sabato 8 novembre 2025

Lettera ai Romani

Commento esegetico e patristico




Presentazione

La Lettera ai Romani (redatta nel 57 circa) è molto ricca perché in essa viene mostrato il vero volto di Dio Padre con una chiarezza maggiore rispetto a tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento. Paolo rende più facile scoprire la misericordia sorprendente di Dio. 

Perché ha inviato questa riflessione ai fedeli delle comunità di Roma?

Desiderava far conoscere loro alcuni punti nevralgici della sua teologia. Due problemi gli stavano a cuore. Il suo insegnamento era stato frainteso o alterato (3,8: 6,1). Voleva, perciò, offrire un chiarimento e rasserenare le comunità, nella speranza che i romani lo aiutassero a realizzare la sua missione in Spagna (15,24), già programmata, in obbedienza all’incarico ricevuto di evangelizzare i pagani di ogni nazione (Gal 2,9). 

Un altro scopo della lettera era quello d’esortare i membri della comunità proventi dall’ebraismo (giudeo-cristiani) e quelli che, invece, in precedenza erano stati pagani (etno-cristiani), ad accettarsi senza diffidenze reciproche, perché il Vangelo apre ai pagani la possibilità di far parte del popolo di Dio, alla pari con gli Israeliti. 

Il messaggio

Un vangelo è l’annuncio di un evento benefico che si sta verificando, quindi non è una semplice teoria, non è soltanto una dottrina che attende d’essere applicata. Un profeta chiama vangelo la notizia del ritorno degli esuli da Babilonia o la ricostruzione di Gerusalemme (Is 52,7 e Rm 10,15; Is 40,9; 41,27; 61,1). Nel mondo greco-romano le imprese dei sovrani venivano proclamate come dei vangeli (euaggèlia, cf iscrizione di Priene). Le prime comunità cristiane preferirono usare il termine al singolare, il vangelo, perché esso annuncia e dispiega l’azione incomparabile di Dio che salva veramente, ben diversa dalle intraprese dei potenti. Con il «suo» Vangelo, Paolo annuncia l’azione decisiva di Dio, che dispiega ora tutta la sua potenza per offrire una salvezza risolutiva a chi avrebbe creduto a questo messaggio (Rm 1,16). Il Vangelo ha come centro la persona di Gesù e tutta la sua opera.

Come mai Dio inviò nel mondo il Figlio amato? Nonostante le meraviglie operate da lui nella prima Alleanza, il male dominava ancora sulla terra ma la soluzione non poteva venire dagli uomini, responsabili dei mali, ma da Dio che aveva creato il mondo. 

A questo scopo manda nel mondo il Figlio Gesù che annuncia il Regno di Dio come evento prossimo, anzi comincia a introdurlo tra gli uomini. L’avvento di questo Regno rappresenta una svolta della storia, l’unico cambiamento reale. Cristo inaugura una nuova epoca, al termine della quale avrà luogo la trasformazione universale, quando Dio sarà tutto in tutti (Schnelle 445)

Il Regno è cominciato con il perdono di Dio all’umanità, grazie al servizio d’amore reso dall’uomo Gesù. Obbedendo al Padre fino ad affrontare la morte in croce, ha dissolto tutto il cumulo dei peccati degli uomini, tutte le loro continue disobbedienze. Paolo chiama questo evento che concede il perdono di Dio ai malvagi ed avvia una nuova esistenza contrassegnata dalle buone opere, “giustificazione per grazia”. 

Gesù vuole suscitare altri figli di Dio, creare persone capaci di essere come Lui e di continuare la sua opera. È un singolo individuo ma è anche un corpo, una collettività; è un singolo uomo ma è anche l’umanità che corrisponde a Dio, la primizia di un nuovo raccolto. 

Costoro, però, possono farsi carico di un compito così impegnativo soltanto se Egli li rende partecipi di sé, se viene a vivere in loro. Cristo influisce con forza nella vita dei suoi amici. Per evitare che essi si trovino da soli, in balìa della loro debolezza, infonde in loro lo Spirito Santo.

Era denominata in questo modo la forza stessa di Dio. Lo Spirito aveva investito Gesù nel corso della sua vita terrena. Aveva formato la sua umanità nel seno di Maria e, soprattutto, lo aveva fatto risorgere da morte (8,11). 

Il cristiano comincia ad essere tale, cioè una persona che si conforma a Gesù, solo quando viene corroborato dall’energia dello Spirito. Solo allora può aspirare a raggiungere questo ideale e, almeno in parte, cominciare a compierlo (8,4). 

La morale cristiana non si fonda, quindi, sopra un principio etico, magari finissimo; non si basa sulla generosità ammirevole del credente, ma sul fatto che Gesù viene ad abitare in lui e lo rende partecipe del suo Spirito, a partire dall’adesione di fede e dal Battesimo (6,4). L’agire cristiano non si basa in primo luogo sulla sua buona volontà ma sull’opera che Dio ha compiuto per lui. 

L’obiettivo finale dell’opera del Padre consiste nel fare in modo che i credenti giungano a condividere la gloria del Risorto. Sfuggiti al giudizio e una volta glorificati, saranno davvero figli come il Figlio (8,23-24). 

Capitolo 1

1. L’annuncio del Vangelo

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio - che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l'obbedienza della fede in tutte le genti (1,1-5). 

Paolo si considera un inviato da parte di Dio, come un tempo erano stati chiamati ed inviati i profeti. Dichiara d’essere stato scelto per annunciare il Vangelo (Rm 1,1; cf Ger 1,5). 

«Si vanta di questa dignità come altissima: servo di Gesù Cristo. La parola Cristo deriva da unzione. Con quale olio fu unto Cristo? Con nessuno, ma con lo Spirito. Infatti l'elemento principale nell'unzione è lo Spirito; l'olio è solo un accessorio» (CLR 1,1).

apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio

«In una casa ogni persona è destinata a un ruolo diverso, così lo sono anche i vari ministeri distribuiti nella Chiesa. È  Dio che ha chiamato, è Dio che ha scelto. Così Geremia afferma che Dio ha detto, parlando di lui: Prima che tu uscissi dal seno di mia madre, ti ho consacrato e ti ho costituito profeta tra le nazioni (Ger 1,5) » (CLR 1,1). Il suo obiettivo è rendere la sua lettera affidabile e accettabile. 

«Non viene a portare tristi notizie, accuse o rimproveri, come talora fa il profeta, ma ad annunciare una buona notizia di Dio, tesori infiniti di benedizioni permanenti e immutabili, che egli aveva promesso per mezzo dei profeti nelle Sacre Scritture. Sta scritto infatti: “Quanto sono belli i piedi di coloro che annunziano la pace!” (Isaia 52,7). Vedete con quanta chiarezza il nome e il modo del Vangelo siano affermati nell'Antico Testamento? Non evangelizziamo solo a parole, ma con i fatti; poiché non è un'opera umana, ma divina, misteriosa ed elevata al di sopra di ogni natura» (CLR 1,2).

riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore;

Il centro del Vangelo è Gesù (1,3) il quale, dopo dover cominciato ad agire sulla terra come Messia (seme di Davide) ed essere stato respinto dagli uomini, è stato risuscitato dal Padre e collocato alla sua destra a condividere la sua autorità. Nel corso della sua vita terrena, aveva proclamato la venuta prossima del Regno di Dio (Mc 1,15), anzi, aveva cominciato ad introdurlo nel mondo (Lc 11,0). Tuttavia aveva sperimentato il rifiuto ed era vissuto in una situazione di debolezza, perciò, pur avendo operato come un Inviato di Dio, era apparso come un Gesù «secondo la carne» (1,3). Ora invece vive «secondo lo Spirito» (1,4). La svolta è avvenuta con la risurrezione. Come ho detto, Dio Padre ha collocato il Figlio alla sua destra, facendogli condividere la sua gloria, «gli ha conferito lo status di eguale» (Schnelle 444). 

Ora gode in pienezza di tutte le prerogative di Figlio (1,4) e può, quindi, svolgere la sua missione in modo autorevole ed efficace. Gesù ora è il Signore ancora vivente e può riprendere il suo progetto iniziale, con una energia prima sconosciuta (At 1,3). Questo evento fondamentale era stato preannunciato dai profeti nella Sacra Scrittura (1,2). 

5per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, 7a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

L’adesione di fede «non fu opera degli apostoli, ma della grazia che li precedeva. I viaggi e la predicazione furono certamente opera loro, ma la persuasione venne da Dio, che agì più efficacemente di loro. Siete stati chiamati e non siete venuti da voi stessi» (CLR 1,3). «Guardate come esalta la grazia del Vangelo poiché il vecchio ordine di cose riguardava un solo popolo, mentre il nuovo ha conquistato la terra! » (CLR 1,3). 

«Quanto è potente l'amore di Dio! Nemici, uomini disonorati, sono diventati improvvisamente santi e figli! Le altre dignità sono passeggere; svaniscono con questa vita presente; anzi, si potrebbe dire che non sono affatto dignità, ma il dono della santificazione e dell'adozione da parte di Dio non scompare con la morte; è proprio allora che ci fa risplendere e ci accompagna alla vita eterna. Chi conserva fedelmente l'adozione e la santificazione è molto più radioso e felice di chi indossa il diadema. Egli possiede una perfetta tranquillità quaggiù, nutre le più alte speranze, non ha motivo di agitazione o turbamento, ma gode di perpetua felicità. Non è l'estensione del comando, né l'abbondanza delle ricchezze, né l'orgoglio del potere, né la forza del corpo, né alcunché di mortale, che dà gioia e serenità; ma vesti spirituali ben fatte e una buona coscienza» (CLR 1,3).

9Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, come io continuamente faccia memoria di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio, io abbia l’opportunità di venire da voi. 

«Rendo culto nel mio spirito: questo culto è di gran lunga superiore a quello dei Greci e degli Ebrei. Il culto dei Greci era falso e carnale, quello degli Ebrei era vero, ma anche carnale. Quello della Chiesa non si pratica più attraverso l'immolazione di pecore e vitelli ma attraverso l'anima spirituale» (CLR 2,2). 

«Qualcuno di noi può vantarsi di ricordare la chiesa a cui appartiene quando prega a casa? Non credo. E Paolo pregava Dio non solo per una città, ma per il mondo intero, e non una, due o tre volte, ma sempre. Se ricordare continuamente qualcuno è prova di grande devozione, pensate all'affetto e all'amore che ci vogliono per pregare e pregare continuamente» (CLR 2,2).

11Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, 12o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 

«Non solo hanno bisogno di lui, ma che anche lui ha bisogno di loro: pone i discepoli nella posizione di maestro e rinuncia a ogni privilegio per essere uguali a tutti. Il beneficio, dice loro, sarà comune a tutti noi: io ho bisogno del vostro conforto, e voi avete bisogno del mio. Come accendendo molte lampade si produce una grande luce, così avviene tra i fedeli. In effetti, quando siamo separati gli uni dagli altri, abbiamo meno coraggio; ma quando ci vediamo e siamo riuniti come membra di un solo corpo, siamo singolarmente confortati» (CLR 2,4).

13Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito – per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. 

«Vedete quanto ardentemente desidera vederli e come, non volendo fare nulla se non secondo il volere di Dio, il suo amore si mescola ad una attesa rispettosa? Era ansioso di andare da loro; ma, sebbene li amasse, voleva vederli solo quando piacesse a Dio. Questo è vero amore. Non è così per noi, che ci allontaniamo in entrambe le direzioni dalle leggi della carità; perché o non amiamo nessuno, o quando amiamo, non è secondo la volontà di Dio» (CLR 2,2). «Afferma di essere stato impedito, ma non spiega la causa. Non mette in discussione gli ordini del Maestro; semplicemente li obbedisce. Ha obbedito a un ordine della Provvidenza, senza comprenderlo, mostrandoci così la sua moderazione e insegnandoci a non chiedere mai a Dio una spiegazione degli eventi, anche se molti sembrano turbati da essi. Non spetta al vaso dire al vasaio: Perché mi hai fatto così? (Rm 9,20). Non sapete che Dio si prende cura di tutto, che è sapiente, che non fa nulla senza ragione o per caso? Che vi ama più dei vostri genitori? Che il suo amore per voi supera quello di un padre, la sua tenerezza quella di una madre? Questa, soprattutto, è la natura della fede: accettare la guida della Provvidenza senza conoscerne le ragioni» (CLR 2,4). 

14Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma.

«La dottrina è per tutti. Non conosce distinzioni di rango, né preminenze nazionali, ha bisogno solo di fede e non di ragionamento. La Provvidenza di Dio mette i suoi doni alla portata di tutti» (CLR 2,5). 

Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà (1,16-17).

Non mi vergogno del Vangelo! È un modo retorico per dire: credo fermamente nel Vangelo ed mi propongo di dedicarmi ad esso con tutte le sue energie: è infatti “potenza di Dio” (1,16). Da dove poteva affiorare la vergogna? «Erano uomini presuntuosi quelli ai quali doveva predicare Gesù, il figlio di un artigiano, allevato in Giudea nella casa di una donna umile; non aveva guardie, né ricchezze; era morto come un criminale tra i ladri e poiché probabilmente si sarebbero vergognati, loro che ancora non sapevano nulla dei grandi misteri, ecco perché usa questo termine: Non mi vergogno, insegnando loro allo stesso tempo a non vergognarsi. Se senti qualcuno dirti: Tu adori il Crocifisso? Non vergognarti, non abbassare gli occhi, ma sii glorioso e orgoglioso e ricevi il rimprovero con uno sguardo sereno e a testa alta. Se ti chiede di nuovo: Tu adori il Crocifisso? Rispondigli: Sì, non un adultero, né un parricida, né un omicida dei suoi figli (poiché tali sono tutti gli dèi dei pagani). Venero colui che, con la sua croce, ha messo a tacere i demoni e distrutto le loro innumerevoli macchinazioni» (CLR 2,6).

Nella predicazione si dispiega tutta la potenza salvifica del Padre (1,16). «L'efficacia persuasiva non proviene dalla composizione del discorso né dalla perizia nella scelta delle belle parole, ma dall'elargizione di una potenza divina. È per questo che anche Paolo dice: La mia parola e il mio messaggio non ebbero discorsi persuasivi di sapienza, ma conferma di Spirito e di potenza (1 Cor 2,4)» (Origene, Commento al Vangelo di Giovanni… p. 131). 

Compaiono qui due parole di primario valore: giustizia di Dio e fede. 

Nella predicazione del Vangelo si rivela la giustizia di Dio. Non si parla qui della giustizia esercitata dal giudice in tribunale ma della “rettitudine” di Dio, cioè della sua fedeltà alle promesse. È una qualità di Dio celebrata più volte nella Bibbia. «Alludendo all'abbondanza di questa giustizia e alla facilità con cui si ottiene, poiché non è con il tuo sudore o la tua fatica che la ottieni, ma per un dono dall'alto , senza alcun contributo da parte tua se non la fede» (CLR 2,6).

Dio chiede all’uomo di corrispondere alla sua fedeltà con la fiducia in lui. Agli uomini viene chiesto di accogliere il progetto che Egli, per pura bontà, ha pensato a loro favore. In altre parole, non devono costruirsi torri per salire fino al cielo, ma salire sulla scala che Dio Padre ha calato dal cielo sulla terra per loro, per dar loro la possibilità di salire fino a Lui. Gesù è la scala discesa dal cielo per noi e per mezzo di lui possiamo risalire al Padre (Gv 1,51). 

Questo vale per chiunque crede: la prospettiva della salvezza possiede un carattere universale; è a favore di tutti gli uomini e non soltanto a favore del popolo d'Israele. 

2. La situazione dell’umanità

L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia

Il mondo manifesta che “l’ira di Dio” agisce in esso! L’ira è la sua reazione al male ed essa si volge contro l’empietà e l’ingiustizia, non contro gli uomini. Non è una reazione emotiva negativa ma una constatazione imparziale ed opportuna. Non nasce dall’astio, ma dalla santità. «La collera di Dio non è altro che la sua salvezza rifiutata» (Attinger 36). Non è il Vangelo a rivelare l’ira di Dio perché essa è già evidente nella vita degli uomini; il Vangelo, piuttosto, è il mezzo decisivo per porre ad essa un rimedio adeguato. 

Il punto di vista dell’apostolo non è quello del moralista che si scaglia contro tutti. Egli ragiona da ministro del Vangelo che guarda con dolore i mali che affliggono l’umanità ma dal momento che li osserva dal punto di vista di Dio e non da quello degli uomini, sa già che sarà in grado di annunciare il rimedio che è già stato predisposto dal Signore. 

Bisogna ammettere, intanto, che Dio ha ragione di disapprovare gli uomini perché, dopo aver conosciuto la verità, la soffocano nel loro agire. Non tutti sono malvagi ma tutti sono peccatori. 

poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti (1,18-21)

Gli uomini sono stati capaci di conoscere Dio (1,19) e hanno colto ciò che di lui si può sapere. Hanno intuito la sua eterna potenza, manifestata nello splendore della creazione. Lo hanno conosciuto come di riflesso. Tuttavia, pur avendolo conosciuto, non lo hanno riconosciuto in modo tale da onorarlo come merita (1,21; Cf Sap 13,1-9). Il peccato non consiste, principalmente, nella trasgressione di questa o di quell’altra norma ma si pone come il rifiuto di riconoscere Dio, fino al punto da venerare la creatura (1,25). Lo attesta in modo particolare l’idolatria la quale, nel mondo giudaico era considerata fonte d’immoralità. 

«Per evitare questi mali, teniamo sempre davanti agli occhi il timore di Dio. Perché nulla, nulla è così fatale per l'uomo quanto abbandonare quest'ancora; nulla è così benefico quanto tenervi sempre fissi gli occhi» (CLR 4,4). In risposta al loro comportamento disonesto, Dio reagisce non provocando delle sofferenze ma abbandonando gli uomini a loro stessi: 

poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità…

«Dio li ha abbandonati significa che Egli ha permesso che accadesse loro ciò che avevano scelto. Ha abbandonato a loro stessi, gli uomini che l’avevano abbandonato per primi. Essi non si erano serviti delle creature per innalzarsi fino a Lui, ma agirono in senso contrario. Che cosa doveva fare? Usare la forza e la violenza? Ma questo non produce più uomini virtuosi. Perciò non c'era altra scelta che lasciar perdere, e questa è la via scelta da Dio. Se il figlio di un re, disprezzando il padre, preferisce vivere tra briganti, assassini o ladri sacrileghi, e preferisce la loro compagnia piuttosto che rimanere nella casa del padre, il padre lo abbandona finché l'esperienza non gli abbia fatto comprendere l'entità della sua follia» (CLR 3,3). 

Quando gli uomini conservano una relazione viva con il Signore e lo riconoscono, si comportano con il prossimo in modo leale e soddisfacente. Privi della luce divina, gli uomini vengono a conoscere la forza delle passioni sregolate che si acquattano dentro di loro. Cala la tenebra nel cuore e gli animali più pericolosi escono dalle tane. Servendosi di cataloghi di vizi elaborati dai moralisti antichi, elenca una serie di mali. «Se Dio li ha abbandonati, non è stato per vendetta, poiché non ha subito alcun danno. Se gli hanno fatto un torto, il loro torto non lo ha toccato; la sua gloria non è diminuita, ma rimane benedetto in eterno. Dimmi: se il tuo bambino ti offendesse, prenderesti le sue parole per insulti?» (CLR 3,4).

Spicca la condanna dell’omosessualità. Presso il giudaismo, gli atti del genere erano considerati una perversione intenzionale della volontà del creatore (1,26). L’omosessualità  come orientamento non scelto dalla persona era ignoto a Paolo, come a tutti nell’antichità. 

L’elenco delle colpe si conclude con quattro note pesanti (ben evidenziate dall’alfa privativo proprio della lingua greca) che sottolineano la progressiva carenza di carità: insensati (a-synétous), sleali (a-synthètous), senza cuore (a-stòrgous), senza misericordia (an-eleémonas). Il peggio sta quindi nel raffredamento dell’amore o perfino nella sua assenza. Non afferma che ogni persona accumula tutte le note negative elencate, ma dichiara che nessuno è esente da colpa. Anziché riconoscere la malizia degli atti malvagi compiuti, gli uomini tentano di riaffermarli, di vantarsene quasi, spegnendo la luce della ragione e il richiamo della coscienza. 

«Dio permise che noi rimanessimo in balia d'istinti disordinati e fossimo trascinati fuori della retta via dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio. Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava; neppure poteva approvare quel tempo d'iniquità, ma preparava l'era attuale di giustizia, perché, riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza» (Lettera a Diogneto 9,2). 

Capitolo 2

«Chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità» (2,2-3). 

Ora Paolo sembra rivolgersi ad un interlocutore che, dopo aver ascoltato le critiche sollevate, le ha condivise, lieto che qualcuno abbia avuto il coraggio di una denuncia così puntuale. Gli uomini tendono a credersi migliori degli altri e a condannare il comportamento altrui. Chi disprezza l’altro, finisce col condannare se stesso, perché, in realtà, agisce allo stesso modo. L’aspetto più imbarazzante del giudizio di Dio sta nell’essere secondo verità (2,2). Il suo criterio è rendere a ciascuno secondo le sue opere, con perfetta imparzialità (2,6). 

Paolo continua a polemizzare contro chi giudica gli altri. Invece di mettersi al di sopra di loro, dovrebbe riconoscere che anch’egli sbaglia e merita la riprovazione del Signore. Non dovrebbe cercare di abusare della sua bontà ma convertirsi in modo da essere approvato dal giudizio veritiero di Dio: «Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere» (2,3-5). 

Il mondo pagano ed ebraico

Prosegue a descrivere la vita degli uomini caratterizzata dall’inclinazione al peccato. Gli ebrei trasgrediscono la legge ricevuta da Mosè e i pagani soffocano i suggerimenti della loro coscienza (2,9-13). Essi avrebbero la possibilità di seguire la legge che Dio ha scritto nei loro cuori, fino a poter diventare legge a se stessi. Non si mostrano, però, degli osservanti rigorosi dei richiami della coscienza ma la tradiscono.

«Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono» (2,14-15).

«La verità ha scolpito nei nostri cuori, per la mano stessa del Creatore, il principio: ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo tu agli altri. A nessuno fu mai permesso di ignorare questo comandamento, anche prima che fosse data la legge scritta» (Agostino, PL 36,673). 

Dopo aver parlato dei pagani, Paolo si sofferma a criticare i «fratelli» ebrei (2,17). 

Si chiede: qual è la funzione della Legge mosaica nel disegno di Dio e qual è il significato della scelta particolare nei confronti d’Israele?

Gli ebrei, infatti, oltre alla legge del cuore, hanno ricevuto una Legge scritta. In questo modo, hanno conosciuto in maniera più chiara quale sia il volere di Dio. Purtroppo, una migliore conoscenza, non rende necessariamente migliori. Anzi, può rendere orgogliosi, spingere i detentori della dottrina a considerarsi guida dei ciechi (2,19). Se, poi, la Legge non viene praticata, la sapienza si trasforma in pura presunzione. La trasgressione della Legge da parte dei credenti disonora Dio (2,24). 

