La religione della natura
Bede Griffiths, nato a Walton on Thames (Inghilterra) nel 1906, fu
educato nella fede cristiana, secondo la confessione Anglicana. Così ricorda un
particolare della sua infanzia: «Mia madre raramente parlava della sua
religione, ma la fede era il fondamento della sua vita. Quando ora penso a lei,
la rivedo ancora così come la vedevo quando entravo nella sua stanza,
inginocchiata a pregare ai piedi del letto, cosa le fece abitualmente, di notte
e di mattina, per tutta la sua vita» (FD 39).
Nonostante l'istruzione della madre, da adolescente abbondò la pratica della
fede, pur continuando ad avere una certa venerazione per Gesù, considerandolo
un essere umano perfetto, come Socrate (46).
Il sentimento religioso si orientò piuttosto verso il mistero della
Natura, svelato dalla bellezza del creato. Fu preso intensamente dall'amore per
essa, provando una specie di estasi nei suoi confronti. L’aver sperimentato la
forza travolgente delle esperienze contemplative, lo portò a dare maggiore
importanza all'intuizione rispetto alle altre facoltà dell'uomo: la verità
doveva essere affascinante, assorbire tutte le energie della persona; essere
percepita come appagante, come lo è la Bellezza.
Si sentiva molto a disagio riguardo alla massiccia
industrializzazione avviata in Inghilterra, già da anni. «Non era tanto la
povertà degli operai che ci preoccupava allora, ma il fatto che la vita umana
venisse depauperata e degradata con la privazione di quella bellezza che gli
apparteneva di diritto... La nostra prima reazione a quella situazione fu la
fuga» (60). Soffrì anche a motivo del puritanesimo vittoriano, che provocava, a
suo dire, «la separazione della ragione morale e della coscienza dall'istinto e
dalla passione» (66).
Si iscrisse all'università di Oxford. Non amando vivere in città,
spesso cercava rifugio in campagna, a contatto con la natura. Andava in cerca
di luoghi solitari, insieme ad altri amici che condividevano il suo sentimento
di disagio (63). Così racconta: «Ricordo che una volta che uscii da solo sulle
colline, cominciò a raccogliersi intorno a me una coltre di nebbia ed io m
sentii solo in quella misteriosa solitudine…, ed ancora una volta il senso di
quella presenza… si impossessò di me. Ma tali esperienze non erano che
transitorie» (63).
Collaborò, in maniera sporadica, con alcune iniziative pacifiste
sostenute dal partito socialista, senza mai lasciarsi assorbire dall’impegno
politico. Ad Oxford conobbe C. S. Lewis, il futuro scrittore delle Cronache
di Narnia e delle Lettere di Berlicche, che lo esortò a studiare filosofia. «Mentre studiavo filosofia,
tenni una costante corrispondenza epistolare con lui e fu tramite lui che la
mente venne gradualmente riportata al cristianesimo» (73).
La lettura di Marco Aurelio, di Spinoza, gli aprirono la mente verso
la possibilità che l'universo fosse abitato dal divino e che l'idea di Dio
avesse una base razionale. S. T. Coleridge, l'ispiratore del romanticismo
inglese, lo aiutò, invece, a conciliare filosofia e poesia, sentimento e
ragione. In questo pensatore il soprannaturale diventa una metafora per
rivelare profonde esperienze umane, non rappresentabili dal mondo materiale ma
esprimibili attraverso il linguaggio delle immagini. Di qui la preferenza per
l'uso di immagini simboliche e del mito. Per p. Bede, l'esperienza doveva
sempre avere la prevalenza: «Un'idea di Dio che non avesse alcuna relazione con
la mia esperienza non mi interessava affatto» (83).
Gradatamente superò il fastidio provato verso le norme morali,
avvertite come oppressive, a causa delle mentalità puritana che le faceva
pesare: «Cominciai a concepire la virtù morale come il fiorire dell'intera
natura di una persona» (83).
