. L'ira combatte il male, ma soltanto la pazienza lo vince. 

Abbiamo parlato delle api in pochi passi ma significativi. Che cosa si dice del miele nella Bibbia? Le api saranno molto orgogliose perché si parla molto bene del loro prodotto. Ricordate che cosa mangiava Giovanni Battista mentre si trovava nel deserto? Non potendo recarsi alla mensa della Caritas, si accontentava di ciò che trovava ma si dichiarava molto fortunato quando trovava del miele lasciato là da api, selvatiche sì, ma molto gentili (cf Mc 1,6). Avevano simpatia per questo profeta, anche se non si fecero mai battezzare. Il miele, infatti, era considerato da sempre un alimento molto calorico. Secoli prima, Gionata, figlio del re Saul, s'era ridotto allo sfinimento durante una battaglia. Trovato per caso un favo, cominciò a cogliere del miele con la punta di un bastone e si sentì subito rinvigorire: «i suoi occhi si rischiararono» (1 Sm 14,27). 

Era un cibo molto apprezzato. Giobbe parla di uno che «se lo teneva nascosto sotto la sua lingua, assaporandolo senza inghiottirlo, se lo tratteneva in mezzo al suo palato» (Gb 20,12-13). Infatti mi sembra questo il modo più intelligente di mangiarlo: lasciarselo sciogliere in bocca. Secoli dopo (scusate se passo così facilmente da un secolo all'altro ma questo è l'unico modo che ho per farvi capire che sono molto istruito), il vescovo Fenelon dirà che questo è il metodo migliore per fare meditazione: trattenere a lungo qualche espressione per cogliere il senso, per apprezzarla. Purtroppo, invece, ancora adesso si prega ingoiando in fretta, senza capire, senza apprezzare. Così tutto finisce come peso sullo stomaco. Volete escogitare il medo migliore per stufare i fedeli a Messa? Fatela di corsa!

Sto depistando. Ho detto che era un prodotto molto apprezzato. Infatti Giacobbe per ingraziarsi il viceré d'Egitto (che era suo figlio ma non lo sapeva) così consiglia gli altri figli: «Mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti della terra e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e làudano, pistacchi e mandorle» (Gen 43,11). Insomma: frutta secca, profumi, medicinali ma anche miele. Non c'è allora da stupirsi se Dio volendo reclamizzare la terra che voleva donare al suo popolo, dicesse: «La terra dove scorre latte e miele». Primo tentativo di pubblicità turistica. Tenete conto che la Striscia di Gaza c'era già, ma allora non era una striscia. La terra dove il miele scorre come fosse un torrente (non dimenticate che siamo nell'ambito pubblicitario) diventa un segno della grazia sorprendente di Dio. Dal punto di vista cristiano è un'immagine dei doni ricevuti con la conversione e il Battesimo: Introduxit nos Dominus in terram fluentem lac et mel (Introito del lunedì di pasqua). Cioè? Parla più chiaro, mi direte. Ecco una versione un po' libera: «Già qui, per mezzo dello Spirito Santo, veniamo riammessi in paradiso, ritorniamo allo stato di adozione a figli, ci viene dato di compartecipare alla grazia di Cristo... di vivere nella pienezza della benedizione. Tutto questo già da ora e poi nel tempo futuro» (Basilio).

Vi siete chiesti per quale motivo il Battista amava il deserto roccioso di Giuda, predicava e battezzava vicino a Gerico, con tutto il calda che faceva e fa in questo posto? Non poteva andare in un luogo più fresco e nutrirsi un po' meglio? È vero che succhiava anche un po' di miele, del resto necessario per un predicatore privo di microfoni, ma perché voler starsene proprio lì? Il Vangelo non ce lo dice in modo diretto ma possiamo intuirlo. Formulo un'ipotesi verosimile perché, dal momento, che non sono un esegeta diplomato, non posso inventarmene troppo grosse. Il popolo di Dio, quando passò nella terra promessa, provenendo dall'Egitto, era passato proprio da quelle parti. Lì era cominciata la storia del popolo. Secondo il Battista, bisognava ritornare alle sorgenti e ricominciare. Tanto più che incombeva un pericolo. Dio non aveva dato la terra ad Israele in possesso ma, per spiegarci, soltanto in comodato gratuito. Israele doveva abitarla senza guastare l'appartamento, altrimenti il legittimo proprietario si sarebbe fatto vivo per rompere l'accordo. 

Ma il miele che c'entra? Quella era la terra in cui scorreva latte e miele. Tra i doni di Dio c'era anche la sessualità: «Le tue labbra stillano nettare, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua» (Ct 4,11). [Non strabuzzate gli occhi: qui si parla, chiaramente, del bacio di pace, prima della Comunione] 

E quello non era ancora niente: «In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque» (Giole 4,18). La terra sarebbe stata così generosa, se il popolo l'avesse abitante in modo conforme allo stile e al progetto di Dio. «Ascolta, o Israele, e bada di mettere in pratica i miei comandi, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele,come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto» (Dt 6,3). Un invito molto promettente, ma, adesso, sentite anche questa, ve la devo dire per onestà professionale: «Osserverete dunque tutte le mie leggi e tutte le mie prescrizioni e le metterete in pratica, perché la terra dove io vi conduco per abitarla non vi vomiti. Non seguirete le usanze delle nazioni che io sto per scacciare dinanzi a voi» (Dt 20,21-22). Si potrebbe dire la stessa cosa così: il posto è bello, basta cavare quelli l'abitano. 

Il vero miele, allora, consiste nell'obbedienza al volere santo di Dio: «I giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante» (Sal 19,10-11). 

Se si fa il contrario che cosa succede? Un amico terribile di Giobbe così pensa a proposito di quelli che rovivano la terra con le loro prepotenze e violenze: «Il cibo gli si trasformerà in veleno di vipere. I beni che ha divorato, dovrà vomitarli, Dio glieli caccerà fuori dal ventre. Veleno di vipere ha succhiato,una lingua di aspide lo ucciderà. Non vedrà più ruscelli d’olio, fiumi di miele e fior di panna; darà ad altri il frutto della sua fatica senza mangiarne, come non godrà del frutto del suo commercio, perché ha oppresso e abbandonato i miseri, ha rubato case invece di costruirle; perché non ha saputo calmare il suo ventre, con i suoi tesori non si salverà. Nulla è sfuggito alla sua voracità, per questo non durerà il suo benessere. Nel colmo della sua abbondanza si troverà in miseria; ogni sorta di sciagura piomberà su di lui» (Gb 20,14-22).

Oggi si direbbe: bisogna aspirare ad uno sviluppo sostenibile. 

Ho sviluppato tanti spunti senza spiegarne bene neppure uno. Mi scuso col dire: non basta una testa sola a spiegare la Bibbia. 

Padre nostro

 Introduzione

Introdotto con l'espressione «così dunque pregate voi», il Padre nostro (Mt 6,9-13) si presenta come l'indicazione della preghiera tipica del discepolo che si contrappone a quella dei pagani.

La versione matteana del Padre nostro è più lunga di quella di Luca (11,2-4). L'opinione più diffusa tra gli esegeti è che non sia stato Luca ad accorciare ma sia stata la versione matteana a subire allargamenti, un fenomeno quest'ultimo tipico dei testi liturgici frequentemente utilizzati. Cosl l'aggiunta alla semplice invocazione «Padre» dell'espressione «nostro nei cieli» sembra doversi attribuire alla redazione matteana o alla sua comunità. 

Anche l'allargamento con la terza domanda sul compimento della volontà divina, sia per il vocabolario che per la prospettiva, è dovuto a Matteo (in aggancio forse alla tradizione della sua comunità e anche a preghiere di stampo giudaico). Infine anche l'invocazione positiva «ma liberaci dal male», agganciata alla sesta domanda, pur potendo essere nata in circoli giudeo-cristiani, è entrata nel Padre nostro ad opera di Matteo. Con queste aggiunte la versione matteana appare ben equilibrata: dopo l'invocazione appellativa iniziale, si presentano tre richieste dove si evidenzia il «tuo» e tre richieste dove prevale il «noi-nostro»

L'invocazione iniziale

L'invocazione iniziale dà il tono a tutte le richieste successive. Dio è invocato come Padre nostro che sei nei cieli. Al semplice «Padre» di Luca è aggiunto il possessivo «nostro». La comunità dei discepoli si sente abilitata a rivolgersi a Dio come «Padre nostro» perché Gesù stesso ha parlato a lei del «Padre vostro» (cfr. Mt 5,16.45.48; 6,1.8.14.15.26.32; 7,11; 10,20.29; 18,14; 23,9). La particolare vicinanza di Dio ai discepoli che in questo appellativo si esprime è certamente mediata da Gesù stesso che, specialmente nella sua preghiera, osava rivolgersi a Dio con il confidenziale Abbà (papà) (Mc 14,36; cfr. Gal 4,6; Rm 8,15)3. La preghiera cristiana inizia dunque con questo atto di fede nell'amore di Dio che riposa particolarmente sulla comunità dei discepoli di Gesù e che fa di essa un'unica famiglia. 

