IL TEMPO LINEARE NEL GIUDAISMO
Il pensiero sul tempo, coltivato da Israele, è di altro genere e vale come presupposto della concezione cristiana, essendo di impostazione lineare. Si tratta della prospettiva messianica che, com'è noto, non appartiene alla tradizione culturale greco-romana. Non fa eccezione neppure il canto virgiliano sulla restaurazione dei saturnia regna, dove il discusso accenno alla nova progenies che viene dall'alto del cielo (denominata puer), se non è una metafora del tempo che ricomincia il suo ciclo, si riferisce verosimilmente al figlio (ma sarebbe poi stata una figlia) che Marco Antonio avrebbe generato con Ottavia, sorella di Ottaviano, dopo il patto di Brindisi stipulato tra i due triumviri nel 40 a.C. e che, suggellato da quel matrimonio. Si pensava avrebbe posto fine a ogni controversia riportando Roma all'età dell'oro. Benché dopo il IV secolo si sia cercato di dare una lettura cristiana di quei versi, la distanza dalla concezione messianica si conferma, se non altro, con l’idea di un ritorno indietro alla protologia (si vedano i verbi redit, redeunt) che sostituisce quella ebraica di una prospettiva escatologica.
1. II messianismo
Fenomeno sostanzialmente interno al giudaismo, il messianismo esprime la speranza in un futuro radioso per il popolo d'Israele, e non solo, orientato verso «nuovi cieli e nuova terra» (Is 65,17; 66,22; ripreso in 2Pt 3,13; Ap 21,1) con l'intervento mediatore di un personaggio inteso come ultimo rappresentante e luogotenente di Dio. Per la verità, nell' Israele antico esisteva un messianismo senza Messia, secondo cui alla fine dei tempi sarebbe intervenuto Dio stesso a operare in prima persona la redenzione completa di Israele, oltre che del cosmo intero. Il concetto profetico di «giorno del Signore» (Am 5.18-20; GI 2,1.1 1; 3,4; Abd 15; Sof 1,7. 14-1 8; 2,2-3: Zc 14,1; Mi 3,23) esprime appunto l'attesa di questo intervento divino per la purificazione di Israele (Is 4,4-5) e l'instaurazione di una novità cosmica. Tuttavia, recuperando l'idea della svolta operata da David nella storia del popolo di Israele, prese sempre più corpo l'idea di un personaggio caratterizzato con i tratti regali di un discendente di quel re, che era stato il primo ad essere unto come tale. La nostalgia della monarchia portò anche dopo l'esilio babilonese a parlare dell'Unto per eccellenza (detto in ebraico māšîah), sia decantando Betlemme come luogo di provenienza di «colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1), sia come colui che «ricostruirà il tempio del Signore» (Zc 6,12), secondo un preciso riferimento storico a Zorobabele.
Si impose cosi come tipica e fondamentale la figura di un Davidide e, quindi, di un re, che già Isaia qualifica chiararmente come «germoglio di Iesse» s 11,1), e Geremia come un germoglio giusto per Davide un discendente che sieda sul trono della casa d'Israele («Rialzerò la capanna di Davide» (Amos 9,11).
Ma spetterà a una tradizione letteraria posteriore sviluppare questa tematica. Così gli apocrifi Salmi di Salomone (metà del I secolo designeranno esplicitamente questo germoglio di Davide» (17,2la), oltre che come «servo» e «unto del Signore. La necessità di un personaggio del genere, benché emersa in epoca tarda, era ritenuta doverosa e inevitabile, sia perché la dinastia degli Asmonei aveva instaurato una monarchia irregolare, non essendo essi discendenti di Davide, sia perché a Gerusalemme nel 63 a.C. era entrato come conquistatore il romano/pagano Pompeo che aveva persino profanato il Tempio.