Aggiunge un’altra osservazione. Gli Ebrei erano orgogliosi della circoncisione, un segno fisico che, richiamando la loro appartenenza al popolo del Signore, li distingueva dai pagani. Neppure questa distinzione ha un grande valore. Il pagano che obbedisce ai dettami della coscienza, deve essere stimato molto di più dell’ebreo che trasgredisce la Legge (2,26). «Certo, la circoncisione è utile se osservi la Legge; ma, se trasgredisci la Legge, con la tua circoncisione sei un non circonciso. E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la Legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della Legge e la circoncisione, sei trasgressore della Legge» (2,25-29). 

Paolo, piuttosto, apprezza il valore della circoncisione del cuore raccomandata nella Bibbia: «Giudeo, infatti, non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio (ivi)».

Ecco due passi significativi della Bibbia sulla circoncisione più gradita a Dio: «Circoncidete il vostro cuore ostinato» (Dt 10,16). «Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore» (Ger 4,4). 

L’apostolo ha così accennato a due fonti di salvezza che rimangono sempre valide nel tempo: la legge naturale o legge del cuore proposta a tutti gli uomini (annunciata nel patto con Noè) e la legge di Mosè (alleanza del Sinai) rivolta a tutti gli ebrei. 

Il Signore accompagna tutti gli uomini nel cammino della vita ma essi, anziché obbedire, trasgrediscono la legge assegnata loro e cadono vittime del Peccato, che è come il Dominatore tirannico del mondo. 

La rottura tra Dio e gli uomini non viene mai da Dio. La situazione è grave ma ancora sanabile. Se gli uomini fossero stati capaci di liberarsi dal male con le loro sole forze, Dio Padre non avrebbe avuto bisogno di mandare nel mondo il Figlio suo e se il mondo fosse così malvagio da essere irrecuperabile, non avrebbe tentato di risanarlo. 

Capitolo 3

Continua a rivelare la gravità della malattia che affligge l’umanità, ma ora annuncia il risanamento operato da Dio. 

«Abbiamo già formulato l’accusa che, Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio del peccato» (3,9). Non parla di peccati ma di Peccato! Preferisce usare il singolare perché vuole segnalare la tirannia di una potenza negativa personificata. Paolo pensa a questa tirannia, in sintonia con l’apocalittica. La conclusione è drastica.

Non gli basta, a questo punto, far conoscere la sua opinione ma appoggiarsi sulla Parola di Dio che ribadisce il medesimo enunciato: non c’è un giusto, nemmeno uno (Cf 3,10-18). Se la Legge attesta con fermezza che gli uomini sono rimasti peccatori anche dopo la sua promulgazione, essa riconosce, in modo indiretto, la sua inefficacia nel liberare l’umanità dal male. I comandamenti, anziché essere degli incentivi al bene, si sono ridotti e si riducono soltanto a fornire il catalogo delle trasgressioni (5,19-20). 

In conclusione: l’uomo, ogni uomo, deve tacere ed accettare il risultato della diagnosi che lo dichiara colpevole davanti a Dio: 

ogni bocca sia chiusa e il mondo intero sia riconosciuto colpevole di,fronte a Dio. 20Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perché per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato. (3,19)

Stando così le cose, ci sarebbe potuto aspettare un severo intervento punitore da parte di Dio mentre, al contrario, Egli si propone di recuperare l’umanità smarrita. Paolo annuncia una svolta inaspettata creata da Dio: «ma ora (nynì de)» (3,21). Da qui in avanti, tutto cambia in modo radicale.

21Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: 22giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono.

«Fu quando eravamo nella disperazione, quando era giunto il momento del giudizio, quando il male si era aggravato e la misura dei peccati era colma, che Dio scatenò la sua potenza per insegnarci quanto abbondantemente abbondi in lui la giustizia. Se questo fosse accaduto all'inizio, sarebbe sembrato meno prodigioso di ora, dove tutti i rimedi si sono dimostrati impotenti… Egli venne ora affinché non si dicesse, come sarebbe stato se fosse venuto fin dall'inizio, che si sarebbe potuto essere salvati per mezzo della legge attraverso i propri sforzi e meriti. Per togliere questo pretesto da queste bocche sfacciate, indugiò a lungo, per salvare con la sua grazia, quando fu chiaramente e ampiamente dimostrato che gli uomini non possono essere autosufficienti» (CLR 7,3). 

La positività del nuovo corso non dipende da ciò che hanno fatto gli uomini in meglio, ma da ciò che ha fatto Gesù per loro. Ora si manifesta la giustizia di Dio, ossia la sua fedeltà. L’evento decisivo nella storia sta nella missione del Figlio. «Come la ricchezza si dimostra non solo essendo ricchi, ma arricchendo gli altri; come la vita si manifesta non solo vivendo, ma risuscitando i morti; così anche la potenza si dimostra non solo essendo capaci, ma dando forza ai deboli. Così, la giustizia si dimostra non solo essendo giusti, ma rendendo subito giusti coloro che sono immersi nell'iniquità» (CLR 7,2). 

Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue» (3,23-25)

Gli uomini non mostrano più la gloria di Dio, perché hanno perduto l’innocenza (3,23). Chi non glorifica Dio, non spegne la gloria di Dio ma la propria. Tuttavia ora il perdono viene dato in modo gratuito (3,27). Grazie alla santità di Gesù, un uomo tra gli uomini, l’umanità può intraprendere un nuovo cammino. Per l’obbedienza di uno solo, tutti sono costituiti  giusti (Cf. 5,19). Gesù, obbedendo al Padre fino ad affrontare la morte in croce, dissolve tutto il cumulo dei peccati degli uomini. Egli viene elevato da Dio e posto allo sguardo di tutti perché è il segno del perdono divino per tutti gli uomini (3,25). «O dolce scambio, o ineffabile creazione, o imprevedibile ricchezza di benefici: l'ingiustizia di molti veniva perdonata per un solo giusto e la giustizia di uno solo toglieva l'empietà di molti!» (Lettera a Diogneto 9,6). 

a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 26mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù. 27Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. 28Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge.

 Il suo perdono si riversa su tutta l’umanità e raggiunge perfino gli uomini del passato (3,25). L’unica cosa che viene richiesta è quella di credere in questo dono e affidarsi a Dio. «Non diffidare; la giustizia deriva dalla fede, non dalle opere. Non fuggire dalla giustizia di Dio; essa ha un doppio vantaggio: costa poco ed è offerta a tutti. Non vergognarti, non arrossire: perché se Dio mostra qui la sua azione, se, per così dire, se ne rallegra e si vanta, perché dovresti vergognarti, perché dovresti arrossire di ciò di cui Dio si gloria?» (CLR 7,3).

I destinatari della grazia di Dio sono tutti gli uomini, nessuno escluso: 

«Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede» (3,29-30). 

«Era probabile che i Giudei, sentendo che tutti gli uomini sono giustificati per fede, si sarebbero scandalizzati ed allora aggiunge: Dio è forse il Dio dei soli Giudei? Come a dire: Perché trovate assurdo che tutti gli uomini siano salvati? Con questo, fa loro capire che, cercando di danneggiare i Gentili, stanno attaccando la gloria stessa di Dio, poiché non vogliono che egli sia il Dio di tutti. Ora, se è il Dio di tutti, provvede a tutti; e se provvede a tutti, salva tutti ugualmente mediante la fede» (CLR 7,4).

Precisazioni

La giustificazione è un fatto diverso dalla salvezza. La giustificazione agisce nel presente ma la salvezza è un bene futuro e corrisponde alla partecipazione alla gloria del Risorto. Ora Dio ci riabilita con il suo perdono gratuitamente, ci offre l’energia per camminare, ci rende compagni di viaggio del suo Figlio Gesù: questa è la giustificazione. «Viene la grazia, che rimette i peccati passati, aiuta l’uomo nei suoi sforzi, gli dona l’amore per la giustizia e scaccia il timore. Mentre avviene questo processo, finché siamo nella vita presente rimangono, è vero, i desideri della carne che lottano contro il nostro spirito cercando d’indurlo a peccare; lo spirito tuttavia non consente a tali desideri in quanto è radicato nella grazia e nell’amore di Dio, e così cessa di peccare» (Agostino, Questioni sulla Lettera ai Romani,12). La salvezza è un evento del futuro. Consiste nell’approvazione di Dio nel suo giudizio, alla quale segue infine la glorificazione. 

Il termine espiazione è stato molto equivocato. Il martirio di Gesù sulla croce non è stata la vendetta di Dio su di lui, scelto come rappresentante di tutti i peccatori. La crocifissione è stato un crimine perpetrato dagli uomini (At 2,23). Nella sua prescienza, Dio lo ha permesso perché da questo male estremo poteva ricavare l’estremo rimedio. Perciò il termine strumento di espiazione significa strumento di perdono. 

Nella Bibbia il perdono viene chiamato anche copertura; nel perdono il peccato viene coperto. Questo non significa, però, che i peccati vengano soltanto nascosti, come se fossero gettati sotto un tappeto. Gli uomini non sono costretti a rimanere ancora e sempre peccatori. Il Signore ci riabilita veramente. «Egli giustifica l’empio. Vuol dire che, quando di un empio fa un timorato di Dio, lo fa perché rimanga per sempre nella fedeltà e giustizia, essendo stato reso giusto perché sia sempre giusto e non perché si metta in testa che gli sia lecito peccare» (Agostino, Questioni sulla Lettera ai Romani, 16). Anche se conserviamo un’inclinazione al male e rimaniamo sempre tendenzialmente egoisti, possiamo evitare il male e soprattutto, diventare persone d’amore, veri suoi figli (6,19). Dopo averci donato il suo perdono, Dio ci renderà persone capaci di seguire le sue leggi. Ci perdona non per compatirci in eterno ma per renderci persone responsabili e mature, capaci di agire rettamente. Ciò apparirà più chiaramente in seguito (capp. 6 e 8). Giustificazione significa anche rendere giusti, creare uomini capaci di vivere santamente. 

La redenzione era l’atto con il quale qualcuno, per solidarietà, sborsando del proprio denaro, liberava un altro dalla prigionia o dalla schiavitù. Nel caso di Gesù l’immagine del pagamento è soltanto una metafora. Dio non sborsa nulla a nessuno (tanto meno al diavolo). Redenzione significa che Gesù si è impegnato per noi, donando se stesso in modo estremamente generoso. 

Paolo conclude il capitolo con una precisazione importante. La remissione dei peccati gratuita e universale, non viene a sorpresa perché la Sacra Scrittura l’aveva già prevista. Perciò egli assicura che non sta stravolgendo l’ordine di Dio ma che, al contrario, lo sta servendo: «Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge» (3,31). 

Capitolo 4

Il messaggio dell’apostolo esposto nei capitoli precedenti, di per sé molto incoraggiante, sarebbe stato considerato credibile soltanto se fosse apparso in sintonia con la Sacra Scrittura (3,31). Del resto Paolo non intendeva «togliere valore alla Legge», ma ribadirla. La vicenda del patriarca Abramo, a suo parere, è la migliore conferma di ciò che sta annunciando: Dio entra in relazione con gli uomini per un puro dono della sua benevolenza. L’amicizia di Abramo con Dio non dipese dai suoi meriti ma dal volere del Signore che lo scelse per amore. 

Gli ebrei e i giudeo-cristiani erano abituati a considerare Abramo come uno scrupoloso osservante delle norme e un modello di obbedienza. Questo avvenne col tempo. All’inizio le cose non stavano così. 

Quando il Signore iniziò una relazione d’amicizia con lui, questi era ancora un pagano e venerava le divinità (Cf. Gs 24,2-3). Dio lo scelse, comunque, con un atto d’amore gratuito e apprezzò subito la fiducia che il patriarca ripose in lui. 

Gli promise di donargli una discendenza numerosa come le stelle; il patriarca si fidò di lui e di questa promessa e la fiducia mostrata in lui lo rese gradito al Signore. La sola fiducia (non altre prestazioni) gli venne «messa in conto» come un atto meritorio. Abramo si convinse che Dio può prendersi cura anche di un uomo che di per sé non meriterebbe nulla. 

«Chi si vanta delle opere può presentare i propri successi personali; ma chi si vanta di credere in Dio ha motivi migliori per congratularsi, poiché onora e glorifica il Signore stesso. Non uccidere, non rubare – queste sono cose comuni; ma credere che Dio possa fare l'impossibile è il segno di un'anima grande, perfettamente disposta verso di Lui; e in questo risiede il segno distintivo del vero amore. Chi adempie i comandamenti onora Dio; ma chi ha la saggezza della fede lo onora molto di più. Il primo gli obbedisce, ma il secondo ha un'idea appropriata di Lui e dimostra, meglio che con le opere, di onorarlo e ammirarlo. Nel primo caso, ci si vanta del bene compiuto; nel secondo, si glorifica Dio stesso, a cui tutto appartiene; perché ci si vanta di concepire idee elevate su di Lui, il che contribuisce interamente alla Sua gloria. Considerate, infatti, quanto sia grande credere, essere pienamente convinti che Dio può immediatamente non solo risparmiare dalla pena chi ha vissuto nell'empietà, ma anche renderlo giusto e degno di onori immortali» (CLR 8,1).

Il Signore si comportò con lui come un imprenditore che dona il salario ad un lavoratore che non ha faticato: «A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia» (4,4-5). 

A conferma di questa dichiarazione sorprendente, Paolo ricorda un altro passo della Bibbia in cui si legge che il Signore, per sua bontà, può decidere di non «mettere in conto» il peccato di un uomo: «Anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere: Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!» (Rm 4,3-8). Abramo e il peccatore perdonato sono paragonabili a due lavoratori che hanno ricevuto il salario senza aver lavorato. Dio può agire più da amico che da amministratore di meriti o di demeriti. 

Abramo un esempio per i pagani

C’è un altro aspetto importante da precisare. Quando fu scelto dal Signore, il patriarca non era circonciso e si trovava, perciò, nella stessa condizione di un pagano, anche per l’assenza di questo segno fisico. Il Signore non attese che si sottomettesse a questa pratica per poi premiarlo con la promessa di donargli molti figli ma agì al contrario. Prima si legò a lui con la promessa, senza vincolarla ad una qualche condizione, e soltanto in seguito gli chiese la circoncisione, quale segno dell’amicizia già stabilita da Dio per pura benevolenza (4,10-11). «La fede risiede nell’uomo interiore, là dove Dio penetra con lo sguardo, e non può farsene mostra dinanzi agli uomini, com’è invece della circoncisione corporale» (Agostino, Questioni sulla Lettera ai Romani, 18). 

I pagani chiamati al Vangelo vivono una vicenda simile. Come ho precisato, anch’essi ricevono un salario per una prestazione di lavoro che in realtà non hanno mai svolto; il tesoro incomparabile della vita nuova del Vangelo lo ricevono per pura grazia. 

Anch’essi imitano la fiducia del patriarca nella gratuità dell’agire di Dio, e così, dal momento che sono suoi imitatori, diventano anche suoi discendenti (4,11-12). Abramo, padre degli ebrei diventa così anche padre dei pagani. 

 Il Signore ama agire in questo modo dando valore alle sue promesse e alla fiducia degli uomini in Lui (4,14). Se, invece, avesse dato un valore decisivo soltanto all’osservanza delle norme, la storia di salvezza non sarebbe neppure cominciata (4,14-15); essa si fonda sulla fedeltà di Dio e non su quella degli uomini. «Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge [per gli ebrei], ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo [i pagani], il quale è padre di tutti noi» (4,16). 

Abramo modello di fede

Il patriarca è una figura esemplare di credente per tutti, ebrei e pagani. Si fidò del Signore che gli aveva promesso di donargli un figlio quando ormai non poteva più sperare in un evento simile, perché lui e la moglie Sara erano troppo vecchi per poter generare. Credette sperando contro ogni speranza (4,18):

«Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia». Era certo che Dio potesse chiamare all’esistenza cose che non esistevano ancora e ridare la vita dove sembra regnare la morte» (4,19-22). 

I pagani che credono al Vangelo, esprimono un atto di fede altrettanto coraggioso: credono nella risurrezione di Cristo e sono certi di poter riprendere vita nonostante la loro morte spirituale. Sono convinti d’essere perdonati per la morte di Gesù e di poter essere santificati grazie alla sua risurrezione (4,25). 

La fede è estrema fiducia in un Dio Padre creatore, desideroso di dare vita e capace di farlo. Dio, infatti, ha operato l’impossibile: ha ripristinato la vita là dove regnava la morte (nel corpo di Abramo e in quello di Cristo); ha donato vita rendendo giusti dei malvagi. 

La fede, però, è un atto di risposta che appartiene ancora alla grazia, è grazia; non è, in primo luogo, una capacità o un merito del credente (4,16 Cf Gv 6,29). 

In conclusione: la chiamata dei pagani al Vangelo corrisponde allo stile normale di Dio. Dio agisce con gli uomini per pura generosità e chiede a loro soltanto di fidarsi di Lui. Accade di nuovo ora ciò che si era già verificato nel passato all’epoca del patriarca. 

L’osservanza delle norme etiche viene richiesta in un tempo successivo ma non è la condizione per cominciare a stabilire un rapporto con il Signore il quale, per recuperare tutti, comincia con una chiamata priva di qualsiasi condizione. L’unica cosa richiesta è fidarsi della sua bontà sorprendente. L’analisi compiuta sulla Sacra Scrittura conferma, quindi, la possibilità che avvenga una giustificazione per grazia, a prescindere dal comportamento precedente degli uomini. 

Capitolo 5

Il contenuto essenziale del Vangelo è stato esposto. Ora Paolo approfondisce il messaggio annunciato, parla di Gesù e mostra la prospettiva meravigliosa aperta da lui per tutta l’umanità. Dopo aver parlato di redenzione, Paolo presenta il Redentore e tutti i benefici portati da lui. 

Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio (5,1-2).

Nel passato, quando Cristo morì sulla croce, l’uomo venne perdonato e reso gradito a Dio (5,1). Al presente, si trova in pace con Lui, vive immerso nella grazia, si trova in uno stato che gli converrebbe conservare con premura (5,1-2). Per quanto riguarda il futuro, spera di godere della piena manifestazione della grandezza di Dio, partecipando alla gloria del Risorto. Passato, presente e futuro gli sono assicurati. 

Se viene amato così da Dio, come mai incontra tante tribolazioni? Paolo sta pensando forse a tutti i travagli che ha dovuto sopportare nella sua missione. Incontrare la sofferenza non è un motivo per dubitare dell’amore di Dio perché perfino quella può tramutarsi in un vantaggio. Nell’affrontare i travagli, il cristiano impara ad esercitare la perseveranza, la resistenza al male. Il suo impegno lo renderà ancora più fervente e fiducioso del risultato: «Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (5,3-4). 

«La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). 

Il cristiano, dal momento che gode della presenza dello Spirito Santo, possiede la forza che gli permetterà di risorgere. Siamo certi, poi, di non illuderci sul risultato finale perché la vita futura è già cominciata nell’ora presente, a titolo di caparra. Il dono massimo che Dio avrebbe potuto elargire, lo ha già riversato in lui per intero (ekkechytai), come si versa un liquido da un recipiente ad un altro. «Non dice: è stato dato, ma: è stato riversato nei nostri cuori, per mostrarne l'abbondanza, perché ci ha donato la cosa più grande, non il cielo, la terra e il mare, ma qualcosa di più prezioso di tutti: ci ha trasformati da uomini in angeli e ci ha resi figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo. E qual è questo dono? Lo Spirito Santo» (CLR 9,3). Non ci ha dato soltanto qualcosa ma tutto quanto, perfino tutto quello che Lui è. L’elargizione dello Spirito è il primo e principale dono della Pasqua. «Non ci ha concesso questi onori a poco a poco e con moderazione, ma ci ha aperto senza riserve la fonte delle benedizioni. Dunque, anche se non ne sei degno, non disperare, perché hai un potente avvocato: l'amore del giudice. Per questo Paolo, dopo aver detto: La speranza non delude, attribuisce tutto all'amore di Dio e non ai nostri meriti» (CLR 9,3).

Cristo morì per i malvagi

«Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi 7Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi 

Offre un secondo motivo per garantire la veridicità della speranza. Nessuno mette a repentaglio la propria vita per soccorrere dei malvagi. Caso mai, uno si sacrifica a favore delle persone che ama e dalle quali si è sentito amato o per salvaguardare dei beni vitali. Alcuni eroi antichi si erano sacrificati per la salvezza della loro parentela e della loro città, non certo per favorire persone riprovevoli. Gesù, invece, muore a vantaggio di coloro che non meritavano alcun soccorso. Tra questi siamo inclusi anche noi (v.8). 

L’osservare questo fatto inaspettato, ci rende fiduciosi riguardo  al giudizio che Dio pronuncerà su di noi. «A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (5,9-10). 

«Colui che ha risparmiato i nemici al punto di non risparmiare Suo Figlio, non proteggerà forse gli amici quando non sarà più necessario che Suo Figlio si consegni?» (CLR 9,3). Può capitare che un uomo non voglia o non possa salvarsi da qualche situazione, anche se lo volesse. «Ora, né l’uno né l'altro si possono dire di Dio; che Egli lo abbia voluto è chiaro poiché ha dato Suo Figlio; che potesse farlo, lo ha dimostrato giustificando i peccatori. Cosa, dunque, ci impedisce di godere delle benedizioni future? Nulla» (CLR 9,3).

Chi ha ricevuto gratuitamente il condono totale del debito accumulato, non ha più paura di incontrare il suo creditore d’un tempo. Anziché aver paura di Dio, possiamo gloriarci di lui, sentirci rassicurati per quanto ha fatto per noi: «Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione» (5,11). «Ci ha salvati mentre eravamo peccatori, ci ha salvati per mezzo del suo unigenito Figlio, e non solo per mezzo di suo Figlio, ma per mezzo dello stesso sangue di suo Figlio: questo è sufficiente per intrecciarci mille corone di gloria. Nulla porta tanta gloria e ispira tanta fiducia quanto essere amati da Dio e ricambiarlo» (CLR 9,3). 

Adamo e Cristo

Paolo vuole far comprendere in tutti i modi la sovrabbondanza di grazia procurata da Gesù per tutti. Egli ha iniziato una nuova stagione nella storia e per questo motivo non è paragonabile ad un grande re come David o a un grande legislatore come Mosé. È paragonabile soltanto ad uno che è anteriore a tutti i grandi personaggi, ad uno che non appartiene a Israele ma a tutta l’umanità, cioè ad Adamo, il capostipite di tutti gli uomini. Traccia perciò un confronto tra Cristo e Adamo. Il primo ha un carattere mitico, il secondo è una figura storica; Adamo personifica l’umanità oppressa dal peccato, Cristo è, di fatto, l’inizio della nuova umanità, rinnovata grazie alla sua azione risanatrice. 

«Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il  peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno  peccato…» (5,12) 

«Come i buoni medici si sforzano sempre di trovare la radice delle malattie e di risalire alla fonte stessa del male, così fa il beato Paolo. Prendendo l'argomento dalla prospettiva opposta, cioè dal punto di vista della morte e del peccato, si chiede come e attraverso quali mezzi la morte sia entrata e come abbia stabilito il suo dominio» (CLR 10,1).

Adamo peccò e così fece entrare nel mondo il peccato e la morte. Gli uomini, suoi discendenti, eredi del suo fallimento morale, confermarono e ripeterono, a loro volta, la sua scelta nefasta (5,12). L’umanità si è dimostrata schiava del Peccato, l’oppressore che la domina. 

Adamo e Cristo sono entrambi dei capostipiti per i loro discendenti ma Cristo è il rovescio di Adamo perché «il dono della grazia non è come la caduta» (5,15), in questo senso «ha più potere la giustizia nel vivificare che il peccato nell’uccidere» (Pelagio 5,15 p.107). 

- Adamo procurò la morte agli uomini; Cristo offre a tutti doni incomparabili di vita. «Se per la caduta di uno solo tutti  morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo  uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti» (5,16). 

- Un solo uomo provocò una moltitudine di condanne; Gesù da solo fece sì che numerose condanne si tramutassero in una assoluzione e in un principio di vita nuova. «Il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la  condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione» (5,16). «In Adamo fu condannato un solo delitto, nel Signore invece sono stati da lui perdonati molti delitti» (Agostino, Questioni sulla Lettera ai Romani, 23). 

- Adamo fece entrare nel mondo il regno della morte; Cristo, invece, introdusse in esso il regno della vita (5,17). La vita, donata da lui, non è un’esistenza qualsiasi ma un vero regnare. «Infatti se  per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli  che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per  mezzo del solo Gesù Cristo» (5,17). «Non abbiamo ricevuto solo la misura di grazia necessaria per l'abolizione del peccato, ma molto di più. Infatti, siamo stati liberati dalla punizione, siamo stati rinati dall'alto, siamo stati risuscitati dopo aver seppellito l'uomo vecchio, siamo stati redenti e santificati, siamo stati portati all'adozione e giustificati, siamo diventati fratelli del Figlio unigenito, siamo stati costituiti suoi coeredi, membra del suo corpo, uniti a lui come il corpo lo è al capo. Tutto ciò costituisce ciò che Paolo chiama l'abbondanza della grazia: indicando che non abbiamo ricevuto solo il rimedio capace di guarire la nostra ferita, ma anche salute, bellezza, onore, gloria – dignità ben al di sopra della nostra natura» (CLR 10,2).

In conclusione: la santità di Gesù ha ottenuto il perdono per tutti e l’inizio di una nuova esistenza “regale” (5,18-19): «Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la  giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono  stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti  giusti» (5,18-19). 

«La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il  peccato, sovrabbondò la grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo  nostro Signore» (5,20-21). 

La proclamazione della Legge, avvenuta nel corso della storia tramite Mosè, anziché eliminare i peccati, favorì la loro proliferazione. Divenne un incentivo più che un freno (questo fatto paradossale verrà ripreso e spiegato nel cap. 7): 

«La legge non fu data perché gli uomini ottenessero la vita - ciò che vivifica è la grazia mediante la fede! -, ma fu data per mostrare quanto grandi e quanto stretti fossero i lacci del peccato che avvolgevano gli uomini che presumevano di conseguire la giustizia con le loro sole forze. In realtà il peccato raggiunse il colmo sotto questi aspetti: primo perché a causa del divieto la concupiscenza divenne più ardente e, secondo, perché peccando l’uomo contro una legge, venne ad aggiungersi in lui la colpevolezza della trasgressione» (Agostino, Questioni sulla Lettera ai Romani, 24).

Il male aveva desertificato tutta la terra. Dio non si arrese e la irrigò con una pioggia ancora più abbondante. Il peccato abbondò ma la sua grazia sovrabbondò (5,20). Tale cambiamento, però, non opera in modo automatico ma richiede il consenso e la collaborazione di chi si affida a Lui. 

Capitolo 6

1Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia? 2È assurdo! Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso? 3O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?

Paolo chiarisce un fraintendimento del suo insegnamento che aveva suscitato scandalo: se Dio è sempre disposto a perdonare e se l’uomo, anche se non ha opere buone da presentargli, si riconcilia Lui soltanto mostrando fiducia nella sua bontà, non conviene restare nel peccato ed evitare la fatica che costa l’agire bene? Sarebbe meglio continuare pure a peccare e così faremo risaltare ancora meglio la sua misericordia! Pensare in questo modo sarebbe insano perché il peccato è, di per sé, un male che danneggia chi lo compie. Offende Dio perché corrode la vitalità dell’uomo. Paolo non si limita ad esortare il cristiano a non peccare ma gli fa sapere che è già morto al peccato. Deve rendersi conto di questo evento. Come è avvenuto ciò? Al momento del Battesimo. 

Il significato del battesimo

Il Salvatore, può risanarci in modo completo fino a renderci irreprensibili. Dal momento che gli siamo molto cari, ci vuole completamente diversi da quello che siamo e simili a lui per quanto possibile. L’agire del cristiano, quindi, prende inizio da Cristo; non si fonda sopra un principio etico ma sopra un evento, la Pasqua di Gesù. 

L’unione con Cristo inizia con il Battesimo: «Il cristiano viene per così dire avvolto e abbracciato da Cristo, il quale, molto più dell’acqua che ne è solo un simbolo, passa a costituire il suo nuovo spazio vitale. In quanto tale, Cristo risulta essere il sostituto e l’esatto opposto del Peccato, nel quale il cristiano ormai non ha più la propria residenza» (Penna, Battesimo…, 82-83). «Quando gli sfacciati diventano casti, gli avari generosi, i violenti pacifici: allora c'è la risurrezione, un preludio alla futura risurrezione. Il peccato è morto, la giustizia è risorta, la vecchia vita è annientata, la nuova vita è in vigore» (CLR 10,4). 

Battezzare significa immergere (baptizo). Il battezzando non soltanto si immerge in Cristo ma nella sua morte. Il battesimo è un’immersione totale in Cristo a somiglianza di un seppellimento. La relazione risanante con lui non consiste in una semplice relazione tra amici ma nella partecipazione all’evento drammatico della sua morte e risurrezione.

«Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (6,3-4).

Cristo ci fa morire, seppellire e risorgere con lui. Egli è morto perché ottenessimo il perdono e l’annullamento dei nostri peccati (6,3), perciò l’apostolo non esorta i credenti a smettere di peccare, ma proclama che essi sono già morti al peccato. Non è morto al posto nostro per evitare che noi moriamo ma, al contrario, per fare in modo che noi possiamo morire con Lui. A partire da quel momento, siamo nuovi e completamente diversi perché realmente possiamo cominciare ad essere tali. «Ci sono due tipi di morte: una operata da Cristo nel battesimo, e l'altra che deve essere il risultato dei nostri sforzi. In effetti, che i nostri peccati precedenti siano stati sepolti è un dono di Dio; ma che dopo il battesimo rimaniamo morti al peccato deve essere opera del nostro zelo, sebbene vediamo ancora in esso, in larga misura, un aiuto divino. Non solo il battesimo ha il potere di cancellare i peccati passati, ma ci protegge anche dai peccati futuri. Come avete usato la fede per cancellare le cose passate, così mostrate in futuro il pentimento, affinché non siate contaminati di nuovo» (CLR 11,1).

5Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. 

L’essere “intimamente uniti” traduce il termine greco symphytoi; significa letteralmente essere connaturati e crescere insieme, come tralci inseriti nella vite (Gv 15,1-8). In altre parole, il battezzato non si limita a imitare Cristo come Egli fosse un modello esterno a lui ma assimila il suo modo di essere. Assorbe le sue qualità. 

Cristo, dopo la morte, ottenne dal Padre la risurrezione ricevendo un corpo glorioso. Noi, come primo passo, cominciamo a camminare in una vita rinnovata e soltanto in seguito avremo anche noi un corpo glorioso come il suo. «Quando ha parlato della morte, ha detto: a somiglianza della sua morte; poi, quando ha parlato della risurrezione, non ha detto: a somiglianza della sua risurrezione, ma: saremo nella sua stessa risurrezione. Né ha detto: siamo stati, ma saremo, indicando ancora una volta con questa espressione che si tratta della risurrezione futura, quella che non è ancora avvenuta. E volendo rendere la sua parola degna di fede, qui parla della risurrezione che precede l'ultima, per farvi credere in quest'ultima attraverso la prima» (CLR 11,1). 

6Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 7Infatti chi è morto, è liberato dal peccato.

Cristo fu crocifisso con il suo corpo fisico e noi crocifiggiamo il nostro uomo vecchio (6,6). Morire al peccato, non significa soltanto evitare i peccati, ma essere radicalmente sottratti alla sfera d’influenza del Peccato (Penna, cit. 103).

8Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, 9sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. 11Così anchevoi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.

Partecipare alla Pasqua di Cristo, più che imporsi un impegno etico gravoso è godere di una vita nuova (6,8), una vita che vincerà la morte stessa. Cristo morì una volta per tutte (ephapax) (Cf Eb 9,26-28). Nei misteri pagani l’adepto moriva più volte con il suo dio il quale si spegneva e poi ritornava in vita seguendo il ciclo della natura. Cristo è vivo senza che sia possibile per lui morire. Vive col Padre e per il Padre, per realizzare il suo Regno. Anche il battezzato comincia a vivere di questa vita e per lo stesso scopo (mentre l’adepto dei misteri non iniziava una vita etica). 

Schiavi del Signore

12Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. 

«È assurdo avere il peccato come re quando si è destinati al regno dei cieli, preferire la schiavitù del peccato quando si è chiamati a regnare con Cristo; è come se un re, gettando via il diadema, diventasse schiavo di una donna furiosa, mendicante e coperta di stracci. Poi, poiché è difficile vincere il peccato, vedete come si sforza di rimuovere questa difficoltà e di alleviare il dolore dicendo: nel vostro corpo mortale. Questa frase indica che le lotte sono temporanee e presto finiranno; e allo stesso tempo ci ricorda i mali passati e la radice della morte: è infatti per mezzo del peccato che il corpo è diventato mortale fin dall'inizio. È possibile, tuttavia, non peccare, anche quando si ha un corpo mortale. Vedete quanto è potente la grazia di Cristo? Adamo, con un corpo che non era ancora mortale, venne meno; e voi, che avete ricevuto un corpo mortale, potete essere incoronati. Ma in che modo, chiederete, regna il peccato? Non per sua propria potenza, ma per effetto della vostra codardia. Pertanto, dopo aver detto: non regni, Paolo ci mostra in cosa consista questa regalità quando aggiunge: non obbedite ai suoi desideri. Infatti, quando il corpo fa ciò che vuole, perde ogni libertà; quando è frenato, conserva la propria dignità» (CLR 11,2). 

13Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. 

«Considerate ciò che eravate e ciò che siete diventati. Che cosa eravate? Morti, irrimediabilmente perduti, perché nessuno poteva venirvi in aiuto. E da morti, cosa siete diventati? Viventi di una vita immortale, per mezzo di Dio, che può tutto. È quindi giusto che vi mettiate al Suo comando con tutto lo zelo che ci si può aspettare da morti tornati in vita. E le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. Il corpo non è quindi malvagio, poiché può diventare strumento di giustizia» (CLR 11,3). 

14Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia.

«Il peccato non può vincerci se non ci arrendiamo completamente, perché non siamo più solo sotto la legge, ma sotto la grazia, che perdona il passato e rafforza per il futuro. La legge prometteva la corona solo dopo la fatica; la grazia incorona prima, poi conduce alla battaglia. Prima della venuta di Cristo, il nostro corpo cadeva facilmente sotto il giogo del peccato. Un brulichio di passioni era entrato in esso, così che eravamo inadatti a entrare nella via della virtù. Non c'era ancora lo Spirito a prestargli aiuto, né il battesimo a mortificarlo; ma come un cavallo impaziente per le briglie, correva e spesso si smarriva. Sebbene la legge indicasse cosa fare e cosa evitare, offriva poco aiuto oltre le parole a coloro che combattevano la lotta. Ma da quando Cristo è apparso, la lotta è diventata più facile? Si ma, con un aiuto più abbondante, le battaglie sono più significative» (CLR 11,3).

15Che dunque? Ci metteremo a peccare perché non siamo sotto la Legge, ma sotto la grazia? È assurdo! 16Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell’obbedienza che conduce alla giustizia?

Non ritiene sufficiente quanto ha detto e lo ribadisce servendosi della prassi della schiavitù, ben conosciuta nella sua epoca. La sua essenza stava nella costrizione ad obbedire ad un padrone. L’uomo serve al Peccato o alla Giustizia. Non c’è una via di mezzo. Quando agisce in concreto o sta obbedendo al Male o alla Santità.

17Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati. 18Così, liberati dal peccato, siete stati resi schiavi della giustizia. 

Suggerisce ai suoi interlocutori di ricordare ciò che avevano vissuto. Ringrazino Dio! Apprendendo l’insegnamento trasmesso dai ministri del Vangelo, hanno potuto liberarsi da una schiavitù divenuta col tempo impossibile da sopportare e si sono sottoposti alla Giustizia (6,17). «Non era in potere di nessun essere umano, dice loro, liberarci da tutti questi mali; ma siano ringraziati Dio che lo ha voluto e ha potuto farlo! Ha ragione di dire: Avete obbedito di cuore, poiché non siete stati costretti ma avete rotto con il male liberamente e volontariamente. Qui sta sia la lode che l'ammonimento. E per farvi capire che il risultato non è dovuto solo alle loro buone intenzioni, ma è interamente opera della grazia, dopo aver detto: avete obbedito di cuore, aggiunge: a questo modello di dottrina sul quale siete stati formati. L'obbedienza di cuore indica il libero arbitrio; ma la parola formati implica l'idea dell'aiuto di Dio» (CLR 11,4). 

19Parlo un linguaggio umano a causa della vostra debolezza. Come infatti avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità, per l’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la santificazione. 20Quando infatti eravate schiavi del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. 21Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Il loro traguardo infatti è la morte. 22Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto per la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna. 23Perché il salario delpeccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

Quando si erano consegnati al Peccato come schiavi, avevano compiuto cose che avevano procurato loro piacere immediato ma intanto erano diventati prigionieri delle loro passioni e persone malvagie. Ora provano vergogna per quanto avevano fatto e per quello che erano diventati (6,21) ma non devono più temere. Diventati schiavi di Dio, riescono a vivere con santità e sanno di ottenere la vita eterna. Il passato è passato e il futuro radioso. 

In conclusione, il battezzato è libero dal peccato, un padrone che paga consegnando alla morte i suoi schiavi e si consegna a Dio, un padrone che paga donando la vita eterna. 

Capitolo 7

Libertà dalla Legge

L’apostolo continua ad esporre i grandi benefici procurati da Gesù. Ha appena dichiarato che il battezzato è morto al Peccato ed ora afferma che è morto anche alla Legge. L’affermazione non poteva non allarmare! Che cosa significa? È morto ad essa in questo senso: non deve più appoggiarsi su di essa per cercare di liberarsi dal male perché la Legge non possiede la forza sufficiente per offrirgli questa opportunità. L’Antico ordinamento religioso che aveva al suo centro la Legge di Mosè è stato superato dal nuovo ordinamento creato da Gesù. Per questo dice ai battezzati: non siete più sotto la Legge ma sotto la grazia (6,14). 

1O forse ignorate, fratelli – parlo a gente che conosce la legge – che la legge ha potere sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive? 2La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. 3Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo. 4Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.

Vivendo in Cristo Gesù, il battezzato sa che cosa deve fare ed ottiene l’energia necessaria per compiere ciò che si è proposto; quindi è libero nei confronti della Legge. Si trova nella stessa situazione di una donna che, divenuta vedova, è completamente libera nei confronti del marito defunto e può risposarsi (7,1-4). Paragonare la Legge ad un coniuge defunto non è un esempio molto indovinato (caso mai è il battezzato che si svincola dalla Legge o muore ad essa) ma, in ogni casi, apre un confronto tra due situazioni di vita, tra l’esistenza di chi vive appoggiandosi sulla Legge mosaica e l’esistenza di chi vive in Cristo. Cristo è meglio di qualsiasi Legge. 

5Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. 6Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo, e non secondo la lettera, che è antiquata.

«Ora possiamo vivere nella novità dello Spirito e non nella vecchiezza della lettera» (7,6). Senza l’assistenza dello Spirito, anche le parole “spirituali” di Gesù finirebbero con l’appartenere alla vecchiezza della lettera: «Se, infatti, la legge deve essere condannata per essere stata occasione di peccato, lo stesso si può dire del Nuovo Testamento» (CLR 12,5).

7Che diremo dunque? Che la Legge è peccato? No, certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non mediante la Legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza, se la Legge non avesse detto: Non desiderare. 8Ma, presa l’occasione, il peccato scatenò in me, mediante il comandamento, ogni sorta di desideri. Senza la Legge infatti il peccato è morto.

«Quando desideriamo qualcosa e incontriamo un ostacolo, la fiamma del desiderio cresce; ma questa non fu colpa della legge: essa infatti ti impedì di essere sedotto, ma il peccato, cioè la tua codardia e la tua cattiva volontà trasformarono il bene in male. Non dobbiamo accusare il medico, ma il paziente che non sa come usare il rimedio. Dio non ha dato la legge per accendere la concupiscenza, ma per spegnerla, e accadde il contrario; ma siamo noi, e non Dio, che dobbiamo essere incolpati» (CLR 12,5). 

«Non pensate che coloro che hanno ricevuto la legge siano diventati peggiori per essa, ma considerate che la legge si è sforzata di tagliare il male alla radice, lungi dal favorirne la crescita. Se non ci è riuscita, riconoscete almeno le sue buone intenzioni; ma soprattutto, adorate la potenza di Cristo, perché ha radicalmente distrutto e sradicato un male così vario nelle sue forme, così difficile da superare» (CLR 12,69. 

9E un tempo io vivevo senza la Legge ma, sopraggiunto il precetto, il peccato ha ripreso vita 10e io sono morto. Il comandamento, che doveva servire per la vita, è divenuto per me motivo di morte. 11Il peccato infatti, presa l’occasione, mediante il comandamento mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. 12Così la Legge è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento. 13Ciò che è bene allora è diventato morte per me? No davvero! Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato risultasse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.

Considerata in se stessa, la Legge di Mosè è santa; ogni comando di cui è composta, è giusto e buono (7,12). Tuttavia chi si ripromette di osservarla, s’accorge di essere travolta da una forza introre che gli impedisce di attuare il suo proposito, poiché si scontra con la potenza del Peccato. Questa energia negativa, per avere la meglio su tutti, si serve delle passioni che sono presenti in ogni uomo e dalle quali viene dominato con estrema facilità. La forza della volontà e la chiarezza della razionalità vengo scompaginate dagli istinti e dai desideri passionali (7,7). L’uomo, anche quello ben intenzionato, appare spesso come un fuscello trascinato dalla corrente. 

Una proibizione, anziché persuadere e condurre al bene, infastidisce la persona alla quale viene imposta. Anzi, ciò che viene proibito affascina (7,8). La legge, perciò, anziché produrre un comportamento positivo, ottiene il contrario. Il Peccato si serve del richiamo della norma per ottenere l’opposto di ciò che essa suggerisce. La Legge, quindi, al di là delle sue intenzioni, anziché reprimere Peccato, offre ad esso l’opportunità di esplicarsi in tutta la sua tracotanza.

Nel trasgredire le nome, gli uomini si rendono conto di quanto sia forte in loro l’istinto che inclina all’egoismo (7,13). Essendo troppo appesantiti, «carnali», ossia schiavi del proprio interesse, non sono in grado di adempiere i suggerimenti «spirituali», i nobili intenti che si prefiggono a livello teorico. Paolo conclude facendo risaltare l’aspetto più drammatico: l’uomo non è libero. Non lo è, perché non riesce a fare il bene a cui aspira (7,22-23). Vorrebbe compiere il bene ma ottiene il contrario. 

14Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. 15Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. 16Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; 17quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 18Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, 23ma nelle mie membravedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavodella legge del peccato, che è nelle mie membra. 

«Vedete che l'anima non è perversa, ma che conserva la sua nobiltà originaria nell'azione? Se commette il male, lo fa odiandolo: il che costituisce la più bella lode della legge naturale e della legge scritta. La prova, dice, che la legge è buona è che mi accuso di non averla ascoltata e che odio il male che ho fatto» (CLR 13,2). «Dobbiamo distinguere tra anima, corpo e volontà: le prime due sono opere di Dio, e la volontà è un movimento che ha origine in noi e tende verso ciò che noi dirigiamo. La facoltà di volere è naturale e proviene da Dio; ma ogni atto di volontà proviene da noi ed è il risultato della nostra scelta» (CLR 13,2). 

24Me infelice! Chi mi libererà da questocorpo di morte? 25Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato.

«Quando lo sentite dire: chi mi libererà da questo corpo di morte?, non pensate che stia accusando la carne. Infatti non dice questo corpo di peccato, ma questo corpo di morte, cioè soggetto alla morte, ma che non ha causato la morte: il che è un'indicazione, non della malizia della carne, ma del danno che ha subito» (CLR 13,3). La Chiesa «condanna solo il peccato; ma afferma che le due leggi date da Dio, la legge naturale e la legge mosaica, sono nemiche del peccato e non della carne; che la carne non è peccato, ma opera di Dio, capace di praticare la virtù, se vegliamo su noi stessi» (CLR 13,3). 

Il dissidio interiore che lacera la persona era già stato riconosciuto dai pensatori del mondo antico e non era necessario che venisse fatto conoscere da una rivelazione. Paolo annuncia che è possibile ricomporre finalmente questa frattura grazie all’opera di Gesù. «Vedete fin dove giunge la tirannia del peccato, che trionfa perfino sull'anima che si compiace della legge? Nessuno, ci dice Paolo, può affermare che il peccato mi domina perché odio e rifiuto la legge; al contrario, mi compiaccio di essa, la accetto; mi rifugio in essa; eppure essa non può salvare chi si converte ad essa, mentre Cristo ha salvato anche chi si è allontanato da lui. Vedete la superiorità della grazia?» (CLR 13,3).

Capitolo 8

Nel continuare ad esporre i benefici portati da Gesù, ora annuncia quello più grande che corrisponde all’effusione dello Spirito, il dono massimo di Dio, come aveva già suggerito (5,5). Si raggiunge ora una delle vette della lettera; il grande protagonista è lo Spirito che caratterizza l’identità stessa del cristiano e lo rende figlio nel Figlio (Cf. Pulcinelli, 112). 

Vita in Cristo e nello Spirito

«Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (8,1). 