Al confidente «Padre nostro» Mt aggiunge «nei cieli», secondo un modo di pensare e di esprimersi tipicamente giudaico. Con tale indicazione egli esprime l'alterità di Dio rispetto non solo a tutti i padri terreni, ma anche a tutte le realtà della terra. Improvvisamente Dio sembra essere allontanato nella sua infinita trascendenza. Ma «i cieli» non sono il luogo dove Dio risiede in forma statica, sono piuttosto il luogo dal quale egli esercita, in modo dinamico, il suo potere sull'universo intero. Dio è dunque Padre ma anche Signore del mondo. E i discepoli sono coscienti di poter essere i primi beneficiari di questa signoria divina.


Le prime tre domande

Le prime tre domande non hanno la forma della lode ma di una pressante richiesta. Più che di tre domande distinte si tratta di un'unica domanda che si esprime in tre formulazioni diverse. Occorre, dunque, comprenderle non separatamente ma in reciproca relazione. Tra l'altro esse sono caratterizzate da un procedimento stilistico sostanzialmente comune. La prima e la terza domanda (sulla santificazione del nome e sul compimento della volontà divina) fanno uso del passivo divino così che le realtà invocate devono pensarsi come attuate da Dio. Ma anche nella seconda richiesta sull'avvento del regno si presuppone che sia Dio a realizzarla. Il verbo in posizione enfatica iniziale in tu tte e tre le domande segnala che il desiderio dell'orante punta su un evento. L'uso dell'aoristo (sia santificato - venga - sia fatta ) indica che le richieste sono orientate a un evento puntuale che è l'irrompere escatologico della signoria di Dio, attraverso il quale il nome di Dio sarà manifestato come santo e la sua volontà salvifica avrà compimento. L'attuarsi di un tale evento va letto nell'orizzonte della specificazione agganciata alla terza domanda: «come in cielo così in terra». Ciò che Dio ha già ora deciso «nel cielo» sarà realizzato un giorno da lui «sulla terra» a favore degli uomini.


Sia santificato il tuo nome

La richiesta sulla santificazione del nome va illuminata attraverso il motivo veterotestamentario della profanazione-santificazione del nome di Jahvè. Occorre premettere qui che il «nome» è inteso quasi come il lato esterno di Dio, la manifestazione della sua essenza, della sua santità e maestà. Ora la santificazione di questo nome sembra in qualche caso condizionata alla condotta del popolo che egli si è scelto e a cui ha legato il suo nome. Questo popolo eletto può profanare il nome di Dio con l'idolatria (cfr. Ez 43,7-8) e con il venir meno agli impegni assunti con Dio (cf r. Lv 22,31-32; Ger 34,15-16). In tal modo esso non lascia più trasparire nel suo agire la santità del nome del suo Dio di fronte alle nazioni. 

In altri casi la santificazione del nome dipende da Dio stesso, negativamente nel non porre interventi che possano creare scandalo (cf r. Ez 20,9.14.22) e positivamente non lasciando il popolo nella sofferenza (cf r. Is 52,5-6) e venendo in suo soccorso contro i nemici (cfr. Ez 39,7; Is 29,23). La sintesi quasi di queste due prospettive si ha in un significativo testo di Ezechiele (36,20-28) che presenta l'intervento decisivo di Jahvè: egli stesso santificherà allora il suo nome di fronte alle nazioni intervenendo a radunare Israele sulla sua terra e donandogli un cuore nuovo così che possa essere profondamente fedele ai suoi comandamenti. La santificazione del nome di Dio presuppone dunque questo suo intervento escatologico che permetterà agli uomini di riconoscere la sua santità, ma al contempo presuppone anche una comunicazione della santità di Dio agli uomini cosl che essi la potranno far trasparire pienamente.

La prima richiesta del «Padre nostro» riflette questa speranza escatologica. Essa invoca il grande intervento di Dio che inaugurerà il mondo nuovo. Il cristiano che prega così sa però che questa piena manifestazione è già iniziata in Cristo e per il dono dello Spirito. Dio ha già santificato il suo nome in noi credenti perché lo possiamo santificare di fronte agli uomini. L'invocazione perché Dio manifesti in pienezza la santità del suo nome ricorda all'orante che anch'egli deve porsi nella disponibilità a prendere parte alla santificazione del nome divino.


Venga il tuo Regno

La seconda richiesta sull'avvento del regno è intimamente collegata con la prima e ne continua l'istanza. Certamente il regno di cui si invoca la venuta è quello del quale il messaggio di Gesù proclama l'imminenza (cfr. Mt 4,17; 10,7). Gesù però non ne precisa mai la natura. Egli presuppone che i suoi contemporanei sappiano ciò di cui egli parla. L'espressione «regno [dei cieli] di Dio» aveva una duplice valenza. Da una parte essa conteneva la speranza profetica che un giorno Dio si sarebbe fatto presente, sarebbe venuto personalmente per esercitare la sua regalità (cfr. Is 24,23; 40,9; 52,7; Mt 4, 6-7). Dall'altra parte essa si coloriva anche degli accenti tipici dell'apocalittica per la quale il regno di Dio era lo spazio nuovo che egli creava con la sua sovranità. Quando il regno di Dio fosse sceso sulla terra, ciò avrebbe inaugurato la nuova creazione, cosl che questo regno sarebbe stato pieno non solo della gloria di Dio, ma anche della beatitudine per gli uomml.

Quando l'orante invoca la pienezza della venuta del regno ambedue queste prospettive sono presenti. Egli desidera che la regalità di Dio si affermi definitivamente cosl che «Dio sia tutto in tutti» (cfr. lCor 15,28) e che la salvezza giunga pienamente agli uomini. E questa unità, dunque, che l'orante implora: la condizione definitiva del mondo, in cui viene realizzato tutto l'onore dovuto a Dio e tutta la salvezza e la novità del mondo. Ma l'orante sa già che questo regno è "germinato" con Gesù e che la sua pienezza è legata al suo ritorno glorioso. Perciò egli invoca anche «Maranatha» (cfr. lCor 16,22; Ap 22,20), «Vieni Signore Gesù».


Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra

La terza richiesta sul compimento della volontà di Dio è riportata solo da Matteo. La preferenza di questo evangelista per il termine «volontà» (thelema) in relazione all’appellativo «Padre», per indicare Dio, è abbastanza chiara. Alcuni testi che contengono l'espressione «fare la volontà del Padre» (cfr. Mt 7,21; 12,50; 21,30 ) lasciano trasparire che la «volontà» indica le esigenze divine che gli uomini devono compiere con la loro condotta. L'espressione è formalmente simile al linguaggio rabbinico ma il contenuto della volontà del Padre è per Matteo essenzialmente la "misericordia" (cfr. Mt 9,13; 12,7  ). Stando a questa prospettiva di Matteo, la richiesta esprimerebbe il desiderio di vedere le esigenze divine ottemperate e messe in pratica dagli uomini. Occorre però osservare che nella domanda del Padre nostro non è utilizzato il verbo «fare», ma un «si compia» che ha per soggetto Dio stesso. Un espressione identica a quella del Padre nostro si ritrova nella preghiera di Gesù al Gestsemani: «se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42). Al desiderio che gli sia risparmiata la passione, Gesù antepone la richiesta che Dio compia il suo beneplacito e la sua volontà .

La comprensione della terza richiesta sembra averci collocati di fronte a due diverse prospettive: da una parte la volontà divina come esigenza posta agli uomini, dall'altra parte questa volontà come ciò che Dio stesso decide di fare nel suo beneplacito. Le due prospettive non si escludono a vicenda ma si integrano. Già il termine ebraico che corrisponde normalmente a «volontà» (the!ema) contiene sia l'aspetto delle esigenze divine sia la sfumatura della decisione benevola di Dio che sta all'origine del suo disegno di salvezza. Le due prospettive sembrano essere simultaneamente presenti anche nell'aff ermazione matteana. 

«Non è volontà del Padre vostro che è nei cieli che uno solo di questi piccoli si perda» (Mt 18,14 ): Dio ha deciso cosl nel suo piano salvifico e questo è comunicato agli uomini sotto forma di esigenza. L'orante dunque nella terza richiesta aspira a vedere realizzata da Dio stesso quella sua volontà che ha per oggetto la venuta del regno e la santificazione di Dio. Questo è il suo primo desiderio. Ma egli sa anche che questo desiderio non può essere profondo e vero senza che ci sia una conformazione degli uomini alle esigenze divine. Perciò egli prega anche perché Dio crei le condizioni per le quali gli uomini possano attuare una tale conformazione. Egli chiede quel cuore nuovo che rende possibile il compimento della volontà di Dio come esigenza interiore. Tutto questo è desiderato per il tempo escatologico. Allora ciò che Dio ha già deciso nel cielo sarà attuato pienamente anche sulla terra. Quanto però si realizzerà un giorno deve diventare già da adesso norma di condotta. L'orante sa che lo Spirito è già stato effuso nel cuore degli uomini e che questo dono rende possibile già da ora l'adempimento della volon tà divina. La sua invocazione perciò diventa anche disponibilità all'impegno. 


