Fin dalle origini il cristianesimo si distingue dalle religioni e dalle filosofie orientali, specie indiane, per il fatto che non prende affatto in considerazione il loro postulato della reincarnazione. In India, in effetti, sono fondamentali i concetti di karma (secondo cui, per il principio di causa-effetto, le azioni degli uomini, buone o cattive, devono essere ripagate in maniera corrispondente in rinascite successive) e di samsara (che è il ciclo stesso delle trasmigrazioni). In questa prospettiva si arriva fino a sostenere che le menomazioni fisiche o psichiche di un individuo non sono altro che punizioni di colpe commesse in esistenze precedenti.
Per la verità, anche in Occidente l'antica Grecia conosceva almeno in parte la metempsicosi o, meglio, metensomatosi, più tardi detta palingenesi o rigenerazione: essa è un'eredità orfica e pitagorica (circa un principio divino imprigionato in ognuno di noi) che a partire da Platone, pur con variazioni, giunge fino al neoplatonismo della tarda antichità. In ambito giudaico, abbiamo una discussa testimonianza di Flavio Giuseppe, secondo cui Farisei ritenevano che l'anima è immortale ma che soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo, mentre quelle dei malvagi sono punite con un castigo senza fine; egli si riferisce con ogni probabilità alla resurrezione .
A parte l'assoluta inconsistenza presunto di un presunto fondamento in specifici, inesistenti testi biblici, si può chiedere quali siano i motivi teoretici di derivazione biblica che rendono inaccettabile la reincarnazione. Sono sostanzialmente quattro, di cui i primi due hanno a che fare anche con la visione filosofica delle cose.
1. Secondo la Bibbia l'uomo è concepito in modo unitario come un tutt'uno costituito pressoché inseparabilmente di anima e di corpo. Adamo è formato e definito semplicemente come un essere vivente. La resurrezione conferma questa visione. Contrariamente alla concezione platonica l'anima e il corpo non sono due unità accostate e unite insieme, come se le anime presistessero da sempre e si fossero unite al corpo solo in un secondo tempo: questa visione delle cose intende l'anima come la parte più nobile dell'uomo e il corpo soltanto come una prigione o al massimo un alloggio estrinseco. La speranza cristiana concerne non soltanto l'immortalità dell'anima ma tutto l'uomo compreso il corpo.
2. Un secondo motivo consiste nella visione biblica del tempo e della storia. Mentre molte religioni concepiscono il divenire in forma circolare come un eterno ritorno, sì che ogni evento non è che la ripetizione di un archetipo primordiale, la Bibbia invece pone con forza l'accento sulla unicità e irripetibilità dell’agire di Dio. Le sue scelte sono senza pentimento, egli non deve ripensarci a rifare di nuovo ciò che ha già fatto una volta. Lo si vede soprattutto nell'evento Gesù, nella sua vita morte e resurrezione che è qualcosa accaduto una volta sola e una volta per tutte.
Ciò vale analogamente anche per la vita di ogni persona umana. Le esortazioni a riscattare il tempo presente e ad approfittare di «quest'oggi» invitano a valutare saggiamente le occasioni che nella vita attuale ci si presentano come uniche. La stessa cosa vale per le sofferenze patite in questo mondo: esse non sono paragonabili alla Gloria Futura che dovrà essere rivelata in noi.
3. Il terzo motivo ha a che fare con la tipica teologia cristiana della grazia, secondo cui la compiuta realizzazione dell'uomo non è tanto il frutto dell'impegno personale di ciascuno piuttosto dona incondizionato della grazia di Dio. Il principio del karma ritiene che l’agire umano determini meccanicamente il destino ultimo di chi lo compie. Ciò che conta allora è la prestazione morale del singolo in quanto richiede necessariamente una ricompensa adeguata, la quale si concretizza in un ciclo di rinascite diverso per ciascuno. Per il cristianesimo invece tutto parte si fonda sulla gratuità immotivata di Dio, il quale è misericordioso e imparziale al punto da elargire in modo indistinto a tutti la luce e la forza della sua superiore grazia.
4. L'ultimo motivo è di ordine cristologico: come Gesù Cristo ha realizzato una volta per tutte la redenzione dell'uomo con l'irripetibilità della sua morte in croce così egli verrà un'altra sola volta per mettere termine alla presente, instabile situazione del mondo, e inaugurarne una nuova, risolutiva. La presenza di Cristo tra gli uomini conosce un duplice momento: una volta nella storia passata e una volta nel compimento futuro, sia che questo secondo riguarda il singolo al momento della morte oppure l'insieme alla fine del mondo. Non che si tratti di incontri fugaci. Tutt'altro: Cristo si presenta per «essere con», cioè condividere una storia, una vita ma l'inizio degli incontri è puntuale, e soprattutto non c'è una terza volta!
La dottrina della reincarnazione, in definitiva, implica quella dell 'auto-redenzione, secondo cui ciascuno costruisce la propria salvezza da solo, esclusivamente in base alle proprie azioni. Ciò conduce all' idea terribile di una totale solitudine, come si legge in un antico testo indiano: «Terminata questa vita, non giovano né padre, né madre, né figli, né spose, né parenti: soltanto il merito permane. L'uomo nasce solo, solo muore, solo, poi, fruisce del merito, solo del demerito» (Manavadharmasastra, cit Dizionario delle religioni, Einaudi, Torino 1993, 401). Questa prospettiva, come si vede, è lontanissima dall'idea di comunione che costituisce la materia prima e fondamentale del cristianesimo. Qui l'ultima perfezione dell'uomo è solo in Dio, anzi è lui stesso. La comunione con lui e la vita in lui non possono mai essere propriamente opera dell'uomo, ma è un dono che comunque Dio non lesina a nessuno. Perciò né una vita né molte vite possono bastare per giungere alla perfezione. Dio è un orizzonte talmente vasto e irraggiungibile che egli si accontenta del limite a cui ciascuno perviene inquesta vita.
Romano Penna, Ecco ora il tempo favorevole, San Paolo, 2024, 127 ss.