Chi vive in Cristo Gesù (ecco una definizione del cristianesimo!), diventa capace di evitare ciò che il Signore disapprova, sfugge con facilità al rischio di essere disapprovato da Dio nel giudizio futuro. Il pericolo estremo è superato ed allora Paolo prorompe in un grido di liberazione, la quale non è un fatto automatico ma una possibilità reale. 

«Poiché si potrebbe obiettare che molti peccano anche dopo il battesimo, si affretta ad affrontare questo punto. E non dice semplicemente “a coloro che sono in Cristo Gesù”, ma “a coloro che non camminano secondo la carne”, indicando con ciò che tutto il male che si fa è effetto della nostra codardia. Ora è possibile non camminare secondo la carne, ma allora era difficile» (CLR 13,4).

«Come ha chiamato il peccato la legge del peccato, così chiama lo Spirito la legge dello Spirito. Ora, ha dato questo nome anche alla legge di Mosè, dicendo: sappiamo infatti che la legge è spirituale. Dov'è, dunque, la differenza? È immensa: la prima era semplicemente data dallo Spirito, e la seconda dona lo Spirito in abbondanza. È la grazia dello Spirito che ha posto fine a questa terribile guerra, uccidendo il peccato, rendendoci facile la lotta, incoronandoci per primi e sfidandoci alla lotta con abbondante aiuto» (CLR 13,4).

Ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito (3-4).

La persona umana che un tempo aveva conosciuto l’ineluttabilità del peccato e della morte che ne seguiva, ora, invece, si apre alla possibilità di conoscere una vita piena (8,2). La svolta è stata determinata dalla venuta di Cristo nel mondo come uomo. Egli, uomo come noi, visse in perfetta santità e così annullò il peccato in se stesso (e nell’umanità). Lo vinse pur vivendo una vita umana incline a peccare. Condannò il peccato, non il peccatore. Ora comunica ai battezzati questo modo d’esistenza del tutto inedito (8,3-4). 

Lo Spirito crea una nuova realtà, un nuovo essere, crea un destino identico tra il battezzato e Gesù. Dio può compiacersi di loro, come si era compiaciuto di Gesù, ed evitare di escluderli dalla comunione con sé. «La natura della carne non è malvagia. Cristo non assunse altra carne che quella originale; non ne cambiò la sostanza per renderla capace di combattere il peccato; ma lasciandola nella sua natura, le permise di riportare la vittoria sul peccato e, dopo questa vittoria, la risuscitò e la rese immortale. Ma, potresti dire, che importa a me che tutto questo sia accaduto nella carne di Cristo? Ora Egli ha ottenuto questo favore per noi; resistere e vincere, questo era il suo compito; trarre profitto dalla sua vittoria, questo è il nostro» (CLR 13,5). 

Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio (8,5-8).

La carne non è il nostro corpo fisico ma la persona umana in quanto avversa a Dio. 

«Qui, per carne, l'Apostolo non intende il corpo, né la sostanza del corpo, ma la vita carnale e mondana, completamente abbandonata al piacere e alla dissolutezza, che trasforma l'intera persona in carne. Infatti, come coloro a cui lo spirito dà le ali rendono spirituale il loro corpo, così coloro che rifiutano lo spirito e sono schiavi del loro ventre e del piacere trasformano la loro anima in carne, non cambiandone la sostanza, ma distruggendone la nobiltà» (CLR 13,7).

C’è una enorme diversità tra il vivere secondo la carne (katà sàrka), cioè prigionieri dell’inclinazione al male e il vivere secondo lo Spirito divino (katà pneuma). I desideri che provengono dall’egoismo producono in noi una vita spenta. In apparenza siamo vivi, ma in realtà siamo morti, incapaci di stabilire una vita di comunione con Dio e con il prossimo. 

Al contrario, i desideri suscitati in noi dalla presenza dello Spirito ci consentono di godere di una vita piena, la cui caratteristica è la pace. La pace, infatti, significa pienezza, essere colmi di beni. «Come il ferro, in mezzo al fuoco, diventa fuoco, pur mantenendo la propria natura; così la carne dei fedeli e di coloro che hanno lo Spirito assume l'energia stessa dello Spirito e diventa interamente spirituale» (CLR 13,8). 

9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. 

È lo stesso dire: lo Spirito abita in noi (8,9) e dire: Cristo dimora in noi (8,10). Dobbiamo appartenere a Cristo in permanenza e se produciamo frutti spirituali, vuol dire che siamo rimasti uniti a Lui. La vita che già possediamo, poi, è l’inizio della glorificazione futura: se lo Spirito divino che ha risuscitato Gesù abita in noi, il Padre che ha risuscitato Cristo darà la vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi (Cf 8,11). Come ho già rilevato, lo Spirito di Dio crea un destino identico tra noi e Gesù. 

«Non confonde Cristo con lo Spirito, ma attesta che chi ha lo Spirito non solo appartiene a Cristo, ma lo possiede egli stesso. Infatti non è possibile che Cristo non sia dove è lo Spirito. Infatti, dove è una persona della Trinità, c'è l'intera Trinità. Che accadrà, se Cristo è in voi? Vedete quanti beni scaturiscono dalla presenza dello Spirito: appartenere a Cristo, possederlo, essere uguali agli angeli, cioè aver mortificato la propria carne, vivere la vita immortale, possedere il pegno della risurrezione, correre senza ostacoli sulla via della virtù» (CLR 13,8). 

12Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.

«Dopo aver mostrato quanto grande sia la ricompensa della vita spirituale, che essa fa abitare Cristo in noi, che dà vita ai corpi morti, che dà ali per salire al cielo, che rende più facile il cammino della virtù, egli ne deduce necessariamente un monito e dice: Perciò non dobbiamo vivere secondo la carne. Tuttavia, non è così che si esprime: il suo linguaggio è più vivido e più fermo: siamo debitori allo Spirito; perché questo è evidentemente il significato di queste parole: Non siamo debitori alla carne» (CLR 14,1). 

Figli di Dio

«Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!» (8,14-15).

Lo Spirito ottiene il meglio per noi perché ci rende figli di Dio. Essere figli non significa soltanto essere amati da Dio (in questo senso tutti gli uomini possono essere detti figli, in modo particolare Israele) ma poter vivere la stessa esistenza di Gesù. Finora soltanto Gesù era stato denominato Figlio, ma adesso anche noi partecipiamo a questa qualifica. Con Lui, chiamiamo Dio “Abbà”, godendo d’un privilegio inaudito. Partecipando alla confidenza che Gesù nutriva verso il Padre, ci liberiamo dalla paura che suscita angoscia e volontà di ribellione. 

«Non dice semplicemente: Coloro che vivono secondo lo Spirito di Dio, ma piuttosto: Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, indicando così che questo Spirito desidera essere il padrone della nostra vita, il pilota della barca. Non vuole che l'anima agisca di propria iniziativa, ma piuttosto sottometta le sue facoltà alla potenza dello Spirito. Afferma che se non ci si lascia guidare dallo Spirito, si perde la dignità di cui si è stati onorati e il privilegio dell'adozione a figli» (CLR 14,2).

«Dio non si compiace di essere chiamato Signore quanto di essere chiamato Padre, né di avere un servo quanto di avere un figlio. Per questo ha fatto tutto, non ha risparmiato neanche il suo unigenito Figlio, perché ricevessimo l'adozione a figli e lo amassimo non solo come un Signore, ma anche come un Padre. Se ottiene questo da noi, è come se fosse orgoglioso e si vantasse con tutti, lui che non ha bisogno dei nostri beni» (CLR 10,5). 

Nel futuro, l’essere figli ci permetterà di partecipare alla glorificazione di Gesù come suoi “coeredi”: «Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (8,17). 

Gesù non è stato esentato dai travagli connessi alla sua missione ma anzi li ha accolti proprio perché, essendo Figlio, collaborava con il Padre. Lo stesso avviene anche al cristiano (8,17). 

18Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili all gloria futura che sarà rivelata in noi. 

«La retribuzione ha tuttavia il carattere della grazia. Vuole rassicurare i dubbiosi e impedire che coloro che hanno ricevuto il dono si vergognino, come se fossero sempre stati salvati gratuitamente. Turttavia, vuole insegnarci che Dio ricompensa sempre l'opera ben oltre il merito: così, da una parte ha detto: A condizione che soffriamo con lui, per essere con lui glorificati; e dall'altra, aggiunge: Le sofferenze del tempo presente non sono proporzionate alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (CLR 14,4). 

«Non dice “al riposo futuro”, ma, “alla gloria futura”. Infatti, dove c'è riposo, non c'è necessariamente gloria; ma dove c'è gloria, c'è certamente riposo. Poi, parlando della gloria futura, indica che essa è già presente, poiché non dice: “Della gloria che sarà”, ma: “Della gloria futura che sarà rivelata in noi”, cioè che già esiste, sebbene nascosta; cosa che esprime altrove più chiaramente, quando dice: La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Contate dunque su questa gloria; perché è già pronta, in attesa della vostra opera» (CLR 14,4)

19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 

Siamo figli ma non siamo angeli e poiché il mondo fisico è l’ambito di vita dal quale non possiamo prescindere, anche tutto il nostro mondo parteciperà alla nostra gloria (8,20-21). 

«Vuole dimostrare quanto Dio abbia a cuore gli interessi dell'umanità e quanto tenga in alta considerazione la nostra natura. La creatura sperimenta un'intensa sofferenza in attesa dei beni di cui abbiamo parlato; il termine greco usato dall'apostolo significa infatti un'attesa impaziente. E per rendere l'immagine più vivida, egli personifica il mondo intero: come fecero anche i profeti, che ci raffigurano fiumi che battono le mani, rocce che saltano e montagne che tremano di gioia, non per farci credere che siano esseri animati o capaci di pensare, ma per per farci comprendere l'eccellenza dei beni, come se gli esseri inanimati stessi ne percepissero il valore» (CLR 14,4).

«Anche la creatura stessa sarà liberata. Non sarai solo tu a godere di questi beni; ma anche ciò che è inferiore a te, ciò che non è dotato di ragione o di sensibilità, li condividerà con te. Sarà anche liberata dalla schiavitù della corruzione: cioè, non sarà più corruttibile, ma parteciperà alla bellezza del tuo corpo. Poiché, come è divenuta corruttibile non appena tu stesso sei divenuto corruttibile, così anche, non appena tu sarai incorruttibile, ti accompagnerà, ti seguirà. Quando un figlio deve apparire rivestito di qualche dignità, il padre dà ai suoi servi vesti più degne, in onore del figlio stesso: proprio come Dio vestirà la natura di incorruttibilità per condurla alla libertà della gloria dei suoi figli» (CLR 14,5). 

22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 

«Non essere al di sotto della natura, non aggrapparti alle cose presenti. Non solo non bisogna aggrapparsi ad esse, ma bisogna gemere perché la partenza è ritardata. Perché se lo fa la natura, quanto più dovresti farlo tu, che sei dotato di ragione. Ma questo non era  motivo sufficiente per arrossire: ecco perché aggiunge: non solo loro, ma anche noi stessi che abbiamo le primizie dello Spirito; sì, anche noi stessi gemiamo dentro di noi; cioè noi che abbiamo già gustato i beni futuri. Se, in effetti, queste primizie sono già tali che, per mezzo di esse, si è liberati dal peccato, in possesso della giustizia e della santificazione, considera quale sarà il dono nella sua interezza» (CLR 14,6).

24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Abbiamo cominciato ad essere salvi ma la salvezza totale non si è ancora realizzata. Siamo persone di speranza (8,24-25). Abbiamo intrapreso il cammino della salvezza ma non abbiamo ancora raggiunto il traguardo. Perciò siamo gioiosi e sofferenti nello stesso tempo. 

«Questo è l'unico dono che abbiamo dato a Dio: la fede nel futuro che ci promette. Non eravate nella disperazione? Non eravate sotto il peso della condanna? Non sono stati forse vani tutti gli sforzi fatti per salvarti? Cosa, allora, ti ha salvato? La speranza in Dio solo, la fede nelle sue promesse e nei suoi doni; non hai portato altro. Ora, se questa fede ti ha salvato, aggrappati ad essa ora. Perché se ti ha già portato così grandi benedizioni, sicuramente le sue promesse future non ti deluderanno. Avendoti accolto volentieri quando eri morto, perduto, imprigionato, nemico, e avendoti reso amico, figlio, libero, giusto, coerede; avendoti concesso vantaggi che nessuno avrebbe mai osato sperare: come, dopo tanta liberalità, tanta benevolenza, non ti assisterebbe in futuro?» (CLR 14,6). 

Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e Dio che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio (8,26-27).

Il cristiano prega sempre nello Spirito per accoglierlo con maggiore disponibilità. Ci aiuta nel pregare perché la preghiera, pur essendo l’atto più costruttivo, è sempre piuttosto difficile. Suggerisce al Padre ciò di cui abbiamo bisogno realmente, senza esserne consapevoli. «Il nostro parlare a Dio resta carnale: sappiamo solo gridare i nostri bisogni. Proprio qui interviene lo Spirito Santo: si impadronisce del grido uscito dal nostro essere diviso, lo trasforma in preghiera [appropriata] ed è questa preghiera che giunge al Padre celeste. La preghiera vera è di per sé ineffabile» (Attinger, 173). 

Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 

Intanto il figlio di Dio sa che ogni avvenimento è permesso e condotto dal Padre per fare in modo che la vicenda di Cristo si realizzi anche in lui. «Sappiamo», dice, che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Ora, questa parola «tutto» include anche le cose dolorose. Che si tratti di afflizione, povertà, prigionia, fame, morte o qualsiasi altra cosa, Dio può volgere tutte queste cose nella direzione opposta, poiché la sua infinita potenza sa come alleggerire i nostri pesi e volgere in mezzo di salvezza tutto ciò che ci sembra doloroso. Pertanto l'Apostolo non dice : l'avversità non capita a coloro che amano Dio, ma: coopera al bene; vale a dire, Dio volge i pericoli a gloria di coloro contro cui sono tese insidie; il che è molto più che rimuovere il pericolo o liberarlo quando si presenta. Come le cose che sembrano dannose sono utili a coloro che lo amano, così quelle che sono utili diventano dannose a coloro che non lo amano. I miracoli, la saggezza della dottrina, fecero male agli ebrei; a causa dei miracoli chiamarono Cristo demoniaco, a causa della sua dottrina lo trattarono come empio; tentarono persino di ucciderlo a causa dei suoi miracoli. D'altra parte, il ladrone crocifisso, soffrendo innumerevoli dolori, non solo non subì alcun danno, ma ne trasse il massimo beneficio. - Vedi come tutto coopera al bene di coloro che amano Dio?» (CLR 15,1).

Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli;

Gesù non è soltanto un figlio unico ma il Primogenito di molti altri fratelli (8,29) ed essi riceveranno il dono di conformarsi a lui. Scelti da Dio dall’eternità, sono stati chiamati alla fede. Vivono il processo di giustificazione in vista dello loro glorificazione (8,30). La predestinazione non è una decisione di salvezza o perdizione eterna ma un segno particolare rivolto a tutti. Tutti gli uomini possono avvantaggiarsi nell’incontrare dei Vangeli viventi, delle persone che ricordano Cristo da vicino. 

«Vedete questa gloria suprema? Ciò che il Figlio unigenito era per natura, questi lo diventano per grazia. E tuttavia non si limita a dire conformato, aggiunge qualcos'altro: affinché egli stesso sia il primogenito. E non si ferma qui, perché aggiunge tra molti fratelli. Tutto questo si intende dell'Incarnazione; poiché, secondo la divinità, Cristo è il Figlio unigenito. Vedete quante grazie ci ha elargito? Non dubitate, dunque, del futuro; perché l'apostolo ci mostra abbastanza bene la Provvidenza quando parla di prefigurazione. In effetti, gli uomini cambiano le loro opinioni a seconda degli eventi; ma i pensieri e le disposizioni di Dio verso di noi sono antichi. L'apostolo dice quindi : E quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati. Li ha giustificati mediante la rigenerazione del battesimo. E quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati. Li ha glorificati per grazia, per adozione. Che diremo dunque dopo questo? Se alcuni dubitano ancora del futuro, almeno non possono negare i benefici già concessi, ad esempio, l'amore di Dio per noi, la giustificazione, la gloria. Ma egli ha concesso tutto questo con mezzi che sembravano sgradevoli. Come con le sue sofferenze, ha procurato la libertà e la salvezza a tutto il genere umano, così egli si occupa delle vostre sofferenze, trasformandole in vostra gloria e onore» (CLR 15,1-2). 

Stupore riconoscente

31Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?

Se Dio ha voluto porsi al nostro fianco, nulla potrà ostacolarlo nel riversare la sua benevolenza. «Noi ci mettiamo contro il mondo intero, i tiranni, i popoli, i nostri parenti, i nostri concittadini; eppure tutti questi nemici sono così lontani dal nuocerci che ci intrecciano corone loro malgrado, che ci procurano beni infiniti: la sapienza di Dio volge i loro agguati alla nostra gloria e alla nostra salvezza. Vedete come nessuno è contro di noi? Ciò che accrebbe la gloria di Giobbe fu che il diavolo si armò contro di lui. Il diavolo infatti fece di tutto per danneggiarlo: i suoi amici, sua moglie, le sue ferite, i suoi servi; e niente di tutto questo gli fece male. Questo non fu molto per lui, sebbene fosse già di grande importanza; ma ciò che fu molto di più, fu che tutto volse a suo vantaggio. Poiché Dio era per lui, tutto ciò che sembrava essere contro di lui, divenne vantaggioso per lui. Così fu con gli apostoli» (CLR 15,2).

32Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

Dio viene detto come Colui che ha voluto dedicarsi interamente agli uomini, ad ogni uomo. Anzi ci ha preferiti al Figlio suo. Se non ha risparmiato per noi neppure il Figlio a lui caro, ci donerà tutto quanto ci è necessario per accogliere il suo progetto. Lo ha consegnato a noi, ma Gesù ha accettato questa consegna in modo volontario. Soltanto un gesto così perturbante, poteva scuoterci nel profondo e renderci convinti d’essere amati. 

«Come ci abbandonerà Dio, lui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi? E considerate quanto sia buono non risparmiare il proprio Figlio, ma consegnarlo, e consegnarlo per tutti, per gli esseri da nulla, per gli esseri ingrati, per i nemici, per i bestemmiatori: «Come non ci ha forse donato ogni cosa insieme a lui?» L'apostolo intende dire: Se ci ha dato il suo Figlio, non semplicemente dato, ma dato per essere sacrificato, come metterete in dubbio il resto, quando avete ricevuto il Signore stesso? Come dubitate della proprietà, quando avete il proprietario?» (CLR 15,2). 

Il giudizio si volgerà a nostro favore. Infatti, se Dio ha perdonato perfino i malvagi, tanto più si prenderà cura degli uomini che ha voluto giustificare. Neppure Cristo desiderà condannarci perché ha accettato di morire in croce per noi pur di recuperarci e, da Risorto, stando presso il Padre, continua a provvedere a noi. 

35Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36Come sta scritto:Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. 37Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. 

Nulla può impedire a Dio di raggiungerci con il suo amore. Per ribadire questa verità, Paolo elenca sette situazioni estreme: la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada. Ha già incontrato queste tribolazioni e non ha bisogno di lavorare di fantasia. Si è sentito talora come una pecora da macello (8,36). Le potremo superare non per la nostra destrezza ma perché il Padre ci verrà in soccorso in modo efficace.

38Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, 39né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarcidall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Da sette, le situazioni diventano subito dieci per ribadire la medesima convinzione: «nessuna realtà creata» che come tale è inferiore al Creatore, proprio nulla, potrà impedire a Dio di raggiungerci con il suo amore dal momento che viviamo in Cristo Gesù. Padre e Figlio collaborano perché otteniamo la santità e la gloria. Non esiste rottura nel rapporto tra noi e Dio che dipenda da Lui. 

Capitolo 9

Paolo ha concluso la descrizione dei beni di cui gode il credente, ottenuti grazie all’impegno di Gesù. Ora espone il suo pensiero riguardo ad una grave domanda che lo preoccupa: qual è il destino del popolo d’Israele che, rifiutando di credere a Gesù, rinnega il suo Messia? Dio ha fallito nel suo progetto? Dovrà ora respingere il suo popolo per sempre? Nei capitoli nove, dieci ed undici riflette sul destino del popolo a cui appartiene. 

1Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: 2ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. 3Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. 

«Sono addolorato, e se fosse possibile essere separato dalla compagnia di Cristo, essere privato, non del suo amore (tutt'altro, poiché fece tutto per amore), ma del godimento del cielo, ma della gloria, acconsentirei affinché Dio non venga più bestemmiato… Pertanto affinché tutto questo non si ripetesse del mio Maestro, rinuncerei volentieri al regno dei cieli, a questa gloria ineffabile; sopporterei tutti i mali e considererei una grandissima compensazione per tutte le mie sofferenze il non sentire più il mio amato deprecato in questo modo. Poiché siamo molto lontani da questo amore, non possiamo nemmeno comprendere cosa si dica al riguardo» (CLR 16,1). 

4Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

«Non intende altro che che Dio ha voluto salvarli ma essi, per la loro ingratitudine, hanno rifiutato queste benedizioni. Ecco perché Paolo stabilisce fatti che provano solo la bontà di Dio, ma non li lodano: infatti, l'adozione era un dono gratuito, così come lo erano la gloria, le promesse e la legislazione. Pensando a tutto questo , e considerando l'immenso interesse che Dio e suo Figlio avevano per la loro salvezza, grida e dice: Benedetto nei secoli, Amen!». 

6Tuttavia la parola di Dio non è venuta meno. Infatti non tutti i discendenti d’Israele sono Israele, 7né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoi figli, ma: In Isacco ti sarà data una discendenza; 8cioè: non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come discendenza.

Lungo la storia, gli Israeliti non hanno goduto tutti della medesima grazia ma Dio ha scelto alcuni di loro come portatori della sua salvezza, preferendoli ad altri. 

Il caso più evidente è rappresentato dai due figli di Isacco: Giacobbe venne scelto ed Esaù, al contrario, venne messo da parte. Non significa che venne diseredato ma che non ricevette un ruolo importante come quello avuto dal fratello (9,10-11). 

«Non fu la potenza del grembo, ma la potenza della promessa a generare Isacco. Così anche noi nasciamo dalla parola di Dio; perché nella piscina delle acque è la parola di Dio che ci genera e ci forma. Nasciamo quando siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa generazione non è frutto della natura, ma della promessa di Dio. Poiché come Dio ha compiuto la generazione di Isacco, dopo averla annunciata in precedenza, così ha compiuto la nostra generazione, dopo averla predetta molto tempo fa per mezzo di tutti i profeti» (CLR 16,4).

Il Signore preferì l’uno rispetto all’altro prima ancora che nascessero, quando nessuno dei due poteva, accampando azioni meritorie, vantare una superiorità morale sull’altro. Dio ama agire in base alla sua misericordia, mentre gli uomini sono interessati soprattutto a valutare secondo i meriti, dando valore primario alla giustizia (9,15-16). Decise in questo modo per motivi conosciuti soltanto da Lui. È opportuno evitare di contestare il Signore ponendoci al suo livello ma dobbiamo fidarci delle sue decisioni, senza sospettare che agisca in modo sconveniente (9,20). 

