“Condotti per mano
da Dio…”
Guida al libro dell’Esodo
Introduzione
Come si sviluppa il racconto dell’Esodo? È la narrazione che
illustra in che modo Dio stabilisca il suo regno fra gli uomini. Come primo
atto, conduce fuori dalla schiavitù un popolo oppresso, costretto a vivere in
condizioni disumane. Per fare questo, combatte contro le divinità oppressive
dell’Egitto, che sostengono il dominio tirannico di Faraone. La lotta si
intensifica nel dispiegamento dei dieci segni o piaghe, fino al segno culminante del passaggio del mare. Tutta la
vicenda dimostra come soltanto Dio regni ed attesta che il suo regno crea libertà.
Il popolo, ormai liberato, s’inoltra nel deserto per
raggiungere la terra promessa. In questo vicenda, sperimenta come Dio rimanga
sempre un liberatore e un protettore. Israele viene soccorso nei suoi bisogni
primari e difeso dal nemico che intende annientarlo. In questo modo impara a
fidarsi di Dio e la traversata del deserto si tramuta in una scuola di
apprendimento del servizio divino.
Giunto alle falde del Sinai, il popolo viandante riceve il
dono massimo, quello dell’Alleanza, fondata sull’osservanza della Legge. Dio,
che può esigere la fiducia di Israele per ciò che si è rivelato, chiede l’obbedienza
alla sua volontà. Egli solo deve regnare perché Egli solo esercita un dominio
liberatore. Lo strumento del suo regno sarà l’obbedienza alla Legge, una
legislazione che si propone di creare rettitudine e solidarietà tra gli uomini.
Osservando la legge, il popolo conoscerà che l’evento della liberazione si perpetua
nel tempo, in ogni epoca.
Oltre alla Legge, viene posto un altro segno del regno di
Dio: il santuario. Esso è un segno della sua vicinanza; attorno ad esso, si
radunerà l’assemblea per celebrare la sovranità del Signore, per riascoltare la
sua Parola e sperimentare il suo aiuto.
L’edificazione del santuario viene interrotta dal peccato
compiuto dall’intero popolo il quale, per quanto sta in lui, non esita ad
incrinare il patto, appena stipulato. Proprio questo fatto drammatico diventa
l’occasione per scoprire il volto più sorprendente del Signore. Egli non
abbandona il suo popolo, ma lo perdona e sebbene venga affermato con forza che
il peccato non possa accordarsi con la santità di Dio, Egli continua a restare
insieme con i trasgressori. Il santuario, infine, viene edificato e Dio assicura
la sua presenza in esso ma è un santuario mobile. Il Signore è in cammino, accompagna
il popolo lungo il deserto ma soprattutto lungo la storia, in un viaggio in cui
la libertà deve essere sempre riconquistata e riaffermata.
Il capitolo presenta la triste condizione in cui versa il
popolo d'Israele in Egitto. Dopo il periodo lieto vissuto quando Giuseppe
governava, ora la situazione è assai deteriorata. L'Egitto sente come una
minaccia la presenza di un popolo straniero nel suo territorio, una paura
immotivata. A questo punto, gli ebrei, temuti come potenziali nemici, vengono
costretti ai lavori forzati. Si cerca perfino di annientarli, regolandone le
nascite in modo violento. Sospetti ingiusti, sopraffazioni, paure dense di
rancore da sempre sono in agguato ovunque e deturpano le civiltà che si
susseguono.
Così è tornato a prevalere il caos e il dominio della
tenebra. È necessaria, allora. una nuova creazione. Dio però sembra assente,
dimentico dei discendenti dei patriarchi, ai quali aveva promesso che avrebbero
potuto contare su una numerosa discendenza in una terra prospera. In realtà Dio
è già in azione, pur senza mostrarsi in modo palese. Lo rivela il fatto stesso della fecondità del suo
popolo, che dimostra l'avverarsi di una delle promesse fatte ad Abramo. In
silenzio il Signore agisce nelle coscienze degli uomini retti. Sue
collaboratrici sono sopratutto delle donne, le persone considerate
insignificanti nella cultura del tempo. S’avvia il conflitto tra Dio e gli dèi
dell’Egitto, tra Dio e Faraone. In ogni tenebra, s’accende un filo di luce e di
speranza.
Una nuova creazione
Questi sono i nomi...
ricorda “queste sono le generazioni”, l'espressione biblica che apre una
genealogia (Gen 2,4; 5,1; 6,9; 10,1). Anche ora si apre una genealogia,
assistiamo, cioè all'origine di un nuovo popolo, il popolo di Dio. Si conclude
una storia di famiglia (quella dei Patriarchi), narrata in precedenza nel libro
della Genesi, e inizia quella di un’intera nazione. L'Esodo racconta la genesi
del popolo del Signore. L’enumerazione di tutte le dodici tribù attesta che
Israele, nella sua interezza, è partecipe del dono della liberazione; si tratta
di un rilievo teologico più che storico. La narrazione si pone come un
paradigma di fede per ogni israelita, anzi per ogni uomo (settanta è il numero dei popoli, cf. Gen 10), poiché Dio
vuole liberare ogni uomo che vive nel disagio.
I verbi prolificare (v.7), brulicare rinviano al
linguaggio usato nel racconto della creazione (Gen 1,20-22.24): ora, infatti,
ne avviene una nuova, quella di un popolo. La circostanza rievoca le promesse
ai patriarchi: Dio, che ha già mantenuto la promessa della fecondità (Gen
15,5), ora s'accinge a portare a compimento quella della terra (Gen 13,15).
Capitolo 1 [1]Questi sono i nomi dei figli d'Israele entrati in Egitto con Giacobbe e arrivati ognuno con la sua famiglia: [2]Ruben, Simeone, Levi e Giuda, [3]Issacar, Zàbulon e Beniamino, [4]Dan e Nèftali, Gad e Aser. [5]Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava gia in Egitto. [6]Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. [7]I figli d'Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno.
Gli Israeliti non appartengono all'Egitto: sono entrati e
vi potranno uscire. Ogni israelita deve sentirsi amato dal Signore come lo
furono quelli che uscirono dalla schiavitù e applicare a sé, ciò che Egli ha
compiuto per la folla: «Sono io quel servo, Signore, al quale hai spezzato le
catene» (Salmo 116, 7).
La solidarietà di Dio, però, raggiunge tutti gli uomini e
la vicenda d’Israele manifesta l’unico amore divino che opera in modo discreto
in ogni vicenda umana di liberazione. Lo attesta un passo del profeta Amos:
«Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da
Caftor e gli Aramei da Kir?» (Am 9,7).
La missione di Gesù viene presentata nel Vangelo come un
nuovo esodo e Gesù come un nuovo Mosè. Istituendo i Dodici (Cf. Mc 3,14 Ap
21,14), in modo analogo al numero dei capitribù d'Israele, intende rifondare il
popolo di Dio per compiere con esso un nuovo e definitivo cammino di
liberazione: «Gesù Cristo ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio, secondo la volontà di Dio
e Padre nostro» (Gal 1,4; cf Es 6,6 (LXX)). San Paolo considererà un dono
personale la redenzione operata da Gesù per tutti (Gal 2,20).
Il passo c’invita a cogliere l'azione amorevole di Dio
nella nostra vita: Egli agisce, in via normale, concedendo i beni normali
dell’esistenza, senza uscire dal suo silenzio. Ama manifestarsi e, nello stesso
tempo, nascondersi nei suoi doni innumerevoli. La fede ci dovrebbe renderci
capaci di cogliere i doni innumerevoli disseminati da Dio nella nostra vita, in
qualsiasi situazione. Un esempio lo possiamo scorgere nel dono del cibo: «Non
ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal
cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la
letizia dei vostri cuori» (At 14,17).
L’oppressione
Quanto più opprimevano il popolo, tanto più si
moltiplicava e cresceva oltre misura: la
continua proliferazione del popolo, segno della grazia di Dio operante nel
segreto, denuncia il fallimento del progetto di Faraone. Ben lontano dalla
politica sapiente attuata da Giuseppe, pensa che lo straniero non sia un aiuto
ma una minaccia. Inoltre confida
in una sapienza profana che vuole
sostituirsi a Dio (facciamoci astuti...) ma l'astuzia è ben diversa dalla sapienza (Sal 33,10-11).
[8]Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. [9]E disse al suo popolo: “Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. [10]Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese”. [11]Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. [12]Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d'Israele. [13]Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele trattandoli duramente. [14]Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
La politica di Faraone ricorda quella che condurrà
Salomone (1 Re 9,15-22). L'oppressione, però, fu condannata all'interno del
popolo di Dio. Non bisogna che israeliti facoltosi e potenti diventino come
altri faraoni nei confronti dei loro fratelli (Es 22,20-26; Isaia 5,7-9; Am
4,10).
L’obiezione delle levatrici
La provvidenza di Dio si manifesta nell'azione onesta e
solidale delle levatrici; esse portano due nomi che significano bellezza e splendore, perché difendono la vita degli uomini deboli e minacciati. Sono un
esempio dei pagani che, seguendo i dettami della loro coscienza «sono legge a
se stessi» (Rm 2,14; Cf. At 28,2).
[15]Poi il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: [16]“Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”. [17]Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini. [18]Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: “Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?”. [19]Le levatrici risposero al faraone: “Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno gia partorito!”. [20]Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. [21]E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia. [22]Allora il faraone diede quest'ordine a tutto il suo popolo: “Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia”.
Le levatrici attuano una disobbedienza civile e, a sua
volta, ogni credente deve diversificarsi dallo stile iniquo ed opporsi, nel
limite del possibile, alle azioni malvagie che deturpano la convivenza (Cf. 1
Pt 4,3-4).
Papa Francesco parlando ai medici cattolici:
«Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre “di qualità”... Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre”.
Papa Francesco poi chiarisce il vero senso della
compassione e prevede anche che il cristiano possa avvalersi dell'obiezione di
coscienza:
La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che “vede”, “ha compassione”, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33). ... La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale fedeltà comporta» (dal discorso all’Associazione medici cattolici italiani, 15 Novembre 1914).
Prima che cominci un atto di liberazione che mostri in
modo palese il suo agire, Dio diventa il soccorritore del popolo in modo
discreto ma concreto ed efficace. L’intento del re d’Egitto mostra le prime
falle. Mentre ancora perdura una situazione di peccato, Dio non è né assente,
né indifferente.
La figura di Mosè
Mosè nascosto nella cesta
Faraone permette
che le donne fossero lasciate in vita, perché non godevano di alcuna
considerazione ma proprio le donne, salvando il neonato, prescelto da Dio, sia
pure in modo inconsapevole, fanno fallire il suo progetto. Mosè, che appartiene
alla tribù sacerdotale di Levi, quella santa per eccellenza, presenta su di sé
la bellezza che l'uomo possiede agli occhi di Dio. Il cestello è chiamato teba (arca), come quella che salvò Noè, poiché assistiamo
ad una nuova vittoria sul caos,
come quello del diluvio, ed ora esso è rappresentato dalla situazione di
assenza di solidarietà e di violenza.
Capitolo 2 [1]Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una figlia di Levi. [2]La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. [3]Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi mise dentro il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. [4]La sorella del bambino si pose ad osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. [5]Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Essa vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. [6]L'aprì e vide il bambino: ecco, era un fanciullino che piangeva. Ne ebbe compassione e disse: “E' un bambino degli Ebrei”.
Nello sguardo delle donne verso al bambino, s'intravede
quello di Dio stesso: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima
e io ti amo» (Is 43,4).
La figlia di Faraone salva il profeta
La storia di Mosè prefigura quella dell'intero popolo:
egli entra nel mondo della morte ma, attraversandolo, conosce il mondo della
vita. È colui che è stato tratto dalle acque e colui che tirerà fuori dall'acqua.
Il tutto viene riferito a cause seconde, ma l’azione segreta di Dio è
determinante.
[7]La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: “Devo andarti a chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?”. [8]“Và”, le disse la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. [9]La figlia del faraone le disse: “Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario”. La donna prese il bambino e lo allattò. [10]Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli divenne un figlio per lei ed ella lo chiamò Mosè, dicendo: “Io l'ho salvato dalle acque!”.
Un caso analogo si verifica in Gesù il quale, sfuggendo
alla cattura di Erode, anticipa l'esito vittorioso della sua Pasqua (Mt
2,11-23). Inoltre l’evangelista Matteo pone delle fori somiglianze tra la
vicenda di Gesù e quella dell’antico condottiero. Nel periodo della sua nascita
avviene una strage di bambini, proprio come nel caso di Mosè (Cf. Mt 2,16-18); Gesù
vi sfugge per volontà di Dio, come capita al profeta. Il ritorno di Gesù,
dall'esilio in Egitto, viene narrato riferendo le stesse parole che richiedono
il ritorno di Mosè (Mt 2,20; Es 4,19). La venuta di Gesù, come un tempo quella
di Mosè, è stata una ferma contestazione dei poteri opprimenti i quali non sono
furono in grado di tacitarla e ridurla al nulla. La Parola di Dio non può
essere incatenata! (Cf. 2 Tm 2,9).
La fuga
Mosè cresce in senso fisico ma anche e spirituale:
desidera incontrare i fratelli ebrei, condividere le necessità dei santi... (Rm 13,13). Vive secondo un profondo ideale di
giustizia ma lo applica male, usando una violenza istintiva. Non è forse simile
ai sedicenti liberatori che, non operando in seguito ad un incarico divino, non
conseguono alcun risultato?
[11]In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. [12]Voltatosi attorno e visto che non c'era nessuno, colpì a morte l'Egiziano e lo seppellì nella sabbia
Mosè ha cominciato una maturazione significativa che
prevede, comunque, altre tappe, tra slanci di generosità e esitazioni:
«Divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone,
preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere
momentaneamente del peccato. Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori
d'Egitto l'essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso alla
ricompensa» (Eb 11, 24-26).
. [13]Il giorno dopo, uscì di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che aveva torto: “Perché percuoti il tuo fratello?”. [14]Quegli rispose: “Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'Egiziano?”. Allora Mosè ebbe paura e pensò: “Certamente la cosa si è risaputa”. [15]Poi il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian e sedette presso un pozzo.
Uno schiavo ebreo ne percuote un altro. Non c’è soltanto
l’oppressione dello stato sui deboli, ma anche quella dei poveri tra loro
poiché una situazione misera rende difficile il mantenimento di rapporti
fraterni. Mosè non ha alcuna autorità sugli ebrei; anzi non ha più identità:
non è più né egiziano
né ebreo. Dio chiamandolo gli assegnerà un compito, un'identità e un valore.
L'identità morale è più importante di quella fisica.
Gesù saprà inserirsi in una condizione di maledizione
introducendo in essa la benedizione, col sacrificio di se stesso (Gal 3,13). Si
muove in sintonia con Lui chi non si lascia vincere dal male, ma vince il male
con il bene (Rm 13,21). Il vero bene nasce sempre da Dio e noi possiamo
soltanto collaborare con Lui (Cf. At 5,34-39).
Intraprendere una missione presuppone l’acquisizione della
maturità spirituale: «Bisogna prima di tutto acquisire l’impassibilità, ossia
la libertà interiore, e solo dopo, se la circostanza lo richiede, comandare
agli altri. Quando si è abitualmente liberi da ogni passione, allora si
amministrano le cose in modo da non venire condannati e da non ricevere danno»
(Pietro Damasceno, Argomento del libro, Filocalia
3, p. 178).
In Madian
Il racconto evidenziata la provvidenza di Dio nella vita
di quest'uomo, che ora sembra perso in se stesso. Aiutando le donne, Mosé si
dimostra un uomo sensibile alla giustizia e tutto dedito al servizio della
persona debole. Nelle vicende della sua peregrinazione, egli rivive le vicissitudini dei patriarchi
(gli eventi presso i pozzi) e, come loro, è straniero e pellegrino. Giacobbe
aveva dovuto fuggire l'ira del fratello Esaù, ma, nonostante avesse commesso
delle colpe, fu scelto e aiutato da Dio (Gen 28,10-15). Il testo mette in
risalto il fatto che Mosè acquista una nuova famiglia in Madian.
[16]Ora il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse vennero ad attingere acqua per riempire gli abbeveratoi e far bere il gregge del padre. [17]Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difenderle e fece bere il loro bestiame. [18]Tornate dal loro padre Reuel, questi disse loro: “Perché oggi avete fatto ritorno così in fretta?”. [19]Risposero: “Un Egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori; è stato lui che ha attinto per noi e ha dato da bere al gregge”. [20]Quegli disse alle figlie: “Dov'è? Perché avete lasciato là quell'uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!”. [21]Così Mosè accettò di abitare con quell'uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Zippora. [22]Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Gherson, perché diceva: “Sono un emigrato in terra straniera!”.
La tradizione ebraica assimila Mosè agli antichi
patriarchi: «Quando arrivò a Madian, si fermò proprio a quel pozzo e lì rivisse
la medesima esperienza di Isacco e Giacobbe: al pari di loro egli vi trovò la
sua consorte. Rebecca fu scelta da Eliezer quale moglie per Isacco mentre era
indaffarata ad attingere acqua per quello straniero. Giacobbe vide Rachele per
la prima volta mentre era intenta ad abbeverare le pecore, e giusto lì Mosè
conobbe la sua futura moglie Sefora» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, Adelphi Edizioni, Milano 2003, p. 55)
Il grido degli schiavi
Compare Dio, il protagonista finora nascosto, e dichiara
la sua profonda solidarietà verso il popolo sofferente. Israele non invoca ma
si lamenta.