Le seconde tre domande

Le seconde tre domande sono dominate da una prospettiva diversa da quella delle prime tre: mentre queste imploravano la manifestazione escatologica dell'azione salvifica di Dio, quelle invece orientano lo sguardo alla situazione dell'uomo chiamato alla salvezza. Il raggiungimento di tale salvezza è ora minacciato da tre ostacoli: il pieno assorbimento dell'uomo da parte di un'ansia per le cose che non lascia più spazio per l'unica necessaria preoccupazione che è la ricerca del regno e della giustizia (cfr. Mt 6,25 -34) (domanda del pane); i peccati che hanno reso l'uomo colpevole davanti a Dio (domanda del perdono); il pericolo di cadere in nuovi peccati (domanda di preservazione dalla tentazione). Il passaggio dalle prime tre richiesta di tipo escatologico alle seconde tre che mirano maggiormente alla situazione presente dei discepoli è assicurato dall'invocazione del compimento della volontà di Dio. Perché i discepoli possano adempiere in pienezza le esigenze divine già da ora è necessario che essi siano liberati da tutto ciò che ostacola la piena adeguazione al volere divino. 


Dacci oggi il nostro pane quotidiano

La domanda del pane è da intendere, più in generale, come la richiesta del sostentamento essenziale per la vita di cui il pane è l'elemento principale. L'aggettivo «nostro» lo qualifica come il pane di cui noi abbiamo bisogno e che ci dobbiamo faticosamente procurare. Ogni interpretazione allegorizzante o simbolica di questo pane è già preclusa in partenza. Non si tratta né del pane del banchetto escatologico (cfr. Lc 14,15) né del pane eucaristico, ma semplicemente e solamente del pane terreno indispensabile per la nostra vita. La richiesta è che questo pane Dio lo faccia giungere a noi come un dono «per oggi». La posizione enfatica di questo «oggi» nel testo greco segnala l'urgenza con cui il pane è domandato: di esso se ne ha bisogno già oggi. Nel contempo l'oggi sottolinea anche che l'orante è preoccupato solo del giorno presente. Il domani non lo deve tenere nell'ansia: «non aff annatevi dunque per il domani, perché il domani avrà le sue inquietudini. A ciascun giorno basta già la sua pena» (Mt 6,34). Un tale atteggiamento è reso possibile solo dalla fiducia nella provvidenz a del Padre: «Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno» (6,32). 

Tutto questo contesto facilita la comprensione dell'aggettivo epioùsios che viene tradotto impropriamente con «quotidiano». Assente negli autori antichi, questo aggettivo è problematico anche quanto all'etimologia. La derivazione più naturale, da épiousa (héméra) verrebbe a qualificare il pane come «quello del giorno che viene». Pensare però al pane del domani non solo sarebbe in contraddizione con tutto il contesto ma impoverirebbe la richiesta anche rispetto al tradizionale insegnamento giudaico. Occorre perciò pensare al "giorno che viene" come "al giorno in cui si è", cioè all'oggi. Siamo dunque di fronte ad una richiesta che coerentemente attende «oggi» il sostentamento essenziale "per questo giorno".

Certamente una preghiera cosl radicale è comprensibile solo in un contesto di vita particolare, contrassegnato da una povertà in cui il bisogno dell'oggi incalza a tal punto che non ci si può dar pensiero per il domani. È il contesto dei discepoli di Gesù che, lasciato tutto, lo seguono e condividono con lui la povertà, attenti soltanto alla realtà del regno. Il dono del sostentamento per l'oggi diventa la condizione che permette loro di dedicarsi totalmente all'annuncio del regno. Diversa è la prospettiva in cui Luca colloca la richiesta del pane. È una prospettiva che meglio si adatta alla situazione di tutti i cristiani. Egli fa pregare perché Dio «doni» (al presente e quindi in senso permanente) il pane «ogni giorno». Viene quindi già da ora richiesto anche per il futuro il dono di ciò che è essenziale per il sostentamento.

Al di là dei diversi contesti, possiamo comprendere lo spirito che Gesù vuole alimentare con questa domanda. Egli insegna innanzitutto a non chiedere più di ciò che è necessario ed essenziale alla vita. Chi prega cosl perciò non può lasciarsi prendere dall'ansia per le cose né tantomeno mettersi al servizio idolatrico di Mammona (cf r. Mt 6,24). Inoltre Gesù vuole far crescere una forte e illimitata fiducia in quel «Padre» a cui tutto è possibile. Questi conosce già in anticipo ciò di cui abbiamo bisogno e non ce lo farà mancare.


Rimetti a noi i nostri debiti...

La domanda del perdono è formata da due elementi: la richiesta a Dio e la condizione alla quale tale richiesta è possibile. L'immagine che domina la formulazione è quella dei debiti e del debitore (mentre Luca nel primo elemen to preferisce il termine «peccati» a lui più congeniale). Tale immagine era in uso nel giudaismo per indicare la condizione del peccatore di fronte a Dio. Gesù utilizza l'immagine, ma la sua prospettiva è nuova rispetto a quella giudaica. Mentre i rabbini si preoccupano di come assolvere il debito con il compimento delle buone opere, Gesù dichiara che il debiro del peccatore è insolvibile (cf r. il debito smisurato del servo impietoso: Mt 18,24). Certamente per Gesù questo debito non è costituito semplicemente dalle trasgressioni morali, ma anche dalle inadempienze e omissioni di fronte alle radicale esigenze che Dio pone all'uomo. Per evitare la catastrofe del giudizio non resta al peccatore che invocare Dio perché nella sua grazia rimetta già da ora il debito. Questo è il senso del primo elemento della domanda.

Se l'uomo peccatore non può risarcire Dio, può però adempiere una condizione per accogliere la grazia del condono divino: perdonare coloro che hanno debiti nei suoi confronti. Un tale rapporto per il perdono di Dio e il perdono da concedere ai fratelli è bene illustrato dalla parabola del servo impietoso (Mt 18,23-35), dal commento a questa richiesta contenuto in Mt 6,14-15, ed è presente nella beatitudine: «Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia» (Mt 5,7). Occorre trattare i fratelli nella maniera in cui desideriamo essere trattati da Dio.

Ma è possibile precisare meglio il rapporto tra queste due realtà guardando attentamente alla formulazione matteana? L'uso dell'aoristo nel secondo elemento della domanda sembra indicare che l'orante dichiara di aver già perdonato i suoi debiti nel momento in cui si appresta a chiedere a Dio il perdono. Egli sa che il perdono divino è gratuito e incondizionato, ma sa anche che questo perdono lo impegna a sua volta a perdonare, perciò enuncia che questo impegno egli l'ha già assolto. Diversamente Luca, usando il presente e sottolineando «ad ogni debitore», fa dichiarare all'orante la sua disponibilità al perdono "sempre" e "per ciascuno" . Resta da notare che il «come noi abbiamo rimesso pure ai nostri debitori» sembra stabilire una certa analogia tra il perdono concesso da Dio e quello concesso al fratello. Si può dire che Dio ricalca la sua azione sulla nostra, ma anche che la nostra è ricalcata sulla sua, perché è la sua misericordia cbe ci ha spinto ad essere misericordiosi. 


Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male

L'ultima domanda è, nella versione matteana, composta da due invocazioni, la prima negativa e la seconda positiva .

La prima riguarda la «tentazione». Abitualmente noi pensiamo alla tentazione in termini psicologici, come l'attrazione verso una cosa cattiva. Ben diversa è la concezione biblica. Il peirasmòs ("tentazione") è propriamente l'a­zione attraverso la quale viene verificata o messa alla prova la qualità di una cosa o di una persona. Così Dio mette alla prova !a fede di Abramo chiedendogli il sacrificio del suo unico figlio (cfr. Gn 22, lss.), mette alla prova i giusti come l'oro nel crogiolo, per vedere se sono degni di lui (Sap 3,5-6), mette alla prova il suo popolo dmante la peregrinazione del deserto per saggiare il suo cuore (Dt 8,2). L'oran te stesso, con grande fiducia nella propria perseveranza, può chiedere: «Scrutami, Signore, metti mi alla prova» (Sal 26,2). In qualche testo dell'Antico Testamento (cfr. Gb l,6ss; lCr 2 1,1) e poi nel giudaismo Satana è presentato come l'autore immediato di questa «tentazione». Nel Nuovo Testamento Satana diviene il «tentatore» per eccellenza (Mt 4,3; 1Ts 3,5; Cor 7,5; Ap 2,10) cancro il quale occorre resistere (cf r. lPt 5,8-9).

Nell'invocazione che stiamo esaminando la «tentazione» è vista in modo più profondo e pericoloso che il semplice essere messi alla prova da parte di Dio. Qui la tentazione è quasi sinonimo cli "caduta". Essa sembra quasi già identica a quel «male» dal quale si chiederà la liberazione nella successiva e parallela invocazione . 