Lewis gli suggerì la lettura delle Confessioni di Agostino e di
Dante, nella lingua originale (84). Entrambe le opere lo colpirono in
profondità. Riguardo ad Agostino, scrive: «... La sensazione di essere in
contatto con una mente che era stata consumata dall'ardore per la verità e per
quella vita virtuosa che io desideravo, penetrò nel profondo della mia anima»
(85). In Dante colse soprattutto la passione etica: «Il Purgatorio impresse
nella mia mente la convinzione che la virtù morale consisteva nel trasformare
la passione, e non nel sopprimerla, e così mi liberai per sempre dalla paura
del puritanesimo» (89).
In quel frangente, p. Bede scopre altri testi che determineranno una
svolta nella sua vita: «Darei una falsa impressione della direzione in cui la
mia mente si stava muovendo, se non citassi altri tre libri, di tipo
completamente diverso, che entrarono nel flusso del mio pensiero in quel
periodo: la Baghavad Gita, "II Sentiero
della Virtù di Buddha" (una traduzione del Dhammapada) e "I detti" di Lao Tzu... Per quanto mi possa ricordare,
fui introdotto a queste letture da un'amica di mia madre, che era una teosofa.
Era una donna eccezionale: era stata una suffragetta e meravigliava tutti noi
ragazzi perché fumava sigarette, cosa che ci era allora sconosciuta in una
donna. Più tardi l'influenza di questi libri sulla mia vita sarebbe stata
immensa e li considero ancora i tre più grandi testi di sapienza spirituale
esistenti al di fuori del Nuovo Testamento. Possiedo ancora i tre libri, con le
sottolineature che vi feci quando li lessi la prima volta. Avrebbero agito come
un fermento segreto nella mia anima» (92-93).
Primo ritiro in solitudine
Nell'aprile del 1930, mentre la situazione politica dell'Europa
sprofondava sempre più ed emergeva il radicalismo contrapposto di destra e di sinistra,
egli ed altri amici, decisero di vivere un'esperienza comunitaria in una vita
primitiva nel Costwolds, una catena collinare situata nell'area centrale
dell'Inghilterra. Comprarono un casolare (cottage), il più semplice possibile,
nel villaggio di Eastington. Non avevano acqua corrente e dovevano recarsi ad
una fonte vicina con i secchi per procurarsela (d'inverno scaldando il
rubinetto ghiacciato). S’alzavano molto presto per mungere le mucche nelle
aziende agricole vicine. Coltivavano un orto. Il cibo era frugale; non usavano
né giornali, né grammofono, né radio. Si spostavano in bicicletta (l'uso del
treno era ripudiato in quanto rappresentava un simbolo tipico dello sviluppo
moderno). Recuperavano così la cultura del buon tempo antico. «Il nuovo mondo
delle città industriali la stava decisamente distruggendo, ma almeno noi avemmo
la possibilità di imparare alcuni dei segreti di quel modo di vivere che si era
mantenuto in vita per così tanti secoli» (103). Ripudiavano la ricerca del
lusso materiale, spesso a danno della salute e della vera felicità e cercavano,
invece, una crescita organica in cui l'uomo e la natura vivevano insieme in
armonia.
In questo periodo, insieme ad altre numerose letture (Aristotele),
cominciò a leggere la Bibbia. Tutto il capitolo quinto è dedicato a descrivere
i suoi primi contatti con l'Antico e il Nuovo Testamento. Fu colpito
particolarmente dal Vangelo di Giovanni. «Era chiaro che si trattava di uno dei
lavori più significativi del genio umano. Qualunque potesse esserne il
significato preciso, era il racconto di un'esperienza di insondabile
profondità. Sia la persona che la dottrina di Gesù erano ritratte con una
bellezza che superava di gran lunga ogni immaginazione umana; non c'era nulla
di simile in Platone» (121).