[23]Nel lungo corso di quegli anni, il re d'Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. [24]Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. [25]Dio guardò la condizione degli Israeliti e se ne prese pensiero.
«Il sentimento religioso dei figli d’Israele era a
quell’epoca tale da non far sperare in alcun sostegno divino… A causa della
loro malvagità la mano del Faraone infierì vieppiù, finché Dio non ebbe pena di
loro e mandò Mosè a riscattarli dalla schiavitù d’Egitto» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV… p. 49).
Il lamento del povero, in ogni caso, vale come preghiera
presso Dio. Un esempio: Dio ascolta il pianto d’un bambino, il figlio di Agar,
che sembra destinato a morte sicura. «Tutta l'acqua dell'otre era venuta a
mancare. Allora Agar depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di
fronte, perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Quando gli si
fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del
fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo» (Gen 21,15-17).
Il dolore dell'umile diventa un'accusa per chi lo
tormenta: «Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo
grido non si alza contro chi gliele fa versare? Chi la soccorre è accolto con
benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero
attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché
l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e
ristabilito l’equità. Il Signore certo non tarderà né si mostrerà paziente
verso di loro, finché non abbia spezzato le reni agli spietati e si sia
vendicato delle nazioni, finché non abbia estirpato la moltitudine dei violenti
e frantumato lo scettro degli ingiusti» (Sir 35,18-23). Al contrario, gli
uomini apprezzano i ricchi e i potenti mentre mostrano disprezzo verso gli
umili: «Per il superbo l’umiltà è obbrobrio, così per il ricco è obbrobrio il
povero. Se il ricco vacilla, è sostenuto dagli amici, ma l’umile che cade è respinto dagli amici. Il ricco che
sbaglia ha molti difensori; se dice sciocchezze, lo scusano. Se sbaglia
l’umile, lo si rimprovera; anche se dice cose sagge, non ci si bada. Parla il
ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso. Parla il povero e
dicono: Chi è costui?; se inciampa, l’aiutano a cadere» (Sir 13,21-24).
Chiamata e invio di Mosè
Mosè presso il roveto
Mosè scorge un fenomeno insolito: un roveto arde
vivacemente senza consumarsi. Che
cosa sta accadendo? Qual è il significato di questo incendio? Il fuoco, che
appare come luce, forza, calore, energia, è un simbolo ottimo di Dio che è
immanente e trascendente. Il Signore, tuttavia, non rimane un’entità astratta
ma si rivela come un interlocutore dell’uomo.
Capitolo 3 [1]Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. [2]L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Il roveto è segno di umiltà e abbassamento. La tradizione
ebraica ha percepito il valore simbolico del roveto: «L’immanenza divina
racchiusa nei suoi miseri rami evocava l’idea che il Signore soffriva insieme a
Israele, e infine grazie ad esso Mosè capì che in natura nulla, nemmeno
l’arbusto più insignificante, può esistere senza la presenza della Scekinah (abitazione di Dio)» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV… p. 66). Nel
cristianesimo appare come un segno dell’umiltà della incarnazione. «Il Fuoco
rispendeva dal roveto, lo Splendore da una vergine, la Luce da Maria; era
quella Luce che avrebbe detto: “Io sono la luce del mondo, quella che illumina
ogni uomo” (Gv 1,19)» (Bruno di Segni, Commento all’Esodo, PL 164. 237 B)
Il fuoco è segno di salvezza e di giudizio ma qui appare
come strumento di salvezza. Geremia avverte la sua vocazione come presenza di
un fuoco incontenibile. «Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel
suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie
ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). I discepoli ad Emmaus
avvertono la parola del Risorto come un calore interiore: «Non ardeva forse in
noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via…» (At 24,32). A
Pentecoste lo Spirito si rende manifesto come fiamma: «Apparvero loro lingue
come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, e tutti
furono colmi di Spirito Santo» (At 2,3-4). Gli angeli e gli uomini diventa
creature di fuoco: «Egli fa i suoi ministri come fiamma di fuoco» (Eb 1,7).
Nella tradizione spirituale il fuoco indica la
purificazione interiore ma anche il processo di deificazione. Presento due
testimonianze significative: «Brucia i miei piaceri, brucia i miei pensieri
(cuore sta per pensieri, e reni per piaceri) in modo che non pensi nulla di
male e non provi piacere in alcun male. Con che cosa brucerai le mie viscere?
Con il fuoco della tua parola. E con che cosa brucerai il mio cuore? Con il
calore del tuo spirito» (Agostino, Esposizioni sui Salmi, 25,7).
«Il desiderio di Dio è anche di donarsi completamente a
noi. Accade lo stesso quando il fuoco vuole attirare il legno verso di sé e
introdursi in esso: all'inizio trova che il legno è dissimile da sé, e per
questo ci vuole del tempo. Prima rende il legno caldo e bruciante, e questo
fuma e scricchiola, perché è differente dal fuoco. Poi, più il legno arde, più
diviene calmo e tranquillo; più è simile al fuoco e più si acquieta, fino a
divenire in se stesso completamente fuoco» (M. Eckhart, Sermoni, 11, 3, p. 164).
La chiamata
Dio chiama per nome Mosè, per due volte. La duplice
menzione del nome indica il carattere
personale della chiamata: nella solitudine del luogo, Qualcuno conosce già
questo pastore mentre egli è ignaro di tutto. Ora subito risponde con prontezza
ma quando Dio gli preciserà le modalità della sua missione, diventerà confuso
ed esitante. Accettando di togliersi i sandali, riconosce la santità divina e
la sua inadeguatezza. Coprendosi il volto si mostra conscio della grandezza
divina o forse è preso da eccessivo timore (Cf. Es 33,18-23).
[3]Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. [4]Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. [5]Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. [6]E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
La vicinanza con Dio esige purificazione ma Dio incoraggia
la persona che chiama, la perdona e la rende adeguata al suo compito; il
Signore «chiama le sue pecore, ciascuna per nome» (Gv 10,3). Vediamo altri
esempi di chiamata per nome; Il Risorto chiama la Maddalena a conversione:
«Gesù le disse: Maria!. Ella si voltò e
gli disse in ebraico: Rabbunì…»
(Gv 2016). In seguito chiama Saulo: «All’improvviso lo avvolse una luce dal
cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo…”» (At
9,3-4).
Nella Scrittura ritorna spesso il contrasto tra senso
dell’indegnità da parte dell’uomo e l'accoglienza da parte di Dio. In seguito
all’apparizione divina, Isaia avverte un grande bisogno di purificazione: «“Io
sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono… eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore
degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un
carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la
bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la
tua iniquità e il tuo peccato è espiato”» (Is 6,4-7).
Pietro si sente indegno ma viene accettato da Gesù: «Al
veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore,
allontanati da me che sono un peccatore”… Gesù disse a Simone: “Non temere;
d'ora in poi sarai pescatore di uomini”» (Lc 5,8.10).
La spiritualità ha valorizzato anche il gesto di togliersi
i calzari: «Mosè fu impedito di avvicinarsi al roveto finché non si fosse
liberato dei calzari. Allora come mai tu, che vuoi vedere Dio, e diventare suo
interlocutore, non ti liberi da ogni pensiero contaminato da passioni?»
(Evagrio Pontico, La preghiera, 4, pp.
73-74).
Solidarietà di Dio
Dio si mostra solidale e coinvolto con la sofferenza del
suo popolo, fino a provare i suoi sentimenti. Il Signore deve scendere perché Israele possa salire. La terra che verrà donata è bella, come il creato uscito dalle mani di Dio, e spaziosa, ossia adeguata ad accogliere il grande numero degli
israeliti. Mosè è un prototipo dei profeti; riceve un mandato che può svolgere
soltanto grazie all’azione di Dio. Egli deve prendere coscienza del significato
del suo salvamento da bambino. Scopre meglio Dio e se stesso.
[7]Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. [8]Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. [9]Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. [10]Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”.
Dio si mostra molto attento alla preghiera di chi
condivide i suoi sentimenti di misericordia: «… Allora invocherai e il Signore
ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi”» (Is 58,9). Soltanto chi
ha condiviso il vero sentire divino, si offre spontaneamente a Lui e si fa
inviare in missione: “Eccomi, manda me” (Is 6,8).
Il Signore cerca sempre di creare luoghi abitabili e
vivibili e dove compare un modo di vivere più umano, li riappare il suo Regno.
La nuova terra può essere un’esistenza quotidiana serena perché fondata sulla
libera condivisione dei beni. «La moltitudine di coloro che eran venuti alla
fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che
gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune… Nessuno infatti tra loro era
bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano
l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli;
e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,32-35).
Gesù ottiene la salvezza per altri, usando nei loro
confronti la stessa solidarietà compassionevole propria di Dio. «Gesù vide un
uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte e gli disse: Seguimi. Lo vide non tanto con la vista del corpo quanto con
lo sguardo della commiserazione interiore; lo stesso con cui guardò anche
Pietro che lo rinnegava, perché riconoscesse e piangesse il suo peccato. Con lo
stesso sguardo aveva osservato il suo popolo per strapparlo dalla schiavitù
d'Egitto da cui era oppresso, quando disse a Mosè: Ho osservato
l'afflizione del mio popolo, ho udito i suoi gemiti e sono disceso a liberarlo. Vide Matteo ed ebbe compassione di lui perché era
dedito solo agli affari di questa terra. Lo vide seduto al banco delle imposte
con la mente avida di guadagni terreni (Mt 9,9)» (Beda, Omelie sul
Vangelo, I, 21, p. 224).
Prima obiezione di Mosé
Nonostante il primo impulso positivo, Mosè si mostra
dapprima esitante e poi contrario alla missione. Il chiamato non si
trasforma in un eroe. Teme di
essere inadeguato al compito che riceve e le difficoltà oggettive della
missione; dovrebbe spostare l’attenzione dall’analisi del proprio io e delle sue
limitate possibilità, alla efficacia del progetto di Dio.
Le obiezioni di Mosè sono anche una riflessione sulla
missione profetica. Alla prima difficoltà espressa dall'inviato (Chi sono
io?), Dio risponde anticipando la
rivelazione del suo Nome: sarò con te. Solo questa presenza è una vera garanzia di riuscita. Viene
annunciato anche lo scopo ultimo della liberazione: il servizio di
Dio.
[11]Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?”. [12]Rispose: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte”.
Per qualsiasi inviato, il vero punto di forza sta
nell’accompagnamento del Signore. La promessa fatta A Mosè si verificherà anche
per l’apostolo Paolo. «Dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi,
come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il
vangelo di Dio in mezzo a molte lotte» (1 Ts 2,2). «Una notte in visione il
Signore disse a Paolo: «Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché
io sono con te e nessuno cercherà di farti
del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città». Così Paolo si fermò
un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio» (At 18,9-11).
Rivelazione del Nome
Il profeta teme di essere contestato nella sua autorità
dai fratelli ebrei, come gli era capitato prima della sua fuga dall’Egitto. Per
garantirlo e farlo uscire dalla sua esitazione, Dio gli rivela il suo Nome. La
rivelazione del Nome di Dio, in continuità con ciò che hanno vissuto i Padri,
fa sapere che Egli è Colui che accompagnerà il popolo lungo tutta la storia.
Nel linguaggio biblico essere equivale ad agire. Il nome di Dio (sarò sempre
con voi) è carico di speranza.
[13]Mosè disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”. [14]Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”. [15]Dio aggiunse a Mosè: “Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.
«Ai figli d’Israele dirai che Io sono colui che era, è e
sempre sarà. Io sono colui che è con loro nella schiavitù attuale. E Colui che
sarà con loro nella schiavitù futura» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV… p. 80). (Cf Os 1,9 dove la sua assenza salvifica
rappresenta una negazione del suo Nome).
Questa formula verrà ripresa molte volte dalla Scrittura
in molteplici variazioni. «Io sono il primo e l’ultimo; fuori di me non vi sono
dèi. Chi è come?» (Is 44,6). In questo caso il nome indica la superiorità di
Dio. Ma questa però viene messa, liberamente, a servizio degli umili della
terra: «Io il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi» (Is
41,4).
La dichiarazione inoltre presenta un carattere misterioso
ma Dio non vuole essere evasivo; vuole piuttosto garantire la sua
indisponibilità e la sua libertà: Egli è veramente libero di essere quello che
vuole essere.
Infine questo Nome verrà ripreso e impersonato da Gesù in
maniera completa e definitiva. Egli sarà l’Io sono per tutti gli uomini d’ogni epoca (Cf Gv 8,24.28.58;
13,19). Il Vangelo di Giovanni non si limita soltanto a riportare questa
dichiarazione assoluta, ma precisa sette forme specifiche nelle quali Dio si
manifesta nella persona di Gesù: “Io sono il pane della vita” (6,35.51); “la luce
del mondo” (8,12; 9,5); “la porta” (10,7.9); “il buon pastore” (10,11.14); “la
risurrezione e la vita” (11,25); “La via, la verità e la vita” (14,6); “la
vite” (15,1.5). Grazie a questa modalità del donarsi di Dio in Cristo, noi, per
mezzo della fede, partecipiamo
alla vita stessa di Dio.
L’esitazione di Mosè
Non mi crederanno
Mosè oppone varie obiezioni, alle quali Dio risponde,
però, con paziente benevolenza. In primo luogo, teme di non essere creduto dai
suoi fratelli in schiavitù. Com'è possibile che gli schiavi ebrei del re
d'Egitto possano credere davvero che il Signore intenda aiutarli? Dio prende
sul serio l'obiezione del suo interlocutore e, per rassicurare Mosè, gli dona
la capacità di compiere alcuni
prodigi: trasforma un bastone in un serpente e guarisce una mano coperta di
lebbra. Qual è il significato di questi due segni prodigiosi? Dio si mostra a
Mosè come Colui al quale tutte le forze della natura sono sottomesse, comprese
quelle negative. La trasformazione del bastone non è un fatto magico (infatti
Mosè fugge), ma una conseguenza dell’obbedienza del profeta. La mano è anche
simbolo dell’azione intelligente dell’uomo al quale, ora, Dio conferisce la sua
forza.
Capitolo 4 [1]Mosè rispose: “Ecco, non mi crederanno, non ascolteranno la mia voce, ma diranno: Non ti è apparso il Signore!”. [2]Il Signore gli disse: “Che hai in mano?”. Rispose: “Un bastone”. [3]Riprese: “Gettalo a terra!”. Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. [4]Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano e prendilo per la coda!”. Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. [5]“Questo perché credano che ti è apparso il Signore, il Dio dei loro padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. [6]Il Signore gli disse ancora: “Introduci la mano nel seno!”. Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco la sua mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve. [7]Egli disse: “Rimetti la mano nel seno!”. Rimise in seno la mano e la tirò fuori: ecco era tornata come il resto della sua carne. [8]“Dunque se non ti credono e non ascoltano la voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo! [9]Se non credono neppure a questi due segni e non ascolteranno la tua voce, allora prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta: l'acqua che avrai presa dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta”.
Dio detiene una forza irresistibile che pone, però, a
servizio di un progetto d'amore. L'onnipotenza divina non è puro spettacolo,
non è una minaccia. Dio non la esercita per imporsi in modo arbitrario ma per
soccorrere l'uomo (Cf. Mc 4,41).
Non sono un parlatore
Mosè ricorda a Dio di non essere un buon parlatore. Il
compito profetico, però, non è fondato su una trasmissione estetica del messaggio,
come si sviluppa nell'arte oratoria, quanto piuttosto sulla forza creatrice
della parola stessa. Ad ostacolare la missione non è la pesantezza della parola, ma caso mai quella del cuore. Il primo
a convertirsi è sempre lo stesso inviato.
[10]Mosè disse al Signore: “Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”. [11]Il Signore gli disse: “Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? [12]Ora và! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire”.
Il profeta verificherà che la Parola di Dio attua ciò che
si ripromette. «Come infatti la pioggia e la
neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza
averla fecondata e fatta germogliare, così
sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho
mandata» (Is 55,10-11).
Il rifiuto
Mosè, pur usando parole garbate e rispettose in apparenza,
in realtà rifiuta l’incarico. Dio gli resiste con determinazione e, per indurlo
ad accettare la missione, gli promette la collaborazione del fratello Aronne.
Questa persona non è soltanto un sostegno ma un aiuto amicale. Il bastone, poi,
non è un elemento magico, ma un segno della potenza della Parola divina e
dell'energia della fede. La collaborazione tra Mosè e Aronne suggerisce quella
tra sacerdote e profeta.
[13]Mosè disse: “Perdonami, Signore mio, manda chi vuoi mandare!”. [14]Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: “Non vi è forse il tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlar bene. Anzi sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. [15]Tu gli parlerai e metterai sulla sua bocca le parole da dire e io sarò con te e con lui mentre parlate e vi suggerirò quello che dovrete fare. [16]Parlerà lui al popolo per te: allora egli sarà per te come bocca e tu farai per lui le veci di Dio. [17]Terrai in mano questo bastone, con il quale tu compirai i prodigi”.
Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che
dovrai dire: ogni profeta è considerato
come la bocca di Dio.
Un altro esempio di rifiuto all'incarico del Signore è
rappresentato dal profeta Giona (Gn 1,3). Altri inviati sono corretti e
sostenuti da Dio (Ger 15,19-21; 1 Re 19,4-8; Gn 3; 2 Cor 12,8-9; At 18,9).
Nessuno subito appare adeguato ma deve essere formato dal Signore nelllo
sviluppo della missione, a seconda delle circostanze.
Il fatto che Aronne affianchi Mosè, dimostra che, per
discernere con chiarezza il volere di Dio su di noi, abbiamo bisogno dell'aiuto
di altri fratelli. È un suggerimento che attingiamo da Giovanni della Croce: «Stupisce
ciò che accadde a Mosè. Dio gli aveva comandato in molti modi e gli aveva
confermato con segni di andare a liberare i figli d’Israele. Ciò nonostante
egli era così esitante, che Dio si adirò: non aveva ancora conseguito la fede
solida, necessaria in quel caso, finché il Signore non lo incoraggiò
ricordandogli il fratello. L'anima umile, infatti, non osa trattare da sola con
Dio, e si sente sicura solo quando si lascia guidare e consigliare da un suo
simile. Dio vuole così, perché egli si mostra presente laddove si uniscono le
anime per cercare la verità e in questa li rassicura» (Giovanni della Croce, 2
Salita al Carmelo, 22, 10-11, p. 276).
La partenza
Il popolo schiavo si trova in pericolo di morte. Mosè torna
a rivederlo ma questa volta a
motivo di un incarico ricevuto da Dio e non per un impulso spontaneo, per
solidarietà naturale. Non stiamo assistendo ad un progetto umano ma divino.
Come primogenito, Israele possiede una relazione familiare
ed unica con Dio; il primogenito appartiene a Dio e nessuno può
impossessarsene. Gli egiziani trascureranno questo apetto e così, già da ora,
viene minacciata loro, come eventualità, la morte dei loro primogeniti, un
fatto doloroso che avverrà effettivamente durante la notte pasquale di
liberazione (Cf. Es 12,29-34).
[18]Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: “Lascia che io parta e torni dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!”. Ietro disse a Mosè: “Và pure in pace!”. [19]Il Signore disse a Mosè in Madian: “Và, torna in Egitto, perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!”. [20]Mosè prese la moglie e i figli, li fece salire sull'asino e tornò nel paese di Egitto. Mosè prese in mano anche il bastone di Dio.
Il Signore disse a Mosè: “Và, torna in Egitto…”. La solidarietà di Dio dovrebbe stupire sempre. La
premura mostrata verso questi poveri prepara quella più grande che si attuerà
per tutta l'umanità, anch'essa in condizione miserevole, nell’incarnazione del
Figlio suo, Gesù: «Quale stupore mi
invade! Fra gli uomini, quasi tutti rigettano con disgusto i deboli, i poveri:
un re non ne sopporta la vista, i grandi li schivano, i ricchi li guardano
dall'alto in basso; nessuno invidia la loro compagnia; ma Dio al cui servizio
stanno innumerevoli potenze, si è fatto padre, amico, fratello di questi
reietti. Anzi ha voluto prendere carne per divenire nostro simile in tutto,
eccetto che nel peccato, e renderci partecipi della sua gloria e del suo regno»
(Simone il nuovo teologo, Catechesi II,
SC 96, p. 249s).
Salviano, un prete di Marsiglia (405-451 c.) ritiene che
nella Chiesa, tutti i credenti ma soprattutto i suoi ministri, imitando la
decisione di Mosè, debbano diventare alleati naturali dei dei poveri e dehli
uomini che subiscono violenza. «Chi dà una mano agli oppressi e a coloro che
patiscono, se persino i sacerdoti del Signore non si oppongono alla violenza?
La maggior parte di loro, infatti, o tengono la bocca chiusa oppure, anche se
parlano, è come se non parlassero. Non si azzardano, a dire il vero, a
proclamare pubblicamente la verità, per il fatto che le orecchie di quei
disonesti non sono capaci di sopportarla, ma la odiano e la maledicono»
(Salviano di Marsiglia, Il governo di Dio,
V, 5,19-5,20, p. 151).
La buona notizia in Egitto
L’incontro tra Mosé ed
Aronne avviene al monte di Dio, là dove il profeta aveva avuto l’esperienza del
roveto ed era stato chiamato e, in questo modo, il fratello diventa partecipe
della sua missione. Il popolo, non appena viene conoscere la bella notizia
della prossima liberazione, sembra rispondere a Dio in modo egregio: ascolta,
crede e manifesta il suo sentimento con una prostrazione, umile e riconoscente.
[27]Il Signore disse ad Aronne: “Và incontro a Mosè
nel deserto!”. Andò e lo incontrò al monte di Dio e lo baciò. [28]Mosè riferì
ad Aronne tutte le parole con le quali il Signore lo aveva inviato e tutti i
segni con i quali l'aveva accreditato. [29]Mosè e Aronne andarono e adunarono
tutti gli anziani degli Israeliti. [30]Aronne parlò al popolo, riferendo tutte
le parole che il Signore aveva dette a Mosè, e compì i segni davanti agli occhi
del popolo. [31]Allora il popolo credette. Essi intesero che il Signore aveva
visitato gli Israeliti e che aveva visto la loro afflizione; si inginocchiarono
e si prostrarono.
Il popolo, ora, diventa
un modello esemplare di ascoltodella Parola. Agiranno così anche gli abitanti di Tessalonica
nell'accogliere il messaggio di Paolo: «Proprio per questo anche noi
ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina
della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è
veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete» (1 Ts 2,23).
Come mai l’annuncio di Mosè si mostra così efficace? Egli
parla per grazia e non per abilità personale. «Vi
è molta differenza tra chi parla per grazia e chi parla per sapienza umana. Ci
sono molti uomini eloquenti che, pur avendo detto molte cose nella chiese e
raccolto vasta approvazione, non risvegliano tra gli ascoltatori alcuna
compunzione del cuore né progresso nella fede. Se ne vanno dopo averne ricavato
soltanto un certo piacere e diletto con le orecchie. Al contrario, uomini di
non grande eloquenza convertono molti con parole semplici» (Origene, Commento
alla lettera ai Romani, IX, II).
Mosè e Aronne si recano da Faraone
Faraone rifiuta
I due fratelli si recano da Faraone per chiedere il
permesso di far uscire il popolo dall'Egitto, evidenziando lo scopo ultimo
dell’evento di liberazione, progettato da Dio: gli uomini riconosceranno la sua
grandezza di Dio e questo riconoscimento si tramuterà in servizio a Lui.
Israele passerà, quindi, dalla schiavitù opprimente ad un servizio libero e
sempre liberante. Il re incarna l’opposizione al Signore attuata da parte di
chi si crede un dio. Il servizio religioso viene considerato alienante da chi
considera come valido lo sforzo produttivo.
[1]Dopo, Mosè e Aronne vennero dal Faraone e gli
annunziarono: “Dice il Signore, il Dio d'Israele: Lascia partire il mio popolo
perché mi celebri una festa nel deserto!”. [2]Il faraone rispose: “Chi è il
Signore, perché io debba ascoltare la sua voce per lasciar partire Israele? Non
conosco il Signore e neppure lascerò partire Israele!”. [3]Ripresero: “Il Dio
degli Ebrei si è presentato a noi. Ci sia dunque concesso di partire per un viaggio
di tre giorni nel deserto e celebrare un sacrificio al Signore, nostro Dio,
perché non ci colpisca di peste o di spada!”. [4]Il re di Egitto disse loro:
“Perché, Mosè e Aronne, distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai
vostri lavori!”. [5]Il faraone aggiunse: “Ecco, ora sono numerosi più del
popolo del paese, voi li vorreste far cessare dai lavori forzati!”.
Il re ricorda,
suo malgrado, l'estrema negatività dell'alterigia, soprattutto nei confronti
con Dio. «L’arroganza abbassa. Essa ha prostrato il Faraone: non
conosco il Signore, disse. Al contrario di
lui, Abramo disse: Sono terra e cenere e s’innalzò sempre di più. Dio non detesta nulla come l’alterigia»
(Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo/3, 65, 6, p. 61).
I ribelli sono puniti
La sorpresa provocata dall'iniziativa dei due inviati di
Dio dimostra come la religione autentica, fermento di liberazione e di
umanizzazione, diventa pericolosa per chi detiene il potere al servizio di sé,
a vantaggio di qualcuno, a danno di tutti gli altri.
[6]In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sorveglianti del popolo e ai suoi scribi: “[7]Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la paglia. [8]Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché sono fannulloni; per questo protestano: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio! [9]Pesi dunque il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati; non diano retta a parole false!”. [10]I sorveglianti del popolo e gli scribi uscirono e parlarono al popolo: “Ha ordinato il faraone: Io non vi dò più paglia. [11]Voi stessi andate a procurarvela dove ne troverete, ma non diminuisca il vostro lavoro”.
I cristiani possino sperimentare una durezza analoga a
quella del Faraone da parte del potere costituito ma anche da parte anche del
diavolo: «Faraone aggravò i lavori e disse loro: Siete dei pigri, dei
fannulloni! Similmente anche il diavolo,
quando vede che Dio accenna ad avere pietà di un uomo e ad alleviargli le
passioni, con la sua parola o per mezzo di qualche suo servo, allora anch’egli
sferra attacchi più violenti. La forza dei fedeli consiste in questo: se
cadono, non devono scoraggiarsi, ma riprendersi di nuovo» (Doroteo di Gaza, Insegnamenti
spirituali, 146, pp. 200-201).
Crisi del popolo
Il potere, qualora venga contestato, spesso diventa ancora
più arrogante. Faraone non mostra alcuna ragionevolezza; si rivela sempre più
come un uomo dal cuore duro che rifugge ogni sentimento di verità e di
compassione.
Gli scribi degli ebrei mostrano di aver perduto ogni
prospettiva di fede. Dall'entusiasmo iniziale, precipitano nella sfiducia. La
sofferenza li porta a rinchiudersi in se stessi. Mosè ed Aronne si trovano soli
a sostenere il progetto divino.
[12]Il popolo si disperse in tutto il paese d'Egitto a raccattare stoppie da usare come paglia. [13]Ma i sorveglianti li sollecitavano dicendo: “Porterete a termine il vostro lavoro; ogni giorno il quantitativo giornaliero, come quando vi era la paglia”. [14]Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i sorveglianti del faraone avevano costituiti loro capi, dicendo: “Perché non avete portato a termine anche ieri e oggi, come prima, il vostro numero di mattoni?”. [15]Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: “Perché tratti così i tuoi servi? [16]Paglia non vien data ai tuoi servi, ma i mattoni - ci si dice - fateli! Ed ecco i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo popolo!”. [17]Rispose: “Fannulloni siete, fannulloni! Per questo dite: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore. [18]Ora andate, lavorate! Non vi sarà data paglia, ma voi darete lo stesso numero di mattoni”. [19]Gli scribi degli Israeliti si videro ridotti a mal partito, quando fu loro detto: “Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni”. [20]Quando, uscendo dalla presenza del faraone, incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, [21]dissero loro: “Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!”.
«Dal momento in cui Mosè e Aronne incominciano a parlare a
Faraone, il popolo di Dio è colpito. Dal momento in cui la Parola di Dio è
stata introdotta nella tua anima, necessariamente viene suscitato dentro di te
il combattimento delle virtù contro i vizi. Prima che venisse la Parola che
accusa, i vizi dimoravano in pace dentro di te ma quando la Parola di Dio ha
incominciato a fare il giudizio di ciascuno, allora sorge un grande turbamento.
Quando mai l'ingiustizia può andare d'accordo con la giustizia, l'impudicizia con la sobrietà, la verità con la
menzogna?» (Origene, Omelie sull’Esodo, III,3, p. 76).
Preghiera di Mosè
Mosè, visto il cattivo
esito dell'ambasceria presso Faraone, cade nello smarrimento e nello
scoraggiamento. Tuttavia non perde la fiducia e la fede in Dio. Lo attesta il
fatto che si rivolga a Lui e lo consideri un valido interlocutore. Pregando
Mosè non falsifica la situazione e neppure maschera i suoi veri sentimenti.
Formula una preghiera sincera che promana dai veri sentimenti del cuore. Nella
preghiera si apre ad accogliere la risposta di Dio il quale non fa altro che
consolidarlo nella missione che gli ha affidato.
[22]Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: “Mio
Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? [23]Da
quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del
male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!”.
«Sion ha detto: Il
Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così
da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si
dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,14-16).
«Resistiamo a Faraone conservando la fiducia in Dio.
Preghiamo il Signore di stabilire i nostri piedi sulla roccia, affinché non ci accada quello che dice lo stesso
profeta: Per poco non hanno vacillato i miei piedi, e per poco non
sono scivolati i miei passi (Sal 73,2). Stiamo dunque davanti a Faraone, cioè resistiamogli nella lotta, come dice anche
l'apostolo Pietro: Resistetegli forti nella fede (1 Pt 5,9). Se staremo con fortezza ne conseguirà
anche quello che Paolo chiede per i discepoli dicendo: Dio stritolerà
presto Satana sotto i vostri piedi (Rm
16,20). Quanto più noi staremo
con perseveranza e fortezza, tanto più Faraone sarà debole e impotente; ma se
noi incominceremo a essere o deboli o dubbiosi, egli diventerà più forte e
saldo contro di noi» (Origene, Omelie sull’Esodo, III,3, p. 77).
Lo scontro vittorioso con Faraone
Sguardo al futuro
Le vicende dell’Esodo sono in primo luogo una rivelazione di
Dio. Gli uomini stanno per assistere ad una manifestazione dell’identità del
Signore: il Santo, il Fedele, il Soccorritore compassionevole ed efficace.
Tutti gli eventi che accadranno, anziché annullare l’opera
divina, mostreranno ancora di più la sua grandezza. La contemplazione e il
ricordo delle grandi opere del Signore, inducono il credente all’ammirazione di
Dio che si esprime poi nella lode, nei cantici e nell’abbandono fiducioso in
Lui (Cf Sir 17,7-8).
Capitolo 7 [1]Il Signore disse a Mosè: “Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta. [2]Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne, tuo fratello, parlerà al faraone perché lasci partire gli Israeliti dal suo paese. [3]Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto. [4]Il faraone non vi ascolterà e io porrò la mano contro l'Egitto e farò così uscire dal paese d'Egitto le mie schiere, il mio popolo degli Israeliti, con l'intervento di grandi castighi [giudizi]. [5]Allora gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando stenderò la mano contro l'Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli Israeliti!”. [6]Mosè e Aronne eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato; operarono esattamente così. [7]Mosè aveva ottant'anni e Aronne ottantatrè, quando parlarono al faraone.
Il bastone e i serpenti
Il prodigio del bastone introduce il racconto dei segni;
legittima gli inviati di Dio e assicura sull’efficacia della Parola divina: Vedi,
io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone. Il bastone che Mosè getterà davanti a Faraone, diventerà un serpente.
[8]Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: [9]“Quando il faraone vi chiederà: Fate un prodigio a vostro sostegno! tu dirai ad Aronne: Prendi il bastone e gettalo davanti al faraone e diventerà un serpente!”. [10]Mosè e Aronne vennero dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il bastone davanti al faraone e davanti ai suoi servi ed esso divenne un serpente. [11]Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell'Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. [12]Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. [13]Però il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore.
Il termine usato per parlare di questo animale non è nahas ma tannin (v.9). Tannin (rettili)
personificano le forze del caos primordiale, babilonese (Ger 51,34-36) ed
egiziano (Ez 29,3; 32,2). «”Mi ha divorata, mi ha consumata Nabucodònosor, re di Babilonia, mi ha
inghiottita come fa il coccodrillo, ha riempito il suo ventre… Il mio strazio e
la mia sventura ricadano su Babilonia!” dice la popolazione di Sion, “il mio
sangue sugli abitanti della Caldea!” dice Gerusalemme. Perciò così parla il
Signore: “Ecco io difendo la tua causa,
compio la tua vendetta”» (Ger 51,34-36). Il prodigio prefigura, allora,
la vittoria del Signore sul male. Il faraone, a motivo della sua ostinazione,
assume la figura simbolica del peccato. Questa simbologia ritorna
nell’Apocalisse (12,4).
I nove grandi segni
Dobbiamo leggere questo
testo non come un resoconto storico (anche se esso rinvia ad eventi realmente
avvenuti), ma come una catechesi indirizzata al popolo di Dio. Mettiamoci nei
panni di un giovane discepolo che, leggendo questi testi, impara ad elaborare
dei contenuti fondamentali della sua fede (Cf 13,8-9). Il lungo passo espone la
pedagogia di Dio nei confronti di Faraone e di tutti gli Egiziani. Egli vuole
liberare Israele dai suoi oppressori. Nonostante la loro ostinata opposizione,
alla fine sono costretti a farlo, in seguito una serie di interventi pedagogici
sempre più severi. Le nove sventure descritte non sono chiamate punizioni o
flagelli ma segni, che non
sono innocui ma dolorosi. Soltanto il decimo evento, ossia la morte dei figli
primogeniti, è chiamata colpo
(mortale) (Es 11,1) ed ha un esito irreparabile. Faraone dovrebbe trarre da
questi eventi anormali un insegnamento che preserverebbe lui e la sua gente da
altre sofferenze più gravi.