Pur tralasciando le varie figure di "rivoluzionari" aspiranti alla regalità, sorte tra il I secolo aC. e il I secolo d.C., ancora la rabbinica Preghiera delle diciotto benedizioni alla quindicesima benedizione invoca Yhwh perché restauri presto il regno di Davide. Tuttavia, nel pensiero ebraico del periodo persiano cioè nel periodo compreso tra Ciro il Grande e Alessandro Magno, cominciarono ad apparire altri tipi di figure, per cosi dire anch'esse messianiche, caratterizzate da inediti tratti superumani e comunque sganciate dalla discendenza davidica. Queste figure sono essenzialmente cinque.
- Un profeta escatologico, identificabile sia con Elia che era stato rapito in cielo, sia con Mosè (con il suo preannuncio in Dt 18,15.18, riecheggiato a Qumran in 4QTestim 5-8).
- II patriarca pre-diluviano Enoc, anche lui sottratto alla morte (Gen 5,24) e diventato figura centrale di un'ampia letteratura apocrifa detta appunto "enochica"14.
- Il sacerdote Melchisedeq (Gen 14,17-24; Sal 110,4), il quale, presente nei manoscritti di Qumran (11QMelch; 4QFlor 1,10-13), dà corpo a una sorta di inedito messianismo sacerdotalele, contrapposto al deprecato sommo sacerdozio del tempo.
- I Figlio dell'uomo annunciato in Dn e poi ampiamente presente nel cosiddetto Libro dell'apocrifo l Enoc 37-71 17, -A parte va pure elencata almeno la figura dell'isaiano Servo sofferente (Is 52,13-53,12), il cui impatto però è piuttosto problematico.
In ogni caso, al tempo di Gesù è ben attestata una speranza messianica dalle forti connotazioni nazionali politico-terrenistiche, con una loro realizzazione tanto storica quanto escatologica. Ed è una prospettiva che si trova attestata persino nel giudaismo ellenistico e precisamente in Filone Alessandrino, sia pure raramente, in un paio di testi da considerarsi messianici. Un dato è sufficientemente chiaro e importante ai nostri fini, ed è che secondo il mainstream judaism al volgere dell'era il Messia, non certo quello regale, non è destinato alla sofferenza. In Israele, com'è noto, la fede yahwistica favori lo sviluppo di una concezione del tempo e della storia che ha certamente delle connotazioni originali rispetto alla tradizione culturale greca, almneno al momento in cui dopo l'esilio babilonese la rilessione in materia diventa più matura e organica. Possiamo vedere questa originalità caratterizzata da tre componenti, diverse ma integrantisi a vicenda, che richiamo in modo sommario. La prima è che Dio stesso conducemgli avvenimenti secondo un proprio piano che, per quanto insondabile per l'intelligenza umana, non è perciò meno affidabile, distinguendosi comunque da chi ritiene che «il tempo è come un bambino che gioca lanciando i dadi» (Eraclito, Frammento 52); da questo di vista, la storiografia ebraica intende non tanto sottrarre all'oblio le cose degne di memoria quanto piuttosto leggere nella successione degli avvenimenti un senso, dato dalla presenza della mano di Dio che di volta in volta avvia, protegge, punisce o ricompensa, il suo popolo.
La seconda componente consiste in una vịsione o concezione della storia in cui vengono compresi anche tutti i popoli, gentili inclusi, sia pur facendo perno su Israele stesso; in questo caso, l'universalità dell'orizzonte storico può prendere due forme: o partire dalle origini comuni a tutti e, quindi, dall'inizio stesso dell'umanità, in pratica dalla creazione; o proiettarsi su di una conclusione definitiva in cui tutti sono in qualche modo coinvolti. Questa in effetti è la terza componente caratteristica da mettere in in luce: lo sbocco escatologico del tempo; il divenire storico non non è un ápeiron indefinito; al contrario, cè nel futuro un Signore» che, se da una parte metterà fine al presente stato di cose negativo, dall'altra inaugurerà la fase di una nuova creazione in cui non ci saranno più né lacrime né lutto e il Signoresarà tutto in tutti. In questa prospettiva, il mito dell'età dell'oro viene capovolto e, se non viene inteso come il ripristino di una precedente condizione primordiale, è certamente preconizzato come una novità inedita a cui l'uomo è destinato (nonostante la provocatoria negazione di Qo 1,9: «Non c'è nulla di nuovo sotto il sole»). Elementi di queste tre caratteristiche si trovano certamente sparsi nel profetismo classico (cfr. rispettivamente, Is 46,10; 66,18-19; Am 5, 18-20).