Affrontò la lettura della Lettera ai Romani. Ritengo opportuno
trascrivere un intero passo perché riassume bene il trapasso di vita vissuto da
p. Bede, il quale, ora, non mette in discussione la cultura
dell'industrializzazione o quella dei miti della politica, ma l'intera cultura
mondana: «Da allora fui pronto ad affrontare la dottrina paolina del peccato
originale. Non mi facevo più alcuna illusione circa la natura dell'uomo. Avevo
compreso che non solo la nostra civiltà, ma tutte le civiltà del passato avevano
mostrato la stessa tendenza alla corruzione. ... La storia della nostra
civiltà, il suo rifiuto di Dio, il suo sviluppo di una scienza falsa, il suo
materialismo, la sua immoralità, erano semplicemente la storia di tutta la
civiltà umana. Il "mondo" in quanto tale era male; era in uno stato
di "peccato". A questo S. Paolo opponeva una nuova speranza; c'era la
possibilità di un altro tipo di vita rispetto a quella del mondo... Ricordo che
a quel tempo scrissi una lunga lettera a Lewis sul verso "come tutti
moriamo in Adamo, così tutti abbiamo la vita in Cristo". Non so
esattamente cosa dissi, ma probabilmente allora capii chiaramente che come
tutti ereditiamo una natura che ha in sé la tendenza al male, così tutti
possiamo ricevere una nuova natura in Cristo... Fu allora che apparve per la
prima volta nella mia mente il vero significato della Chiesa.... allora mi resi
conto che la Chiesa non era nient'altro che questa nuova umanità. Era sì
un'istituzione sociale, ma un'istituzione che trascendeva questo mondo, cioè
tutta la civiltà umana. Era un organismo sociale di cui Cristo era il
"capo" e di cui tutti gli uomini erano potenzialmente i membri»
(124-125).
Decise di ritornare ad Oxford, poi di trasferirsi a Londra, e di
rientrare nella Chiesa Anglicana. Provò molta difficoltà a inserirsi di novo
nella vita normale. In questo tempo, fu come sopraffatto da un bisogno intenso
di digiuno e dalla necessità di esprimere un profondo pentimento.
Più significativo fu il conflitto con la sua ragione e con la sua
volontà. In che cosa consiste? Per comprendere tutto ciò è preferibile seguire
le sue stesse parole: «... ciò che realmente mi
spaventava era il conflitto con la mia ragione. Finora la mia ragione ed il mio
istinto avevano sempre camminato mano nella mano. Le mie prime esperienze della
bellezza e del mistero della natura erano state confermate dalla lettura dei
poeti e poi dei filosofi. Anche la mia scoperta del cristianesimo era andata
avanti lungo percorsi razionali; ad ogni tappa mi era parso di trovare il libro
di cui avevo bisogno per soddisfare sia la mia ragione che la mia inclinazione
verso la bellezza e la santità.... ora qualcosa di irrazionale sembrava
introdursi nella mia vita. Già il desiderio di digiunare si era abbattuto su di
me come un impulso irrazionale, sebbene fossi in un certo senso capace di
giustificarlo razionalmente; ed ora arrivava questo richiamo alla penitenza,
come una necessità apparentemente irrazionale, e la mia ragione gli si
ribellava. A cosa dovevo obbedire, a questo oscuro istinto, a questa necessità
apparentemente irrazionale, o alla mia ragione e al buon senso?» (142).
Oltre al conflitto con la ragione, ne sostiene
un altro con la sua volontà: «Finora ero cresciuto
basandomi sulla mia volontà. Avevo elaborato la mia filosofia e la mia
religione da solo e, senza rendermene conto, avevo fatto della mia stessa
ragione un Dio. Mi ero reso giudice di ogni cosa, in cielo e in terra, e non
riconoscevo nessun potere o autorità sopra di me. Anche se in teoria ora
riconoscevo l'autorità di Dio e della Chiesa, in pratica ero ancora io il
governante e il giudice. Ero io il centro della mia esistenza, e il mio
isolamento dal resto del mondo era dovuto al fatto che mi ero deliberatamente
chiuso tra le barriere della mia volontà e della mia ragione. Ora venivo
sollecitato ad abbandonare questa indipendenza.... Ero chiamato a consegnare
proprio la cittadella del mio io. La mia ragione era il serpente che minacciava
di divorare la mia vita» (143).