Si ha l'impressione che entrare in questa tentazione significhi in qualche modo già essere perduti. Per questo l'orante chiede a Dio che neppure lo introduca in questa tentazione. Di quale tentazione può trattarsi? Certamente essa ha a che fare con la grande prova e con la grande tribolazione che, nella prospettiva apocalittica, precede la fine (cfr. Mc 13,9-10; Ap 3,10). Sarà una tentazione così pericolosa da rendere plausibile la domanda: «Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Le 18,8). Dobbiamo però tenere presente che per Gesù e i suoi discepoli la decisiva svolta dei tempi è già avvenuta e il regno è già vicino. Il pericolo perciò della grande tentazione è da vedere non in un futuro remoto ma già nel tempo presente. È il pericolo di trascurare i segni ancora poco appariscenti del regno germinale, è il pericolo di scandalizzarsi di Gesù che ne è il portatore . La grave tentazione è dunque quella di defezionare nella fede e nella sequela. L'orante che conosce la decisività di tale caduta chiede fiduciosamente al Padre di non essere mai introdotto in questa tentazione.

Parallela a questa invocazione negativa, Matteo colloca quella positiva della liberazione dal male o dal Maligno. Il testo greco non permette di stabilire con chiarezza se si tratti di un neutro (male) o di un maschile (Maligno). Certamente si tratta qui di un male morale e non tanto delle disgrazie terrene (anche se Gesù si è occupato pure di queste, non dandoci però la rassicurazione piena contro di esse). Questo «male» infatti è da intendere in parallelo alla «tentazione» di cui si è parlato sopra. La richiesta di essere «liberati» lascia intendere che questo male ci circonda, ci minaccia ed è sempre in grado di afferrarci. Occorre che il Padre, del quale l'orante si fida totalmente, ci strappi da questa minacciosa presenza. È possibile, tenendo conto del parallelismo con l'invocazione sulla tentazione, che dietro questo male quasi personificato si profili l'ombra del Maligno, il grande artefice della tentazione. In ogni caso la preghiera si chiude su questo grido di liberazione, che al contempo mostra lacuta coscienza del male con cui si vive a contatto, ma anche la fiduciosa apertura a quel Padre che può proteggere e strappare da questa insidiosa potenza .

L'insieme delle tre richieste fa emergere i bisogni fondamentali per i quali occorre pregare. Sono questi bisogni essenziali che mantengono la vita del credente nella possibilità di esprimersi in pienezza, libera dall'ansia delle cose per la dedizione al regno, libera dal peccato per gustare la riconciliazione e la pace, libera dalla rovinosità della tentazione e dalla minaccia del male per poter sentire sempre presente l'amorosa paternità di Dio. E tutto ciò è da chiedere non come singoli ma come comunità. Il «noi» domina tutte queste richieste così che "gli altri" devono sempre essere coin volti nelle nostre supreme aspirazioni e domande.


Osservazioni conclusive

La preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli, destinata a diventare il paradigma e il modello per ogni pregare del credente, è fortemente segnata dall'esperienza di Gesù. Ciò sra· a significare che la preghiera del discepolo, per essere autentica, presuppone che il discepolo sia entrato e sia disponibile ad entrare sempre più neli'esperienza del suo Maestro e Signore. A farci entrare pienamente in questa esperienza è il dono dello Spirito (cfr. Gal 4,4; Rm 8,15): è lo Spirito infatti che apre il credente alla comunione con Cristo e gli dona di poter invocare con fiducia filiale «Abbà-Padre». È questo orizzonte di una relazione filiale-paterna, sul modello di Gesù, che sostiene e rende possibili le invocazioni e le richieste che la preghiera del «Padre nostro» presenta .

Con le prime tre invocazioni il credente grida perché Dio stesso realizzi pienamente il suo disegno di salvezza e nel contempo si dispone a far propri i desideri di Dio: il Regno, la santificazione del nome divino, il compimento della sua volontà santa. È un grido questo che sale dolorosamente da un mondo in cui queste realtà sono ancora lontane dal compimento, ma al contempo è un grido carico di speranza rivolto fiduciosamente a quel Padre della cui potenza e fedeltà il credente non può dubitare.

Le richieste della seconda parte, invece, tendono a far si che il Padre, che sa ciò di cui abbiamo bisogno, faccia suo e realizzi per noi ciò che è vitale ed essenziale per la nostra esistenza: il pane, la riconciliazione, il permanere nella fede, la liberazione dalla potenza del male. Ma mentre chiedono al Padre che si faccia carico dei loro bisogni essenziali, i credenti prendono coscienza di ciò che veramente è indispensabile alla loro vita e a quella di tutti gli uomini e si avvertono impegnati responsabilmente e solidarmente a perseguirne la realizzazione.

Nello scambio con cui ci apriamo ai desideri di Dio e affidiamo a Dio le nostre fondamentali necessità si consolida quella relazione filiale che caratterizza la preghiera di Gesù e del credente. Nel contempo però proprio questa rinnovata coscienza della relazione filiale ci apre alla fraternità e alla responsabilità di costruire insieme un'umanità nuova e solidale. 

Augusto Barbi, biblista (Verona)


Da “Figli dell’unico Padre”, Verona 1999


lunedì 16 giugno 2025

Prima lettera di Pietro



 Saluto

1Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell’Asia e nella Bitinia, scelti 2secondo il piano stabilito da Dio Padre, mediante lo Spirito che santifica, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi dal suo sangue: a voi grazia e pace in abbondanza.

La lettera è indirizzata alle comunità di alcune province romane dell'Asia Minore. 

v.1 La parola apostolo evidenzia l'autorità del mittente, fondata sulla parola di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). «Colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me [Paolo] per le genti» (Gal 2,8). «[Dio] ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro» (1 Tm 1,9-11). 

I fedeli sono qualificati come stranieri perché non hanno la loro dimora definitiva su questa terra ma in cielo. Già un tempo «nella fede [i patriarchi] morirono, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra» (Eb 11,13). Pur abitando in Asia minore, sono pellegrini ed esuli, sospettati e detestati in quella società. Sono anche dispersi (Cf Gc 1,1). La diaspora o dispersione era già conosciuta nel mondo ebraico; i dispersi s’impegnavano a preservare intatta la propria identità e a cercare l’ingresso in patria. Del resto, diaspora non dice soltanto fragilità e presenza minoritaria ma, ricordando il gesto del seminatore (diaspeiro significa disseminare), richiama il senso di presenza testimoniale che può produrre nuovi raccolti. «Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: “Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati”» (Is 56,8). 

v. 2. Sono detti anche eletti. Eletto è colui che, al di là dei meriti personali, è stato “scelto” e grazie alla predicazione, posto a contatto con la salvezza. L’aggettivo manifesta una scelta privilegiata e sovrana da parte di Dio in vista di una missione. La missione è intrinseca all’elezione: se c'è un dono, c'è anche un compito. Eletto è il Cristo; tutta la sua esistenza appartiene a Dio e non è che servizio. La Chiesa, a sua volta, nasce per elezione. Infatti il dono della fede e l'accoglienza della Parola non si spiegano né con la sapienza umana, né con la potenza, né con la nascita, ma per la scelta di Dio. 

v. 3 La causa prima dell'elezione di cui parla Pietro è la pre-conoscenza di Dio (Cf Atti 2,23). Dio chiama chi vuole, a prescindere dai meriti dell’eletto (Cf Rm 9,11-12): «Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29). «[Dio] ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro» (1 Tm 1,9-11).

L'elezione dona la santificazione secondo l'azione dello Spirito di Dio (che consacra, separa dal peccato, purifica). Ciò che rende possibile la santificazione è l'obbedienza a Gesù che ha compiuto, a sua volta, la volontà del Padre. «Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo» (2 Ts 2,13).

Sofferenza e morte di Gesù hanno una grande forza rinnovatrice. Il riferimento all’aspersione del sangue richiama forse il libro dell'Esodo (24,8), là dove con il sangue viene siglata l'alleanza di Dio con Israele. «[Cristo] con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario [del Cielo] procurandoci così una redenzione eterna» (Eb 9,12). 

 “Grazia e pace a abbondino per voi” è una variazione cristiana del saluto normale: la Grazia è la benevolenza di Dio; qui è associata a pace, termine che compare in una formula abituale di un saluto ebraico. 

Siete stati rigenerati

Dio Padre ci ha rigenerati come nuove creature col renderci partecipi della risurrezione di Gesù. Un giorno otteremo questo dono in pienezza, saremo simili al Risorto. Egli ci accompagna nelle vicissitudini della vita finchè entreremo in pieno possesso di questo dono, elargito come eredità. 

3Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, 4per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, 5che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.

v.3 Dio è il Padre rivelato da Gesù. Egli si è fatto conoscere a noi operando la nostra rigenerazione, quando «ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito» (Tt 3,5). Del resto, «Se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a Cristo nella morte, affinché anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). «Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio» (1 Gv 3,9). 

v.4 Il primo beneficio della rinascita è la speranza, qualificata come viva perché reale, esistente in verità. «Dio illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità» (Ef 1,18). «La speranza vi attende nei cieli» (Col 1,5).