«Il suo scopo qui è quello di frenare la sua curiosità fuori luogo, di insegnargli cos'è Dio, cos'è l'uomo, che la Provvidenza è incomprensibile, che supera la comprensione umana e che tutto deve obbedirle; affinché, dopo aver convinto l'ascoltatore e aver contenuto e calmato la sua mente, possa giungere alla soluzione senza difficoltà e far accettare la sua parola. Non dice che queste domande siano insolubili. Cosa dice allora? Che è ingiusto sollevarle; che dobbiamo sottometterci alla parola di Dio, non scrutarla con curiosità, anche se non ne comprendiamo la ragione. Per questo dice: "Chi sei tu per discutere con Dio?". Vedete come frena, come schiaccia l'orgoglio? "Chi sei?". Condividi il potere? Sei giudice con Dio? Paragonato a Lui, non puoi essere nulla, né questo né quello, ma nulla. Non dice: "Chi sei tu per rispondere a Dio?", ma piuttosto: "Per sfidare", cioè per contraddirlo, per opporsi a Lui. Vedete come incute terrore e dispone i suoi ascoltatori a tremare piuttosto che sollevare domande o esaminare troppo da vicino?» (CLR 16,7).

Nel caso in cui qualcuno resista al suo volere, come fece Faraone, Dio non viene sconfitto da una creatura, anzi la stessa ostinazione finirà col dare risalto alle «astuzie» messe in campo dalla sua misericordia (9,17). 

20O uomo, chi sei tu, per contestare Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: «Perché mi hai fatto così?». 21Forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22Anche Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione. 23E questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria, 24cioè verso di noi,che egli ha chiamato non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani.

Paolo ribadisce il suo insegnamento sulle scelte misteriose di Dio, servendosi dell’immagine del vasaio. Egli crea vasi sia per un uso nobile, sia per uno normale; entrambi, però, sono utili; il vaso meno nobile non ha motivo di protestare contro il vasaio, né quello nobile ha il diritto di inorgoglirsi (9,20-21). 

Dietro questi ragionamenti, l’apostolo vuole affermare questa verità: i figli scelti ora sono quegli ebrei e perfino quei pagani che hanno creduto in Gesù. Attraverso di loro, Dio continua il suo progetto, come un tempo aveva fatto con Isacco e con Giacobbe. Non rimane bloccato dalla mancanza di fede della maggioranza degli ebrei, come non era stato ostacolato dal Faraone. 

I pagani erano dei vasi diventati inutilizzabili, adatti soltanto ad essere infranti mentre il Signore li ha sopportati con grande pazienza fino a farli diventare oggetti preziosi che mostrano la sua misericordia risplendente di gloria (9,22). 

«Se era inaudito, strano, che dopo tante promesse gli ebrei fossero privati dei risultati, è molto più straordinario che noi prendessimo possesso dei loro beni, noi che non avevamo nulla del genere da aspettarci. È come se il figlio di un re, a cui era stata promessa la successione al trono, fosse stato abbandonato tra uomini oscuri, mentre l'impero che gli spettava passasse nelle mani di un condannato, un uomo pieno di vizi, liberato dalla prigione. Che cosa si potrebbe dire a questo? chiede Paolo. Che il figlio fosse indegno? Ma anche questo criminale è indegno, e molto di più. Pertanto, entrambi dovevano essere puniti o onorati. Qualcosa di simile, ancora più sorprendente, è accaduto nel caso dei Gentili e degli ebrei. Che tutti fossero indegni, l'apostolo ha mostrato in precedenza, dicendo: Tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio (Rm 3,23), Se tutti hanno peccato, come mai alcuni sono salvati e altri perduti? Perché non tutti hanno voluto venire. Per quanto riguarda Dio, tutti sono stati salvati, poiché tutti sono stati chiamati» (CLR 16,4).

L’attuale agire del Signore non rappresenta una novità dirompente. Nella Bibbia viene detto che il Signore ha continuato ad operare la sua salvezza anche mediante una parte minoritaria del popolo, quella che era stata denominata il “resto” (9,29). Viene detto anche che persone un tempo furono escluse dal popolo di Dio, sarebbero state incluse grazie al suo perdono gratuito (9,24). 

Capitolo 10

Paolo continua a riflettere sulla situazione religiosa dei suoi fratelli ebrei. Hanno zelo per Dio ma non hanno ancora compreso né accolto la novità creata da Dio mediante la Pasqua di Gesù. Dio ha voluto donare a loro, come a tutti gli uomini, la sua santità, in modo pieno e gratuito, ma essi preferiscono continuare a perseguire una loro giustizia, sforzandosi di osservare la Legge [senza poter contare sull’aiuto decisivo dell’opera di Gesù e del vigore del suo Spirito]. Non hanno compreso che dopo la missione di Cristo l’ordinamento antico è stato superato. Cristo è la conclusione di un lungo cammino di attesa e la fine di esso (10,4). 

Il Deuteronomio avverte che per essere considerati giusti, bisogna essere persone obbedienti alle norme della Legge, altrimenti si incorre nella condanna. Paolo ha già parlato dell’insufficienza di questo tentativo perché neppure l’osservante più scrupoloso, nonostante tutti gli sforzi, è in grado di evitare sempre il peccato. 

Tuttavia Mosè ha suggerito anche che la Parola di Dio è vicina ed accessibile ad ogni uomo. Questa Parola è Gesù Cristo. Trovarlo è facilissimo. Non bisogna cercarlo come quando si cercano cose difficili da reperire; non occorre salire fino al cielo o scendere negli abissi. Non occorre tirarlo giù dal cielo per farlo scendere da là o estrarlo dagli abissi per riportarlo in vita. Tutto questo è già accaduto ed ora, per godere dei suoi doni, è sufficiente accogliere la parola della predicazione degli apostoli (10,8), credere in lui con tutta la nostra persona. Questo richiede la persuasione del cuore e la professione esplicita della fede (10,9-10), come avviene nel Battesimo. 

L’apostolo, poi, esorta a partecipare al culto delle assemblee cristiane che venerano Gesù, così come Israele adorava Dio. Gesù è invocato Signore (Kyrios) con lo stesso titolo con cui era supplicato Dio e farà sperimentare la ricchezza della sua misericordia a favore di tutti gli uomini (10,12-13).

La fede comincia dall’ascolto del messaggio portato dagli inviati di Cristo Risorto (10,17). Dall’invio viene l’annuncio, dall’annuncio segue l’ascolto che fa scaturire la fede e la fede si apre all’invocazione, al culto che salva. Ormai questo annuncio si sta espandendo su tutta la terra. I pagani lo accolgono con gioia. L’apostolo spera che gli Ebrei si lascino coinvolgere spinti da una invidia santa (10,19). Il Signore si lascia trovare da persone che finora non l’avevano mai cercato (11,20) e continua a sollecitare un popolo che non è mai stato fedele a lui come Egli avrebbe desiderato (10,21). 

Capitolo 11

Che cosa accadrà agli ebrei increduli? Sono condannati a motivo dell’indurimento del loro cuore? Esclude in maniera netta che Dio ora rifiuti il popolo d’Israele. I suoi doni sono irrevocabili, senza pentimento (11,29).

Che cosa ha deciso allora il Signore? Per renderci consapevoli del progetto, Paolo si serve dell’immagine dell’innesto. Un agricoltore inserisce un germoglio sano in una pianta inselvatichita perché da esso si sviluppi una ramificazione fruttifera. Al contrario, Dio opera un procedimento che avviene al contrario di ogni logica ed innesta un germoglio sterile in una pianta sana, in un olivo rigoglioso, nella certezza che esso verrà reso produttivo partecipando alla vitalità di tutto l’albero. In altre parole, i pagani di per sé isteriliti, vengono inseriti nel popolo d’Israele, stimato come un ceppo provvisto di grande santità. Potranno così portare frutto anch’essi (11,17). 

Il ceppo santo di Israele ha prodotto, però, anche molti rami che si sono rivelati improduttivi. Sono gli ebrei che hanno rifiutato la fede in Cristo. L’agricoltore, purtroppo, ora deve rimuoverli, tagliarli via dall’olivo. Di solito avviene che i rami tagliati disseccano, divenendo sterili per sempre. Invece il Signore li tiene nella sua mano e cerca l’occasione propizia per innestarli di nuovo (11,23). 

Agostino applica lo stesso atteggiamento anche verso i cristiani che hanno abbandonato il Signore: «La vite, spandendosi dovunque, conosce sia i tralci che le sono rimasti uniti, sia quelli che ne furono recisi, e sono rimasti lì vicino ad essa. Ma tuttavia la Chiesa continua a richiamare chi si smarrisce, perché anche di questi rami tagliati l’Apostolo dice: “Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo” (Rm 11, 23). Sia dunque che si tratti di pecore erranti lontane dal gregge, sia che si tratti di rami recisi dalla vite, non per questo Dio è meno potente per ricondurre le pecore o per reinnestarle nella vite. Egli infatti è il sommo Pastore, egli è il vero agricoltore» (Discorso 46,18).

L’agire di Dio sfida sempre ogni logica. A motivo della tenacia della sua misericordia, cerca di ammorbidire la durezza degli ebrei increduli e si ripromette di recuperare l’intero Israele. Un giorno esso sarà salvato (11,26). Non viene precisato né il tempo, né il modo. 

Ora il Signore sembra interessato maggiormente a salvare i pagani ma, in realtà non ha alcuna intenzione di respingere gli ebrei con i quali si è legato con un patto. 

Del resto, tutti gli uomini avrebbero potuto essere condannati, mentre sono stati recuperati: Dio ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione (9,22).  Permette che tutti disobbediscano e cadano nel peccato, perché su tutti possa riversare la sua misericordia (11,32). 

Paolo prorompe in un grido d’ammirazione per la tenacia impensabile dell’amore divino (11,33). Suscitare una tale ammirazione stupita è tra gli intenti primari della lettera. 

Capitolo 12

Nel capitolo attuale e in quelli seguenti (13-15), espone quale deve essere la risposta degli uomini all’iniziativa divina, dopo aver riconosciuto la sua misericordia così sorprendente. 

1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. 

Paolo comincia rievocando la misericordia divina. Parakalò: chiedo a voi, vi supplico, vi incoraggio ad accogliere le conseguenze pratiche di quanto vi ho annunciato riguardo all’agire di Dio. Avete ora la possibilità di offrirvi a lui in dono, imitando la sua carità. Nel loro culto, i pagani e gli ebrei offrono dei sacrifici materiali, mentre Dio chiede che la vostra vita diventi un atto di culto. Dovete distinguervi sempre di più dal modo di pensare e di agire degli altri uomini, ma soprattutto comprendere sempre meglio ciò che il Signore vi chiede e vi dona la possibilità di fare (12,2). Più che seguire delle norme fissate, lasciatevi trascinare dalla forza della carità. 

«Dopo aver parlato a lungo della generosità di Dio e aver mostrato la sua ineffabile provvidenza, la sua infinita bontà, che nessuno può sondare, la ripropone per spingere coloro che hanno ricevuto tanti doni e tanti benefici a rendersene degni con la loro condotta. Cosa chiedi, dimmi? Che offriate i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, affinché il vostro culto sia ragionevole. Come può il corpo essere offerto come un sacrificio? Non fissi il tuo occhio su nulla di male, e diventerà un sacrificio; non pronunci nulla di iniquo, e diventerà un'offerta; non faccia nulla di contrario alla legge, e diventerà un olocausto. O meglio, questo non basta, ma dobbiamo aggiungervi la pratica delle buone opere, affinché la mano faccia l'elemosina, la bocca ricambi le maledizioni con benedizioni e l'orecchio si applichi diligentemente all'ascolto della parola di Dio. Il culto ebraico presentò un corpo morto; il nostro culto rende più vivo ciò che viene immolato, perché è mortificando le nostre membra, che possiamo vivere. Se, quando Elia offrì una vittima visibile, una fiamma discesa dal cielo consumò tutto (l'acqua, la legna, persino le pietre) quanto più accadrà lo stesso a te. Se hai ancora qualcosa di carnale, ma presenti il culto con cuore retto, il fuoco dello Spirito scenderà, consumerà tutto questo e completerà il sacrificio» (CLR 21,1). 

2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

«Poiché l'uomo è soggetto a peccare ogni giorno, l'apostolo consola il suo ascoltatore, dicendo: Rinnovatevi ogni giorno. Fate a voi stessi ciò che facciamo continuamente alle nostre case, riparando i danni causati dal tempo. Avete peccato oggi? Avete fatto invecchiare la vostra anima? Non disperate, non scoraggiatevi, ma rinnovatela con il pentimento, facendo il bene e, in questo, non venite mai meno» (CLR 21,1). 

Molti «ignorano ciò che è loro utile, non conoscono la volontà di Dio: due cose che sono una sola. Dio vuole ciò che è utile per noi; e ciò che è utile per noi è ciò che Dio vuole. Ora, cosa vuole Dio? Che viviamo in povertà, in umiltà, nel disprezzo della gloria, nella temperanza; in breve, nella pratica di tutte le virtù che ci ha comandato. Ma la maggior parte degli uomini le rifiuta come cose odiose, tanto sono lontani dal considerarle utili e come espressione della volontà di Dio» (CLR 21,1). 

3Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. 4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. 6Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; 7chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; 8chi esorta si dedichi all’esortazione. 

La carità esige l’edificazione di una comunità e questa presuppone la rinuncia ad ogni atteggiamento egoistico. La comunità è un unico corpo composto da molte membra ed ognuna esercita la sua funzione con diligenza a vantaggio di tutti (12,6-8). L’apostolo elenca le azioni a cui si deve dare la prevalenza e gli atteggiamenti interiori con i quali vanno accompagnate. «Da dove viene la tua alta opinione di te stesso? O perché un altro disprezza se stesso? Lungi da voi, dunque, l'avere un'alta opinione di voi stessi: infatti, è da Dio che tutto vi è venuto. Voi avete solo ricevuto, non siete voi ad aver trovato qualcosa. Pertanto, trattando di doni e grazie, l'apostolo non dice: Questo ha ricevuto un dono maggiore, quello minore; ma cosa dice? Ognuno ha il suo dono diverso. Infatti, dice: Avendo doni, non più o meno considerevoli, ma  diversi (1 Cor 7,7). Che importa infatti che non vi siano stati affidati gli stessi beni, se il corpo è lo stesso?» (CLR 21,1).  

Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.

«Dopo aver parlato dello spirito di profezia, del ministero, di privilegi simili, conclude con l'elemosina, per la cura e la protezione che si dimostra per gli altri. Era probabile che alcuni fedeli fossero dotati di virtù, senza avere il dono della profezia. Per consolarli, l'apostolo mostra che il dono (dell’elemosina) è molto più grande perché seguito da una ricompensa, mentre il dono della profezia non è accompagnato da una ricompensa, essendo un dono puro, una grazia pura». «La misericordia non basta, bisogna aggiungere la generosità dell'anima che usa misericordia senza tristezza; non basta dire, senza tristezza, ma con una gioia che prorompe e risplende: questo non è lo stesso che l'assenza di tristezza e di gioia. La misericordia deve avere queste due caratteristiche: sia abbondante e sia fatta con piacere. Se trovate dolorosa la misericordia, non siete misericordiosi, ma duri e senza umanità. Nulla nell'uomo sembra così vergognoso come il ricevere, a meno che la gioia manifesta di chi dona non dissolva ogni amarezza. Se non dimostri di ricevere più di quanto dai, sarai più di peso che di sollievo per colui al quale è rivolto il tuo dono» (CLR 21,1). 

«Non vuole che ci accontentiamo di aiutare i poveri con il nostro denaro, vuole che li serviamo con le nostre parole, con le nostre azioni, con le nostre persone» (CLR 21,2)

9La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene;

«Spesso, senza fare il male, sentiamo il desiderio di farlo; l'apostolo scaccia questo desiderio con questa parola detestate. Perché vuole purificare anche il pensiero, ispirarci la profonda avversione per il male, l'odio che lo combatte. Non si accontenta di ordinare di fare il bene, ma di farlo con amore; questo è il significato del precetto espresso dal verbo che usa (attaccatevi!)» (CLR 21,2)

10amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. 11Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. 

 «La carità non solo deve essere sincera, ma anche intensa, calda, ardente. Che importa che il vostro affetto sia esente da perfidia, se non ha calore? Ecco perché l'apostolo dice: Ciascuno abbia tenerezza per il prossimo, che significa affetto caloroso. Non aspettare che l'inizio dell'affetto venga da un altro, sii il primo a prendere il tuo slancio, a iniziare, perché è in questo modo che raccoglierai la ricompensa dell'amicizia di quell'altro fratello» (CLR 21,2). 

12Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.

«Nulla rende l'anima di un uomo così virile e pronta a tutto quanto una buona speranza. Quindi, prima dei beni sperati, dà un'altra ricompensa. Perché è la speranza dei beni futuri che gli fa dire: Siate costanti nelle tribolazioni. Prima di gustare questi beni che il futuro ci riserva, raccoglieremo dalle tribolazioni presenti un grande frutto: la costanza e la virtù provata» (CLR 21,3). «Indica ancora un altro aiuto: Perseverando nella preghiera. Così l'amore rende facile la virtù, lo Spirito viene in aiuto, la speranza alleggerisce la fatica, l'afflizione dà la costanza che sopporta ogni cosa con generosa fermezza, e tu hai, oltre a questi aiuti, un'altra arma, ed è la più potente, la preghiera e l'assistenza ottenuta con umili suppliche: cosa troverai d'ora in poi gravoso nei precetti? Nulla. Vedi come l'apostolo si è preoccupato di rafforzare il suo atleta in ogni modo, e come è riuscito a rendere i precetti completamente leggeri?» (CLR 21,3)

13Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità. 

«Non dice: operate l'ospitalità, ma letteralmente: perseguite l'ospitalità. Non dobbiamo aspettare che coloro che hanno bisogno di noi vengano da noi; siamo noi che dobbiamo corrergli dietro e inseguirli. Ciò che fece Lot, ciò che fece Abramo: Abramo trascorse la giornata in questa generosa caccia, e alla vista dello straniero, si precipitò avanti, gli corse incontro. Guardatevi, quindi, dall'indagare con curiosità sulla vita e sulle azioni: è il colmo della goffaggine andare, per un pezzo di pane, a scrutare con curiosità un'intera vita. Perché, quest'uomo, se fosse un assassino, un ladro, qualsiasi cosa vogliate, non vi sembra meritevole di un pezzo di pane, di un po' di denaro? Ma il Signore vostro Dio fa sorgere per lui persino il suo sole; e tu non lo giudichi degno del cibo di un giorno?» (CLR 21,3). 

14Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. 

«Non dice: Dimentica gli insulti, non vendicarti, ma esige una virtù molto più alta: dimenticare gli insulti è proprio di un filosofo, ma ciò che l'apostolo esige appartiene solo agli angeli. E dopo aver detto: Benedici, aggiunge: E non maledire, affinché dopo aver benedetto non malediciamo e possiamo benedire senza maledire. Perché coloro che ci perseguitano ci portano ricompense. E ora, se sei vigilante, otterrai, oltre alla ricompensa della persecuzione, un'altra ricompensa. Il tuo persecutore ti porta la prima, tu ti attiri la seconda, benedicendo, e mostrando così il più grande segno di amore per Cristo. Con questo [stile] colpisci i tuoi avversari con stupore, li ammaestri con le tue opere, mostri loro che stai seguendo la strada che conduce a un'altra vita. Questo non è tutto, produrrai ancora un altro bene: se si vede che gli insulti, lungi dal causarti dolore, provocano solo le tue benedizioni, cesseranno di perseguitarti. Dio sarà glorificato e la tua saggezza sarà stata una lezione divina per l'uomo che sbaglia. Pertanto, non sono solo coloro che ci insultano, ma anche coloro che ci perseguitano, coloro che ci danneggiano con le loro azioni, a cui l'apostolo ci comanda di rendere bene per male» (CLR 22,1). 

17Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.

«Ora vedi che l'apostolo qui non fa alcuna distinzione, è una legge assoluta che stabilisce. Non dice: Non rendere male al fedele; ma: Non rendete a nessuno male per male, né al gentile, né al malvagio, a nessuno, a nessuno» (CLR 22,2). «Considera questo: qualcuno ti insulta e ti muove guerra? Ti costringe a stare in guardia e ti dà l'opportunità di essere come Dio. Se ami l'uomo che ti tende trappole, sarai come colui che "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni" (Mt 4,5). Un altro ti toglie la fortuna? Se la sopporti coraggiosamente, riceverai la stessa ricompensa di coloro che hanno donato tutto ai poveri» (CLR 10,6) .

15Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto.

«Ci vuole più saggezza per rallegrarsi con coloro che gioiscono che per piangere con coloro che piangono. La natura da sola è sufficiente a suscitare compassione per i dolori; nessuno ha un cuore duro come la pietra per non versare lacrime per gli infelici; ma ciò che richiede tutta la generosità di un'anima grande non è solo non invidiare chi prospera, ma anche condividere la sua gioia» (CLR 22,2). 

16Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi.

«Non esiste principio di separazione, di lacerazione nel corpo della Chiesa così tristemente potente come il pensiero che uno sia sufficiente a se stesso; ecco perché Dio ha voluto che avessimo bisogno gli uni degli altri. Per quanto saggio tu sia, avrai bisogno di un altro, e se ti capita di pensare di non averne bisogno, sei completamente privo sia di intelligenza che di buon senso. Perché spesso vediamo anche l'uomo saggio ignorare cosa fare, e quello che ha meno intelligenza trovare la condotta da adottare; questo è ciò che vediamo in Mosè e suo suocero; in Saul e il suo servo. Non pensare, quindi, che sia umiliante per te aver bisogno di un altro: è, al contrario, ciò che ti eleva, ti rafforza, e costituisce la tua massima sicurezza» (CLR 22,2). 

18Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. 

«Questo precetto è opportunamente spiegato con queste parole: Se è possibile, per quanto dipende da voi. Ci sono infatti circostanze in cui ciò è impossibile, ad esempio quando si tratta di religione, quando si tratta di difendere gli oppressi. E cosa c'è da stupirsi che tra gli uomini la pace non sia sempre possibile, quando l'apostolo riconosce, tra marito e moglie, la possibilità di una rottura: Se l'incredulo si separa, si separino (1 Cor 7,15). Ciò che l'apostolo dice equivale a questo: Fate ciò che è in vostro potere e non date motivo di litigio o di discordia a nessuno, ma se vedi la religione attaccata, non sacrificare la verità alla concordia, ma combatti generosamente fino alla morte, e anche allora, non portare la guerra nella tua anima, non concepire avversione o odio, combatti solo con le tue opere. E se il tuo avversario non mantiene la pace, non andare a riempire la tua anima di tempeste, ma con intenzione, come ho detto; rimani amico di colui che combatti e non tradire la verità in alcun luogo» 2

19Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore. 20Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da Bibbia bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. 