Come ha risolto questo conflitto? Durante una prolungata preghiera,
sentì l'invito a partecipare ad un ritiro. Ebbe così l'occasione di ascoltare
la predicazione di un frate cappuccino che illustrò i misteri della fede e
provocò in lui un profondo ripensamento: «Tutta la mia vita mi sembrò un gigantesco
errore» (145). Decise così di confessarsi: «Per la prima volta nella mia vita
andai a confessarmi e le lacrime scesero dai miei occhi, un tipo di lacrime che
non avevo mai conosciuto prima. Tutto il mio essere sembrò rinnovato» (146).
Capì che per tutto quel tempo non era stato lui a cercare Dio, ma
Dio aveva cercato lui (147).
Ricevette un'altra ispirazione: «Quella sera, prima di andare a letto, aprii un
libro di S. Giovanni della Croce e vi lessi queste parole: "Ti condurrò su
una strada che non conosci, alla camera segreta dell'amore". Le parole
colpirono nel segno, come se fossero pronunciate per me. Anche se non mi era
mai mancato l'affetto della mia famiglia ed avevo molti amici, fino a quel
momento non avevo mai conosciuto veramente il significato dell'amore… Ora
sentii l'amore impossessarsi della mia anima. Fu come se un'ondata d'amore mi
sommergesse, un amore reale e personale quanto un amore umano, eppure
infinitamente al di là di tutti i limiti umani. Invase il mio essere e sembrò
riempire non solo la mia anima, ma anche il mio corpo. Il mio corpo sembrò
dissolversi, come tutto ciò che mi riguardava, e mi sentii leggero ed allegro.
Quando mi sdraiai, mi sentii come se stessi galleggiando sul letto e
sperimentai un rapimento tale da non poter immaginare nessuna superiore estasi
d'amore» (148).
Nonostante quest'esperienze confortanti, affioravano in lui dubbi
tormentosi su come pensare la presenza di Cristo nell'Eucarestia (la teologia
anglicana forniva versioni contrastanti) e come concepire Dio (personale
secondo la tradizione cristiana o impersonale, come voleva l'Induismo). La sua
mente fu ridotta al caos. Allora decise di condurre per un po' una vita di
isolamento ritornando in un casolare del Cotswolds.
Secondo ritiro in solitudine
Cominciò a riprendere la vita austera che aveva condotto tempo prima
con i suoi amici, senza però trovare pace. Mentre era in preghiera, avvertì
l'ispirazione a completare la sua vita eremitica, recandosi a lavorare nelle
fattorie vicine (156). Ciò avvenne nel corso d’una preghiera profonda, a lui
sconosciuta sfino a quel momento; poco dopo prese la risoluzione decisiva che
completò la sua rinascita spirituale: rimettersi a Dio in modo totale,
abbandonarsi a Lui.
Ora fu in grado di volgersi indietro per esaminare la sua vita e
comprendere la trafila dei passaggi di grazia sperimentati: «Ad Eastington
[nella prima esperienza nel Cotswolds] fui portato, mediante l'ascetismo al
quale il nostro stile di vita ci aveva condotto, a rompere col mondo materiale
e a controllare i miei sentimenti e i miei appetiti naturali. Poi nella
dolorosa lotta in preghiera [durante il ritiro] fui portato a rinunciare alla
mia ragione. Ora venivo costretto a rinunciare alla mia volontà... Volevo tener
salda la mia volontà e dirigere la mia vita; ma a questo punto fui costretto ad
arrendermi. Posi la mia vita nelle mani di una forza che mi era infinitamente
superiore e da quel momento seppi che il solo scopo della mia esistenza doveva
essere abbandonarmi in quelle mani e permettere alla mia anima di essere
governata da quella volontà» (158).
Cominciò a leggere, all'inizio solo per curiosità, un'opera di J. H.