Essa è una eredità promessa a noi. Per Israele, l’eredità era costituita dal paese di Canaan riservato ai patriarchi e alla loro discendenza; per i cristiani non è un territorio ma una esistenza nell’eternità. «Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17). «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1 Gv 3,1). «È necessario che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale vi vesta d’immortalità» (1 Cor 15,53). La nostra eredità non è più esposta al rischio di essere perduta ma è custodita da Dio stesso nei cieli: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34). 

Dio Padre custodisce e protegge gli eletti fino al compimento del suo progetto: «La vostra fede è fondata sulla potenza di Dio» (1 Cor 2,5). «Sono persuaso che Dio il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6). 

6Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, 7affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosadell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. 8Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, 9mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

v.6 La comunità, sebbene sperimenti le sofferenze derivate dalla fedeltà al Vangelo, è nella gioia. Dio non chiede la sofferenza in quanto tale ma l'obbedienza alla sua volontà. «Considerate perfetta letizia quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza» (Gc 1,2). «Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (Rm 8,17). 

v.7 La prova della lealtà del cristiano è paragonata al passaggio dell'oro attraverso il fuoco. «Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a coloro che lo amano» (Gc 1,12). «Il crogiuolo è per l’argento e il forno per l’oro, ma chi prova i cuori è il Signore» (Pr 17,3). «Ecco io ti ho purificato, non come l’argento; ti ho provato nel crogiuolo dell’afflizione» (Is 48,10). «Egli conosce la mia condotta; se mi mette alla prova, come oro puro io ne esco» (Gb 23,10). «L’opera di ciascuno sarà ben visibile perché con il fuoco si manifesterà e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno» (1 Cor 3,13). 

v.8 Amare Cristo è molto di più di un mero sentimento ma è sovrabbondante e concreta forza di volere, è dono di sé nella viva attesa d’incontrarlo in modo definitivo. «Siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo. Camminiamo nella fede e non nella visione. Preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5,6-8). «Ora raccogliete il frutto per la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna» (Rm 8,22). 

10Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata; 11essi cercavano di sapere quale momento o quali circostanze indicasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che le avrebbero seguite. 12A loro fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo.

v.10 La grazia straordinaria concessa ai destinatari della lettera li rendono superiori agli antichi Profeti e agli angeli, perché le cose preannunciate sono avvenute ai loro giorni ed erano state preannunciate per loro. «Molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro» (Mt 13,17). 

v.11 Il Messia, gà conosciuto prima della fondazione del mondo (v.20), è rivelato ora come Gesù Cristo. I cristiani sono convinti che le Sacre Scritture trovino in Gesù il loro vertice e il loro significato ultimo. «[Gesù], cominciando da Mosé e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui» (Lc 24,27). 

Gli oracoli dei Profeti, rivolti al futuro, furono pronunciati per ispirazione dello Spirito di Cristo. «Nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio» (2 Pt 1,20-21). «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì…, Dio le ha rivelate a noi per mezzo dello Spirito; lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2,10).

v. 12 Esiste un contrasto netto tra i fedeli dell'Antico Testamento che non beneficiarono della rivelazione loro affidata e i cristiani che invece ne godono: «…pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi» (Eb 11,39-40).

Vita da rigenerati

Dopo aver annunciato il dono della rigenerazione, grazie alla Risurrezione di Gesù, esorta i fedeli a vivere in modo conforme al dono ricevuto per pura grazia. 

13Perciò, cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà. 14Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, 15ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. 16Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo. 17E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. 

v.13 Di nuovo dà rilievo alla speranza che sarà la totale partecipazione alla gloria di Cristo. 

v.14 La situazione precedente al battesimo è definita “tempo della vostra ignoranza”, termine quest'ultimo che per un israelita descrive la condizione dei pagani i quali non conoscono il vero Dio. Grazie alla chiamata di Dio e alla loro rinascita, i credenti sono stati liberati dell'ignoranza e dall’impurità che caratterizzano la società in cui vivono e, come popolo santo, possono conoscere la verità e obbedire ad essa.

v. 15 «In possesso di queste promesse, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione» (2 Cor 7,1). La santità di Dio è base e modello del comportamento dei figli di Dio: «Fatevi imitatori di Dio e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato» (Ef 4,1-2). Il fatto che i credenti sono stati chiamati da Dio, mostra la loro speciale condizione davanti a Lui, e la motivazione della loro condotta. La lettera insiste su una vita che sia santa, pura, buona, riconosciuta attraente e onorevole anche dai non credenti. «Siate irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo ad una generazione malvagia» (Fil 2,15). «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). 

v. 16 Colloca i fedeli all'interno della storia di Israele e come il santo Israele ha soggiornato in terra straniera, anch’essi sono sollecitati a non conformarsi al modo comune di vivere dei pagani. La citazione del libro delle Levitico (11,44-45) - “Siate santi perché io sono santo” - mostra quanto sia importante l'attenzione dell'autore verso la santità della comunità e la sua separazione dall'impurità della società. «Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito» (1 Ts 4,3-7). 

v.17 Dio non fa preferenze. «Tu sei nostro padre, noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti siamo opera delle tue mani» (Is 64,7). Il re Giosafat così disse ai giudici appena costituiti. «Il terrore del Signore sia con voi; nell’agire badate che nel Signore, nostro Dio, non c’è nessuna iniquità: egli non ha preferenze personali né accetta doni» (2 Cr 19,7). «Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone» (Ef 6,9). 

18Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, 19ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. 20Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; 21e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

v.18-19 La liberazione è avvenuta attraverso il sangue di Cristo. «Siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6,20). «Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro» (Tt 2,14). Il termine condotta non indica solo il comportamento ma anche i valori, le norme e gli impegni che danno forma a tutto il modo di vivere. Quello d’un tempo dei Cristiani viene descritto come vuoto anche se ha trasmesso dai padri. La rottura radicale con le precedenti abitudini dovette contribuire a far crescere la animosità contro i cristiani da parte degli amici precedenti, con la conseguente pressione a conformarsi di nuovo alle tradizioni abbandonate dopo la conversione. 

v. 20 Cristo è al centro della pre-conoscenza e della intenzione di Dio. «La grazia ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù» (2 Tm 1,10). L’accostamento tra “prima della fondazione del mondo” e “la fine dei tempi” circoscrive l'intera ampiezza della storia, focalizzata su Gesù Cristo. Il passivo “si è manifestato” comporta che sia Dio a operare la manifestazione in chiusura della storia: qualcosa di nascosto e di sconosciuto viene svelato. 

v. 21 La certezza che Dio ha risuscitato dai morti Gesù è l’elemento centrale dell'annuncio. «Dio dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono» (Rm 4,17). La glorificazione e la resurrezione di Gesù solo una dimostrazione dell'onore e della giustizia a lui riconosciuti da Dio a dispetto del rifiuto umano. L'onore e la gloria di Cristo sofferente diventano una garanzia l'onore della gloria riservata ai credenti che rimangono fedeli nelle avversità. 

22Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, 23rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna. 24Perché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria come un fiore di campo. L’erba inaridisce, i fiori cadono, 25ma la parola del Signore rimane in eterno. E questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato.

v.22 I versetti richiamano l'esperienza della conversione culminata nel battesimo ed elaborano le implicazioni che ne derivano per uno stile di vita adeguato. I credenti sono diventati non solo figli di Dio, ma anche fratelli e sorelle. La nuova identità presuppone la responsabilità dell'amore nella nuova famiglia di cui sono diventati membri e la lealtà verso i fratelli credenti. 

«Obbedire alla verità», come «obbedire alla Parola» è il tratto distintivo di un figlio di Dio. Tale obbedienza sfocia in «un amore fraterno senza ipocrisie». Nella società greco-romana l'amore reciproco tra fratelli era una virtù tenuta in grande considerazione. Gesù e i suoi discepoli, secondo l’uso in Israele, si rivolgevano ai loro connazionali con la parola «fratelli». I battezzati si considerano e si trattano gli uni gli altri come fratelli e sorelle, uniti dalla fede e da rapporti familiari; inoltre la comunità cristiana, percepita come un tutto, è rappresentata come famiglia e casa di Dio. All'interno della famiglia di Dio, i cristiani devono vivere nell'amore reciproco, come si conveniva alle famiglie onorate del tempo, «senza ipocrisie» cioè con genuinità, sincerità, autenticità e senza finzioni (cfr. Rm 12,9; 2Cor 6,6). Ciò comporta che si coltivino legami di affetto, che si sia generosi e altruisti, rispettosi verso l'autorità, liberi da conflittualità, aperti all'ospitalità e in grado di vivere la dimensione politica in modo tale da onorare sia la famiglia che Dio. 