«Ciò che l'oppresso desidera soprattutto è godere della vendetta; Dio soddisfa abbondantemente la vittima; se non ti vendichi, avrai Dio come tuo vendicatore. Lascia fare a lui. Poi aggiunge la testimonianza della Scrittura e, dopo aver così ristorato l'anima scossa, le chiede una sapienza ancora più alta: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché così facendo radunerai carboni ardenti sul suo capo. 

Non basta vivere in pace, «voglio che i nemici vengano ripagati con dei benefici. Dategli da mangiare e da bere», dice. Poi, poiché ciò che richiede è un compito doloroso e difficile, aggiunge: Perché così facendo radunerai carboni ardenti sul suo capo. Queste parole intendono da un lato intimorire il nemico e dall'altro rendere gli oppressi più ardenti per il bene, con la speranza della ricompensa. L'apostolo sa bene, infatti, che il nemico, anche se fosse una bestia feroce, non rimarrà nemico, dopo aver ricevuto cibo; e per quanto inferma, per quanto ristretta possa essere l'anima dell'oppresso, dopo avergli dato da mangiare e da bere, non sentirà più il desiderio di vendetta» (CLR 22,3).

21Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.

«Chi ha subito un'ingiustizia, non si preoccupa tanto dei beni perduti quanto della vendetta. L'apostolo ha iniziato col dare all'oppresso ciò che desidera, e poi, quando l'odio ha riversato il suo veleno, eleva l'anima a pensieri più elevati. Si rivolge agli oppressi con voce imperiosa: Non lasciarti vincere dal male, ma impegnati a vincere il male con il bene. Insinua dolcemente che è necessario spogliarsi dal sentimento di odio perché il rancore è una sconfitta in cui si è sopraffatti dal male. In questo consiste la vittoria.

Perché la vittoria più grande per l'atleta non è quando si espone ai colpi ricevuti, ma quando, stando in piedi, costringe l'avversario a riversare tutta la sua forza nell'aria. Perché, in questo modo, sfuggirà a tutti i colpi e paralizzerà tutta l'energia dell'altro. E questo è ciò che accade con gli insulti. Quando rispondi loro con insulti, sei sconfitto, non da un uomo, ma dalla passione servile, dall'ira che ti agita; al contrario, se rimani in silenzio, hai ottenuto la vittoria, avrai folle desiderose di darti corone, di condannare l'oltraggio che ti è stato offerto. Chi risponde agli insulti sembra rispondere solo perché ne ha sentito il dolore, e chi ne sente il dolore dà l'impressione di riconoscere la giustezza dei discorsi ingiuriosi; ridi, e con la tua risata ti metterai al di sopra di ogni sospetto. Se insisti per una dimostrazione che ti faccia comprendere chiaramente il significato di queste parole, chiedi al tuo nemico stesso cosa lo fa soffrire di più: è quando sei acceso d'ira e gli rispondi con insulti? È quando questi insulti provocano solo il tuo riso? Ti dirà che è quando adotti quest'ultima soluzione. Il nemico non è tanto contento di vederti risparmiargli una risposta oltraggiosa, quanto si sente punto nel vivo dalla sua incapacità di smuoverti. Non vedi i furiosi, insensibili alla grandine di colpi, precipitarsi in avanti, più violenti dei cinghiali, per ferire il prossimo, mirando solo a quello, senza preoccuparsi altro che di quello, senza preoccuparsi delle ferite che potrebbero capitargli? Perciò, quando, soprattutto, privi il tuo nemico di ciò che più desidera, è fatta : ti sei guadagnato il titolo di uomo saggio, hai inflitto al tuo nemico la reputazione di essere brutale e malvagio. 

Vuoi infliggere al tuo nemico un colpo mortale? Porgigli l'altra guancia, lo trafiggerai così con mille ferite. Coloro che ti ammirano, gli sono di peso più che se gli tirassero pietre. Anticipando il loro giudizio, la coscienza del colpevole lo condannerà, gli infliggerà le punizioni più terribili. Come se stesse subendo la più schiacciante sconfitta, lo vedrai ritirarsi confuso. Ci sentiamo sempre in sintonia con coloro che vediamo maltrattati; ma è soprattutto quando non rispondono con colpi a chi li colpisce. Quando sono loro stessi a sollevarsi, la nostra emozione cessa di essere semplice pietà per trasformarsi in ammirazione» (CLR 22,3). 

Capitolo 13

Rapporto con le autorità

La comunità cristiana, mentre cerca di costituirsi come organismo animato dall’amore, vive all’interno di un consorzio più ampio, la società civile, con la quale è in relazione, alla quale dona molto ma dalla quale anche riceve molto. Paolo non sviluppa qui una riflessione articolata sulla istituzione statale ma è preoccupato piuttosto di soffocare un sentimento di rifiuto globale, dovuto al fatto che i fedeli avrebbero potuto sentirla come ostile. La Chiesa antica ha vissuto la sottomissione anche a uno Stato persecutorio; oltrettutto la sua lealtà fungeva da argomento apologetico. Lo Stato non è una creazione del Vangelo ma appartiene alla sfera della creazione che è buona e degradata nello stesso tempo, come l’uomo è una creatura voluta da Dio ma contrassegnata dal peccato. Offre elementi di bontà e comportamenti che provocano l’ira di Dio. È una istituzione provvisoria che verrà annientata insieme a tutto il nostro mondo e sostituita dalla cittadinanza celeste, già iniziata nel nostro presente, e a quest’ultima soltanto i cristiani appartengono in modo totale e definitivo. Le autorità sono stabilite da Dio perché senza di esse la convivenza sarebbe impossibile ma non tutto ciò che esse impongono corrisponde al volere di Dio. È necessario, in questo caso, obbedire a lui piuttosto che agli uomini (At 5,29). Agli arbitrii dell’autorità, il cristiano si oppone con la denuncia profetica e con la disobbedienza per motivi di coscienza. La spada dell’autorità, almeno sul piano teorico, cerca di limitare o annientare l’insorgere di altre violenze, magari più pericolose ancora, dalle quali ci protegge. Da questa punto di vista è esecutrice dell’ira di Dio, cioè della sua disapprovazione della malvagità. Così protetto, il cristiano rinuncia più facilmente alla vendetta. Anche nel momento presente, quindi, Dio giudica e interviene secondo criteri a noi inaccessibili. Il cristiano presta i suoi servizi alla comunità civile per amore verso gli uomini, libero dalla paura o dalla finzione (13,5-6). 

1Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. 

«Cristo non è venuto per rovesciare i governi stabiliti tra gli uomini e le sue leggi servono solo a migliorarli. Per mostrare che questo dovere è imposto a tutti, anche ai sacerdoti e ai monaci, e non solo ai secolari, inizia dichiarando: Ciascuno sia sottomesso alle autorità superiori. E l'apostolo non si limita a dire: obbedite, ma siate sottomessi. La prima ragione di questa legge è appropriata alla fede dei cristiani: è Dio che l'ha voluta. Perché non c'è potere, dice l'apostolo, che non venga da Dio. Che ne dici? Ogni principe è stato ordinato principe da Dio? Non dico questo, risponde l'apostolo; perché non parlo dei principi singolarmente, ma solo dell'istituzione stessa. Che ci siano autorità, che alcuni governino, che altri siano governati, che non tutto sia lasciato al caso e alla confusione, che i popoli non siano trasportati come onde, questo è ciò che chiamo opera della sapienza di Dio. Allo stesso modo, quando il saggio dice: È dal Signore che una donna è adatta all'uomo (Proverbi 19,14), afferma che il matrimonio è istituito da Dio, e non che sia Dio stesso a sposare un tale uomo con una tale donna; poiché spesso vediamo matrimoni infelici, che non sono conformi alla legge del matrimonio, e non dobbiamo attribuirli a Dio. 

Poiché l'uguaglianza è spesso causa di guerra, Dio ha stabilito un gran numero di supremazie come i rapporti tra figlio e padre, tra vecchio e giovane, tra principe e suddito, tra maestro e discepolo. E cosa c'è da stupirsi che ciò sia così tra gli uomini, dal momento che nel corpo stesso (della Chiesa) Dio ha stabilito lo stesso ordine? La stessa legge [vige] tra gli animali, come le api, le gru, i greggi di mufloni. Perché dove non c'è comando, c'è solo sventura e confusione. Perciò, dopo aver spiegato da dove viene l'autorità, l'apostolo aggiunge: Chi dunque si oppone all'autorità, si oppone al comando di Dio. 

I fedeli avrebbero potuto dire: Voi ci degradate! Noi che dovremmo possedere il regno dei cieli, ci sottomettete ai principi. L'apostolo mostra che non è ai principi, ma a Dio, che li sottomette, perché chi si sottomette alle autorità obbedisce a Dio. Agendo così, infatti, l'apostolo attirò i principi infedeli alla religione e associò i fedeli all'obbedienza. Si ripeté allora ovunque che gli apostoli erano sediziosi, strumenti di rivoluzioni, che agivano e parlavano solo per ottenere il rovesciamento di tutte le leggi. Mostrate il precetto che il nostro comune Signore impone a tutti coloro che lo servono, chiuderete la bocca a coloro che accusavano gli apostoli di essere istigatori di novità e avrete più libertà di predicare la verità e i suoi dogmi (CLR 23,1). 

3I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, 4poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. 5Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. 6Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. 7Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.

«Le autorità non sono da temere, quando si fanno solo buone azioni, ma quando si fanno cattive. Chi pratica la virtù ha forse ragione di temerla? Per questo l'apostolo aggiunge: Non temerete i governanti? Fate il bene, ed esse vi loderanno. Vedete come l'apostolo, per legare l'uomo a chi comanda, gli mostra il principe stesso pronto a lodarlo? Vedete come fa uscire l'ira dal cuore? Perché il principe è ministro di Dio, per favorirvi nel bene. Egli è così lontano dall'essere temuto, dice l'apostolo, che al contrario ti loda; è così lontano dall'essere un ostacolo per te, che al contrario ti favorisce. Pertanto, poiché trovi lode e aiuto in lui, perché non sottometterti? Egli ti rende più facile la virtù, castiga i malvagi, fa del bene ai buoni e li onora, coopera alla volontà di Dio; per questo l'apostolo lo ha chiamato ministro di Dio. 

Ecco: io ti consiglio di essere saggio, ed egli ti dà lo stesso consiglio per mezzo delle leggi; le mie esortazioni ti dicono che è proibito arricchirsi con la rapina, con la violenza, ed egli siede a giudicare queste colpe. Egli lavora con noi, viene in nostro aiuto, è Dio che gli ha affidato questa missione. Ma se il principe stesso lo ignora? Il principe non è meno istituito da Dio. Molti hanno iniziato a praticare la virtù per timore dei principi; in seguito, è stato il timore di Dio a condurli ad essa. 

È quindi necessario che ci sottomettiamo ad essa, non solo per timore della punizione, ma anche per un dovere di coscienza. Dimenticate che il principe è per voi la fonte dei beni più grandi, poiché vi assicura la pace e stabilisce l'ordine nello Stato. Questi poteri sono fonti inesauribili di benefici per gli Stati, e se li sopprimete, tutto scomparirà; non più città, non più villaggi, non più case, non più piazze pubbliche; non rimarrà nulla, ci sarà un sommovimento universale, il più forte divorerà il più debole. Così che, anche nel caso in cui nessuna punizione colpisca la disobbedienza, dovrete comunque la vostra sottomissione, per coscienza. 

Che riceviate benefici dal principe, dice l'apostolo, voi stessi lo testimoniate pagandogli il tributo. Infine, dice l'apostolo, perché gli paghiamo il tributo? Non è forse perché provvede a noi? Non è forse per ricompensare il governante di tutte le sue cure? Ovviamente non pagheremmo alcun tributo, se non sapessimo fin dall'inizio che traiamo profitto da un tale governo; ecco perché, fin dall'inizio, è stato decretato da tutti che coloro che ci comandano, sarebbero stati sostenuti da noi» (CLR 23,2). 

«Questa è la loro vita, questa è la loro passione, far sì che tu goda della pace. Per questo motivo, in un'altra epistola, non solo ordina la sottomissione a loro, ma prescrive anche la preghiera per loro, e; a questo proposito, mostra il beneficio che ne deriva per tutti: Affinché possiamo condurre una vita calma e pacifica (1 Tm 2,1-2) Infatti, non riceviamo piccolo vantaggio in questa vita da quei principi che mettono in moto gli eserciti, respingono i nemici dall'esterno, reprimono i sediziosi nelle città e dirigono tutte le controversie. 

Non ditemi, quindi, che un certo principe abusa spesso di questo potere; considerate solo il bene dell'istituzione e troverete lì una prova della perfetta saggezza di Colui che l'ha istituita fin dal principio. Se questo precetto fu dato quando i principi erano pagani, quanto più dovrebbe essere praticato oggi che sono fedeli. 

Sappiate che la vostra ora non è ancora giunta; Tu sei ancora uno straniero e un viaggiatore. Verrà il tempo in cui il tuo splendore eclisserà ogni cosa; in questo momento, la tua vita è nascosta con Cristo nel seno di Dio. Quando Cristo apparirà, anche tu allora apparirà con lui nella sua gloria. Non cercare dunque, in questa vita che sta finendo, la tua ricompensa e, se devi stare con timore al cospetto del principe, non vedere in questo dovere nulla di indegno della tua nobiltà. Quanto a te, otterrai uno splendore più splendente; non è l'onore che dai che può umiliarti, ma l'onore che rifiuti; e il principe non farà che ammirarti di più e, anche se è infedele, coglierà l'occasione per glorificare il Signore» (CLR 23,3). 

Amore al prossimo

8Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità. 

«Dopo aver spiegato come si deve amare, mostra il vantaggio della carità con queste parole: Chi ama il prossimo adempie la legge. Se da questo amore trai l'immenso vantaggio di adempiere tutta la legge, devi amare il tuo fratello, in cambio del beneficio che ricevi da lui. L'apostolo non dice: Sono adempiuti, ma: Sono compresi in forma abbreviata, cioè questa parola contiene in una concisa brevità l'insieme completo dei comandamenti. Perché il principio e il fine della virtù è l'amore; questa è la radice, questo è il fondamento, questo è il culmine» (CLR 23, 3)

«E vedete, dopo aver stabilito due tipi di amore, a quali altezze eleva l'amore del prossimo. Dopo aver detto: Questo è il primo comandamento: Amerai il Signore Dio tuo, continua: Questo è il secondo, e non dimentica di aggiungere: Come il primo, e il prossimo tuo come te stesso. Dove si può trovare qualcosa che eguagli questa bontà del Salvatore? Nonostante l'immensa distanza che ci separa da lui, egli colloca l'amore che gli uomini devono agli uomini molto vicino all'amore che è dovuto a lui per se stesso, dichiara che questi due amori sono simili. Ora Paolo insegna che senza amore per il prossimo non si ricava molto beneficio dall'amore di Dio. Proprio come noi, quando abbiamo amore per qualcuno, diciamo: se ami lui, amerai me, così fece Cristo, quando disse: Come il primo, quando disse a Pietro: Se mi ami, pasci i miei agnelli (Gv 21,16). L'amore non solo ci insegna ciò che dobbiamo sapere (che è l'ufficio della legge), ma ci dà un potente aiuto per eseguirli. Amiamoci gli uni gli altri, poiché questo è il modo di amare quel Dio che ci ha tanto amati. “Se amate coloro che amo, allora crederò nella sincerità del vostro amore per me”. In verità, egli desidera grandemente la nostra salvezza e ce l'ha fatta conoscere da tempo» (CLR 23,4). 

11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne. 

«Dopo averci spogliati delle nostre vesti malvagie, ascoltate quale ornamento ci adorna con queste parole: Rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo. Chi ne è rivestito possiede la virtù perfetta nella sua integrità. Queste parole, Rivestitevi, ci prescrivono di avvolgerci completamente in essa. È lo stesso pensiero che l'apostolo esprime altrove: Se Gesù Cristo è in voi (Rm 8,10); e ancora: Cristo abiti nell'uomo interiore (Ef 3,16-17). 

Ciò che egli desidera, infatti, è che la nostra anima sia la sua dimora, che Cristo sia per noi come una veste, che sia tutto per noi, sia interiormente che esteriormente. Perché Cristo è la nostra pienezza: la pienezza di colui che realizza ogni cosa in tutti (Ef 1,23); Egli è la via, Egli è l'uomo, Egli è lo sposo (2 Cor. 11,2) Egli è la radice, la bevanda, il cibo, la vita: non sono più io che vivo, ma Gesù Cristo vive in me (Gal 2,20). Egli è l'apostolo, il sommo pontefice, il maestro, il padre, il fratello, il coerede, il compagno della tomba e della croce: noi stessi siamo stati sepolti, dice ancora l'apostolo, e siamo stati innestati in lui, per mezzo della somiglianza della sua morte (Rm 6, 4-5) Egli è anche il nostro avvocato presso il Padre, perché intercede per noi (Rm 8, 34). Egli è sia la dimora che l'abitante. Egli dimora in me e io in lui (Gv 6, 57.) Egli è inoltre un amico (Gv 15, 14.) Egli è il fondamento, la pietra angolare; quanto a noi, siamo le sue membra, il campo che egli coltiva, l'edificio che egli costruisce, la sua vigna. Che cosa non vuole essere per noi? Quali mezzi non usa per applicarci, per unirci a lui?» (CLR 23,5).

Capitolo 14

Accoglienza reciproca

Paolo tratta ora una questione che gli stava a cuore e sulla quale si dilunga. Il suo intento è quello di evitare discordie tra i credenti che provenivano dall’ebraismo (giudeo-cristiani) e quelli che erano stati un tempo pagani (etno-cristiani). Gli ebrei erano abituati a rispettare rigorose norme di carattere alimentare. Di per sé la Legge proibiva soltanto l’astensione dagli animali definiti impuri ma alcune correnti giudaiche avevano esteso questa proibizione fino a proibire il consumo di tutte le carni (Cf Dn 1,8-16). Inoltre avevano stabilito altre pratiche ed osservanze in certe scadenze del calendario (14,5). Questo comportamento suscitava la derisione e il disprezzo da parte degli etnocristani. Forse dei giudeo-cristiani, per evitare tensioni, trasgredivano delle norme alle quali, però, si sentivano obbligati in coscienza. Diventavano allora persone “deboli”, a rischio di peccare, rispetto agli altri che liberi da scrupoli, si sentivano “forti”. L’apostolo invita tutti all’accoglienza reciproca evitando atteggiamenti di disprezzo o di condanna gli uni contro gli altri (14,10-12). Devono imitare l’accoglienza verso tutti manifestata da Dio stesso (14,3). Tutti infatti adottano un loro particolare stile di vita animati dal desiderio di essere fedeli al Signore Gesù, il quale ha il potere di rendere ogni credente capace di fedeltà secondo la sua particolare convinzione (14,4). Tutti appartengono a lui durante questa vita ed anche oltre la morte (14,8). Bisogna evitare che, proprio all’interno della comunità, qualcuno perisca trascinato da altri a trasgredire ai dettami di coscienza (14,15). Ogni credente è prezioso ai suoi occhi e per tutti ha donato la sua vita (14,15). A suo parere, non esiste una differenza religiosa tra i cibi e nessun alimento è impuro (14,14). Il Regno di Dio introdotto da Gesù è interessato a far acquisire beni spirituali molto più rilevanti (14,17) ma, proprio la novità creata dal Signore esige un profondo rispetto reciproco fondato sulla carità (14,21). Bisogna imparare a mettere da parte le proprie convinzioni, non vincolanti, quando questo è necessario per favorire la comunione. 

1Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni. 2Uno crede di poter mangiare di tutto; l’altro, che invece è debole, mangia solo legumi. 3Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui. 

«C'era tra i fedeli un gran numero di ebrei che, anche dopo aver ricevuto il Vangelo, osservavano ancora le osservanze relative al cibo, perché non osavano trasgredire la legge. Altri, al contrario, più progrediti, non praticavano alcuna astinenza e tormentavano coloro che vedevano astenersi dalle carni. Considerate la prudenza di Paolo e vedete come qui egli dimostra la sua consueta saggezza in ciò che dice delle due categorie di fedeli: Non osa dire (agli ex-pagani) che rimproverano gli altri: Fai male (a deridere gli ebrei). Non vuole neppure che i Giudei persistano nelle loro osservanze. Non dice loro: Fate bene (a conservare le pratiche legali), per non consolidarli ancora di più, ma esprime un rimprovero moderato. 

I più deboli sono sempre quelli che richiedono più cure. Pertanto, rivolgendosi subito ai più forti [ex-pagani], dice loro: [c’è] chi è ancora debole nella fede. Denominare qualcuno così è mostrare che è malato. Accoglietelo con carità: questo invito dimostra ancora una volta che ha bisogno di molte cure  e che la malattia è grave. 

I più progrediti deridevano gli altri che chiamavano uomini di poca fede, cristiani sospetti che continuavano a giudaizzare. Questi ultimi [i giudeo-cristiani] giudicavano i loro accusatori; li rimproveravano di aver infranto la legge per essere dediti ai loro stomaci (il che era vero per un buon numero di gentili). Per questo l'apostolo aggiunge: Dio lo ha preso al suo servizio. Perché allora lo rimproveri di non sottostare alla legge? Dio ha accolto anche lui, cioè gli ha comunicato la sua grazia ineffabile e lo ha assolto da ogni accusa» (CLR 25,1). 

4Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone. Ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di tenerlo in piedi. 

«Quando dice: rimarrà saldo, l'apostolo lo mostra vacillante, bisognoso di attenzione, di grande cura. Viene invocato è Dio stesso per guarirlo: Egli è onnipotente per renderlo saldo. Questo è il linguaggio che usiamo quando i malati sono quasi nella disperazione. Per evitare la disperazione, chiama questo malato un servo: «Chi sei tu, per giudicare il servo altrui?». E qui di nuovo un rimprovero indiretto. Non è perché la sua condotta non sia degna di giudizio che ti proibisco di giudicarlo, ma perché è il servo di un altro; il che significa che non è tuo, ma di Dio. Se rimane saldo o se cade: sia l'uno che l'altro di questi due stati, in entrambi i casi, è affare del Signore; perché è lui che soffre la perdita quando il servo cade, e, quando rimane saldo, il guadagno è del Signore. Non potrebbe rimproverare più fortemente questo zelo indiscreto. Dice: Dio che subisce la perdita, soffre senza lamentarsi. Quale zelo intempestivo, quale eccesso di ansia non mostri, nel tormentare, nell'inquietare chi non fa come te?» (CLR 25,2)

5C’è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però sia fermo nella propria convinzione. 6Chi si preoccupa dei giorni, lo fa per il Signore; chi mangia di tutto, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio.