Che cosa apprendere da
questi fatti? Dio è venuto in soccorso del suo popolo con grande energia.
Israele non si è costituito da sé come popolo ma per atto di grazia di Dio.
Inoltre in quel momento Israele era una popolazione oppressa. Formandolo come
popolo non solo il Signore dimostra la sua benevolenza verso questa nazione ma
attesta la sua predilezione per i poveri. Il racconto non presenta toni
vendicativi o catastrofici. I fatti riproducono dei fenomeni naturali
intensificati. L'Egitto conosce l'arrossamento delle acque, la proliferazione
di rane, zanzare, e tafani; conosce pestilenze mortali che colpiscono il
bestiame o ulcere che tormentano gli uomini; viene colpito da grandinate
rovinose o devastato dal passaggio delle cavallette. La serie si chiude con una
sventura più misteriosa: l'addensarsi di tenebre terrificanti.
Come mai degli eventi
naturali, di per sé normali, dovrebbero essere compresi come segni, ossia come
segnali della volontà liberatrice di Dio a favore degli oppressi e a danno
degli aguzzini? In parte a motivo della loro intensità eccezionale (9,24) ma
questo resterebbe insufficiente. S'aggiungono altri particolari. Mosè li
previene, prevede e anticipa il loro inizio e la loro fine; anzi è lui stesso a
provocarli e a stabilirne la durata e la conclusione. Dipendono dall'azione di
Dio della quale il profeta è a servizio. Inoltre gran parte di queste calamità
colpiscono soltanto gli egiziani mentre risparmiano gli ebrei.
Nonostante l'accumularsi
di eventi negativi, Dio sembra voler evitare di colpire duramente. Si comincia
con fatti più sopportabili (rane, zanzare, tafani). Seguono eventi che
colpiscono in modo più sensibile: la moria del bestiame o una grandinata
pesantissima danneggiano in modo più consistente il patrimonio. Neppure delle
ulcere fastidiose che provocano un certo dolore fisico fanno riflettere. Le
ultime sventure sono le più disastrose: il passaggio di cavallette distruttrici
e la caduta misteriosa di una tenebra avvolgente. Dio agisce con gradualità. Si
mostra paziente e ogni volta spera di evitare il peggio. Di fronte al
prolungarsi della sofferenza degli oppressi, Egli sceglie di colpire gli
oppressori. Lo fa sperando di convincerli perché gli uni e gli altri sono suoi
figli.
Dio si lascia irridere
da Faraone. Di continuo questi dichiara un falso pentimento, annuncia un
cambiamento di decisione che non s'avvera mai. Ogni volta Mosè intercede; e,
grazie alla sua invocazione il flagello cessa, ma Faraone non recede. Crede di
poter prendersi gioco Dio e di abusare all'infinito della sua pazienza. Questo
stile messo in atto dal Signore attesta la sua bontà. Per uno strano equivoco,
il racconto delle piaghe d'Egitto viene colto come una pagina che descrive
l'inesorabile giustizia di Dio. In primo luogo è una pagina che manifesta la
sua moderazione, la sua premura verso qualsiasi uomo. Certo, la bontà di Dio
non è inettitudine né compromissione con il male. Non è la stessa cosa essere
oppressi o essere degli oppressori. Questi ultimi devono essere messi alle
strette e costretti a rinunciare alla loro attività. Tutte queste osservazioni
mettono in risalto la misericordia divina che si esprime in una fine pedagogia
verso Israele ma anche verso tutti gli altri popoli (Cf. Sap 11,17-12,2).
Questo è un primo insegnamento che un discepolo ebreo può attingere: Dio
punisce controvoglia perché ama ogni vivente.
La storia rivela anche
la grandezza di Dio. Egli è realmente Signore della sua creazione e della
storia. Tale grandezza viene evidenziata in contrapposizione agli idoli: «In
quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel
paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei
dell'Egitto. Io sono il Signore!» (12,12). Il
racconto dei segni in Egitto è un manifesto contro l’idolatria (9,14; Cf Sap
14,22-31). Da una parte stanno Faraone e i suoi déi che sembrano potentissimi,
dall’altra c’è il Dio degli Ebrei che sembra impotente. La verità dei fatti
mostra che è vero il contrario.
Prima serie
I primi tre segni (acqua imputridita, rane e zanzare)
rispondo alla domanda che soggiace a tutta la vicenda dell’Esodo: Chi è il
Signore? (Cf. Es
5,2; 7,5 e 17; 8,6.18-19). Compaiono i maghi, che incarnano una religione
asservita al potere e alla cultura dominanti. Sembra aver successo (primo e
secondo segno), ma alla fine fallisce (terzo segno) ed è costretta a riconoscere il potere di Dio (Es 8,15). Troviamo enunciata anche l'efficacia
dell'intercessione. Molto sorprendente è il versetto che rivela come Dio abbia
operato secondo la parola di Mosé (8,9. 27), vale a dire: Dio obbedisce a chi
obbedisce a Lui. Esiste una profonda sintonia tra il Signore e il suo profeta.
La preghiera è forza attiva in grado di modificare il corso degli eventi.
1. Cambiamento dell'acqua
[17]Dice il Signore: Da questo fatto saprai che io sono il Signore; ecco, con il bastone che ho in mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue. [18]I pesci che sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido, così che gli Egiziani non potranno più bere le acque del Nilo!”. [19]Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Prendi il tuo bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni, e su tutte le loro raccolte di acqua; diventino sangue, e ci sia sangue in tutto il paese d'Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!”. [20]Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bastone e percosse le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi servi. Tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. [22]Ma i maghi dell'Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore. [23]Il faraone voltò le spalle e rientrò nella sua casa e non tenne conto neppure di questo fatto.
Il fatto prodigioso si realizza grazie all’obbedienza degli
inviati (v.20). Il libro della Sapienza interpreta questo segno come una
punizione per l’uccisione dei neonati; è il sangue degli innocenti a far
arrossare il Nilo e renderlo putrido (Sap 11,7).
Nell’Apocalisse si ritrova un evento simile ma in questo
caso è il sangue dei martiri che trasforma l’acqua in sangue: «Il terzo versò
la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque, e diventarono sangue.
Allora udii l'angelo delle acque che diceva: "Sei giusto, tu che sei e che
eri, tu, il Santo, poiché così hai giudicato. Essi hanno versato il sangue di
santi e di profeti, tu hai dato loro sangue da bere: ne sono ben degni!".
Udii una voce che veniva dall'altare e diceva: "Sì, Signore, Dio
onnipotente; veri e giusti sono i tuoi giudizi!"» (Ap 16,4-7).
2. Le rane
Capitolo 8 [1]Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Stendi la mano con il tuo bastone sui fiumi, sui canali e sugli stagni e fà uscire le rane sul paese d'Egitto!”. [2]Aronne stese la mano sulle acque d'Egitto e le rane uscirono e coprirono il paese d'Egitto. [3]Ma i maghi, con le loro magie, operarono la stessa cosa e fecero uscire le rane sul paese d'Egitto. [4]Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: “Pregate il Signore, perché allontani le rane da me e dal mio popolo; io lascerò andare il popolo, perché possa sacrificare al Signore!”. [5]Mosè disse al faraone: “Fammi l'onore di comandarmi per quando io devo pregare in favore tuo e dei tuoi ministri e del tuo popolo, per liberare dalle rane te e le tue case, in modo che ne rimangano soltanto nel Nilo”. [6]Rispose: “Per domani”. Riprese: “Secondo la tua parola! Perché tu sappia che non esiste nessuno pari al Signore, nostro Dio, [7]le rane si ritireranno da te e dalle tue case, dai tuoi servitori e dal tuo popolo: ne rimarranno soltanto nel Nilo”. [8]Mosè e Aronne si allontanarono dal faraone e Mosè supplicò il Signore riguardo alle rane, che aveva mandate contro il faraone. [9]Il Signore operò secondo la parola di Mosè e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi.
«Il Signore conosce la guerra, e al pari dei re in carne ed
ossa affronta il nemico con diversi stratagemmi. Così avvenne anche quando si
trattò di attaccare l?egitto con dieci piaghe» (L. Ginzberg, Le leggende
degli ebrei, IV, p.100)
3. Le zanzare
[12]Quindi il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Stendi il tuo bastone, percuoti la polvere della terra: essa si muterà in zanzare in tutto il paese d'Egitto”. [13]Così fecero: Aronne stese la mano con il suo bastone, colpì la polvere della terra e infierirono le zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la polvere del paese si era mutata in zanzare in tutto l'Egitto. [14]I maghi fecero la stessa cosa con le loro magie, per produrre zanzare, ma non riuscirono e le zanzare infierivano sugli uomini e sulle bestie. [15]Allora i maghi dissero al faraone: “E' il dito di Dio!”. Ma il cuore del faraone si ostinò e non diede ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore.
Al termine di questa successione d’eventi, è facile scoprire
in essi l’azione di Dio ma Faraone non si pente. Gli uomini resistono sia ai
segni positivi, come alle minacce (cf. Mt 11,16-19). Questo fatto si ripete
sempre. Siamo incapaci di ricavare un insegnamento dagli eventi negativi che
provochiamo. Lo attesta anche il libro dell’Apocalisse: «Il resto dell'umanità
che non perì a causa dei flagelli [che furono comminati], non rinunziò alle
opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demòni e agli idoli; non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle
stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie» (Ap 9,20-21).
Seconda serie
La seconda serie di segni mette in evidenza come il Signore
faccia distinzione tra Israele e l'Egitto (Es 8,18; 9,6), tra oppressi ed
oppressori, dimostrando così la sua presenza attiva nella storia. Inoltre, il
quarto e il quinto segno vogliono essere anche una accusa al culto egiziano
degli animali. I maghi che già avevano fallito al terzo segno, vengono colpiti
dalle ulcere (sesto segno).
4. I mosconi
[16]Poi il Signore disse a Mosè: “Alzati di buon mattino e presentati al faraone quando andrà alle acque; gli riferirai: Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [17]Se tu non lasci partire il mio popolo, ecco manderò su di te, sui tuoi ministri, sul tuo popolo e sulle tue case i mosconi. [18]Ma in quel giorno io eccettuerò il paese di Gosen, dove dimora il mio popolo, in modo che là non vi siano mosconi, perché tu sappia che io, il Signore, sono in mezzo al paese! [19]Così farò distinzione tra il mio popolo e il tuo popolo”. [20]Così fece il Signore: [24]Allora il faraone replicò: “Vi lascerò partire e potrete sacrificare al Signore nel deserto. Ma non andate troppo lontano e pregate per me”. [25]Rispose Mosè: “Ecco, uscirò dalla tua presenza e pregherò il Signore; domani i mosconi si ritireranno dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo. Però il faraone cessi di burlarsi di noi, non lasciando partire il popolo, perché possa sacrificare al Signore!”. [26]Mosè si allontanò dal faraone e pregò il Signore. [27]Il Signore agì secondo la parola di Mosè e allontanò i mosconi dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo: non ne restò neppure uno. [28]Ma il faraone si ostinò anche questa volta e non lasciò partire il popolo.
«A differenza dell’uomo, che quando medita di fare del male
a un nemico sta in agguato in attesa del momento buono per coglierlo di
sorpresa, Dio si premura di avvertire, e così fece pubblicamente con il Faraone
e gli egiziani ogni volta che s’accinse a mandare una piaga» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV, p.105).
5. Mortalità del bestiame
Capitolo 9 [1]Allora il Signore si rivolse a Mosè: “Và a riferire al faraone: Dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [2]Se tu rifiuti di lasciarlo partire e lo trattieni ancora, [3]ecco la mano del Signore viene sopra il tuo bestiame che è nella campagna, sopra i cavalli, gli asini, i cammelli, sopra gli armenti e le greggi, con una peste assai grave! [4]Ma il Signore farà distinzione tra il bestiame di Israele e quello degli Egiziani, così che niente muoia di quanto appartiene agli Israeliti”…
6. Le ulcere
[8]Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: “Procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la getterà in aria sotto gli occhi del faraone. [9]Essa diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il paese d'Egitto e produrrà, sugli uomini e sulle bestie, un'ulcera con pustole, in tutto il paese d'Egitto”. [10]Presero dunque fuliggine di fornace, si posero alla presenza del faraone, Mosè la gettò in aria ed essa produsse ulcere pustolose, con eruzioni su uomini e bestie. [11]I maghi non poterono stare alla presenza di Mosè a causa delle ulcere che li avevano colpiti come tutti gli Egiziani. [12]Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non diede loro ascolto, come il Signore aveva predetto a Mosè.
«Poiché il Faraone s’era ostinato nella sua durezza di
cuore, e davanti a ciascuna delle prime cinque piaghe si era rifiutato di
rinunciare ai suoi malvagi, propositi, Dio lo punì in modo che non potesse mai
più ravvedersi» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, p.111)
Il libro della Sapienza interviene a condannare la
zoolatria dell’Egitto: «Venerano gli animali più ripugnanti, che per stupidità,
al paragone, risultan peggiori degli altri. Non sono tanto belli da
invogliarsene, come capita per l'aspetto di altri animali, e non hanno avuto la
lode e la benedizione di Dio. Per questo furon giustamente puniti con esseri
simili
e tormentati da numerose
bestiole» (Sap 15,18-19,1).
Terza serie
La sfida giunge al culmine. Alcuni egiziani che riconoscono
la presenza di Dio (Es 9,20-21) e, almeno in apparenza, lo stesso faraone si
riconosce colpevole (Es 9,27; 10,16). In realtà, questi cerca ancora
compromessi e alla fine rimane ostinato ed inflessibile (Es 10,10). Gli ultimi
due segni sono perciò particolarmente significativi: l'invasione delle
cavallette, che nei profeti (Gl 1-2) è un segno per descrivere l'intervento
divino nel giorno del Signore. La calata
delle tenebre segna la definitiva sconfitta della potenza egiziana, incarnata
da Ra, il Dio Sole.
7. La grandine
[13]Poi il Signore disse a Mosè: “Alzati di buon mattino, presentati al faraone e annunziagli: Dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [14]Perché questa volta io mando tutti i miei flagelli contro di te, contro i tuoi ministri e contro il tuo popolo, perché tu sappia che nessuno è come me su tutta la terra. [15]Se fin da principio io avessi steso la mano per colpire te e il tuo popolo con la peste, tu saresti ormai cancellato dalla terra; [16]invece ti ho lasciato vivere, per dimostrarti la mia potenza e per manifestare il mio nome in tutta la terra. [17]Ancora ti opponi al mio popolo e non lo lasci partire! [18]Ecco, io faccio cadere domani a questa stessa ora una grandine violentissima come non c'era mai stata in Egitto dal giorno della sua fondazione fino ad oggi. [19]Manda dunque fin d'ora a mettere al riparo il tuo bestiame e quanto hai in campagna. Su tutti gli uomini e su tutti gli animali che si trovano in campagna e che non saranno ricondotti in casa, scenderà la grandine ed essi moriranno”. [20]Chi tra i ministri del faraone temeva il Signore fece ricoverare nella casa i suoi schiavi e il suo bestiame; [21]chi invece non diede retta alla parola del Signore lasciò schiavi e bestiame in campagna.
8. Le cavallette
Capitolo 10 [1]Allora il Signore disse a Mosè: “Và dal faraone, perché io ho reso irremovibile il suo cuore e il cuore dei suoi ministri, per operare questi miei prodigi in mezzo a loro [2]e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e di tuo nipote come io ho trattato gli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro e così saprete che io sono il Signore!”. [3]Mosè e Aronne entrarono dal faraone e gli dissero: “Dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Fino a quando rifiuterai di piegarti davanti a me? Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire. [4]Se tu rifiuti di lasciar partire il mio popolo, ecco io manderò da domani le cavallette sul tuo territorio. [5]Esse copriranno il paese, così da non potersi più vedere il suolo: divoreranno ciò che è rimasto, che vi è stato lasciato dalla grandine, e divoreranno ogni albero che germoglia nella vostra campagna. [6]Riempiranno le tue case, le case di tutti i tuoi ministri e le case di tutti gli Egiziani, cosa che non videro i tuoi padri, né i padri dei tuoi padri, da quando furono su questo suolo fino ad oggi!”. Poi voltarono le spalle e uscirono dalla presenza del faraone. [7]I ministri del faraone gli dissero: “Fino a quando costui resterà tra noi come una trappola? Lascia partire questa gente perché serva il Signore suo Dio! Non sai ancora che l'Egitto va in rovina?”.
9. Le tenebre
[21]Poi il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano verso il cielo: verranno tenebre sul paese di Egitto, tali che si potranno palpare!”. [22]Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutto il paese d'Egitto, per tre giorni. [23]Non si vedevano più l'un l'altro e per tre giorni nessuno si potè muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti vi era luce là dove abitavano.
