I fratelli di Giuseppe annunciano al padre Giacobbe la falsa morte di Giuseppe |
Questo racconto dimostra ampiamente che i conflitti passano da una generazione ali'altra. Così, da un lato, nel ruolo paterno di Giacobbe si riflette la sua precedente relazione con Isacco e, dall'altro, nei suoi figli si riflette una rivalità paragonabile a quella fra lui e il fratello gemello. Ora Giacobbe rivive con i suoi figli ciò che ha fatto a Isacco, anche attraverso il suo conflitto con Esaù.
Ciò significa che ogni generazione deve ricominciare l'opera della riconciliazione. I figli di Giacobbe non possono profittare semplicemente dell'esperienza del loro padre, il quale, d'altra parte, in Gen 37 sembra ripetere in forma aggravata gli errori dei suoi genitori.
Diversamente da quanto era avvenuto in Gen 25-33, nella storia di Giuseppe si parla esplicitamente e ripetutamente di colpa e si intavolano a volte lunghi dialoghi al riguardo. Essa consente quindi una maggiore comprensione del processo mediante il quale si elaborano le colpe passate. Qui intendiamo descrivere brevemente le varie fasi.
La grave colpa della vendita del fratello come schiavo a mercanti stranieri (37,28) non è un fulmine a ciel sereno. È preceduta da errori e mancanze da parte di tutti i mèmbri della famiglia.
Questi errori e mancanze cominciano già durante la giovinezza di Giuseppe. Quando ha appena diciassette anni, egli riporta al padre certi malevoli pettegolezzi che circolano sui suoi fratellastri (v. 2). Apparentemente non si rende conto del loro odio e dell'interruzione della comunicazione (v. 4) e aggrava la situazione raccontando sogni che sottolineano la sua superiorità su di loro e accrescono ulteriormente il loro rifiuto (vv. 5-11). Nel v. 13, all'ordine paterno risponde «Eccomi!», ma nel v. 14 Giacobbe deve ripeterglielo. Giuseppe è un giovane viziato, presuntuoso.
Il maggior responsabile è certamente il padre. Giacobbe lo predilige e lo dimostra mediante un segno speciale, visibile: la tunica dalle lunghe maniche (v. 3). Benché le preferenze nella sua vita passata abbiano ripetutamente causato grandi sofferenze, Giacobbe continua a comportarsi allo stesso modo e divide così la famiglia.
Le prime reazioni dei fratelli di Giuseppe sono comprensibili, ma aggravano ulteriormente il conflitto. Il «non potevano parlargli amichevolmente» (v. 4) è l'inizio di un allontanamento che porta ad architettare l'uccisione del fratello (vv. 18-20) e a etichettarlo sprezzantemente come «sognatore». Nel v. 21s, la protesta di Ruben li induce a rinunciare al loro proposito omicida e ad accontentarsi di spogliarlo e privarlo della sua libertà; nel v. 26s, Giuda motiva la vendita di Giuseppe, invece della sua soppressione fisica, con il termine «guadagno» e con l'espressione «nostro fratello».
Il modo in cui viene informato il padre nei vv. 31-35 presenta dei parallelismi con Gen 27. Anche in questo caso si perpetra l'inganno mediante un capo di vestiario e si parla di capre. Là Isacco era cieco, qui Giacobbe non vede ciò che è successo, per cui subisce la stessa sorte del padre.
2. LA MATURAZIONE DI GIUSEPPE: GEN 39-41
Ognuno di questi tre capitoli riprende un elemento della colpa di Giuseppe descritta in Gen 37 e lo capovolge. Le esperienze della dipendenza, della vita in terra straniera e della prigionia permettono a Giuseppe di maturare e diventare, con l'aiuto di Dio un uomo retto e onesto.
Giuseppe che aveva calunniato i suoi fratelli viene ora calunniato dalla moglie di Potifar in 39,14s.l7s. La sua insensibilità verso i fratelli quando raccontava loro i suoi sogni è corretta in carcere dalla sua premurosa attenzione alla situazione degli altri (40,6s).
Il ritardo con cui risponde all'ordine paterno viene ora sperimentato personalmente: il coppiere graziato dal faraone si dimentica di Giuseppe e della sua richiesta per due anni (40,14s con 40,23-41,1). Inoltre, per quanto riguarda Patteggiamento inferiore, in Gen 41 la tergiversazione di fronte all'ordine del padre viene completamente capovolta. Ora Giuseppe elabora piani e prende iniziative per far fronte alla futura carestia (a partire dal v. 33) ed esegue immediatamente gli ordini del faraone.
I capitoli 39-41 mostrano un Giuseppe profondamente cambiato. Per tredici anni è sopravvissuto, con l'aiuto di Dio, alle dure esperienze dell'ingiustizia ed è diventato così una figura chiave per la sopravvivenza di un grande popolo. A causa delle sue colpe passate ha patito oltre misura, ma ora la sua colpa è più che «espiata»; ora la sua sofferenza può portare frutti per altri.