Il verbo «amare» non ha nulla a che vedere con un sentimento passeggero ma designa piuttosto un atteggiamento di bontà, di apertura, disponibilità e stima. Non per nulla è il più grande dei carismi dello Spirito Santo (cfr. 1Cor 12) e va vissuto anzitutto nella comunità cristiana, rinnovandone continuamente i rapporti interni. Il cristianesimo primitivo, di fronte a una società ostile, ha trovato nella propria unità nell' amore la forza essenziale per la propria sopravvivenza. L'amore per i fratelli non si mostra negli slanci dominati dall’emotività, ma è un principio di vita caratterizzato dalla costanza che rimane stabile nelle avversità. 

v. 23-24 Il seme incorruttibile attraverso il quale i cristiani sono rinati a vita nuova è la Parola vivente e permanente di Dio (cf Is 40,6-8). «Nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio dalvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1,21). 

Capitolo 2

1Allontanate dunque ogni genere di cattiveria e di frode, ipocrisie, gelosie e ogni maldicenza. 2Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, 3se davvero avete gustato che buono è il Signore. 4Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, 5quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. 6Si legge infatti nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso. 7Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credonola pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo 8e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola.

Il verbo «deporre» (v.1 apothémenoi) segnala che il nuovo inizio non è ancora il traguardo. 

La lista di vizi da evitare sono un ostacolo alla pratica di un amore fraterno senza ipocrisie (cfr. 1,22). «Scompaiono da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda» (Ef 4,31). «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito a Dio» (Ef 5,8-10). 

La «maldicenza» è un parlare che offende, che disprezza, che mette in cattiva luce e denigra gli altri e la loro onorabilità. I destinatari stessi della lettera, come appare più avanti, sono vittime di questi eccessi verbali che provengono dai loro vicini non credenti che, essendo nell'ignoranza, li trattano come delinquenti (cfr. 1Pt 2,12). Lasciare spazio alla maldicenza all'interno della comunità cristiana non significa soltanto violare l'amore fraterno, ma anche minarne seriamente la coesione e impedirne la crescita. 

2Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza, 3se davvero avete gustato che buono è il Signore.

Si passa dal negativo al positivo. L'espressione «bambini appena nati» appartiene al campo semantico battesimale (nascita, rinascita, infanzia). I credenti devono essere affamati della Parola, proprio come un neonato lo è del latte materno (1Ts 2,7 Eb 5, 12-13). Dalla rinascita all'alimentazione per la crescita: la salvezza dei credenti è lo scopo ultimo della rinascita e dell'azione redentrice di Dio (Cf Gc 1,18-21). «Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi» (1 Cor 14,20). «Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci» (1 Cor 3,2; cf Eb 12-14). «Agendo secondo verità, nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a Lui[Cristo]» (Ef 4,15). 

v.3 Avete gustato quanto è buono il Signore (Cf Sal 34,9). Il titolo di Signore non è più riferito Dio, ma a Gesù Cristo. Le parole del salmo servono a descrivere l'esperienza passata dei credenti quando per la prima volta udirono la buona notizia del Signore: «… sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro» (Eb 6,4). 

4Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, 5quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. 

Gesù Cristo (2,3) è presentato adesso come «pietra vivente», rifiutata dagli uomini ma onorata da Dio. Il salmista aveva paragonato il popolo oppresso dai suoi nemici ad una pietra scartata dai costruttori (Sal 118,22, cf Zc 3,9). Nella parabola evangelica dei vignaioli omicidi il salmo è citato applicandolo al figlio che viene rigettato e quindi, implicitamente, a Gesù, respinto dai suoi avversari di Gerusalemme (cfr. Mt 21,42.45). La tradizione della passione adopera il verbo rigettato per descrivere il rifiuto subito dal Cristo (cfr. Mc 8,3 Lc 9,22; 17,25), così nel discorso di Pietro di fronte al Sinedrio di Gerusalemme (cfr. At 4,8-12): «Egli è la pietra respinta da voi costruttori». Qui «costruttori» è sostituito da «uomini»: si esce dalla polemica strettamente antigiudaica estendendo l'accusa a tutti coloro che rigettano Gesù. 

v.5 L’opera di costruzione e di consolidamento della comunità è compiuta da Dio. Perseverando nel rapporto con la Pietra Vivente, i credenti condividono la stessa identità di pietre viventi. «Siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi. Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui» (1 Cor 3,16). «In Lui [Cristo] tutta la costruzione cresce ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,21). La comunità è un luogo abitato da Dio e I suoi membri sono veri sacerdoti che esercitano il culto a Dio: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,6). «Tu sei un popolo consacrato al Signore» (Dt 14,2). «Hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la tera» (Ap 5,9-10). «Per mezzo di lui offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioé il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13,15). 

La santità è un concetto che ha implicazioni etiche e sociali più che liturgiche cultuali. I “sacrifici” comportano la glorificazione di Dio con la lode e una condotta di vita onorata e santa: «Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1; Cf Rm 15,16; Fil 2,17; 2 Tm 4,6). I sacrifici graditi a Dio sono suscitati dallo Spirito ed offerti attraverso la mediazione di Cristo. 

6Si legge infatti nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso. 7Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo 8e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati.

Isaia annuncia che porrà in Sion una pietra sicura, fondamento di giustizia (Is 28,16). È scelta con particolare cura, perché la sua funzione di pietra angolare richiede misura appropriata, robustezza e bellezza. Probabilmente la pietra era un riferimento ad regno fondato sullo stile del re Davide ma nella tradizione israelitica l’oracolo è stato interpretato come messianico. Gesù è la pietra angolare della costruzione della chiesa come edificio eretto sul fondamento degli apostoli e dei Profeti (Ef 2,20-22). 

Gli uomini che non credono in Cristo inciampano nella pietra (Cf Rm 9,33). «Cristo è qui come segno di contraddizione» (Lc 2,34). «Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,23). 

Questa formulazione non ha nulla a che vedere con la predestinazione divina dei non credenti alla condanna. Ciò che è predisposto da Dio è che chi rifiuta la parola cada, non la decisione di rifiutarla. «Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l’oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli sarà insidia e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case d’Israele, laccio e trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati (Is 8,13-15). La speranza non è che siano condannati ma che si convertano. 

9Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. 10Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia. 

v.9 L'elezione di Israele segna la sua unicità. «Il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo di loro ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come avviene oggi» (Dt 10,15). Quando nel corso della storia si fa appello a tale chiamata da parte di Dio, esso è diretto a una minoranza del popolo o a un resto che si trova emarginato in terra straniera. L'elezione di tale comunità assicurava ad essa la protezione divina nonostante le circostanze sfavorevoli, fornendo forza per resistere all'oppressione. I vari epiteti dell'Antico Israele esprimono delle qualità non individuali, ma comunitarie. 

Applicando questi attributi alla comunità messianica, il nostro autore afferma l'incorporazione dei credenti, in precedenza pagani o israeliti, nel popolo escatologico di Dio. I credenti sono ritratti come destinatari dei favori divini e sono invitati a lodare Dio che li ha fatti suoi. L'onore ricevuto obbliga i beneficiari a riconoscere il dono con gratitudine. L'elezione Divina, infatti, non comporta un isolamento in uno spazio circoscritto ma al contrario esige una testimonianza in favore della potenza e della gloria di Dio. 

La lode pubblica della gloria di Dio è descritta con l'espressione sacrifici spirituali. Questa lode può essere intrecciata a quella degli estranei che glorificano Dio per la buona condotta dei credenti. 

La salvezza dei cristiani è descritta come un linguaggio che ricorda i termini utilizzati da Isaia per la liberazione di Israele dalle tenebre dell'Egitto e dell'esilio babilonese. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). «Eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5,8). Il Signore disse a Paolo: «Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, cui ti mando per aprire loro gli occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me» (At 26,18). I cristiani sono, dunque, il compimento escatologico di Israele, non un nuovo Popolo. Attraverso la fede in Cristo si è ammessi al popolo santo ed è eletto di Dio, non per discendenza carnale.

v.10 «Dio ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione. E questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani. Esattamente come dice Osea: Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e mia amata quella che non era l’amata (Os 1,6.9; 2,25)» (Rm 9,23-25). «Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede» (1 Tm 1,13). «Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16). 

Seguire le orme di Cristo

11Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima. 12Tenete una condotta esemplare fra i pagani perché, mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere diano gloria a Dio nel giorno della sua visita. 

L'antico Israele fu forestiero in una terra straniera e ostile, come ora lo sono i cristiani, in senso metaforico, in conseguenza della loro conversione. 

L’andare controcorrente rispetto al loro precedente stile di vita, estraniano i credenti dai loro vicini. «Siamo diventati la spazzatura del mondo , il rifiuto di tutti» (1Cor 4,13). Essi sono esortati a impegnarsi con loro in modo tale che, mentre manifestano la loro peculiarità, possono allontanare i sospetti da loro e perfino attirare il loro elogio. 

Il primo impegno è tenersi lontani dalle passioni insaziabili e ingannatrici (desideri carnali) che caratterizzavano lo stile di vita precedente. «Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo punto. Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,18-19). «Vi dico: Camminate secondo lo spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne Infatti ha desiderio contrari allo Spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda , sì che voi non fate quello che vorreste. Quelli che sono di Cristo anno Crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5,17.24). 

Affermando, con linguaggio militare che il principio vitale è sotto l'attacco di una passione, l'autore sottolinea che non solo la forza corruttrice ma anche la morte è all'opera in questi vizi. «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse delle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1). 