«Non si tratta qui di azioni capitali: ciò che bisogna sapere, infatti, è se l'uno o l'altro si comporta in vista di Dio, se, da entrambe le parti, si finisce per rendere grazie a Dio. Ebbene! Entrambi benedicono Dio. Pertanto, poiché da entrambe le parti Dio è benedetto, non c'è molta differenza» (CLR 25,2). 

7Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 

«Non siamo liberi; abbiamo un Signore che desidera la nostra vita, non la nostra morte; che si interessa della nostra morte e della nostra vita più di noi. Con ciò dimostra infatti di prendersi cura di noi più di quanto noi ci prendiamo cura di noi stessi, di considerare la nostra vita un tesoro per lui e la nostra morte una perdita. È sufficiente, per dimostrare che Dio si prende cura di noi, dire che viviamo per lui, e  che moriamo per lui. Fornisce poi un'altra prova, un segno lampante della provvidenza di Dio. Qual è questo segno? «Per questo stesso motivo Gesù Cristo morì e risuscitò: per avere dominio sui morti e sui vivi». Siate dunque convinti che egli è sempre preoccupato per la nostra salvezza e per la nostra perfezione. Se infatti la sua provvidenza non si fosse preoccupata così tanto di noi, che necessità avrebbe avuto di incarnarsi tra noi? Lo zelo di farci sue membra lo portò ad assumere la forma di schiavo, fino alla morte. Dopo tali prove, ci avrebbe disprezzato? No, no; non avrebbe voluto perdere ciò che gli era costato così caro (CLR 25,2)

10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, 11perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio. 12Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. 13D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.

«L'apostolo continua con tono più mite: Tu dunque, perché condanni il tuo fratello? Il titolo di fratello che usa pone fine alla lite. Poi ricorda il terribile giorno del giudizio» (CLR 25,3). 

14Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. 15Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto! 16Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete! 

«Nulla è impuro, dice l'apostolo, se non per chi pensa che sia impuro. Perché allora non correggere il fratello, affinché non creda più che la cosa sia impura? Temo, dice l'apostolo, di contristarlo. Perciò aggiunge: se, mangiando qualcosa, contristi il tuo fratello, da allora in poi non cammini secondo la carità. Vedete come l'apostolo concilia i cuori? Mostra al debole cristiano di avere così tanta considerazione per lui che, per non rattristarlo, non osa nemmeno prescrivergli ciò che è tuttavia molto necessario, preferendo attirarlo con una condiscendenza piena di carità. E, avendogli tolto la paura, non gli fa violenza, ma gli lascia il pieno controllo della sua condotta. Infatti, il vantaggio di far rinunciare a qualcuno un tipo di cibo non vale lo svantaggio di rattristare il fratello. Vedete fino a che punto spinge lo zelo della carità? Per questo aggiunge queste parole: Non distruggere con il tuo cibo colui per il quale Gesù Cristo è morto. Non stimi abbastanza tuo fratello da acquistare, anche a prezzo dell'astinenza, la salvezza della sua anima? Cristo ha fatto il sacrificio più grande, e tu non farai il minimo? Eppure lui è il Signore, e tu sei un fratello» (CLR 26,1). 

17Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: 18chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. 20Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo!

«Come nuova ragione per porre fine ai timidi scrupoli dell'uno, allo spirito contenzioso dell'altro, dice: il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere. È per questo che possiamo essere giustificati? Quali sono dunque i titoli che ci danno accesso al cielo? Giustizia, pace, gioia, pratica della virtù, concordia fraterna, che sono ostacolati da tali dispute; la gioia dell'armonia che è rovinata da tali rimproveri. Queste riflessioni l'apostolo le ha rivolte non a una sola delle due parti, ma a entrambe contemporaneamente, perché c'è l'opportunità di farle comprendere a entrambi. Le vostre lotte, le vostre dispute, i problemi che causate, le divisioni che provocate nella Chiesa, i vostri insulti al vostro fratello, il vostro odio contro di lui, eccitano maldicenze dall'esterno, così che non solo, con ciò, non correggete nulla, ma producete un effetto completamente contrario. Il vostro bene è la carità, l'amore fraterno, l'unione, la concordia, la pace, una vita dolce e clemente» (CLR 26,1).

Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. 21Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. 22La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. 23Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato.

«Per evitare che le concessioni fatte rafforzassero il più debole nei suoi errori, l'apostolo si rivolge a lui e lo rimprovera: Tutti i cibi siano puri, ma un uomo fa male a mangiarli, quando lo fa con una cattiva coscienza. Quindi se hai costretto tuo fratello e lui ha mangiato con la forza, non ci sarebbe alcun profitto; non è il cibo che contamina, ma l'intenzione di chi mangia. Se, quindi, non correggi questa intenzione, tutti i tuoi sforzi sono vani e hai solo fatto del male; perché c'è una grande differenza tra credere semplicemente che un cibo sia impuro e mangiarlo quando si crede che lo sia. Quando, quindi, violi quest'anima debole, pecchi doppiamente: accresci il suo pregiudizio combattendolo, la costringi a mangiare qualcosa che crede impuro. Pertanto, finché non hai operato la persuasione, non esercitare costrizione. L'apostolo è più esigente; non gli basta che ci asteniamo dalla costrizione, vuole anche che abbiamo condiscendenza verso il cristiano giudaizzante. Egli stesso, infatti, ha spesso dato l'esempio, come quando circoncise il suo discepolo, quando gli rasò i capelli, quando fece le oblazioni legali. Nulla può essere paragonato alla salvezza del vostro fratello. E questo è ciò che Cristo ci mostra a sufficienza, lui che è disceso dal cielo, che ha sofferto ogni cosa per noi. 

Non obiettarmi, dice l'apostolo, che tuo fratello agisce senza ragione, ma che tu puoi correggerlo. La sua debolezza è una ragione sufficiente per venire in suo aiuto, soprattutto perché non ti reca alcun danno. La tua condiscendenza non sarà ipocrisia, ma un'indulgenza edificante e saggia. Se usi costrizione con lui, ti resiste, ti condanna e persiste nel suo pregiudizio e nel suo scrupolo; se, al contrario, ti trova indulgente, si affeziona a te; il tuo insegnamento non gli sembra sospetto e ti permette di seminare gradualmente i semi della verità in lui. [Al contrario] dal momento in cui ha concepito odio contro di te, tu stesso avrai chiuso ogni accesso alle tue parole nella sua anima. Perciò non costringerlo, ma per il suo bene astieniti; Non perché consideri impuro il cibo, ma perché saresti per lui motivo di scandalo; in questo modo aumenterai il suo affetto per te» (CLR 26,2). 

Capitolo 15

Nei primi versetti riprende e conclude l’argomento sviluppato nel capitolo precedente. Ogni credente deve cercare di edificare il prossimo e evitare ogni motivo di scandalo. Non si tratta di farci carico di un comportamento marginale, ma di imitare lo stile di vita di Gesù. In tutta la vita non curò mai il proprio interesse ma si spese per quello degli altri (15,3.7); non soltanto li beneficò ma accettò con pazienza i loro insulti. Lo attesta la Sacra Scrittura che offre sempre un insegnamento molto utile per consolidare la nostra speranza. La comunità, composta di giudeo ed etno-cristiani, devono accogliersi imitando Gesù che si pone a servizio degli Ebrei per attuare la promessa di Dio ai Padri e che serve anche i pagani per manifestare la sua misericordia. L’apostolo ha esaurito tutte le sue istruzioni e comincia a congedarsi dalle comunità. Ora deve chiedere il loro aiuto e per questo riprende ad usare un linguaggio molto dimesso. Non è il loro fondatore e neppure una loro guida specifica. Si scusa di aver voluto impartire istruzioni, comunicando loro insegnamenti che già conoscevano. Detto questo, richiama ciò che più gli interessava. Ricorda che egli è un servitore di Cristo, accreditato da lui. Ha realizzato in modo magnifico l’incarico ricevuto. È come un sacerdote che offre a Dio non vittime sacrificali ma una miriadi di persone che si dedicano a Dio, così che la sua missione è un vero atto di culto. Questo è stato reso possibile per il fatto che Cristo stesso ha agito per mezzo di lui. 

1Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. 2Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. 

«Vedete come li esalta con queste parole lusinghiere, in cui non solo li chiama forti, ma li mette anche sullo stesso piano di sé? E fa di più, li prende per l'idea di utilità, senza dire loro nulla di penoso. Voi siete forti, dice loro, e se usate condiscendenza non vi fate alcun male; ma l'infermo corre i rischi maggiori se non è sostenuto. Ora non dice gli infermi, ma "le debolezze degli infermi", per suscitare la compassione dei fedeli. Così è altrove che dice: "Voi che siete spirituali, rafforzate colui che..." (Gal 6, 1). Siete diventati forti? Rendi la ricompensa a Dio che vi ha creati tali; e vi assolverete a lui, se aiuterete gli ammalati a risorgere. Anche noi eravamo deboli, ma la grazia ci ha resi forti».

E ora, questa condotta non si deve osservare solo nelle debolezze della fede, ma anche in ogni altra debolezza. Ad esempio, se un uomo è incline all'ira, o è incline a pronunciare parole violente, o ha qualche altro difetto, sopportatelo. E non cerchiamo la nostra soddisfazione personale. Ciascuno di voi si sforzi di soddisfare il prossimo in ciò che è buono e può edificarlo. Cioè: «Sei forte? Lascia che l'infermo senta la tua forza; fagli sapere per esperienza qual è la tua forza, pensa a soddisfarlo» (CLR 27,2).

3Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me. 

«Di nuovo ricorre a Cristo. «Poiché Gesù Cristo non cercò di piacere a se stesso» (3). Questo è ciò che l'apostolo non manca mai di fare. Quando parla dell'elemosina, indica Cristo, dicendo: «Voi conoscete la bontà del nostro Signore Gesù Cristo, che, essendo ricco, si è fatto povero per noi» (2 Cor 8,9); per persuadere alla carità, si affida di nuovo a Cristo, dicendo: «Come Cristo ci ha amati» ( Ef 5,25); e quando consiglia di sopportare la vergogna e affrontare i pericoli, ricorre di nuovo a Cristo, dicendo: «Il quale, invece della vita felice, che avrebbe potuto godere, sopportò la croce e disprezzò la vergogna». (Eb 12,2) Ecco dunque che l'apostolo propone Gesù Cristo come  esempio, chiedendogli di portare le infermità altrui, e cita un oracolo dei profeti: «Come sta scritto: Gli oltraggi fatti a voi sono ricaduti su di me». Ma ora, che cosa significano queste parole: «Non cercò di piacere a se stesso»? Non avrebbe potuto sopportare i rimproveri, non avrebbe potuto soffrire ciò che ha sopportato, se avesse voluto pensare solo ai propri interessi. Ma non volle; pensando solo a noi, non pensò più a se stesso. E perché l'apostolo non dice: «Ha rinnegato se stesso»? Perché non voleva mostrare solo il Dio fatto uomo, ma ricordare che era stato insultato, coperto di infamia agli occhi della folla, che era considerato un essere pieno di debolezze»  (CLR 27,2) . 

4Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. 

L'apostolo rafforza poi i fedeli contro le tentazioni che dovranno subire, dicendo: «Tutto ciò che è stato scritto è stato scritto per nostra istruzione, affinché conserviamo la speranza mediante la pazienza e la consolazione che ci danno le Scritture» (4), cioè affinché non cadiamo. In effetti, i conflitti sono di mille tipi, interiori ed esteriori, e l'apostolo vuole che noi, rafforzati e confortati dalle Scritture, mostriamo la nostra pazienza; che la perseveranza nella pazienza sia per noi perseveranza nella fede. Esse si generano a vicenda, la speranza produce pazienza, la pazienza produce speranza, ed entrambe nascono dalle Scritture (CLR 27,2). 

5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, 6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

L'apostolo qui trasforma di nuovo le sue esortazioni in preghiere. è nella natura della carità avere per gli altri gli stessi sentimenti che si hanno per sé (CLR 27,2). 

Poi, per dimostrare che non raccomanda un amore qualsiasi, aggiunge: «Secondo lo spirito di Gesù Cristo». Questa è l'abitudine costante di Paolo; perché c'è un altro amore oltre a questo. (CLR 27,3)

E qual è il frutto della concordia? «Affinché con un solo animo e una sola bocca glorifichiate Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Non dice solo: «Con una sola bocca», ma prescrive la comunione delle anime. Vedete come cementa ulteriormente l'unione di tutto il corpo della Chiesa e come conclude glorificando Dio? Questo è il motivo per cui preferisce usare per eccitare alla concordia e all'armonia. Poi riprende la stessa esortazione, dicendo: «Siate dunque uniti gli uni agli altri, affinché siate rafforzati, come Cristo vi ha uniti a lui, per la gloria di Dio». Di nuovo il modello dall'alto e l'ineffabile vantaggio; poiché nulla glorifica Dio quanto questa comunione di sentimenti che ci rende forti. Pertanto, qualunque risentimento personale tu possa provare nei confronti di tuo fratello, considera che, se plachi la tua ira, glorifichi il Signore; fallo; e, se non per tuo fratello, almeno per Dio, riconciliati; o meglio, perdona soprattutto per amore di Dio. Cristo, infatti, non fa altro che ripetere questo comandamento senza sosta, e disse al Padre: «Questo farà conoscere a tutti che tu mi hai mandato, perché siano una cosa sola» (Gv 17,21). 

Cediamo dunque a questo desiderio di Cristo, uniamoci strettamente gli uni agli altri. Perché qui l'apostolo non si rivolge solo ai deboli, esorta tutti gli uomini. Se qualcuno vuole separarsi da voi, non separatevi, non pronunciate queste fredde parole: chi mi ama, io amo; se il mio occhio destro non mi amasse, lo caverei: queste sono parole di Satana, degne dei pubblicani, e che ispirano l'odio dei pagani. Siete chiamati a una vita superiore, siete iscritti in cielo, siete soggetti a leggi più nobili. Non fate dunque tali discorsi. Chi non vuole amarvi, circondatelo di un affetto più vivo, per attirarlo a voi; è uno dei vostri membri. Quando uno dei nostri membri viene separato dal resto del nostro corpo, facciamo di tutto per riunirlo, allora lo circondiamo di più cura e attenzione. Maggiore sarà la vostra ricompensa se attirerete a voi colui che non vi amerà. Se il Signore ci comanda di invitare alla nostra mensa coloro che non possono ricambiare, e questo affinché la nostra ricompensa sia accresciuta, quanto più dovremmo comportarci allo stesso modo nell'amicizia. Perché colui che ami, e che ti ama, ti ha pagato ciò che ti è dovuto, mentre colui che ami e che non ti ama, ha sostituito Dio al suo posto come debitore verso di te; e inoltre, colui che ti ama non ha bisogno di tutta la tua sollecitudine; al contrario, colui che non ti ama è colui che ha bisogno del tuo aiuto. 

Del resto, è impossibile che chi ama diventi così facilmente oggetto di odio; una bestia selvaggia risponde all'affetto che si ha per lei con affetto; questo è ciò che, dice il Signore, fanno i pagani e i pubblicani (Mt 5, 46-47). Se è naturale amare coloro da cui si è amati, come si può non amare coloro che rispondono all'odio con amore? Praticate dunque questa carità; non stancatevi di ripetere: Quanto più mi odiate, tanto più vi amerò. Ecco una parola che placa tutte le liti, che ammorbidisce tutti i cuori. Questa malattia dell'odio è o un'infiammazione o un raffreddamento; in entrambi i casi il dolce calore della carità opera la cura» (CLR 27,3). 

7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. 8Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; 9le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. 10E ancora: Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo. 11E di nuovo: Genti tutte, lodate il Signore; i popoli tutti lo esaltino. 12E a sua volta Isaia dice: Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni: in lui le nazioni spereranno. 

«Parla della sollecitudine di Cristo, per mostrare quanto Cristo abbia fatto per noi, senza pensare al proprio. Dimostra che sono i Gentili i più debitori a Dio. Ora, se sono i più debitori, è giusto che sopportino le debolezze degli Ebrei. Mostra le benedizioni concesse agli Ebrei, in virtù delle promesse fatte ai loro padri; quanto ai Gentili, devono queste benedizioni solo alla misericordia, alla bontà di Dio. Gesù Cristo divenne ministro del vangelo per i Giudei, per adempiere le promesse fatte ai loro padri. Alla sua venuta, il Figlio di Dio, cooperando con il Padre, fece sì che queste promesse si adempissero e avessero effetto (CLR 28,1). Quanto ai pagani, devono glorificare Dio per la sua misericordia. Ciò significa: gli ebrei, benché indegni, hanno ricevuto gli effetti della promessa; ma voi, non avete ricevuto neppure una promessa, ed è un puro effetto della bontà di Dio che vi ha salvati. L'apostolo produce tutte queste testimonianze per mostrare che dobbiamo unirci e glorificare Dio, e allo stesso tempo per abbassare l'ebreo e impedirgli di insorgere contro il gentile, chiamato da tutti i profeti; e l'apostolo, allo stesso tempo, esorta il gentile a una fede modesta, mostrandogli che deve a Dio una gratitudine maggiore» (CLR 28,1)

13Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo. 

«Affinché la vostra speranza abbondi, cioè affinché troviate non solo consolazione nelle vostre tribolazioni, ma gioia nell'abbondanza della fede e della speranza. Perché con questo attirerete lo Spirito; con questo conserverete tutti i beni con il suo aiuto. Come il cibo sostiene la nostra vita e la vita distribuisce il cibo, così se abbiamo le cose giuste, avremo lo Spirito; e se abbiamo lo Spirito, avremo buone opere. E allo stesso modo, è vero anche il contrario: se non abbiamo le cose, anche lo Spirito ci sfugge. Se perdiamo il sostegno dello Spirito, inciampiamo subito nelle nostre opere: perché una volta che lo Spirito se ne va, arriva l'impuro» (CLR 28,2). 

14Fratelli miei, sono anch’io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l’un l’altro. 15Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio 16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti. 

«Osservate l'umiltà di Paolo, osservate la sua prudenza; ha dapprima un discorso profondamente incisivo; poi, dopo aver compiuto l'operazione salutare che si proponeva, ricorre a tutti gli ammorbidenti. Indipendentemente da tutto ciò che aveva detto, bastava confessare di aver parlato con una certa libertà, questa confessione serviva ad ammorbidire gli animi dei fedeli. Ecco perché dice in questo passo: "Vi ho scritto questo con libertà"; notate, questa espressione non gli sarebbe bastata ; dice "con un po' di libertà", cioè con una dolce libertà. E non si ferma qui; ma cosa dice? "Come per ricordarvi". Non dice: "Per insegnarvi"; né dice "Ricordandovi", ma "Facendovi ricordare", cioè ricordandovi dolcemente. Vedete come la fine della lettera e l'inizio corrispondono tra loro ? Come all'inizio aveva detto: «La vostra fede è nota in tutto il mondo», così alla fine della lettera: «La vostra obbedienza è nota a tutti». E come aveva detto all'inizio : «Ho un grande desiderio di vedervi, per comunicarvi qualche grazia spirituale, affinché vi fortifichi» (Rm 1, 8-11); cioè, per la nostra reciproca consolazione; così qui, «come per ricordarvelo», dice. Scende di tanto in tanto dalla cattedra di maestro e parla loro come a fratelli, ad amici , a pari; capisce molto bene qual è il primo talento di un maestro, e che consiste nel variare il suo discorso a beneficio dei suoi ascoltatori» (CLR 29,1). 

… adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio.

«Non parla più solo di culto, come all'inizio, ma della liturgia e del santo ministero: il mio sacerdozio è l'annuncio, è la predicazione del Vangelo, questo è il sacrificio che offro. Nessuno ha mai rimproverato il sacerdote di aver cura che la sua offerta fosse pura. Questo è ciò che Paolo diceva, per dare ali ai loro pensieri, per mostrare loro che erano loro stessi l'offerta e per giustificarsi sulla base dell'ordine ricevuto dall'alto. La mia spada, diceva, è il Vangelo, la parola della predicazione; e ciò che mi fa agire non è un desiderio di gloria, un amore di risplendere, ma voglio, ascolta il seguito: Che l'offerta dei Gentili gli sia gradita, essendo santificata dallo Spirito Santo. Vale a dire, è necessario che le anime dei discepoli siano gradite a Dio. Perché non è tanto per onorarmi che Dio mi ha chiamato a questo ministero, quanto per garantire la tua salvezza. Non mi obietterete, dice l'apostolo, che la vanità ispiri le mie parole; vi parlo solo dei segni del mio sacerdozio, e non mi sento in imbarazzo a fornirvi i segni della missione conferitami; non sono vesti strascicate, né una mitra o una tiara, né un ornamento per la fronte, ma segni molto più formidabili, miracoli. E non si può dire neppure che ho ricevuto una missione, ma che non ho fatto nulla: mi sbaglio, non sono io che ho fatto qualcosa, ma Cristo. Perciò mi vanto in lui, non nelle opere comuni, ma nelle opere spirituali. Perché questo è ciò che si intende per «per il servizio di Dio». La prova che ho compiuto la mia missione, e che le mie parole non sono vanto, sono i miracoli compiuti e la sottomissione delle nazioni» (CLR 29,1). 

18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21ma, come sta scritto: Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno. 

«Osservate i suoi sforzi, la sua insistenza nel dimostrare che tutto è opera di Dio, che lui, Paolo, non c'entra nulla. Che io parli, o faccia, o compia miracoli, è Dio che fa tutto, l'autore di tutto è lo Spirito Santo. Queste parole intendono mostrare anche la potenza dello Spirito. Non solo tanti popoli evangelizzati e convertiti, ma egli si guarda bene dal recarsi tra i popoli che avevano già ricevuto la dottrina» (CLR 29,3). 

22Appunto per questo fui impedito più volte di venire da voi. 23Ora però, non trovando più un campo d’azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi, 24spero di vedervi, di passaggio, quando andrò in Spagna, e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza. 

«Quando avrò goduto un po’ mostra il valore che attribuisce al loro affetto; queste parole dimostrano che non li ama con un amore volgare, ma vivo e appassionato. Non potrei mai godere abbastanza da soddisfare la mia fame della vostra presenza. Vedete come dimostra il suo affetto? Per quanto possa avere fretta, non li lascerà finché non avrà goduto della loro presenza» (CLR 29,3). «Come un buon padre ama il suo unico figlio, il suo stesso figlio, così Paolo amava tutti i fedeli: diceva infatti: Chi è malato, che io non sia malato con lui? Chi è scandalizzato, che io non arda? (2 Cor 11,29). Questa deve essere la prima di tutte le virtù in chi insegna. Per questo Cristo disse a Pietro: Se mi ami, pasci le mie pecore (Gv 21,17). Chi ama Cristo ama anche il suo gregge» (CLR 29,4). 

25Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi di quella comunità; 26la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione con i poveri tra i santi che sono a Gerusalemme. 27L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali. 28Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato raccolto, partirò per la Spagna passando da voi. 29So che, giungendo presso di voi, ci verrò con la pienezza della benedizione di Cristo. 30Perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, vi raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio, 31perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme sia bene accetto ai santi. 32Così, se Dio lo vuole, verrò da voi pieno di gioia per riposarmi in mezzo a voi. 33Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.