L’autore del libro della Sapienza, riflettendo sul segno
delle tenebre, parla del suo significato interiore: «Gli iniqui credendo di
dominare il popolo santo, incatenati nelle tenebre e prigionieri di una lunga
notte, chiusi nelle case, giacevano esclusi dalla provvidenza eterna. Credendo
di restar nascosti con i loro peccati segreti, furono dispersi, colpiti da
spavento terribile e tutti agitati da fantasmi. …Fallivano i ritrovati della
magia, e la loro baldanzosa pretesa di sapienza. Promettevano di cacciare
timori e inquietudini dall'anima malata, e cadevano malati per uno spavento
ridicolo. …La malvagità condannata dalla propria testimonianza è qualcosa di
vile e oppressa dalla coscienza presume sempre il peggio. Il timore infatti non
è altro che rinunzia agli aiuti della ragione; quanto meno nell'intimo ci si
aspetta da essi, tanto più grave si stima l'ignoranza della causa che produce
il tormento. … Tutto il mondo era illuminato di luce splendente ed ognuno era
dedito ai suoi lavori senza impedimento. Soltanto su di essi si stendeva una
notte profonda, immagine della tenebra che li avrebbe avvolti; ma erano a se stessi più gravosi della
tenebra.
Per i tuoi santi risplendeva una luce vivissima; essi invece, sentendone le voci, senza vederne l'aspetto, li
proclamavan beati, chè non avevan come loro sofferto ed erano loro grati
perché, offesi per primi, non facevano loro del male e imploravano perdono
d'essere stati loro nemici. Invece delle tenebre desti loro una colonna di
fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto e come un sole innocuo per il
glorioso emigrare. Eran degni di essere privati della luce e di essere
imprigionati nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi
figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva esser
concessa al mondo (Sap 17, 2-18,4).
Gli eventi di Pasqua
Annuncio della morte dei primogeniti
Il vero liberatore è Dio che infligge un colpo che diventa
definitivo. L’oppressore, dopo un lungo indugio, viene punito da Dio in modo
totale ed inesorabile. Per ora il fatto è soltanto preannunciato e se ne
racconterà l’esecuzione in seguito (Es 12,29-34). L’evento doloroso costringe
Faraone a cedere. La Pasqua di liberazione è accompagnata da questo giudizio
contro gli iniqui.
Capitolo 11 [4]Mosè riferì: “Dice il Signore: Verso
la metà della notte io uscirò attraverso l'Egitto: [5]morirà ogni primogenito
nel paese di Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al
primogenito della schiava che sta dietro la mola, e ogni primogenito del
bestiame. [6]Un grande grido si alzerà in tutto il paese di Egitto, quale non
vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. [7]Ma contro tutti gli Israeliti
neppure un cane punterà la lingua, né contro uomini, né contro bestie, perché
sappiate che il Signore fa distinzione tra l'Egitto e Israele. [8]Tutti questi
tuoi servi scenderanno a me e si prostreranno davanti a me, dicendo: Esci tu e
tutto il popolo che ti segue! Dopo, io uscirò!”. Mosè acceso di collera, si
allontanò dal faraone.
Dio è padrone degli eventi, giudice certo e sicuro. Il
Signore ha pazientato a lungo, ha atteso la conversione del Faraone e degli
egiziani, ma tutto si è dimostrato vano. I bambini, come sempre, vengono
travolti dall’iniziativa degli adulti. Una distinzione netta tra colpevoli ed
innocenti è possibile soltanto alla conclusione della storia, al giudizio
definitivo di Dio. Allora ognuno verrà giudicato secondo le sue opere:
l’oppresso o l’innocente verrà risarcito in modo pieno.
Il salmo (78,50-51) ci fa sapere che la morte dei
primogeniti avvenne per una pestilenza. L’autore del libro della Sapienza
considera la loro uccisione come una punizione per la strage dei bambini ebrei
e come un mezzo pedagogico affinché gli egiziani riconoscessero la santità
d’Israele: «Poiché essi avevano deciso di uccidere i neonati dei santi, per
castigo eliminasti una moltitudine di loro figli. Quelli rimasti increduli a
tutto per via delle loro magie, alla morte dei primogeniti confessarono che
questo popolo è figlio di Dio» (Sap 18,5.13). Soprattutto Israele si attesta
come il figlio primogenito di Dio (Es 4,23). Questo atto di salvezza, accompagnato
da un strage così vasta, lascia l’amaro in bocca. È necessario un affidamento
alla sapienza di Dio, senza ricriminare (Sap 12,12-13).
Nella redenzione operata da Gesù, non avviene alcun
sterminio ma piuttosto Egli sacrifica se stesso in espiazione del peccato dei
suo fratelli. «Là fu una notte di vendetta, qui un giorno di riscatto. Tutte
quelle cose prefiguravano la vera salvezza dell’uomo rinchiuso nella tenebra»
(Pseudo-Macario, Spirito e fuoco. Omelie
spirituali (II) 47,9, Qiqajon, Magnano
2008, p. 399).
Dio è capace di cambiare il cuore degli Egiziani (v. 3).
«Gli Israeliti avevano lavorato per tanti anni senza ricevere mercede; non era
forse giusto, secondo Dio e secondo gli uomini, che alla fine fosse loro data?
Quando liberò il suo popolo, Dio non fece alcuna ingiustizia nel fargli
prendere ciò di cui era stato depredato» (Epifanio, L’ancora della fede, Città Nuova, Roma 1979, p. 213).
L'istituzione della pasqua e degli azzimi
Circa l'origine della festa di Pasqua, l'accordo tra gli studiosi
è maggiore. Viene fissata in un'epoca nomadica o comunque pre-esodica. Ne fanno
fede alcuni indizi del testo biblico. L'ordine di Mosè di immolare la Pasqua è dato senza alcuna spiegazione; ciò lascia supporre
che fosse una celebrazione già conosciuta. Era una festa di primavera, una
festa di famiglia. Il pane si faceva, senza grande cura, con la farina
impastata con l'acqua e posta su una piastra calda. Non si usava lievito perché
non c'era tempo per la lievitazione della pasta. Il sale era sostituito dalle
erbe amare che, oltre a costituire il contorno servivano per aromatizzare il pasto. Anche gli
indumenti sono tipicamente pastorali: i sandali ai piedi, la veste succinta con
una cintura ai fianchi per appendervi oggetti vari, bastone in mano per la
guida del gregge. «Di particolare importanza era il rito del sangue cosparso
sugli stipiti delle porte (all'inizio, sui sostegni della tenda). Esso
svolgeva, alla vigilia della transumanza, una grande funzione apotropaica: allontanava, cioè, dal gregge le potenze malefiche
che potevano insidiare il cammino... per questo i nomadi solevano aspergere
l'ingresso della tenda con il sangue della vittima» (G. Dell’Orto, L’origine
della Pasqua, in Il Libro
dell’Esodo, Edizioni Messaggero, Padova
2012, pp. 104-106).
Quanto alla data, la celebrazione avveniva al 14/15 Nisan, e
dunque al plenilunio del primo mese, con la massima chiarezza lunare e per
l’importanza che la luna ha nei costumi nomadici come regolatrice di tutta la
vita.
I vari riti
L’Agnello
Capitolo [1]Il Signore disse a
Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: [2]“Questo mese sarà per voi l'inizio dei
mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. [3]Parlate a tutta la comunità di
Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia,
un agnello per casa. [5]Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato
nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre [6]e lo serberete
fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità
d'Israele lo immolerà al tramonto. [7]Preso un pò del suo sangue, lo porranno
sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare.
[8]In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con
azzimi e con erbe amare. [11]Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi
cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. E' la
pasqua del Signore!
[12]In quella notte io passerò
per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o
bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore!
[13]Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io
vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio,
quando io colpirò il paese d'Egitto. [14]Questo giorno sarà per voi un
memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in
generazione, lo celebrerete come un rito perenne.
Abbiamo visto l'origine storica della festa di Pasqua.
Vediamo ora il suo significato nell'ambito cristiano.
Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi
il primo mese dell’anno. «Mosè chiamò primo mese e inizio
dell'anno la solennità di questo tempo [pasquale]. Il primo mese non è dunque
gennaio in cui tutto muore, ma il tempo di Pasqua in cui tutto riprende vita.
L'erba dei prati risorge come da morte, i fiori compaiono sugli alberi. Non fa
alcuna meraviglia che in questo tempo il mondo venga rimesso a nuovo, se lo
stesso genere umano oggi viene innovato. Sono innumerevoli i popoli che, oggi,
in tutto il mondo, sbarazzata la decrepitezza del peccato, risorgono a novità
di vita per l'acqua del battesimo» (Cromazio d’Aquileia, Catechesi al popolo, 17, 3, Città Nuova, Roma 1979, p. 127).
«È proprio nel clima temperato della primavera che Dio ha
fondato il mondo. Pertanto il Figlio di Dio, con la propria risurrezione, fa
risorgere il mondo atterrato nello stesso giorno in cui egli prima l’aveva
creato dal nulla, perché venisse restaurato in Cristo tutto ciò che è nei cieli
e in terra: da lui, per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose, a lui la
gloria nei secoli (Rm 1,36)» (Gaudenzio di
Brescia, Sermoni, 1,1, Città
Nuova, Roma 1976, p. 34).
Il vostro agnello sia senza difetto… «Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili,
come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata
dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza
difetti e senza macchia. Egli fu predestinato gia prima della fondazione del
mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi. E voi per opera sua
credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la
vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio (1 Pt 1,18-21).
«Tu guarda il vero Agnello, l’Agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo e di’ che come nostra Pasqua è stato immolato il Cristo (1 Cor 5,7). Quello di cui ora parliamo sono le
carni del Verbo di Dio; se parliamo cose perfette, robuste, forti, vi diamo da
mangiare le carni del Verbo di Dio» (Origene, Omelie sui Numeri, XXIII, 6, Città Nuova, Roma !988, p. 319).
Gli Azzimi
La festa degli azzimi, dal punto di vista storico, era una
celebrazione agricola d’origine Cananea; veniva celebrata in primavera con la
raccolta delle prime messi. In seguito anch’essa fu unita alla celebrazione
pasquale (Dt 16,1-18; Lv 23,5-8).
[17]Osservate gli azzimi, perché in questo stesso giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dal paese d'Egitto; osserverete questo giorno di generazione in generazione come rito perenne. [18]Nel primo mese, il giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete azzimi fino al ventuno del mese, alla sera. [19]Per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievito, sarà eliminato dalla comunità di Israele, forestiero o nativo del paese. [20]Non mangerete nulla di lievitato; in tutte le vostre dimore mangerete azzimi”.
San Paolo, alludendo alla consuetudine degli azzimi, ne trae
un’applicazione per la vita cristiana: «Non sapete che un pò di lievito fa
fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta
nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di
malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5,6-8).
Memoriale
[24]Voi osserverete questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre. [25]Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. [26]Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? [27]Voi direte loro: E' il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case”. Il popolo si inginocchiò e si prostrò. [28]Poi gli Israeliti se ne andarono ed eseguirono ciò che il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne; in tal modo essi fecero.
Che cosa significa memoriale? Perché viene considerato
così importante. Certamente in primo luogo significa ricordare. Ora richiamare
alla memoria le grandi opere di Dio e meditare su di esse ha come effetto
quello di rinsaldare la relazione tra l'uomo e dio. Tuttavia il memoriale
esprime qualcosa di più. Esso estende nel presente, grazie al culto, gli
effetti dell'evento evocato nel passato.
Il valore e l'efficacia del memoriale dipendono in primo luogo da Dio.
L'aspetto decisivo è che sia Lui a ricordare. Questo significa che ogni suo intervento di grazia non è rivolto in
modo esclusivo ai primi destinatari ma, attraverso il culto, il Signore
raggiunge tutti gli uomini, di ogni generazione, comunicando a loro lo stesso
amore e la medesima liberazione, in contesti storici diversificati.
L'intervento storico rimane unico ma, per quanto riguarda l'intenzione di Dio e
i suoi effetti, interessa anche tutte le altre generazioni che ricordano ciò che Egli ha operato nella fede e nella lode (Cf
Dt 5,2-3). Quando Gesù dice fate questo in memoria di me, ossia della mia opera
di salvezza, vuole estendere nel tempo, a vantaggio di tutti, l'evento di
salvezza realizzato nel corso della sua vita terrena. Il compito di far
ricordare, nel Nuovo Testamento, è assunto dallo Spirito Santo. Noi ricordiamo
Gesù grazie a questa memoria di Dio. Nell'eterno presente di Cristo tutte le
antiche promesse vengono riprese e attuate. Nel suo oggi, tutte le grandi opere
della storia della salvezza diventano attuali. (Cf. F. Giuntoli, Memoria, in Temi teologici della Bibbia, San Paolo, Milano 2010, pp. 830-836)
Il colpo mortale: la morte dei primogeniti
[29]A mezzanotte il Signore percosse ogni
primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono
fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i
primogeniti del bestiame. [30]Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi
ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non
c'era casa dove non ci fosse un morto! [31]Il faraone convocò Mosè e Aronne
nella notte e disse: “Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli
Israeliti! Andate a servire il Signore come avete detto. [32]Prendete anche il
vostro bestiame e le vostre greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche
me!”. [33]Gli Egiziani fecero pressione sul popolo, affrettandosi a mandarli
via dal paese, perché dicevano: “Stiamo per morire tutti!”. [34]Il popolo portò
con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie
avvolte nei mantelli. [35]Gli Israeliti eseguirono l'ordine di Mosè e si
fecero dare dagli Egiziani oggetti d'argento e d'oro e vesti. [36]Il Signore
fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali
annuirono alle loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani.
La Sapienza non parla di un angelo ma fa intervenire la
stessa Parola divina: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e
la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo
trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di
sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile» (Sap 18,14-15).
Così essi spogliarono gli Egiziani. La tradizione cristiana vede nella spoliazione degli
Egiziani un significato metaforico: bisogna servirsi della sapienza elaborata
dagli uomini, usandola per scopi diversi per i quali è stata pensata: «Noi
dobbiamo fuggire dall’Egitto, cioè dal mondo violento e tenebroso. Tuttavia, se
scorgiamo in esso qualcosa di valido, di utile e di retto, questo bene deve
essere stimato, catturato e conservato. Molte volte anche gli amanti di questo
mondo conoscono bene gli studi letterari, vivono con rettitudine e sono esperti
in molte scienze. Dai filosofi noi abbiamo attinto molte concezioni che
meritavano apprezzamento e dovevano essere onorate. Catturare questi elementi
genuini, conservali in nostro possesso come un patrimonio, è come impossessarsi
dei beni degli egiziani. Agire così, però, non è commettere alcuna colpa»
(Bruno di Segni, Commento all’Esodo,
PL 164. 239 A).
Partenza di Israele
[37]Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini. [38]Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e insieme greggi e armenti in gran numero. [39]Fecero cuocere la pasta che avevano portata dall'Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: erano infatti stati scacciati dall'Egitto e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio. [40]Il tempo durante il quale gli Israeliti abitarono in Egitto fu di quattrocentotrent'anni. [41]Al termine dei quattrocentotrent'anni, proprio in quel giorno, tutte le schiere del Signore uscirono dal paese d'Egitto. [42]Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d'Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione.
I primogeniti e gli azzimi
Capitolo 13 [1]Il Signore disse a Mosè: [2]“Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti - di uomini o di animali -: esso appartiene a me”.
Fin dall'epoca antica i primogeniti israeliti godevano di
alcuni privilegi. Ricevevano il doppio dell'eredità, in modo che il patrimonio
non venisse disperso. La legge promulgata in un secondo tempo, rese stabile il
diritto di primogenitura (Cf. Dt 21,15-17). Il primogenito doveva essere
consacrato a Dio perché a Lui, Signore della creazione, si doveva offrire il
meglio di quanto nasce sulla terra. Inoltre il motivo della consacrazione a Dio
fu vincolato al ricordo che il Signore si era preso cura del suo popolo, che
era da lui considerato come il suo primogenito. L'evangelista Luca (2,7)
applica il titolo a Gesù. Egli intendeva dire: non soltanto Maria non aveva
avuto altri figli prima di lui ma che Gesù godeva del privilegio della
consacrazione a Dio. Egli fu presentato al Signore nel tempio dai suoi genitori
(Lc 1,22). Gesù però non ottenne il riscatto come accadde ad Isacco, ma si
consegnè realmente a Dio, immolandosi per noi (Cf Eb 9,5).
Il
passaggio del mare
Assistiamo ora all'evento
culminante della liberazione dall'Egitto, il passaggio attraverso il Mar Rosso.
Il testo biblico non vuole consegnarci tanto la cronaca degli avvenimenti ma il
loro significato più profondo. Per opera di Dio, il popolo in fuga viene
sottratto alla presa ultima di Faraone. Ora diventa libero in modo certo e
definitivo. Non potrà più accadere che qualcuno lo riporti indietro, alla
condizione precedente. Soltanto il popolo rischia di divenire nemico a se
stesso ed avere nostalgia del passato dal quale desiderava staccarsi. Il
passato si è dissolto, il futuro è aperto. Bisognerà dare forma, con
consapevolezza, alla libertà
ottenuta in modo gratuito.
Verso il mare
Il Signore, volendo
proteggere il popolo in fuga, ne traccia il progetto del viaggio verso la terra
promessa. Sapendo che esso è debole nella fede, impedisce che venga a trovarsi
in difficoltà tali da soccombere
sotto il loro peso. Potrebbe scegliere di tornare indietro, rinunciando alla
libertà. La traslazione delle ossa di Giuseppe, attesta che il periodo storico
precedente, che ha avuto i patriarchi come protagonisti, ormai si chiude ma
tutto il popolo dovrà condividerne le
gesta significative della loro fede.