L’ammonizione di taglio negativo viene bilanciata da un comando positivo riguardante la forza attrattiva della condotta cristiana che può ben impressionare anche un forestiero ostile. L'impatto positivo di una condotta onorevole non soltanto confuta le calunnie ma spinge i detrattori a glorificare Dio, il quale viene glorificato dal comportamento coerente dei credenti. (Il pensiero è ripetuto in 3,1-2 ricordando l'influsso particolare che le mogli cristiane possano avere sui propri mariti non credenti). «[Siate] irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo (Fil 2,15). «Chi tra voi è saggio è intelligente con la buona condotta di che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza» (Gc 3,13).

13Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come sovrano, 14sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene. 15Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, 16come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. 

La condotta del cristiano, collaborativa verso le autorità civili, viene fondata teologicamente: questa è la volontà di Dio. «Figlio mio, temi il Signore e il re e con i ribelli non immischiarti» (Pr 24,1). Questi versetti non sviluppano nessuna teoria dello Stato e neppure presentano una critica al potere romano. Riprende la distinzione di Gesù tra l’onore a Cesare e il rispetto di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,2). 

In contrasto con il culto all'imperatore, a cui si doveva obbedienza come ad una divinità, i cristiani portano rispetto alle autorità come creature umane. La massima obbedienza è dovuta solo al Dio creatore e al Cristo Salvatore e Signore: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29). Essere allo stesso tempo liberi e servi di Dio è uno dei più grandi paradossi della vita: chi obbedisce a Dio è veramente libero.

Tutte le circostanze in cui deve manifestarsi un comportamento docile e umile sono occasioni per testimoniare la sollecitudine verso Dio, il rispetto per lui, l'obbedienza alla sua volontà. La subordinazione di Gesù la volontà di Dio deve essere un modello supremo alla sottomissione del cristiano. 

Facendo il bene, i cristiani non solo lasciano senza parole i loro calunniatori ma assicurano i propri vicini che condividono con loro un serio impegno per una condotta costruttiva. «Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate presso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro» (Ger 29,7).

17Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re. 

I credenti sono stati onorati da Dio e perciò si dispongono ad onorare tutti, cosa che equivale ad essere sottomessi a qualsiasi creatura umana. «Àlzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore» (Lv 19,32). «Voi giovani, siate sottomessi agli anziani. Rivestiti di tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma da grazia agli umili» (1 Pt 5,5). 

«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli : Se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). 

18Domestici, state sottomessi con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli prepotenti. 19Questa è grazia: subire afflizioni, soffrendo ingiustamente a causa della conoscenza di Dio; 20che gloria sarebbe, infatti, sopportare di essere percossi quando si è colpevoli? Ma se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. 21A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: 22egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; 23insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. 24Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. 25Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime. 

v.18-20 Il messaggio ai “domestici” non è una trattazione teologica sull’istituto della schiavitù, di per sé superato dall’intervento salvifico di Dio (escatologico) (Cf Gal 3,28; Fm 15). È rivolto a persone che stanno vivendo una situazione dolorosa insuperabile e quindi trascende la situazione contingente degli schiavi e vale per molti altri. 

Mentre Aristotele affermava che lo schiavo non ha facoltà deliberativa perciò non era un libero agente morale, l'autore si rivolge direttamente agli schiavi con un'ampia riflessione, tenendo conto delle loro capacità e della responsabilità morale. L'appartenenza degli schiavi al movimento di Gesù, senza che anche i loro padroni vi avessero aderito, faceva sorgere problemi riguardanti il loro impegno di sottomissione. Essi rappresentano, per somiglianza, la vulnerabilità della comunità cristiana in una società ostile. La celebrazione di schiavi socialmente irrilevanti come modelli per l'intera comunità è una potente illustrazione che Dio si oppone ai superbi e dona grazia agli uomini, una convinzione in piena conformità con l'insegnamento del maestro riguardante il totale rovesciamento di stato. 

Il padrone prepotente può essere assimilato ad un nemico: «Vi dico: Amate i vostri nemici pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,43). «Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. Anche voi padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro è vostro, è nei cieli e lui non vi è preferenza di persone» (Ef 6,5). «Voi schiavi siate docili in tutto con i vostri padroni terreni: non servite solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore. Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini , sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l'eredità» (Col 3,22-23). «Quelli che si trovano sotto il gioco della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni rispetto, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. Quelli invece che hanno patroni credenti , non manchino loro di riguardo , perché sono fratelli, ma li servono ancora meglio, proprio perché quelli che ricevono i loro servizi sono credenti e amati da Dio» (Tt 2,9). 

v.19 Il Signore, in vista della nostra crescita, può collocarci in una situazione in cui dobbiamo affrontare una sofferenza ingiusta: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). «Gli apostoli se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,40-41). «Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione» (Gc 5,9-11). 

v.20 Il ladro crocifisso con Gesù, così esortava l’altro ladrone: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23,40-41). «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). 

v.21 «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). 

Capitolo 3

1Allo stesso modo voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti, perché, anche se alcuni non credono alla Parola, vengano riguadagnati dal comportamento delle mogli senza bisogno di discorsi, 2avendo davanti agli occhi la vostra condotta casta e rispettosa. 3Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti – 4ma piuttosto, nel profondo del vostro cuore, un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. 5Così un tempo si ornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, 6come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di lei siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia. 

v.1 L’intervento definitivo di Dio (escaton) di per sé ha superato tutte le discriminazioni le quali, tuttavia, continuano “per un poco” nella società lontana da Dio: «Non c’è giudeo né greco; non c’è sschiavo né libero; non c’è maschio né femmina perché tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). 

Presso i cristiani la sottomissione è reciproca e non riguarda solo l’atteggiamento delle mogli verso i mariti: «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Questo stile di vita è sinonimo di mitezza (Tt 3,2), virtù che ricorda la caratteristica di Gesù, e si manifesta come disponibilità permanente a compiere ogni opera buona e ad evitare la litigiosità (Tt 3,1). La Chiesa è sottomessa a Cristo (Ef 5,24) ed ogni sottomissione intende imitare la relazione tra Cristo e la Chiesa. 

Nelle prime comunità cristiane vigevano molti matrimoni misti ma invece di condannarli essi rappresentano una opportunità. Probabilmente le donne a cui la lettera si riferisce erano diventate credenti dopo essersi sposate. Si spera che la loro condotta vinca la resistenza alla fede da parte dei mariti rimasti pagani ma, secondo le istruzioni familiari diffuse nel mondo antico, le mogli dovevano assumere le loro convinzioni religiose. Tutta via l’adesione di fede è personale e imprevedibile: «Che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo,se salvearai la moglie?» (1 Cor 7,16). 

v.2 La castità è sinonimo di santità. Lo scopo di una condotta onorevole è la conversione dei non credenti; il comportamento, quindi, richiesto alle donne è simile a quello di tutta la comunità. Nell'antichità il primo obiettivo del matrimonio era quello di generare un figlio (maschio); qui l'autore non dice niente a questo proposito ma si concentra esclusivamente sulle virtù personali della moglie.

v.3 Mentre abiti ornamenti sono sempre una manifestazione dello stato sociale, nello stile di vita cristiana sono stimate piuttosto le virtù della persona, colma di pace. «Non guardare al suo aspetto né alla sua statura. Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,5). «Prendete si di voi il mio giogo» (Mt 11,29). «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12). 

vv. 5-6 «Per fede Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso» (Eb 11,11). «Rut replicò a Noemi. “… dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio”» (Rut 1,16). «Non da oggi è manifesta la tua saggezza, ma dall’inizio dei tuoi giorni tutto il popolo conosce l’ottima indole del tuo cuore» (Gdt 8,29). «Colei che è rimasta sola (vedova), ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte» (1 Tm 5,5 Cf Tt 2,3). 

7Così pure voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così le vostre preghiere non troveranno ostacolo. 

Ora si parla dei matrimoni tra credenti. Colpisce l'assenza di qualsiasi cenno ai compiti di dominio delle mogli, cosi spesso richiamati nelle esortazioni matrimoniali dell’epoca. I mariti sono incoraggiati a «onorare» le proprie mogli. L’onore suppone l’amore e di più: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). «I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso» (Ef 5,28). «Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza» (Col 3,19). Le mogli credenti meritano onore dai propri mariti perché sono diventate con loro eredi della grazia divina. L'onore riservato loro è un esempio particolare dell'onore che i credenti devono mostrare verso tutti (cfr. 2,17). 

8E infine siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. 9Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione. «10Chi infatti vuole amare la vita e vedere giorni felici trattenga la lingua dal male e le labbra da parole d’inganno, 11eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua, 12perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere; ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male» (Sal 34,16-17).

v.8 «Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini» (Tt 3,1) «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (Rm 12,26-27). 

v.9 «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina» (Rm 12,12.17-19). «Badate che nessuno renda male per male ad alcuno, ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti» (1 Ts 5,15). 