3. LA TRASFORMAZIONE DI GIUDA: GEN 38 E 42-44
II capitolo 38, ritenuto a volte estraneo alla storia di Giuseppe, ne fa necessariamente parte sia per i richiami sia per lo sviluppo dei personaggi. Solo così si può comprendere il cambiamento intervenuto in Giuda fra la sua proposta di vendere il fratello (Gen 37) e il suo impegno a favore della famiglia (a partire dal cap. 43). In Gen 38 la famiglia di Giuda si sfascia. Muoiono due dei suoi tre figli e lo scaltro e audace coinvolgimento della nuora Tamar mette in luce la sua doppia morale. Essa lo induce a ritirare la sua condanna a morte e a riconoscere: «Lei è nel giusto, io no».5 Una donna aiuta Giuda a rendersi conto del suo crimine e avvia così quel cambiamento che sarà decisivo per la successiva riunificazione della famiglia.
Il duro trattamento riservato ai fratelli da Giuseppe, che non si fa riconoscere, in occasione del loro primo viaggio ripropone e rilancia il loro precedente crimine. In 42,21 i fratelli si ricordano della sofferenza di Giuseppe e confessano la loro colpa.
Il secondo viaggio viene differito, poiché Giacobbe non vuole accettare la condizione posta da Giuseppe, quella di inviare insieme a loro Beniamino. Solo l'intervento personale di Giuda, in 43,8-10 può indurre il padre qui chiamato «Israele» ad accettare.
Ricerca della coppa rubata |
Alla nuova offerta (v. 17) di tornarsene in pace dal loro padre senza Beniamino, Giuda risponde con un'appassionata perorazione, il discorso più lungo di tutta la Genesi (vv. 18-24). Egli è profondamente scosso al pensiero del padre, al quale vuole risparmiare un ulteriore dolore, e si offre schiavo al posto del fratello più giovane.
In una situazione assolutamente parallela a quella di Gen 37 Giuda si comporta in un modo del tutto diverso. Invece di vendere il fratello e lasciare che finisca schiavo in terra straniera, supplica di poter prendere il posto del fratello e restare personalmente in terra straniera.
L'aspetto più commovente è l'immedesimazione di Giuda nel pensiero del padre. Si spinge fino al punto da ricordare e accettare il suo amore preferenziale per Beniamino, che è stato, e continua ad essere per lui fonte di sofferenza. In questo Giuda rappresenta i fratelli. Nelle sue parole e nella sua condotta si riflette chiaramente il cambiamento intervenuto in ciascuno di loro.
Non solo Giuseppe, ma anche Giuda e i fratelli sono cambiati. L'allontanamento di Giuseppe, il «colpevole», in Gen 37 non ha migliorato la situazione famigliare, ma ha unicamente aggravato la tristezza del padre. Le sofferenze ed esperienze personali inducono i fratelli ad affrontare la loro colpa passata e a cercare il fratello perduto-venduto.
4. LA FAMIGLIA RIUNITA: GEN 45-47
Di fronte a tanta abnegazione da parte del fratello, Giuseppe non riesce più a sostenere il doppio gioco. Finora, senza farsi conoscere egli ha da un lato posto i fratelli in situazioni atte a far ricordare loro la colpa passata e, dall'altro, dimostrato la sua sollecitudine verso di loro con piccoli segni, come l'invito a tavola, la restituzione del danaro ecc. La sua lacerazione inferiore è chiaramente evidenziata dalle lacrime versate di nascosto (42,24; 43,30).
L'intervento di Giuda a favore del padre e di Beniamino fa crollare la facciata. Non essendo più in grado di controllare le proprie emozioni, Giuseppe si fa riconoscere, chiedendo al tempo stesso notizie del padre (45,3) e cercando di tranquillizzare i fratelli spaventati (v. 5), il che dimostra che Giuseppe non serba loro alcun rancore per la colpa passata. Il nuovo atteggiamento di Giuda ha riconquistato il fratello venduto. La maturazione di Giuseppe, ottenuta attraverso la sofferenza, affiora ripetutamente. Egli interpreta il suo destino come missione di Dio; la triplice ripetizione (vv. 5.7s) accentua questa visione del suo cammino. Al tempo stesso egli sottolinea il senso nascosto della sua sofferenza nel piano di Dio, il quale in tal modo vuole conservare e salvare la vita (v. 7). Il poter vedere e accettare il suo destino in questo modo facilita notevolmente la riconciliazione.
Inoltre Giuseppe accetta di prendersi cura della famiglia allargata in questo particolare periodo di carestia e di fame. L'ordine di affrettarsi ad andare a prendere il padre (vv. 9.13) inquadra questa parte e dimostra sia il suo ardente desiderio di rivedere il padre, sia la sua volontà di migliorare il più celermente possibile le sue condizioni di vita.
Infine, i gesti e le parole (v. 14s) esprimono il ristabilimento della familiarità e della comunicazione fra i fratelli, che si erano interrotte in 37,4.