Cap. 13 [17]Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del paese dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: “Altrimenti il popolo, vedendo imminente la guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto”. [18]Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mare Rosso. Gli Israeliti, ben armati uscivano dal paese d'Egitto. [19]Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe, perché questi aveva fatto giurare solennemente gli Israeliti: “Dio, certo, verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa”.
[20]Partirono da Succot e si accamparono a Etam,
sul limite del deserto. [21]Il Signore marciava alla loro testa di giorno con
una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una
colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e
notte. [22]Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del
popolo, né la colonna di fuoco durante la notte.
Dio non permette che il
popolo venga tentato oltre le sue forze (1 Cor 10,13) ma questo non significa
che esso non dovrà passare attraverso delle prove che gli consentirà di maturare. Egli lo guida con premura
(Sal 121,3-8; Sal 91,14-16). Con la stessa premura protegge nel deserto la sua
Chiesa ( Ap 12,6.14)
Diversità di progetti
Il re d’Egitto è già
pentito della decisione che ha preso. Il passo presenta dapprima la prospettiva
di Dio (1-4) e poi quella del Faraone (5-9). Tutto è previsto da Dio, anche il
ripensamento del re, e tutto coopererà alla sua glorificazione. Israele non è
in trappola, come può sembrare, perché si trova nelle mani di Dio e si è
lasciato guidare da Lui.
Capitolo 14 [1]Il Signore disse a Mosè: [2]“Comanda
agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, tra
Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete presso
il mare. [3]Il faraone penserà degli Israeliti: Vanno errando per il paese; il
deserto li ha bloccati! [4]Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li
inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo
esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!”. Essi fecero in tal modo.
[5]Quando
fu riferito al re d'Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e
dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: “Che abbiamo fatto,
lasciando partire Israele, così che più non ci serva!”. [6]Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi
soldati. [7]Prese poi seicento
carri scelti e tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra ciascuno di
essi. [8]Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re di Egitto, il quale
inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. [9]Gli
Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso
il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo
esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon.
Faraone, ritenendo che gli ebrei
emigrati si siano cacciati da sé in una trappola mortale, privi dell'aiuto di
Dio, si precipita ad inseguirli per ricondurli in schiavitù. Vede nelle persone
soltanto un’occasione di profitto, senza provare nessuna misericordia verso i
suoi simili. È privo di umanità. Misconosce anche l'opera di Dio, sebbene
talora sembrava che fosse disponibile a riconoscerla. Dio che conosce bene i
pensieri del sovrano d’Egitto, gli porge l’occasione per giungere o alla
conversione (piuttosto improbabile) o al culmine dell’impudenza, così da
eliminarlo per sempre. Il peccato di Faraone deve giungere al suo culmine e la
sua ostinazione è così forte da meritare una riprovazione definitiva (cf. la condanna di re Erode At 12,21-23).
Il
grido d’incredulità
Gli Ebrei, vedendo
avvicinarsi l'esercito nemico, sono invasi dal terrore e si pentono di aver
lasciato l'Egitto, proprio come Faraone s'era pentito di non averli trattenuti
a forza. Entrambi convengono in una mentalità priva di fede. Oppressori ed oppressi
criticano entrambi lo stesso evento di salvezza, i primi per egoismo, i secondi per servilismo e incapacità a
credere. Gli Israeliti, considerandosi in un pericolo mortale, gridano al
Signore e se la prendono con Mosè in toni molto aspri. Vedono davanti a sé
soltanto la morte e non pensano che sia possibile un’altra prospettiva
migliore. L’esperienza vissuta in Egitto, ossia il superamento di pericoli con
l’aiuto divino, non li ha persuasi.
Mosè non si lascia
scoraggiare. Non replica loro in modo risentito, non li abbandona a se stessi.
Egli vede un’altra conclusione che era rimasta preclusa alla mente del popolo:
Dio combatterà per voi.
[10]Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani muovevano il campo dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. [11]Poi dissero a Mosè: “Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto? Che hai fatto, portandoci fuori dall'Egitto? [12]Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l'Egitto che morire nel deserto?”. [13]Mosè rispose: “Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! [14]Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli”.
Il salmista, parlando a nome di tutti, riconosce la grave
mancanza di fede: «Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male,
siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non
ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar
Rosso. Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza» (Sal
107,6-8). Gli israeliti contestano Dio
senza aver l’ardire di farlo in modo diretto. Rifiutare l’inviato di Dio,
tuttavia, è come rifiutare Lui stesso. Egli non si manifesta mai come splendore
accecante ma si mostra nella piccolezza dei suoi mediatori. Il popolo rifiuta
di seguire un messaggero per nulla appariscente.
L’invito a stare tranquilli è, invece, una grande espressione di fede. Isaia
ripeterà lo stesso invito in un'altra situazione storica difficile per gli
ebrei: «Poiché dice il Signore Dio, il Santo di Israele:
Nella conversione e nella
calma sta la vostra salvezza,
nell'abbandono confidente sta la vostra forza»
(Is 30,15).
La tradizione ebraica
commenta così l’esortazione di Mosè: «Il popolo era combattuto, si
formarono diversi partiti. Il primo propugnava di gettarsi tutti in mare e lì
trovare la morte, il secondo caldeggiava il ritorno in Egitto, un terzo
sosteneva di andare allo scontro col nemico, mentre un quarto riteneva
opportuno spaventare gli egiziani producendo un insopportabile frastuono. Ai
primi Mosè ripetè: «Non temete. Siate fermi e vedrete la liberazione del
Signore»; ai secondi disse: «Come avete veduto oggi gli egiziani, non li
vedrete più in perpetuo»; ai terzi
garantì: «II Signore combatterà per voi » e ai quarti disse infine: «State pure
in pace». «Che cosa dovremmo
dunque fare?» lo incalzarono questi ultimi, e Mosè rispose: «Benedite,
esaltate, lodate, adorate e glorificate l'Eterno! ». Così invece della spada, i
figli d'Israele usarono la bocca, che valse loro più d'ogni strumento bellico:
il Signore ascoltò infatti la loro preghiera - che invero aspettava» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, pp. 143-144).
Miracolo
del mare
Il Signore ordina al
profeta che il popolo riprende la marcia, e quest'ultimo riceve l’invito a
muoversi verso il mare, quando non esiste ancora alcun guado. Il dono di Dio
consiste nel creare una strada percorribile là dove la situazione è bloccata; è
ridare la possibilità di una vita piena, quando tutte le nostre risorse sono
finite.
Capitolo 14 [15]Il Signore disse a Mosè: “Perché
gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. [16]Tu
intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli
Israeliti entrino nel mare all'asciutto. [17]Ecco io rendo ostinato il cuore
degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul
faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. [18]Gli
Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria
contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri”.
Perché gridi verso
di me? In che cosa consiste il
grido di Mosè visto che non è stato detto che avesse alzato la voce? Forse
personifica il grido del popolo? C’è un Mosè che crede e sostiene la massa e un
altro più pauroso ed tendente anch’egli alla sfiducia? In noi c’è la voce della
debolezza umana che grida e la voce dello Spirito che ci innalza alle altezze
divine. La tradizione ebraica chiarifica quale poteva essere
l’invocazione di Mosè: «Sovrano del mondo! Mi
sento come un pastore tanto imprudente che ha condotto il gregge sul ciglio di
un precipizio e ora non sa più come riportarlo a valle. Sai bene, o Signore,
che siamo di fronte a difficoltà insormontabili, fuori della portata delle
umane possibilità: solo Tu puoi procurarci la salvezza da questa armata che ha
lasciato l'Egitto su tuo ordine. In Te solo confidiamo, disperando d'ogni altra
risorsa: se una via di scampo esiste, sarai Tu ad aprirla per noi» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…,
p.144).
«La vera
preghiera non sta nella voce della bocca, ma nei pensieri del cuore. Non sono
le nostre parole, ma i nostri desideri, che fanno salire le voci, più potenti
nell'intimo delle orecchie di Dio. Se con la bocca chiediamo la vita eterna, ma
con il cuore non la desideriamo, il nostro gridare è un tacere. Se invece la
desideriamo di cuore, anche se la bocca tace il nostro silenzio è un grido.
Ecco, nel deserto, il popolo strepita mentre Mosè tace. Il suo silenzio,
tuttavia, si fa sentire all'orecchio della bontà di Dio, che gli dice: Perché
gridi verso di me? C'è dunque dentro di noi, nel desiderio, un grido
segreto, che non giunge alle orecchie dell'uomo e tuttavia riempie l'udito del
Creatore» (Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, IV, XXII,
43). «Come i santi gridano a Dio senza emettere voce. L'Apostolo insegna che Dio
ha posto lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori che grida: Abba, padre!, e aggiunge: Lo
stesso Spirito intercede per noi con gemiti inenarrabili. E ancora: Colui
che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito. Così, per
l’intercessione dello Spirito Santo, si sente presso Dio il silenzioso grido
dei santi» (Origene, Omelie sull’Esodo, V,4, pp.
105-106).
Una
strategia bellica
Il Signore sembra
pianificare una strategia bellica e sa dirigere con sapienza, di volta in
volta, le mosse a favore del suo popolo. L’angelo, dalla testa della
colonna, si sposta indietro e così
Dio si rivela non soltanto come la
guida ma anche come la protezione del popolo. Il vento e la divisione della
massa d’acqua ricorda i fatti che danno inizio alla prima creazione (Gn 1,2);
il vento è anche l’elemento che abbassa le acque del diluvio (Gn 8,1). Siamo di
fronte ad una nuova creazione emergente dal caos, non della natura, ma della
storia.
[19]L'angelo di Dio, che precedeva l'accampamento
d'Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e
dal davanti passò indietro. [20]Venne così a trovarsi tra l'accampamento degli
Egiziani e quello d'Israele. Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per
gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri
durante tutta la notte. [21]Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore
durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d'oriente,
rendendolo asciutto; le acque si divisero. [22]Gli Israeliti entrarono nel mare
asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. [23]Gli
Egiziani li inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi
cavalieri, entrando dietro di loro in mezzo al mare.
Nella riflessione ebraica
il passaggio del mare rievoca la prima creazione e lo considera così una nuova
creazione: «Il Signore disse ancora a Mosè: “Non hai letto l’inizio della
Scrittura, dove dico: Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un
sol luogo e appaia l’asciutto?
Fin d’allora ho stabilito che le acque si sarebbero divise di fronte a
Israele”» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 146).
Dio ci aiuta a superare
le impossibilità della vita. In questo evento l’estrema difficoltà è data dalla
impercorribilità della massa d'acqua; in altre circostanze a rendere
impossibile la vita sono il deserto o il fuoco (Is 41,17; 43,2-3).
Il senso cristiano del passaggio del mare
Gesù appare agli
apostoli e si rivela a loro come l’Io sono (Cf. Gv 6,16-22). Invita Pietro a camminare sulle
acque del lago (cf. Mt 14,29). In un'altra circostanza, dopo la Pasqua,
l'apostolo Pietro, prigioniero del re Erode, passa indenne attraverso il
picchetto delle guardie (At 12,10). San Paolo parla di aver ripreso vita,
proprio nel momento in cui si
trovava in una situazione estrema (2 Cor 1,8-11).
La risurrezione di Gesù
è stata un passaggio al livello più sublime.
La nostra partecipazione
alla Pasqua del Signore inizia con il battesimo e in questo sacramento avviene
per noi il primo passaggio del mare (1 Cor 10,2). Gli autori spirituali
cristiani propongono di scoprire la relazione tra il passaggio del mare e il
Battesimo: «Chi rappresenta il Faraone con tutto il suo esercito se non il diavolo con
tutta la schiera dei demoni? Gli ebrei, invece, non raffigurano forse il popolo cristiano? Che cosa significa
l’acqua del Mar Rosso se non il Battesimo? Gli Egiziani inseguono gli ebrei evi
trovano la morte, Così pure i vizi e gli spiriti maligni, continuando ad
inseguire i cristiani fino al momento del battesimo, perdute le loro forze,
periscono e vengono meno» (Bruno di Segni, Commento all’Esodo, PL 164.264
D).
Soprattutto al termine
della nostra vita, rivivremo il passaggio dell’Esodo. La seconda lettera di
Pietro parla della morte come di un ingresso nel regno di Cristo; la morte poi
è abbandonare la tenda di un peregrinare terreno. «Cercate di render
sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete questo
non inciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto l'ingresso (eisodos) nel regno eterno del Signore nostro» (2 Pt
1,10-11). «Io credo giusto, finché sono in questa tenda del corpo, di tenervi
desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò lasciare questa mia
tenda... E procurerò che anche dopo la mia partenza (exodon) voi abbiate a
ricordarvi di queste cose» (2 Pt 1,13-15).
«Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco e
coloro che avevano vinto la bestia e la sua immagine e il numero del suo nome,
stavano ritti sul mare di cristallo. Accompagnando il canto con le arpe divine,
cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell'Agnello» (Ap 15,2-3).
La fase culminante
Nel momento del passaggio, s’accende anche una battaglia.
A Dio, che è un forte guerriero, basta gettare un semplice sguardo per
sbaragliare un intero esercito. Al mattino, sorge di nuovo la vita, la
sconfitta del caos, della morte e della tenebra. La salvezza è un atto concreto
e completo, un’anticipazione del giudizio definitivo di Dio su tutto il male
della storia. Allora Israele perviene alla fede in Dio.
[24]Ma
alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno
sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. [25]Frenò le ruote dei
loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani
dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro
contro gli Egiziani!”. [26]Il
Signore disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli
Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”.
[27]Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al
suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro.
Il Signore li travolse così in mezzo al mare. [28]Le acque ritornarono e
sommersero i carri e i cavalieri di tutto l'esercito del faraone, che erano
entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. [29]Invece gli
Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare, mentre le acque
erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. [30]In quel giorno il
Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e Israele vide gli Egiziani
morti sulla riva del mare; [31]Israele vide la mano potente con la quale il
Signore aveva agito contro l'Egitto e il popolo temette il Signore e credette
in lui e nel suo servo Mosè.
Il Signore è l’unico a combattere e a vincere. «Fu per loro
un salvatore in tutte le angosce. Non un inviato né un angelo, ma egli stesso
li ha salvati; con amore e compassione egli li ha riscattati; li ha sollevati e
portati su di sé, in tutti i giorni del passato» (Is 63,8-14). La
battaglia presso il mare è come un
prototipo di altri interventi salvifici nei quali è soltanto Dio a combattere
(cf. 2 Cr 20,1-30).
Egli compie sempre di nuovo le medesime meraviglie a favore del giusto. «Se contro di me si accampa un
esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche
allora ho fiducia» (Sal 27,3). Il re Davide vede nel salvamento da un pericolo
mortale, nel corso di una battaglia, un rinnovarsi del passaggio del mare:
«Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi; gia mi avvolgevano i lacci degli inferi, gia mi stringevano agguati mortali. Nel mio affanno invocai il Signore, nell'angoscia gridai al mio Dio: al suo orecchio pervenne il mio grido. Il Signore tuonò dal cielo, l'Altissimo fece udire la sua voce… Scagliò saette e li disperse, fulminò con folgori e li sconfisse. Allora apparve il fondo del mare, si scoprirono le fondamenta del mondo, per la tua minaccia, Signore, per lo spirare del tuo furore. Stese la mano dall'alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti, da coloro che mi odiavano ed eran più forti di me. Mi assalirono nel giorno di sventura, ma il Signore fu mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene» (Sal 18, 5-7.15-20).
Nemici di Dio sono gli uomini corrotti e corruttori:
«Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio. Costoro, come animali irragionevoli nati per natura a essere presi e distrutti, saranno distrutti nella loro corruzione, subendo il castigo come salario dell'iniquità. Essi stimano felicità il piacere d'un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni mentre fan festa con voi… Con discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell'errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l'ha vinto» (2 Pt 2,9-19).
Agire in modo iniquo è incorrere nel giudizio di Dio.
Il Cantico di Mosè
La necessità della lode
Il Signore Dio viene celebrato come il Prode in guerra, il
Pastore che conduce il popolo prima attraverso il mare d’acqua e poi attraverso
quel mare rappresentato dai popoli ostili, il Contadino che pianta Israele
nella terra, il Costruttore del tempio là dove, mediante il culto, l’esperienza
della liberazione diventa un evento permanente.
Capitolo 15 [1]Allora Mosè e gli Israeliti
cantarono questo canto al Signore e dissero:
“Voglio cantare in onore del Signore:
perché
ha mirabilmente trionfato,
ha
gettato in mare
cavallo e
cavaliere. [2]Mia forza e mio
canto è il Signore,
egli mi ha
salvato.
E' il mio Dio e lo voglio
lodare,
è il Dio di mio padre
e lo voglio esaltare! [3]Il Signore è prode in guerra,
si chiama Signore. [11]Chi è come te fra gli dei, Signore?
Chi è come te,
maestoso in santità,
tremendo
nelle imprese,
operatore di
prodigi? [12]Stendesti la destra:
la
terra li inghiottì.
Nasce la necessità del canto: «Voglio ricordare
i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi.