Capitolo 16

L’apostolo, nel congedarsi dai Romani, si dilunga nei saluti ma ci offre anche alcune notizie interessanti sul momento che sta vivendo. Siamo nel 57 d. C. (circa), a Corinto, durante l’impero di Nerone. È ospitato in casa di Gaio, presso una chiesa domestica (16,23), dove detta la sua lettera ad un “tachigrafo” (stenografo) di nome Terzo 16,22). La lettera viene poi consegnata a Febe (16,1), una collaboratrice membro autorevole della comunità di Cencre (il porto di Corinto), la quale la porterà con sé a Roma e la esporrà a quelle chiese. Si tratta di un’ipotesi ben fondata. Nonostante la triste fama che gli è stata attribuita, egli non è affatto un misogino; al contrario vanta numerose collaboratrici. Si contano almeno cinque chiese domestiche alle quali verrà consegnato lo scritto: presso Prisca ed Aquila (16,3); presso Aristobulo (16,10); presso Narciso (16,11); presso Asincrito (16,14), presso Filologo (16,15). L’apostolo conosce un numero considerevoli di Romani. Li avevi incontrati nei suoi lunghi viaggi. Il Vangelo si diffondeva attraverso la comunicazione di questi viaggiatori che affrontavano i rischi della navigazione e del cammino su strada; in molti casi non si trattava di viaggi missionari ma comuni, per affari, di necessità. Termina la lettera raccomandando ai fedeli di fare attenzione a personaggi in movimento che possono corrodere il Vangelo (16,17-18). Satana li sta aggredendo, ma Dio stesso lo schiaccerà sotto i loro piedi. La vera conclusione dello scritto è la glorificazione di Dio che sta svelando il suo progetto d’amore: permettere a tutti i pagani di conoscere il Vangelo, la persona e l’opera di Gesù. Egli li rende capaci di obbedire al Figlio suo per ottenere la salvezza (16,25-27). L’obbedienza della fede è la virtù più preziosa (1,5 e 16,26).

«Molti trascureranno questa parte dell'Epistola come inutile e di scarso interesse. Tuttavia, coloro che cercano l'oro, raccolgono minuziosamente le particelle più piccole, e le persone di cui parlo trascurano lingotti di oro così prezioso. Queste poche parole basteranno a prevenire questa indifferenza e a correggerla. Pertanto vogliamo dimostrare che non c'è nulla di inutile, nulla lasciato al caso nelle Scritture. Se i dettagli che egli fornisce non fossero utili, l'apostolo non li avrebbe aggiunti alla sua lettera, Ma ci sono uomini così indolenti che considerano superflui non solo i nomi, ma interi libri, come il Levitico, il libro di Giosuè e molti altri. Così l'Antico Testamento fu rigettato da un gran numero di stolti, e, avanzando ancora più in questa detestabile via, uomini deliranti sono giunti al punto di mutilare, in gran parte, il Nuovo Testamento» (CLR 31,1).

1Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: 2accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. 3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. 4Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. 5Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.

«Vi raccomando la nostra sorella Febe, diaconessa della chiesa di Cencre» (16,1). Vedete quale onore le rende; la nomina prima di tutte le altre, e la chiama sorella; non è un onore volgare essere chiamata sorella di Paolo. E aggiunge a questo titolo una dignità; la chiama diaconessa. 

"E affinché la assistiate in qualunque cosa possa aver bisogno di voi". Vedete come egli si preoccupa di non essere d'intralcio? Non dice: "E che tu la metta a suo agio", ma: "E che tu faccia ciò che è in tuo potere, e che tu le dia una mano", e questo nelle circostanze in cui potrebbe aver bisogno di te, non assolutamente in tutte le sue difficoltà, ma solo quando il tuo aiuto le è necessario. Poi viene una lode incomparabile: Perché lei stessa ha assistito molti, e me in particolare. Come possiamo rifiutare il nome "beata" a questa donna che ha guadagnato una così bella testimonianza da Paolo, che è stata in grado di assistere colui che ha istruito la terra? Imitiamo dunque questa santa,  imitiamola, uomini e donne, e imitiamo, dopo di lei, quest'altra santa che andiamo a vedere con suo marito. Chi è questa coppia? Salutate», dice, da parte mia Priscilla e Aquila, che hanno collaborato con me in Cristo Gesù. Anche Luca testimonia la loro virtù, con queste parole: «Paolo rimase con loro, perché il loro mestiere era fabbricare tende»; è nel capitolo in cui Luca mostra questa santa donna che accoglie Apollo nella sua casa e lo istruisce nella via del Signore ( At 18, 2, 3). 

Sono titoli grandiosi, ma Paolo ne attribuisce di ancora più grandi. Perché cosa dice? Innanzitutto, hanno lavorato con lui; le sue fatiche inaudite, i suoi pericoli, l'apostolo mostra che li hanno condivisi. Poi aggiunge: "Che hanno rischiato la testa, per salvarmi la vita". Vedete i martiri pronti a tutto? Evidentemente, sotto Nerone, i fedeli correvano mille pericoli. "E ai quali non solo sono obbligato, ma anche tutte le Chiese dei Gentili". Qui intende l'ospitalità ricevuta con l'aiuto finanziario, e le esalta perché gli avrebbero dato tutto il loro sangue, tutto ciò che avevano. Vedete queste donne generose, il cui sesso non ostacola in alcun modo la fuga che le trasporta alla più alta virtù? E non c'è nulla di sorprendente in questo: "Perché in Cristo Gesù non c'è né maschio né femmina" (Gal 3,28) E ora, ciò che Paolo disse di Febe , lo dice anche di questa: le sue parole sulla prima furono: Ella ha assistito molti, e me "in particolare"; riguardo alla seconda, ascolta: "Alla quale non solo sono obbligato, ma anche tutte le chiese dei Gentili". E per non sembrare che suoni come un'adulazione, porta altri testimoni che sono molto più numerosi di queste donne. "Salutate anche la chiesa che è in casa loro". Erano persone così sante che fecero della loro casa una Chiesa, sia perché rendevano fedeli tutti coloro che la frequentavano, sia perché la aprivano a tutti gli stranieri. L'apostolo non lesina il nome di Chiesa alle abitazioni private; vuole che la pietà, che il timore di Dio vi sia profondo e radicato. Per questo dice anche ai Corinzi: Salutate Aquila e Priscilla, con la Chiesa che è nella loro casa (1 Cor 16,19); e, nella lettera in cui raccomanda Onesimo: Paolo a Filemone e alla nostra cara Appia, e alla Chiesa che è nella tua casa (Fi 1,1-2). Si può essere sposati e mostrare grandi virtù. Ecco, queste persone erano sposate, le loro virtù li facevano brillare, sebbene la loro professione non fosse molto brillante poiché erano solo fabbricanti di tende; la loro virtù eleva l'umiltà della loro condizione e li rendeva più brillanti del sole; né la loro professione, né il giogo del matrimonio li danneggiarono ma mostrarono quella carità che Gesù Cristo esigeva da noi: Nessuno può avere un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). Il carattere distintivo del discepolo lo dimostrarono gloriosamente: presero la croce e seguirono la strada. Ascoltate queste parole, ricchi e poveri. Se gli operai che vivono delle loro mani, hanno mostrato una generosità così grande da essere utili a un gran numero di Chiese, quale potrebbe essere la scusa dei ricchi che disprezzano i poveri? Questi fedeli non hanno risparmiato nemmeno il loro sangue nel loro desiderio di rendersi graditi a Dio; e tu, risparmi beni senza valore che spesso ti fanno trascurare la tua anima. Le Chiese dei Gentili, dice l'apostolo, rendono loro grazie. Rifletti, vedi quanti nomi di regine vengono passati sotto silenzio; ma ovunque la moglie dell'artigiano è celebrata; è proprio per il loro zelo per il Vangelo che l'apostolo dice: Hanno cooperato, hanno lavorato con me. E Paolo non teme di dire che una donna ha lavorato nella sua opera; Paolo, questo vaso eletto, arriva fino a vantarsi del suo aiuto; non guarda al sesso, è la volontà generosa che incorona. Impara allora che la bellezza di una donna non è data dal suo corpo, ma dalla sua anima, che è abbellita da una bellezza imperitura, che non può essere riposta in uno scrigno, ma che fiorisce per sempre nel cielo. 

Non è la vista di Paolo che li ha plasmati così, sono le sue parole. Sta a voi ascoltare Paolo, Pietro, Giovanni e tutto il coro dei profeti, senza alcuna mancanza, con gli apostoli, per crearvi una società che non vi abbandoni mai. Prendete i libri di questi beati, conversate sempre con i loro scritti, essi potranno edificarvi a somiglianza di questa moglie del fabbricante di tende. Ma a che serve parlarvi di Paolo? Se lo desiderate, possederete il Maestro stesso, il Maestro di Paolo; attraverso il linguaggio di Paolo, è lui stesso che converserà con voi» (CLR 30,2-4).

Salutate il mio amatissimo Epèneto, che è stato il primo a credere in Cristo nella provincia dell’Asia. 

«Qui possiamo vedere la diversità delle lodi che Paolo fa di ciascuno. Non è una lode da poco, anzi, è la più gloriosa, è quella che meglio mostra la virtù di una persona fedele ad essere amata da questo Paolo, che non amava per impulso, ma per scelta: è stato la primizia dell'Acaia. Con questo Paolo intende che Epeneto per primo intraprese il nuovo cammino, accogliendo la fede, il che non è una lode da poco, oppure intende che la sua pietà supera quella di tutti gli altri. Non è solo di Corinto, ma di tutta la provincia che lo chiama la primizia: era come la porta, il vestibolo attraverso cui entravano gli altri. La ricompensa di uomini come lui non è da disprezzare; un uomo simile raccoglierà frutti preziosi, anche dalle virtù degli altri, una giusta ricompensa per il grande servizio reso nei primi tempi» (CLR 31,1)

6Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. 

«Un'altra donna incoronata, celebrata, un'altra causa di confusione per noi, che ci diciamo uomini. Mi sbaglio, non accontentiamoci di arrossire; arrossiamo e inorgogliamoci; inorgogliamoci di avere accanto a noi donne simili; inorgogliamo di essere ben lontani dall'uguagliarle, noi, che ci diciamo uomini. Da dove viene dunque lo splendore di cui brillano? Ascoltate: i braccialetti, le collane, le ancelle, le vesti d'oro non c'entrano; queste donne non devono altro che il sudore che hanno versato per la verità. Ha faticato molto per noi; non solo per sé stessa, per perfezionare la propria virtù, ha lavorato per gli altri, correndo per il mondo come gli apostoli, come gli evangelisti. 

Perché allora Paolo dice: Non permetto alla donna di insegnare? (1 Tm 2,12). Non vuole che presieda i maestri, non vuole che salga sul pulpito, ma non le proibisce di insegnare. Infatti Priscilla istruì Apollo (Atti 18,26) L'apostolo, quindi, non voleva sopprimere le utili conversazioni private, ma i discorsi pubblici, le arringhe, le arringhe teatrali. Si noti, inoltre, che Paolo non dice: Che ha insegnato molto, ma: Che ha faticato molto. Queste parole mostrano che Maria, oltre alle sue buone parole, rese una miriade di altri servizi, attraverso i pericoli che corse, attraverso il suo aiuto finanziario, attraverso i suoi viaggi. A quel tempo c'erano infatti donne che condividevano con gli apostoli le fatiche della predicazione; per questo viaggiavano con loro e rendevano loro ogni genere di servizio. Anche Cristo fu seguito da donne che lo sostentavano con i loro beni e servivano il Maestro» (CLR 31,1-2). 

7Salutate Andrònico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me. 

Anche queste parole sembrano essere una lode, ma ciò che segue lo è ancora di più. Che cosa aggiunge allora? Che erano miei compagni nelle catene; questa è la più gloriosa delle corone, la gloria che non può essere mai abbastanza esaltata. Bisogna quindi credere che questi santi personaggi abbiano condiviso i suoi pericoli, ed è per questo che l'apostolo li chiama compagni nelle sue catene; così dice, in un altro passo: Aristarco, compagno nelle mie catene" (Col 4, 10). Un altro elogio ora: sono insigni tra gli apostoli. Ora, era certamente già una grande gloria essere nel rango degli apostoli; ma essere; tra loro, stimati, cerca di comprendere tutto ciò che è glorioso! Quale non dev'essere stata la saggezza di questa donna Giunia, se è stata giudicata degna di essere collocata nel rango degli apostoli! E Paolo non si ferma qui, aggiunge ancora un altro titolo: erano prima di me in Cristo Gesù. Mette gli altri al di sopra di sé, non vuole che nessuno ignori che è venuto solo dopo di loro, non arrossisce di questa confessione» (CLR 31,2). 

8Salutate Ampliato, che mi è molto caro nel Signore. 9Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio carissimo Stachi. 10Salutate Apelle, che ha dato buona prova in Cristo. Salutate quelli della casa di Aristòbulo. 11Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che credono nel Signore. 12Salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside, che ha tanto faticato per il Signore. 13Salutate Rufo, prescelto nel Signore, e sua madre, che è una madre anche per me. 14Salutate Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro. 15Salutate Filòlogo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i santi che sono con loro. 16Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo.

«Dopo aver detto, nel seguito: Salutate la casa di Aristobulo, Erodione mio cugino, e quelle della casa di Narciso  ora accade che egli soggiunga: Salutate Trifena e Trifosa, che faticano nel Signore. Ha già detto di Maria che ha faticato molto per noi; ora dice di queste, che stanno ancora lavorando. Non è una piccola lode sapersi occupare completamente, e non solo occuparsi, ma lavorare, stancarsi. Quanto a Perside, la chiama la sua cara Perside, dimostrando con ciò che è superiore alle altre. 

Salutate Rufo, l'eletto del Signore, e sua madre, che è anche mia. L'apostolo non avrebbe detto con leggerezza: Sua madre, che è anche mia, se non avesse voluto testimoniare la grande virtù di questa donna. Salutate Asincrito, Flegonte, Erma, Patrobo, Ermete e i nostri fratelli che sono con loro. Qui, non osservate che parla di loro senza aggiungere parole di lode ai loro nomi; ma notate piuttosto che non disdegna di nominare anche il più piccolo di tutti; anzi, tributa loro una grande lode, chiamandoli con il nome di fratelli, come i santi che vengono dopo: Salutate, Filologo, Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpiade e tutti i santi che sono con loro. 

Quindi, per prevenire ogni gelosia litigiosa che potrebbe sorgere dal parlare di alcuni in un modo e di altri in un modo diverso, inizia a unirli tutti insieme nell'uguaglianza della carità; li unisce con il bacio santo: Salutatevi a vicenda con un bacio santo"; un bacio pacifico, che serve a bandire ogni pensiero che possa turbarli; non lascia quindi spazio a sentimenti di rivalità; dispone le cose in modo tale che il più grande non disprezzi il più piccolo, che il più piccolo non sia invidioso del più grande, che l'orgoglio e la gelosia scompaiano sotto questo bacio che livella e addolcisce tutto. Perciò non solo consiglia loro di salutarsi a vicenda, ma invia loro anche il saluto di tutte le chiese. Ricevete il saluto, non di questa o quella persona in particolare, ma il saluto comune di tutti, di tutte le chiese di Gesù Cristo» (CLR 31,3). 

«Volendo dare ai fedeli sicurezza e considerazione, li saluta individualmente con lodi appropriate. Uno lo chiama "mio caro"; un altro "mio parente"; se tutti questi santi personaggi furono fedeli, non lo furono tutti allo stesso modo, non avevano uguali titoli per le ricompense. Ecco perché l'apostolo, desideroso di animarli tutti con uno zelo sempre più ardente, non nasconde nessuno dei titoli che danno diritto a una giusta lode. Perciò non ci sarà uguaglianza di onore nel regno di Dio; perciò non c'è uguaglianza tra tutti i discepoli. "Una stella", dice l'apostolo, "differisce da un'altra stella in splendore" (1 Cor 15,41). Senza dubbio, gli apostoli erano tutti vostri, e tutti dovevano sedere su dodici troni, e tutti avevano lasciato ciò che apparteneva loro, e tutti si erano uniti a Gesù Cristo; tuttavia Cristo ne scelse tre tra loro (CLR 31,3-4). 

17Vi raccomando poi, fratelli, di guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro l’insegnamento che avete appreso: tenetevi lontani da loro. 18Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici. 

«Vi esorto a stare attenti, cioè a scrutare con rigore, a fare un buon esame di voi stessi, a indagare con esattezza. Riguardo a questi uomini, che provocano dissensi e scandali contro la dottrina che avete imparato. Perché nulla sconvolge la Chiesa più delle divisioni: queste sono le armi del diavolo, questo è ciò che capovolge tutto. Finché il corpo rimane unito, gli è impossibile penetrarlo , ma la divisione produce scandalo. Ora, da dove viene la divisione? Da dottrine contrarie all'insegnamento degli apostoli. E queste dottrine, da dove vengono? Dalla sensualità schiava del ventre e da altre passioni. Perché costoro, dice, non servono il Signore nostro, ma il loro ventre. E Paolo non dice che vi abbiamo insegnato, ma: Che avete imparato. Li ammonisce, mostra loro che sono stati persuasi, che hanno udito, che hanno accettato! Ora, cosa dobbiamo fare a coloro che mutilano tali insegnamenti? L'apostolo non dice: Andate contro di loro, combattete, ma: E allontanatevi da loro» (CLR 32,1).

19La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre dunque mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male. 20Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signore nostro Gesù sia con voi. 

«Parla loro del Dio della pace per dare loro la fiducia di vedersi liberati dagli uomini pericolosi. E non dice: Dio sottometta; l'espressione è più enfatica: Dio «schiacci» il loro capo, l'autore di tutti questi disordini, Satana. E non solo schiacci, ma: Sotto i vostri piedi; siete voi che otterrete la vittoria. Ancora un'altra consolazione, presa dal tempo: Presto. 

E qui c'è insieme una preghiera urgente e una profezia. «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi». Questa è l'arma più potente, il muro indistruttibile, la torre incrollabile; è per ravvivare il loro ardore che egli richiama la grazia ai loro pensieri. Se siete stati liberati dai mali più terribili, e questo solo per grazia, quanto più vi salverà da quelli che lo sono meno, perché sarete diventati amici di Dio, perché avrete contribuito a tutto ciò che dipende da voi. Vedete come egli non vuole né preghiera senza opere, né opere senza preghiera? Solo dopo aver reso testimonianza della loro obbedienza prega per loro, mostrando con ciò il duplice bisogno che abbiamo, sia di agire da soli, sia di essere assistiti da Dio, se vogliamo assicurare la nostra salvezza a forza di sollecitudine» (CLR 32,1-2). 

21Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosípatro, miei parenti. 22Anch’io, Terzo, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore. 23Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto. 

«Ricevete i saluti da Timoteo, mio collaboratore. Vedete ancora le solite lodi? Come anche da Lucio, Giasone e Sosipatro, miei parenti? Luca menziona questo Giasone e ci dà un'alta idea del suo coraggio, mostrandolo trascinato, tra le grida del popolo, davanti ai magistrati della città (Cf At 17,5-9). È da credere che anche gli altri fossero persone notevoli; perché l'apostolo non li avrebbe nominati per la sola ragione della parentela, se la loro pietà non li avesse resi simili a lui. Io, Terzo, ti mando i miei saluti, che ho scritto questa lettera. Questo è un altro titolo che ha il suo valore, essere il segretario di Paolo. 

Ricevi anche il saluto di Caio, mio ospite e ospite di tutta la Chiesa. Guarda quale corona egli tesse in suo onore, quando vede questa ampia ospitalità, che raduna tutta la Chiesa nella sua casa! Perché qui, ospite significa colui che dà ospitalità. 

Ricevete il saluto di Erasto, tesoriere della città, e del nostro fratello Quarto. Non è senza ragione che aggiunge: Tesoriere della città; Scrisse ai Filippesi: Vi salutano quelli della casa di Cesare (Fil 4,22), per dimostrare che la predicazione raggiungeva grandi persone; così, quando menziona l'importante ufficio di Erasto, mostra che chi presta attenzione alla parola non trova ostacoli né nella sua fortuna, né nelle preoccupazioni dell'autorità, né in nulla che le assomigli» (CLR 32,2). 

25A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, 26ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, 27a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.

Conclusione

La Lettera impone due conclusioni che riprendo dalle opere di due uomini dello Spirito. 

1. È necessario in primo luogo coltivare la conoscenza di noi stessi, ammettere la nostra povertà ma soprattutto confidare nella bontà inesauribile del Signore: 

«Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza; ma senza dubbio i migliori tra essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi. Colui che, stimolato dal fervore dello Spirito Santo, ha già gli occhi ben aperti verso Dio e, nell’amore di lui, è divenuto conscio della propria miseria e, volendo ma non potendo giungere fino a lui, guarda in se stesso alla luce di Dio e scopre se stesso ed ha così acquistato la certezza che la sua malattia è incompatibile con la purezza di Dio, questi prova dolcezza nel piangere e nel supplicare Dio che abbia più e più volte misericordia, fino a quando si liberi di tutta la sua miseria, nel nome di suo Figlio, unico Salvatore e illuminatore dell’uomo… Bisognava dunque convincere l’uomo della grandezza dell’amore di Dio per noi e dello stato in cui eravamo quando ci ha amato; di questa grandezza [d’amore] perché non disperassimo, di questo stato [di povertà] perché non insuperbissimo (Agostino, De Trinitate, IV, 1.1-1.2). 

2. Il cristiano autentico imita la bontà gratuita di Dio verso i malvagi anche nei confronti di chi lo perseguita: 

«Non condannare l'empio e neppure colui che è apertamente un malfattore: “Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone” (Rm 14,4). Non odiare chi ti calunnia né chi ti offende, né il brigante né l'omicida: essi ti crocifiggono alla destra del Signore, secondo una misteriosa disposizione dei giudizi di Dio; così, con piena coscienza e convinzione, potrai dire al Signore nella preghiera: “Ricevo quel che merito. Ricordati di me, Signore, nel tuo Regno”. Cerca di cogliere, nelle afflizioni che ti colpiscono, la tua inesprimibile fortuna, la tua elezione da parte di Dio, e prega con una preghiera ardente per quei benefattori: dalle loro mani sei strappato al mondo e dalle loro mani sei innalzato verso Dio. Prova verso di loro una compassione simile a quella che prova Dio nei confronti dell'umanità sprofondata nel peccato, lui che ha consegnato il proprio Figlio in sacrificio di redenzione per la creatura ostile, pur sapendo che la maggior parte degli uomini avrebbe deriso e disprezzato questa vittima. Tale misericordia, che va fino all'amore per i nemici, che si esprime con preghiere per loro, conduce a una conoscenza vissuta della verità» (I. Briancaninov, Preghiera e lotta spirituale… p. 72).

Bibliografia

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