Newman, Development of Christian Doctrine, il
forbito prosatore anglicano che si fece cattolico. Grazie a questa lettura
arrivò a comprendere che la Chiesa Cattolica, da lui guardata fino a quel
momento come una realtà estranea alla nazione inglese e un relitto medievale,
era il naturale sviluppo della comunità primitiva apostolica e che il papato
voleva essere la continuità col ministero dell'apostolo Pietro. Persuaso della
solidità della posizione cattolica, non gli restava altro che prendere contatto
con essa. Un prete gli suggerì di trascorrere un periodo di tempo in un
monastero cattolico vicino, ossia nel priorato di Prinknash, nel Gloucester.
Il monastero aveva tutte le caratteristiche per piacere a p. Bede.
Situato all'interno di un paesaggio amabile, offriva una vita regolare molto
semplice e ordinata. «Scoprii quale era stata la vita interna delle cattedrali
e dei monasteri che avevo visitato nel passato. Era una bellezza di tipo
diverso... Non naturale ma soprannaturale» (174). Qui scopre il valore della
preghiera comunitaria, pubblica. Comprende che è stata l'assenza della
preghiera a rendere la vita moderna vuota e priva di significato (175).
Così sente nascere in lui il desiderio di farsi cattolico: «qui era
la pienezza della verità che stavo cercando» (176). Nello stesso tempo matura
l'aspirazione di diventare monaco in quel luogo: «Non era, però, solo la
certezza intellettuale ciò che desideravo; volevo trovare una vita che
soddisfacesse tutto il mio essere, il mio cuore, la mia anima ed il mio corpo,
come pure la mia mente. Mi ci volle un po’ di tempo prima di sentirmene
pienamente convinto. Vidi che la vita era fondata non solo sulla preghiera, ma
anche sul lavoro, ed ebbi l'impressione che il lavoro venisse preso sul serio»
(176).
Fu accolto nella Chiesa Cattolica la vigilia di Natale del 1931,
nella piccola chiesa di Winchombe, situata ai margini del villaggio. «Quando
lessi il Mattutino di Natale, con il grande sermone sull'Incarnazione di S.
Leone, mi resi conto che avevo trovato la voce autentica de cristianesimo e che
nella Messa di quella piccola chiesa ero in comunione con la Chiesa Cattolica
di tutto il mondo e di tutte le epoche» (177).
In un primo tempo pensava di entrare in uno degli Ordini dei
predicatori (francescani o domenicani). Credeva che per seguire Cristo in modo
autentico, dovesse impegnarsi nella predicazione del Vangelo. A Prinknash,
invece, si rese conto che Cristo non la spese la maggior parte della sua vita
nella predicazione, ma nel lavoro e nel silenzio. Anzi, «non fu con la sua opera o con la sua predicazione, ma con il
sacrificio della sua vita sulla croce che Cristo salvò il mondo, ed il monaco
era un uomo chiamato ad offrire la sua vita in sacrificio, giorno per giorno,
nel suo lavoro e nella sua preghiera, in unione con Cristo sulla croce» (179).
Sentì il desiderio di alimentare il dialogo tra il Cristianesimo e
le religioni dell’India e riprese a meditare sui testi sacri dell’Oriente.
Intanto l’atteggiamento del cattolicesimo verso le religioni, stava cambiando
in modo radicale. P. Bede partecipò a questa nuovo fermento (FD 225).
Esprime così le sue convinzioni: «Non c’è nessuno, dall’inizio alla
fine del mondo, che non riceva la grazia da Cristo e che non sia chiamato alla
vita eterna in lui» (FD 228). Qui l’attenzione è ancora posta in prevalenza
sulla situazione dei singoli. Per quanto riguarda le religioni, attesta: «Tutte
le tradizioni religiose contengono alcuni elementi di verità, ma c’è una sola
religione assolutamente vera; tutte le religioni hanno insegnato qualcosa della
via della salvezza, ma c’è una sola Via assoluta. Cristo è la Via, la Verità e
la Vita, e senza di Lui nessun uomo viene al Padre» (FD 228). Altrettanto
convinta era la sua adesione alla Chiesa: «La Chiesa, con la sua gerarchia ed i
suoi sacramenti, è la sola base capace di unire l’umanità, perché questa Chiesa
visibile e gerarchica costituisce il Corpo mistico di Cristo sulla terra» (FD
229).