Egli è grande in bontà per la casa di Israele. Egli ci trattò secondo il suo
amore,secondo la grandezza della sua misericordia» (Is 63,7.11-14). L'agire di Dio è splendido e maestoso (Sal
111,3). Le opere del Signore sono grandi e coloro che le amano le ricercano, le
fanno riecheggiare nella loro mente e nel loro cuore (Sal 111,2; Lc 2,19).
Possiamo affermare di aver compreso l'agire di Dio quando diventa oggetto di
meditazione ma soprattutto di lode nel nostro intimo. I santi diventano un
flauto suonato dal soffio dello Spirito di Dio: «Il soffio che
attraversa il flauto emette un suono, così lo Spirito santo attraverso gli
uomini spirituali innalza inni e prega Dio in un cuore puro. Gloria a Colui che
ha liberato l'anima dalla schiavitù del faraone e che ha fatto di essa il suo
trono, la sua dimora, il suo tempio, la sua sposa immacolata e l'ha fatta
entrare nel regno della vita eterna mentre essa si trova ancora in questo
mondo» (Pseudo-Macario, Spirito e fuoco, 47,14,
p. 402).
Una
traversata molto lunga
Il Cantico riprende i
temi già esposti nel racconto della traversata. Compare, però, un elemento
nuovo significativo. L'attraversamento del pericolo non termina non appena sia
stata raggiunta l'altra sponda del mare ma prosegue nel passare attraverso le
popolazioni ostili già presenti nella terra di Canaan (15,14-16). Questo
particolare ci mostra come l'esperienza dell'Esodo possa essere rivissuta in
circostanze storiche diverse. Inoltre il cammino dell'uscita dall'Egitto ha
come traguardo l'arrivo del popolo al monte del Signore dove sorge il tempio
(15,13.17).
[13]Guidasti con il tuo favore
questo popolo che hai riscattato,
lo conducesti con forza
alla tua santa dimora. [14]Hanno udito i popoli e tremano;
dolore incolse gli abitanti della
Filistea. [15]Gia si spaventano i capi di Edom,
i
potenti di Moab li prende il timore;
tremano
tutti gli abitanti di Canaan.[16]Piombano sopra di loro
la paura e il terrore;
per
la potenza del tuo braccio
restano
immobili come pietra,
finché sia
passato il tuo popolo, Signore,
finché
sia passato questo tuo popolo
che
ti sei acquistato. [17]Lo fai
entrare e lo pianti
sul monte
della tua eredità,
luogo che per
tua sede,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato. [18]Il Signore regna in eterno e per sempre!”.
Israele deve stringersi
attorno al Signore presente nel suo tempio. Mediante l'esperienza del culto,
l'evento della liberazione può essere rinnovato in continuità e quindi porsi
come un autentico memoriale.
Grazie al culto Dio può esercitare di continuo la sua sovranità sul suo popolo
e renderlo libero da tutto ciò che l'opprime (Cf. Sal 29,1-11).
L’evento del mare è un
segno e una piccola anticipazione della redenzione futura: «Mosè disse al
popolo: “Ora avete visto tutti i segni, i prodigi e le opere della glori che il
Signore benedetto ha prodotto per voi, ma ben più Egli farà nel tempo a venire.
In futuro non ci saranno più né il dolore né l’inimicizia, né Satana né
l’Angelo della morte, né tormenti né oppressione e nemmeno l’istinto malvagio”»
(L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 160-161).
Le tappe verso il monte Sinai
Israele è libero da Faraone ma non è ancora libero da se stesso. Non può
esserlo finché non si dedica e non si consegna interamente a Dio. Egli è il re
che vuole creare la libertà di quanti s'affidano a Lui. Bisogna, allora,
imparare a credere. «Il Signore minacciò il mar Rosso e fu disseccato, li
condusse tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li
odiava, li riscattò dalla mano del nemico. Allora credettero alle sue parole e
cantarono la sua lode. Ma presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia
nel suo disegno» (Sal 107,9-13). Il percorso nel deserto verso la terra è visto come un progetto educativo
per imparare ad avere fiducia nel disegno divino, senza dimenticare le sue
opere: «Riconosci in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il
Signore tuo Dio, corregge te» (Dt 8,5). L'insegnamento dei cinque episodi, dal
passaggio del mare al Sinai – Mara, la manna, Massa, Amalek, incontro con Ietro
– può essere riassunto da questo messaggio del salmo 81: «Se il mio popolo mi
ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi
nemici... lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele di roccia»
(vv.14-17).
Israele viene educato a
comportarsi come dovrebbe fare da popolo di Dio: fidarsi di lui sempre, anche
nelle circostanze difficili, attendere tutto da Lui, vivere un'obbedienza
radicale a Lui, in gioiosa fiducia. Se Israele accettasse di farsi guidare da
Dio, in modo tale da appartenere a Lui, la grazia sperimentata nell'uscita
dall'Egitto, diventerebbe permanente. Si pensa già da ora a quando sarà giunto
nella terra e lo si allena a ricevere il dono della Legge.
Dio si manifesta come
guaritore, nutritore e protettore. Il suo dono massimo consiste nella sua
Legge. La sua Parola è dono che guarisce, nutre e protegge. Chi si fida di Dio,
lo ascolta e gli obbedisce.
L’acqua di Mara
I viandanti usciti
dall’Egitto, dopo aver camminato a lungo all’interno del deserto, trovano
soltanto dell’acqua non potabile. Sperimentano così una sventura già accaduta
agli Egiziani quando non avevano potuto bere l'acqua del Nilo perché era
imputridita. Ora però la grazia di Dio cambia l'amarezza in dolcezza. Segue una
proposta da parte del Signore: se vi fiderete di me e mi obbedirete,
conoscerete la guarigione; io cambio l'amarezza in dolcezza. La grazia ottenuta
a Mara continua nell'obbedienza e, quasi a garanzia di questa promessa, viene
donato, in seguito, il godimento dell'oasi di Elim.
Cap. 15 [22]Mosè fece levare l'accampamento di
Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono
tre giorni nel deserto e non trovarono acqua. [23]Arrivarono a Mara, ma non
potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state
chiamate Mara. [24]Allora il popolo mormorò contro Mosè: “Che berremo?”.
[25]Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell'acqua e
l'acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un
diritto; in quel luogo lo mise alla prova. [26]Disse: “Se tu ascolterai la voce
del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai
orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t'infliggerò
nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il
Signore, colui che ti guarisce!”. [27]Poi arrivarono a Elim, dove sono dodici
sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l'acqua.
Il Signore è un perenne
guaritore e risanatore (Ger 3,22; 33,6). «Io li guarirò dalla loro infedeltà,
li amerò profondamente, perché la mia ira si è allontanata da loro» (Os 14,4);
«Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E
ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: Pace, pace ai lontani e ai vicini –dice
il Signore – e io li guarirò» (Is 57,18-19); «Curerò la tua ferita e ti guarirò
dalle tue piaghe, poiché ti chiamano la ripudiata, o Sion, quella che nessuno
ricerca» (Ger 30,17).
Gesù, a sua volta
afferma: chi prende su di me il giogo che gli impongo, sentirà sollievo:
«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di
cuore, e troverete ristoro
per la vostra vita» (Mt 11,29).
Il cambiamento
dell’amarezza in dolcezza è stato sperimentato anche da molti cristiani. Un
esempio lo troviamo nella vicenda di san Paolo Le-Bao-Tinh, incarcerato per la fede: «Voglio farvi conoscere le tribolazioni nelle quali
quotidianamente sono immerso, perché infiammati dal divino amore, innalziate
con me le vostre lodi a Dio... Questo carcere è davvero un’immagine
dell’inferno eterno... Dio, che liberò i tre giovani dalla fornace
ardente, mi è sempre vicino; e ha liberato anche me da queste tribolazioni,
trasformandole in dolcezza: eterna è la sua misericordia. In mezzo a questi
tormenti, che di solito piegano e spezzano gli altri, per la grazia di Dio sono
pieno di gioia e letizia, perché non sono solo, ma Cristo è con me» (Dall’epistolario di san Paolo Le-Bao-Tinh agli
alunni del Seminario di Ke-Vinh nel 1843 in Launay A., Le clergé tonkinois et ses prêtres martyrs, MEP, Paris 1925, pp. 80-83).
Il dono della manna
La
fame
Dopo aver provato la
sete, i viandanti nel deserto
sperimentano anche la fame e subito protestano in modo vivace. La mormorazione
non è soltanto un generico malcontento ma una manifestazione di vera mancanza
di fede. Quegli uomini totalmente precluso il loro futuro e, tendono a
preoccuparsi in modo eccessivo del cibo e della loro situazione economica, come
siamo propensi a fare tutti. Gli uomini, pur di garantirsi il futuro, giungono
a compiere perfino azioni inique.
Capitolo 16 [1]Levarono l'accampamento da Elim e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin, che si trova tra Elim e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dal paese d'Egitto. [2]Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. [3]Gli Israeliti dissero loro: “Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”.
Una leggenda ebraica mette
bene a fuoco quale doveva essere il sentimento del popolo in quel momento:
«Dicevano gli ebrei: “Siamo emigrati per smania di libertà e ora siamo schiavi
dei bisogni più elementari, e non siamo divenuti - come ci era stato promesso
da Mosè - i più beati, ma piuttosto i più disgraziati fra gli uomini. Dopo
averci inculcato sublimi aspettative e riempito le orecchie di vane speranze,
ora il nostro capo ci tortura con la penuria, negandoci persino il cibo
necessario. Ha ingannato questa moltitudine con l'illusione di una meta nuova,
per condurci da un luogo familiare e abitabile in un altro desolato, e ora per
mandarci sottoterra, l’ultimo traguardo della vita”» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV…, p. 166). Questo testo ricorda che spesso gli uomini, pur
di garantirsi il benessere o la sicurezza economica, rinunciano alla libertà e alla dignità. Anzi i poteri forti
approfittano spesso di questo bisogno, per tenere soggiogate le persone e per
sfruttarle.
L’autore della lettera
agli Ebrei esorta i fedeli a non lascirsi dominare dall’angoscia per la povertà
e a guardarsi dall’avarizia: «La vostra condotta sia senza avarizia;
accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti
lascerò e non ti abbandonerò.
Così possiamo dire con fiducia: il Signore è il mio aiuto, non avrò paura.
Che cosa può farmi l'uomo?» (Eb
13,3).
La
promessa del cibo
Alle mormorazioni, Dio
non risponde con il risentimento ma donando un segno ancora più chiaro della
sua provvidenza. Non solo offre cibo, ma un dono ancora più grande, che
consiste nell'allenamento alla fiducia in Lui. Israele crede di aver fede in
Dio perché non mormora direttamente contro di Lui e se la prende con i suoi
inviati. Mosé smaschera quest'illusione: rifiutare gli inviati di Dio, è un
modo di rifiutare Lui stesso.
[4]Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. [5]Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno”. [6]Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: “Questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto; [7]domani mattina vedrete la Gloria del Signore; poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi?”. [8]Mosè disse: “Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore”.
«Malgrado tutte queste lamentele rivolte contro di lui,
Mosè era indignato non tanto dalle parole quanto dalla fiacchezza degli uomini
di cui era guida: dopo tutte le cose straordinarie che avevano già visto,
infatti, essi avrebbero dovuto confidare serenamente in lui, che aveva dato
prova tangibile della propria affidabilità a dispetto dei fenomeni naturali.
Considerando d'altra parte le loro difficoltà, Mosè non poté fare a meno di
perdonarli, perché in fondo la massa
è sempre arrendevole e si lascia influenzare dalle impressioni del
momento, è incline a dimenticare il passato e guardare con ansia verso il
futuro» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 167).
Per i pellegrini del deserto era difficile pensare che Dio
li accompagnasse giorno dopo giorno, mostrando attenzione per le loro
necessità. È la nostra fatica di sempre. È più facile credere all’esistenza di
Dio che alla sua provvidenza. È arduo credere che il Signore ci accompagni con
amore, sempre. Difficile credere che Dio ci educhi attraverso le istituzioni
che Egli stesso ha stabilito, come la Chiesa e i suoi ministri, perché vediamo
che non presentano un carattere assoluto. Eppure il progetto concreto al quale
Egli vuole che ci sottomettiamo docilmente, è il suo alimento più nutriente.
Rinnovo della promessa
Dio perdona la mancanza di fiducia e accoglie le
moromorazioni come se fossero state delle suppliche.
[9]Mosè disse ad Aronne: “Dà questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”. [10]Ora mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco la Gloria del Signore apparve nella nube. [11]Il Signore disse a Mosè: [12]“Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”.
«Dio perdonò l’indegno comportamento di Israele, e invece
di manifestare la propria collera perché il popolo aveva mormorato in luogo di
implorare la sua grazia si prodigò in soccorso dei suoi figli, annunciando a
Mosè: “Essi agiscono secondo la loro indole, Io secondo la Mia: non più tardi
di domani la manna scenderà dal cielo”. Come ricompensa della disponibilità di
Abramo, il quale quando s'era trattato di sacrificare suo figlio Isacco aveva
risposto subito: “Eccomi” (Gn 22,1), Dio
promise la manna ai suoi discendenti con una analoga formula: “Ecco” (Es 16,4), allo stesso modo, durante la peregrinazione nel
deserto, ripagò la stirpe del patriarca in cambio di ciò che aveva fatto per
gli angeli andati a visitarlo. Come Abramo s'era precipitato a procurare il
pane, così l'Eterno fece piovere il pane dal cielo» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV…, p. 167-168).
Saprete che Io sono
il Signore… L’uomo non deve
limitarsi a godere del dono, ma deve scoprire l’enorme valore del Donatore. Il
popolo che sperimenta come Dio lo alimenti a livello materiale, deve fidarsi
del nutritore e capire che Egli può e vuole nutrire anche delle dimensioni
della persona che l'uomo tende a svalutare ma che, invece sono essenziali. La
comunione con Dio e l'obbedienza a Lui sono per l'uomo un nutrimento
essenziale. «L'uomo non vive soltanto di pane, ma l'uomo vive di quanto esce
dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).
La pedagogia del Signore
Il dono della manna
non consiste soltanto in un'elargizione materiale ma in una rivelazione che Dio
fa di sé. Egli è Colui che provvede, pazienta e perdona. Israele dovrebbe
avvicinarsi a Lui con tutto il cuore, con piena disponibilità. In realtà il
seguito del racconto mostrerà che è vero il contrario. Il popolo persiste nella
sfiducia e nella mancanza di riconoscenza. Approfitta dei doni del Signore ma
lo misconosce. Dio non può dare stesso come nutrimento come vorrebbe fare: «Io
sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto. Apri la
tua bocca, la voglio riempire» (Sal 81,11).
[13]Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono
l'accampamento; al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all'accampamento.
[14]Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era
una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. [15]Gli
Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: “Man hu: che cos'è?”, perché non
sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “E' il pane che il Signore vi ha dato
in cibo. [16]Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno
può mangiarne, un omer a testa, secondo
il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria
tenda”. [17]Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. [18]Si
misurò con l'omer: colui che ne aveva
preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne
mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. [19]Poi
Mosè disse loro: “Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino”. [20]Essi non
obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono
vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. [21]Essi dunque ne raccoglievano
ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a
scaldare, si scioglieva.
Il fatto che il popolo
non conosca affatto la manna, dimostra che essa non è un risultato della loro
fatica né un ritrovato della loro intraprendenza, ma un dono totale da parte di
Dio il quale, «in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo
domandare o pensare, secondo la potenza che gia opera in noi» (Ef 3,20).
La sorpresa della scoperta della manna si ripete quando una
persona coglie l’immenso valore delle realtà dello Spirito: «L'animo percepisce
la manna celeste quando, elevato mediante la voce della compunzione, rimane
stupito di fronte a un nuovo aspetto del ristoro interiore. Ripieno di divina
dolcezza, con ragione si chiede: Che è questo? Quando questa voce rompe il nostro torpore, a un tratto cambia il
ritmo della vecchia vita, e così l'animo guidato dallo Spirito santo desidera
le cose del cielo che disprezzava e disprezza quelle della terra che
desiderava» (Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, V, VII, 42).
La raccolta viene
regolata da norme precise. Dal momento che deve essere anche un
esercizio pedagogico, Mosé chiede di evitare l’ingordigia e l’accaparramento.
La prima va contro il principio della condivisione e della solidarietà, mentre
il secondo è un atto di sfiducia nei confronti della provvidenza di Dio.
Israele deve invocare e attendere il cibo da Dio ogni giorno. «L’aver bisogno
ogni giorno di Dio per la propria sussistenza serviva a tener viva la fede» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…,
p. 168). Gesù, nel corso della sua itineranza missionaria, abitua i discepoli a
questa fiducia nel Padre suggerendo loro di chiedere a Dio il cibo nella misura
di ogni giorno.
La raccolta nel Sabato
Un altro esercizio
previsto dalla pedagogia divina riguarda l’abitudine all’osservanza del Sabato.
La manna non scende il giorno di Sabato per insegnare al popolo l’osservanza
del riposo dal lavoro e dell’attenzione al culto.