2. La letteratura apocalittica
Ma è soprattutto nella successiva letteratura apocalittica che queste tre caratteristiche trionfano e vengono apertamente tematizzate. In particolare, gli studiosi del genere apocalittico sottolineano l'emergere di una netta periodizzazione della storia, la cui peculiarità però non va vista tanto nella suddivisione del tempo secondo la successione di regni o di settimane di anni (cfr. Dn 2 e il sogno della statua dai piedi d'argilla) quanto piuttosto nel ferreo determinismo che la contraddistingue: «La storia appare già scritta tutta da Dio all' inizio del tempo [...1. La periodizzazione è lo strumento più chiaro per esprimere il determinismo: ogni epo ca ha la sua caratteristica cheè quella voluta da Dio: in ogni caso però la storia procede sempre nella stessa direzione» (P. Sacchi).
Tutto tende verso un ultimo giudizio divino, che non solo rinnoverà l'umanità purificandola dai malvagi, ma coinciderà anche con un rinnovamento del cosmo intero. L’apocalittica però, o meglio una parte di essa, è connotata anche da un'altra caratteristica, che è molto interessante per la comprensione del pensiero paolino. In alcuni filoni di questa letteratura, infatti assistiamo a una parziale svalutazione della Legge, che, se ci sorprende, ci rivela anche quanto complesso fosse il giudaismo delle origini cristiane. Facciamo qualche breve esempio.
Nel fondamentale apocrifo Enoc etiopico (o 1 Enoc), il Sinai e la legge di Mosè non sono la fonte ultima e più autorevole della rivelazione; questa invece rimonta al pre-diluviano Enoc e semmai coincide con la primordiale legge di natura: evidentemente questa è più antica e valida non solo per Israele ma per tutta l'umanità". In particolare, nel Libro dei Sogni (l Enoc 83-90, del II secolo a.C.), che pur descrive ampiamente la storia dell'esodo, compresa l'ascesa di Mosè al Sinai, sorprendentemente non si fa nessun cenno all'alleanza ivi stipulata e, quindi, a una teologia del patto basata sulla legge mosaica; infatti, il dilagare del male nel mondo ha di fatto privato Israele di qualsiasi superiorità nei confronti degli altri popoli: del male il popolo eletto è vittima al pari degli altri. Nel Libro dei Giubilei è vero che il racconto culmina con l' ascesa di Mosè al Sinai, ma chi parla per dare le leggi non è Mosè bensi un angelo. In Oracoli sibillini 3 si parla della Legge come se fosse quella di natura e si omettono le tipiche prescrizioni giudaiche sulla circoncisione e sugli alimenti; a tutti gli uomini è un appello alla conversione (3,624-634), e in particolare alla Grecia (3,740) perché anch'essa possa avere parte alla salvezza escatologica degli eletti. Anche i Testamenti dei dodici patriarchi oftrono spunti interessanti: da una parte, si parla dell'apparizione escatologica di Dio sulla terra non solo «per salvare la stirpe di Israele, e per raccogliere i giusti di fra le genti» (Testamento Neftali 8,3), ma addirittura per convincere «di colpa Israele per mezzo degli eletti fra i pagani» (Testamento Beniamino 10,10); dall'altra, viene prospettata la figura di un sacerdote escatologico che «aprirà le porte del paradiso e devierà la spada puntata contro Adamo» (Testamento Levi 18,10). dove il richiamo ad Adamo rappresenta un evidente superamento della prospettiva israelocentrica e un aggancio alle origini dell'intera umanità. Infine, sappiamo che nella comunità di Qumran la sola osservanza della Legge non è ritenuta sufficiente per la giustificazione, essendo ancor più necessaria l'appartenenza alla comunità stessa, che si autocomprende come della nuova alleanza (1QS 2,25-3,12).
Romano Penna
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