Ciò che accade in 45,1-15 è un vero concentrato di elementi di riconciliazione: la riacquisizione del fratello, l'assenza di rancore da parte sua, la concreta sollecitudine per il sostentamento di tutti, i gesti di fraterna intimità. Al centro, e certamente alla base di tutto questo sta l'interpretazione dell'esperienza di Giuseppe come missione ricevuta da Dio. Essa sostiene tutto ciò che accade e apre la
strada verso un futuro comune. Gen 46 descrive la riunione dell'in-tera famiglia. L'incontro con Giuseppe realizza il sogno che era per Giacobbe la ragione stessa della sua vita (46,30). Qui, con il nome Israele egli vede realizzato non solo il suo più ardente desiderio, ma anche un incontro accogliente («visione del volto») analogo al suo precedente incontro con Esaù (33,10).
Anche il gettarsi al collo senza dire nulla e il pianto nel versetto precedente (46,29) riecheggiano la storia passata. Ora la colpa del padre - la sua preferenza per Giuseppe - ha trovato il suo lieto fine. Gli oltre vent'anni di separazione dal figlio prediletto hanno costretto anche Giacobbe a percorrere la via del dolore, nel suo caso già per la seconda volta.
5. IL COMPIMENTO DELLA RICONCILIAZIONE:
GEN 48-50
I capitoli 48 e 49 della Genesi hanno apparentemente ben poco a che vedere con il nostro tema. Ma hanno una relazione con i precedenti gravi conflitti di Gen 21 e 27. Nel primo caso l'egiziana Hagar viene cacciata insieme al figlio dalla famiglia di Abramo; nel secondo caso, a causa della sua intenzione di benedire, segretamente e contro l'oracolo di Dio (25,23), il solo Esaù, Isacco ha avviato la rovina delle relazioni familiari.
In questa situazione il comportamento di Giacobbe in Gen 48s significa conversione e compensazione. Egli adotta Manasse e Efraim, figli dell'egiziana Asenat (48,5) e impartisce a entrambi la benedizione, nonostante la predilezione (vv. 14-20). Questo cancella, a tre generazioni di distanza da Gen 21, la passata ingiustizia.
La benedizione di tutti i figli viene ripetuta poi in Gen 49 per i suoi figli. Anche lì appaiono delle differenze a livello sia di contenuto delle promesse, sia di lunghezza delle stesse, ma tutti ottengono una promessa del padre. Ancora una volta Giacobbe rovescia un
atteggiamento di un predecessore, in questo caso la benedizione di suo padre Isacco che voleva privilegiare una sola parte (Gen 27). E come se cercasse di espiare anche l'ingiustizia delle precedenti generazioni e propiziare così la riconciliazione.
In Gen 50 si descrive anzitutto (vv. 1-14) la sepoltura di Gia-cobbe da parte di tutti i suoi figli, segno della ritrovata unità della famiglia (cf. 35,29). Ma la morte del padre suscita nei fratellli il timore di una vendetta da parte di Giuseppe (v. 15; cf. 27,41), il che significa che in 45,1-15 non tutto è risolto.
Il tema scottante della loro colpa viene trattato con estrema sensibilità. Nel v. 16 i fratelli inviano un messaggio a Giuseppe per ricordargli un ordine impartito dal padre prima di morire. Così, in forma doppiamente indiretta, gli ricordano le parole del padre (v. 17):
«Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male! Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!».
Qui la novità rispetto a Gen 44s consiste nella menzione della loro colpa e nella richiesta di poterla portare. La cosa viene ripetuta ed espressa con la stessa parola-immagine usata da Caino in 4,13. Colpisce, inoltre, l'espressione unica nel suo genere: «servi del Dio di tuo padre». Da un lato, l'espressione menziona due autorità (Dio e il padre) e i fratelli sperano che Giuseppe le rispetti, dall'altro essa designa lo stesso Giuseppe, evidenziando così una comunanza con i suoi fratelli.
Di fronte alle lacrime di Giuseppe, che piange per la settima e ultima volta, i fratelli osano (v. 18) gettarsi a terra davanti a lui -nuovo e ultimo parallelismo con le affermazioni dei sogni (37,7.9) -e accompagnare il loro gesto con la dichiarazione: «Eccoci tuoi schiavi!». Così si dicono disposti ad addossarsi la responsabilità di ciò che gli hanno fatto, il che equivale a una sorta di espiazione.
Ma nel v. 19 Giuseppe li libera da ogni timore. Come già fece suo padre in 30,2, egli rifiuta la loro proposta, dicendo: «Sono io forse al posto di Dio?». I fratelli non devono essere schiavi gli uni degli altri.
Il v. 20 è stato scelto come motto da preporre a questa parte.
Esso condensa il succo della storia di Giuseppe. In questo versetto Giuseppe approfondisce l'interpretazione teologica di 45,5-8, attribuendo a Dio persino il potere di trasformare in bene il male programmato dagli uomini. Chi ha questa fede è riconciliato.
Concludendo, nel v. 21 Giuseppe ripete la richiesta di non temere del v. 19; questi due imperativi incorniciano per così dire le due affermazioni interne su Dio. Per l'uomo che pensa in questo modo il timore della vendetta è assolutamente immotivato. L'inco-raggiamento di Giuseppe (cf. 45,11) e le sue cordiali parole di consolazione cancellano definitivamente le passate tensioni.
G. Fischer
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