13E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene?14Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, 15ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. 16Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. 

v.13 «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?» (Is 50,8-9). «Non chiamate congiura ciò che questo popolo chiama congiura, non temete ciò che esso teme e non abbiate paura. Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l’oggetto del vostro timore, della vostra paura» (Is 8,12-13). «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio» (Rm 8,28). 

v.14 [Is 41,10-14]. «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli… grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,10). «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). «Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita» (Ap 2,10). 

v.15-16 «Un servo del Signore non deve essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare quelli che gli si mettono contro, nella speranza che Dio conceda loro di convertirsi, perché riconoscano la verità e rientrino in se stessi, liberandosi dal laccio del diavolo, che li tiene prigionieri perché facciano la sua volontà» (2 Tm 2,24-26).

17Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, 18perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. 

v.17 La Sacra Scrittura presenta delle persone rimaste fedeli a Dio (e protette da Lui) nel soffrire ostilità e ingiustizia: «Il Signore fu con Giuseppe, gli conciliò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione» (Gen 39,21). «Perché io sono stato portato via ingiustamente dal paese degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo» (Gen 40,15). «[Gesù] cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Perònon come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). 

v.18 «Cristo è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). «Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio» (Rm 6,10). 

19E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, 20che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua. 21Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. 22Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze. 

vv.19-20 presentano un contenuto dal significato controverso; chi sono queste anime prigioniere (lett. spiriti)? I contemporanei di Noè ribelli a Dio, e con loro, gli uomini morti prima della Pasqua di Cristo e liberati da Lui dal regno dei morti nella sua discesa agli inferi? Gli angeli (spiriti) ribelli di cui parlano le Apocalissi giudaiche? In ogni caso, la resurrezione mostra di possedere un valore salvifico universale (cosmico) ma la salvezza pasquale, in via normale, viene comunicata agli uomini tramite il Battesimo. 

Capitolo 4

1Avendo Cristo sofferto nel corpo, anche voi dunque armatevi degli stessi sentimenti. Chi ha sofferto nel corpo ha rotto con il peccato, 2per non vivere più il resto della sua vita nelle passioni umane, ma secondo la volontà di Dio. 3È finito il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. 4Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione, e vi oltraggiano. 5Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti. 6Infatti anche ai morti è stata annunciata la buona novella, affinché siano condannati, come tutti gli uomini, nel corpo, ma vivano secondo Dio nello Spirito.

v.1 «Noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,14-15). «Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5,24). «Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (Col 3,4-5). 

v.2 «[Siete stati istruiti] ad abbandonare l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4,22-24). 

v.3 «Così dice il Signore Dio: Troppi sono stati per voi gli abomini, o casa d’Israele» (Ez 44,6). «Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dapertutto si convertano, perché Egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo per mezzo di [Cristo]» (At 17,30-31). «Voi sapete che quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti» (1 Cor 12,2). «Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati» (Ef 2,1). «Vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore» (Ef 4,17-18). 

v. 4 «Costoro, mentre insultano tutto ciò che ignorano, si corrompono in quelle cose che, come animali irragionevoli, conoscono per mezzo dei sensi» (Gd 10). 

v.6 Riferimento ai battezzati già defunti: sebbene abbiano ricevuto la morte come punizione, come avviene per tutti gli uomini, in seguito alla Pasqua di Cristo ricevono una vita nuova , secondo la volontà di Dio, grazie alla potenza dello Spirito Santo. Anche Cristo fu messo a morte nel corpo, ma venne reso vivo nello Spirito. 

7La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. 8Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. 9Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. 10Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. 11Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen! 

v.8 «L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l’elemosina godranno lunga vita» (Tb 12,9). «L’odio suscita litigi, l’amore ricopre ogni colpa» (Pr 10,12). «Se perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro perdonerà anche a voi» (Mt 6,14). «Chi riconduce un peccatore, lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati» (Gc 5,20). 

v.9 «Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità» (Rm 12,13). «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). «Fate tutto senza mormorare e senza esitare» (Fil 2,14). «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comiune» (1 Cor 12,7). 

v.11 «Io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» (Gv 12,49-50). «Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm12,6-8). 

«… sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,31-33)

12Carissimi, non meravigliatevi della persecuzione che, come un incendio, è scoppiata in mezzo a voi per mettervi alla prova, come se vi accadesse qualcosa di strano. 13Ma, nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. 14Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi. 15Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. 16Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; per questo nome, anzi, dia gloria a Dio. 

v. 12 «[Ho mandato da voi Timoteo] per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete» (1 Ts 3,12). «Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore! E tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Tm 3,11.12).

v.13 «[Gli apostoli furono] lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,41). «Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17). 

v.14 «Su di lui si poserà lo Spirito del Signore» (Is 11,2). «Beati voi quando gli uomini vi odieranno, a causa del Figlio dell’uomo! Rallegratevi: la vostra ricompensa è grande nel cielo» (Lc 6,22). «Mi compiaccio nelle mie debolezze…, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,10). 

v.15 «Gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio Nome» (At 9,16). «Vi prego di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra» (Ef 3,13). «Riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). 

17È questo il momento in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio; e se incomincia da noi, quale sarà la fine di quelli che non obbediscono al vangelo di Dio? 18E se il giusto a stento si salverà, che ne sarà dell’empio e del peccatore? 19Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, consegnino la loro vita al Creatore fedele, compiendo il bene. 

v.17 «Ecco, io comincio a castigare la città che porta il mio nome, e voi pretendete di rimanere impuniti?» (Ger 25,29). «Non toccate chi abbia il tau in fronte. Cominciate dal mio santuario!» (Ez 9,6). «Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite» (Mt 11,20). «Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,47-48). «Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo prima, come sul Greco» (Rm 2,9). 

v.18 «Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando le azioni abominevoli dell’empio, potrà egli vivere?» (Ez 18,24). «Se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23,31). «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1 Cor 10,12). 

v.19 «Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). «Non stanchiamoci di fare il bene; se non desistiamo, a suo tempo mieteremo» (Gal 6,9). 

Capitolo 5

1Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: 2pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, 3non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. 4E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. 5Anche voi, giovani, siate sottomessi agli anziani.

v. 1 Anziano indicava una persona con responsabilità nel popolo di Israele (cf. Nm 11,16-30). L’istituzione prosegue anche nel Nuovo Testamento e gli apostoli costituiscono anziani (o presbiteri) (At 14,23; 20,16), i quali ricevono l’imposizione delle mani e detengono un ruolo di presidenza e d’insegnamento (Cf Rm 12,8). 

Come gli altri apostoli, Pietro è testimone della Pasqua: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48). «Io, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù…» (Ap 1,9). È certo di partecipare alla gloria futura: «Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). 

v.2 «Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza» (Ger 3,15). «“Simone, mi ami Tu”? Gli rispose: “Certo, Signore, tu sai che ti voglio bene” “Pasci i miei agnelli”» (Gv 21,16). «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28). «Ben volentieri mi prodignerò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime» (2 Cor 12,15). 

v. 3 «Fatevi miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi» (Fil 3,17). «Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare» (2 Ts 3,7-9).

v. 4 «Quando Cristo sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3,4). «Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una corona che dura per sempre» (1 Cor 9,25). 

v.5 «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). «[Cristo] umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò» (Fil 2,8-9). 

Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, 7riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. 8Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. 10E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta. 11A lui la potenza nei secoli. Amen! 12Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! 

v.5 «Eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile; il superbo invece lo riconosce da lontano» (Sal 138,6). «Il Signore ha in orrore ogni cuore superbo, certamente non resterà impunito» (Pr 16,5). «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» (Lc 16,15). 

v.6 Cf Sal 55,23. «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l'oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affìdati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui» (Sir 2,1-6). «Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno» (Mt 6,32). «Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto?» (Lc 12,25-26). «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste... con ringraziamenti» (Fil4,6). 

v.8-9 «Non dormiamo come gli altri ma vigiliamo e siamo sobri» (1 Ts 5,6). «Non date spazio al diavolo» (Ef 4,27). «Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia è contro gli spiriti del male» (Ef 6,12). «Il diavolo è disceso [sopra terra e mare], pieno di furore, sapendo che gli resta poco tempo» (Ap 12,12). «Sottomettetevi a Dio; resistete al diavolo ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi» (Gc 4,7-8). 

vv.10.11 «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2 Cor 4,17). «Vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria» (1 Ts 2,12). «Cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato» (1 Tm 6,12). 

Saluti

v.12 Silvano, nome latino di Sila che, a sua volta, è una forma aramaica del nome Saul (richiesto da Dio) (cf 2 Cor 1,19; 1 Ts 1,1; 2 Ts 1,1). Qui è presentato come segretario-amanuense di Pietro e come fratello fedele (quindi doveva essere noto comunità cristiane dell'Asia Minore destinatarie della missiva). Marco è definito da Papia di Gerapoli interprete di Pietro e ordinatore delle parole del Signore nel Vangelo che porta il suo nome (Col 4,10;2 Tm 4,1; Fil 24) . 

Babilonia, probabile riferimento a Roma. «Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà sconvolta da Dio come Sodoma e Gomorra» (Is 13,19)

«Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese i Cristo» (Rm 16,16).