Trasferimento in India
P. Bede cessa il racconto autobiografico
nell’atto della sua adesione al Cattolicesimo e l'ultima parte è dedicata ad
illustrare i pensieri che sono maturati in lui vivendo l'esperienza monastica.
Per conoscere il seguito della sua vita,
dobbiamo fare riferimento alla prima parte della sua opera Matrimonio tra
Oriente e Occidente (MO
15-51).
Espone lui stesso i fatti che gli capitarono: «Quando scrissi La
catena d’oro [The golden string, 1954] per raccontre la storia della mia ricerca di Dio, ricerca
che mi condusse alla chiesa cattolica e a un monastero benedettino, pensavo di
aver concluso il mio viaggio, almeno per quanto concerne la vita di questo
mondo. Ma, proprio mentre scrivevo La catena d'oro, stava per incominciare un nuovo periodo, che avrebbe portato nella
mia vita cambiamenti profondi, almeno quanto quelli di prima…. Tutto questo lo
scoprii durante un incontro con un monaco benedettino indiano, che in quel
periodo si dava da fare per iniziare una fondazione monastica in India. Erano
anni ormai che studiavo il vedanta ed avevo incominciato ad intuire la sua
importanza per la chiesa e per il mondo» (MO 15).
Dopo un primo tentativo a Bangalore (1955),
il progetto cominciò ad attuarsi nel 1958, quando collaborò con
un altro monaco per fondare un monastero a Kurisumala (in Kerala). Cominciò,
soprattutto, a vivere cambiamenti profondi: «Avevo capito che era necessario
cambiare il nostro stile di vita, se desideravamo entrare nel profondo dell'autentica
cultura indiana. Allora adottammo il kavi,
l'abito sacro del sannyasi, colui che rinuncia
ai mondo per ricercare Dio e che in India corrisponde a ciò che noi
identifichiamo col monaco. Cominciammo anche a seguire le ordinane abitudini dei
sannyasyn: andare scalzi, sedere per terra sia
durante le preghiere che durante i pasti, mangiare con le mani e dormire su una
stuoia. Così ci avvicinammo di più alla condizione dell'indiano povero» (MO
25).
Tempo dopo, nel 1968, ricevette la
richiesta di trasferirsi nel Tamil Nadu, nell’eremo di Shantivanam fondato nel
1950 da due religiosi francesi, J. Monchanin e Henry Le Saux. Monchanin morì
poco dopo la fondazione (1957). Le Saux, desiderando andare a vivere come
eremita nell’Himalaya, chiese a p. Bede di prendersi cura della nuova
costruzione monastica. Acconsentì e vi rimase fedelmente fino alla morte
avvenuta nel 1993.
Perché si recò in India? Per trovare il
buon tempo antico, come aveva fatto da giovane quando si rifugiò nel Costwold.
Allora, opponendosi alla rivoluzione industriale, voleva indicare una via
alternativa. Con altri amici, precorse i tempi ed avviò un ripensamento critico
a cui si aggregarono poi molti altri (MO 46). Ora vuole stabilire in India un
segno per favorire il sorgere di un nuovo orientamento di carattere ecumenico.
In pratica intende:
1. «Cercare la dimensione contemplativa
dell’esistenza umana… la mente dell’est è aperta non solo all’uomo e alla
natura, ma anche a quella potenza nascosta che pervade uomo e natura e rivela,
a colori che sono in sintonia, il senso reale della vita umana» (MO 18).
2. Favorire il dialogo fra
le religioni (MO 31-32) e superare la mentalità esclusivista, a motivo della
quale non soltanto ognuno pensa che la propria religione sia vera, ma ritiene
che l’altra sia del tutto falsa (MO 29).
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