[22]Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero ad informare Mosè. [23]E disse loro: “E' appunto ciò che ha detto il Signore: Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina”. [24]Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi. [25]Disse Mosè: “Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non lo troverete nella campagna. [26]Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà”. [27]Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, ma non ne trovarono. [28]Disse allora il Signore a Mosè: “Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? [29]Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sesto giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova”. [30]Il popolo dunque riposò nel settimo giorno.
Il memoriale dell’evento
Emerge l’attenzione di preservare la memoria degli eventi
vissuti poiché riguardano gli uomini e le situazioni di sempre. In un contesto
mutato, l'essenza di tutti questi avvenimenti deve essere rivissuta.
[31]La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele. [32]Mosè disse: “Questo ha ordinato il Signore: Riempitene un omer e conservatelo per i vostri discendenti, perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto, quando vi ho fatti uscire dal paese d'Egitto”. [33]Mosè disse quindi ad Aronne: “Prendi un'urna e mettici un omer completo di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri discendenti”. [34]Secondo quanto il Signore aveva ordinato a Mosè, Aronne la depose per conservarla davanti alla Testimonianza. [35]Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant'anni, fino al loro arrivo in una terra abitata, mangiarono cioè la manna finché furono arrivati ai confini del paese di Canaan. [36]L'omer è la decima parte di un efa.
Il libro della Sapienza traccia questa riflessione
conclusiva alla vicenda della manna. «Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli
angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di
procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava
la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi
l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava» (Sap 16,20). La
manna non è il risultato della fatica dell’uomo ma un dono del tutto gratuito;
essa rivela l’attenzione particolare del Signore ai bisogni di ogni persona. Il
Signore cerca sempre di adattarsi alla nostra capacità di comprensione.
«La creazione infatti a te suo creatore obbedendo, si
irrigidisce per punire gli ingiusti, ma s'addolcisce a favore di quanti
confidano in te. Per questo anche allora, adattandosi a tutto, serviva alla tua
liberalità che tutti alimenta, secondo il desiderio di chi era nel bisogno,
perché i tuoi figli, che ami, o Signore, capissero che non le diverse specie di
frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola conserva coloro che credono in te» (Sap
16,26). Il mondo non è soltanto natura, un meccanismo autonomo ed autosufficiente,
ma creazione. In altre parole, Dio può intervenire in essa e grazie ad essa,
senza stravolgerla, per attuare i suoi disegni d’amore.
Nel nuovo Testamento troviamo una successiva estensione
del significato della manna. Gesù si offre come il vero pane disceso dal cielo:
«Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane
dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio
è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”» (Gv 6,32-33). «Io sono
il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono
morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv
6,48-51).
La manna assume la funzione di essere un’immagine della
gioia completa ed eterna nel mondo celeste: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo
Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza
bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori
di chi la riceve» (Ap 2,17).
L'acqua dalla roccia
Il cammino prosegue attraverso il deserto verso Refidim. Dio
non conduce sempre verso delle oasi ma fa sperimentare situazioni di
difficoltà, a scopo educativo. Ora manca di nuovo l'acqua. Il popolo protesta
contro Mosè e indirettamente anche contro Dio; in realtà sta mettendo alla
prova Dio. Che significa? È obbligarlo ad
intervenire, alimentare dubbi dulla
sua fedeltà, stabilirgli delle scadenze. Agire così è commette il peccato più
grave. Per la terza volta, la liberazione non viene più considerata un dono ma
una trappola omicida (Cf 14,11-12; 16,3).
Dio, pur garantendo l’incolumità di Mosè in una situazione
per lui rischiosa (Cf Nm 14,10), lo spinge a testimoniare la sua fede davanti
al popolo. Il prodigio avviene sull’Oreb, il luogo della manifestazione di Dio,
là dove Dio ha attestato la sua solidarietà solerte e dove disseterà il popolo
con la sua Legge. Il termine Massa
richiama la parola ebraica mettere alla prova e Meriba,
il termine contesa.
Capitolo 17 [1]Tutta la comunità degli Israeliti
levò l'accampamento dal deserto di Sin, secondo l'ordine che il Signore dava di
tappa in tappa, e si accampò a Refidim. Ma non c'era acqua da bere per il
popolo. [2]Il popolo protestò contro Mosè: “Dateci acqua da bere!”. Mosè disse
loro: “Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?”. [3]In
quel luogo dunque il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo
mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatti uscire dall'Egitto per far
morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. [4]Allora Mosè
invocò l'aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un
poco e mi lapideranno!”. [5]Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e
prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai
percosso il Nilo, e và! [6]Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull'Oreb;
tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè così fece
sotto gli occhi degli anziani d'Israele. [7]Si chiamò quel luogo Massa e
Meriba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il
Signore, dicendo: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.
L’episodio evidenzia una grave possibilità che è quella di
perdere la fede in Dio, contestando lo stesso significato del suo Nome.
Giuditta si mostra, invece, una vera credente proprio perché
rifiuta di mettere alla prova Dio; ella rimprovera gli Anziani di Betulia di
osare il contrario: «Certo, voi volete mettere alla prova il Signore
onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di
scorgere il fondo del cuore dell'uomo né di afferrare i pensieri della sua
mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e
conoscere i suoi pensieri o comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non
vogliate irritare il Signore nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque
giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di
farci distruggere da parte dei nostri nemici. E voi non pretendete di impegnare
i piani del Signore Dio nostro, perché Dio non è come un uomo che gli si possan
fare minacce e pressioni come ad uno degli uomini» (Gdt 8,13-16).
Nella rilettura cristiana, Beda vede nella manna e
nell’acqua gli aiuti spirituali di Dio: «Noi, passando attraverso gli affanni
della vita presente come in un deserto arido, aspettiamo l'ingresso nella
patria celeste. In questo deserto, se i doni del nostro Redentore non ci
rinforzano, corriamo il pericolo di venir meno a causa della fame e della sete
dello spirito. Egli infatti è la manna che ci ristora con il cibo celeste,
perché non veniamo meno durante il cammino di questo mondo; egli è la pietra
che c’inebria con i doni dello Spirito, che trafitta dal legno della croce ha
fatto scorrere dal suo fianco per noi l'acqua della vita» (Beda il Venerabile, Omelie
sul Vangelo, I, 6, p. 183).
La battaglia contro Amalek
Sul monte, davanti a Israele, Mosè testimonia la sua fede
nella presenza attiva del Signore. La sua fermezza per la quale continua a
tenere le mani alzate nonostante la fatica, sta a significare in primo luogo la
costanza della sua fede e della ricerca di Dio. Il credente deve dare primaria
importanza alle sue convinzioni di fede. L’episodio viene, poi, tramandato in
un libro e così, dagli eventi vissuti, si passa agli eventi trasmessi in uno
scritto, perché siano rivissuti in altre circostanze.
[8]Allora Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim. [9]Mosè disse a Giosuè: “Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio”. [10]Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalek, mentre Mosè, Aronne, e Cur salirono sulla cima del colle. [11]Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. [12]Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. [13]Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo passandoli poi a fil di spada. [14]Allora il Signore disse a Mosè: “Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalek sotto il cielo!”. [15]Allora Mosè costruì un altare, lo chiamò “Il Signore è il mio vessillo” [16]e disse: “Una mano s'è levata sul trono del Signore: vi sarà guerra del Signore contro Amalek di generazione in generazione!”.
Secondo la tradizione ebraica, Mosè alzava le mani per
invitare tutto il popolo a pregare con lui: «Mosè alzò le braccia al cielo come
segnale per tutto il popolo perché seguisse il suo esempio e confidasse in Dio.
Finché teneva le mani levate e tutti pregavano insieme a lui, l’esercito era
vittorioso… Quando Israele è angustiato Dio condivide la sua pena, e la gioia
del popolo è anche quella dell’Eterno» (L. Ginzberg, Le leggende degli
ebrei, IV…, p. 183. 185).
Amalek rappresenta la forza negativa che si oppone al
regno di Dio e che solo Lui è in grado di annientare. Gli amaleciti minacciano
la stessa esistenza di Israele, come prima il faraone. La loro progressiva
eliminazione, significa per Israele la vittoria sul male e la garanzia della
presenza costante e benefica del Signore (Cf.
M. Priotto, Esodo, Paoline, Milano 2014,
p. 327). La parola scritta, posta negli orecchi di Giosuè, lo remde il primo
uditore e il primo ascoltatore della Parola. Egli rappresenta così ogni futuro
lettore e ascoltatore della Parola, al quale il Mosè scriba, e dopo di lui ogni
futuro ministro della Parola,
affida all'orecchio del cuore lo scritto sacro (Cf. M. Priotto, Esodo…, p. 328).
Come possiamo imitare ora, nella Chiesa, la fermezza di
Mosè e la lotta di Giosuè?
L’evangelizzazione si attua all’interno di gravi lotte. «Dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a
Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di
annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte» (1 Ts 2,2). «Comportatevi
da cittadini degni del vangelo… sappia che state saldi in un solo spirito e che
combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla
dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di
salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non
solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa
lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo»
(Fil 1,27-30).
Gli evangelizzatori vivono la preghiera d’intercessione come
una vera lotta: «Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il
quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi,
perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. Gli rendo testimonianza che si
impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli» (Col 4,
12-13).
«Non trascuriamo di rinnovarci nello spirito ogni giorno. La
sconfitta che ci può capitare nel pensiero, nella parola o nell'azione non
diventi occasione di pigrizia. Tutte le volte che subiamo una sconfitta,
ritorniamo in noi stessi attraverso il timore dei giudizi di Dio, disarmando le
passioni con tutte le nostre forze» (Teodoro Studita, Nelle prove la fiducia, 115, pp. 484-485).
Il cristiano vince i nemici con la mansuetudine, lasciando
agire Cristo: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati
da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo
sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma
agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di
manifestare la sua potenza. È necessario che avvenga così, poiché questo vi
rende più gloriosi e manifesta la mia potenza. La stessa cosa diceva a Paolo:
“Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella
debolezza” (2 Cor 12, 9). Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose.
Sa bene che la violenza non si arrende alla violenza, ma alla mansuetudine»
(Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo, 33, 1. 2 PG 57, 389-390).
Ietro e Mosè
L’incontro
Capitolo 18 [1]Ietro, sacerdote di Madian, suocero
di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo
popolo, come il Signore aveva fatto uscire Israele dall'Egitto. [2]Allora Ietro
prese con sé Zippora, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata, [3]e
insieme i due figli di lei, uno dei quali si chiamava Gherson, perché egli
aveva detto: “Sono un emigrato in terra straniera”, [4]e l'altro si chiamava
Eliezer, perché “Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato
dalla spada del faraone”. [5]Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la
moglie di lui venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna
di Dio. [6]Egli fece dire a Mosè: “Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te
con tua moglie e i suoi due figli!”. [7]Mosè andò incontro al suocero, si
prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l'uno della salute
dell'altro ed entrarono sotto la tenda. [8]Mosè raccontò al suocero quanto il
Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani per Israele, tutte le difficoltà
loro capitate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati.
[9]Ietro gioì di tutti i benefici che il Signore aveva fatti a Israele, quando
lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani. [10]Disse Ietro: “Benedetto sia il
Signore, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone:
egli ha strappato questo popolo dalla mano dell'Egitto! [11]Ora io so che il
Signore è più grande di tutti gli dei, poiché egli ha operato contro gli
Egiziani con quelle stesse cose di cui essi si vantavano”. [12]Poi Ietro,
suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti
gli anziani d'Israele e fecero un banchetto con il suocero di Mosè davanti a
Dio.
Mosè incontra la famiglia. Spicca la figura del suocero, che
era madianita e un discendente di Abramo. Al racconto della liberazione,
esposta da Mosè, egli esprime sentimenti di riconoscenza a Dio e di fede sulla
sua trascendenza su tutte le divinità e questo fatto manifesta come la fede in
Dio possa diffondersi in tutti i popoli.
Istituzione dei giudici
[13]Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia
al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera.
[14]Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: “Che cos'è
questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso
di te dalla mattina alla sera?”. [15]Mosè rispose al suocero: “Perché il popolo
viene da me per consultare Dio. [16]Quando hanno qualche questione, vengono da
me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i decreti di
Dio e le sue leggi”. [17]Il suocero di Mosè gli disse: “Non va bene quello che
fai! [18]Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito
è troppo pesante per te; tu non puoi attendervi da solo. [19]Ora ascoltami: ti
voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu stà davanti a Dio in nome del
popolo e presenta le questioni a Dio. [20]A loro spiegherai i decreti e le
leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che
devono compiere. [21]Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini integri che
temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra di loro
come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.
[22]Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una
questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni
affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te.
[23]Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche
questo popolo arriverà in pace alla sua mèta”. [24]Mosè ascoltò la voce del
suocero e fece quanto gli aveva suggerito. [25]Mosè dunque scelse uomini capaci
in tutto Israele e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia,
capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. [26]Essi giudicavano
il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano
a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori. [27]Poi Mosè
congedò il suocero, il quale tornò al suo paese.
Mosè viene presentato come mediatore tra Dio e il popolo,
come guida spirituale che indica la via da percorrere. Il redattore del libro
insiste, quindi, sul fatto che l’amministrazione della giustizia, attuata da
molte figure istituzionali, deve sempre svolgersi nello spirito della Legge che
costituisce il dono per una liberazione permanente.
Il dono della Legge
La promessa dell’Alleanza
Israele arriva al monte Sinai e stipula con Dio
un'alleanza proposta da lui. Siamo al momento culminante della vicenda
dell'Esodo e della storia del popolo ebreo. D'ora in avanti Israele diventa il
popolo di Dio, per una libera decisione divina e non per i propri meriti. e per
sempre. Lo diventa per sempre perché i doni e la chiamata sono irrevocabili (Cf
Rm 11,9). Tutti gli altri uomini per ottenere la salvezza dovranno innestarsi
in questa radice santa, tramite l'adesione a Cristo (Rm 11,17).
[1]Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal
paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai.
[2]Levato l'accampamento da Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si
accamparono; Israele si accampò davanti al monte
Israele raggiunge il Sinai al terzo mese (rilevanza del
numero tre), proprio in quel giorno. Oggi giorno della storia del popolo
accadrà ciò che avviene in questo giorno speciale. L'Alleanza viene sempre
riproposta.
Mosè sale al monte sul quale era stato chiamato nella
speranza d'incontrare ancora una volta il Dio che lo aveva inviato ed Questi lo
chiama e lo fa salire ancora una volta. Noi possiamo cercare Dio perché Egli ha
già fatto udire il suo invito dentro di noi.
[3]Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal
monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli
Israeliti: [4]Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho
sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me.
Ora il Signore propone al popolo la sua Allenza. Per
Israele è un dono sorprendente e estremamente vantaggioso. Ogni patto richiede
l'adesione libera dei contraenti. Per convincere il popolo ad aderire, Dio si è
dimostrato ad esso come del tutto affidabile. Prima di proporre, Egli ha voluto
farsi conoscere per quello che è. Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto
all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a
me. La religione biblica non comincia dallo
sforzo etico dell'uomo e neppure dalla sua ricerca di Dio, magari faticosa,
tale da impegnare mente ed opere. La fede comincia dalla constatazione di
essere stati preceduti nell'amore. L'aspetto più rilevante sta nel fatto che
Dio ci ami, in modo incondizionato, più di quanto qualsiasi uomo possa amare se
stesso. La dichiarazione divina attesta poi che il popolo non era stato
chiamato dalla schiavitù alla terra della libertà. L'Esodo non è soltanto un
evento sociale, non si riduce al riscatto di un gruppo di schiavi. Tale
movimento ha un significato religioso: il popolo è stato chiamato fino a Dio,
per entrare e conoscere la sua amicizia.
[5]Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e
custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli,
perché mia è tutta la terra! [6]Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una
nazione santa. Queste parole dirai agli Israeliti”. [7]Mosè andò, convocò gli
anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato
il Signore. [8]Tutto il popolo rispose insieme e disse: “Quanto il Signore ha
detto, noi lo faremo!”. Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo.
Dopo queste precisazioni molto importanti, segue la
proposta. Prima viene precisata la condizione e poi i vantaggi. Sono tre: proprietà
particolare, regno di sacerdoti, nazione santa. La proprietà particolare corrisponde al tesoro e ai beni personali (segullà: 1 Cr 29,3; Qo 2,8), ossia a quanto una persona
considera di più caro e prezioso. Gli israeliti saranno sacerdoti in quanto
avranno la dignità e il privilegio di vivere in relazione con Dio, soprattutto
nel culto. Infine saranno una nazione santa, che si distingue dalle altre per
la sua consacrazione a Dio. Alla proposta del Signore, così invitante, il
popolo risponde esprimendo un consenso unanime. (Lo stesso farà in Esodo 24,3,
consentendo alle clausole proposte in modo dettagliato).
Queste forme di fede saranno ripresi anche nel Nuovo
Testamento. Maria, la madre di Gesù, come se incarnasse in se stessa, la
disposizione migliore espressa dal popolo, chiederà ai servi (che raffigurano i
discepoli di Gesù): «Qualsiasi cosa vi chieda, fatela!». L'invito è
fondamentale per la fede biblica. Quando si è conosciuto Dio e si è
riconosciuto che Egli è affidabile (fedele), quando si è accolta la sua
proposta, diventa decisivo il rimanere obbedienti a Lui, con spirito di
fiducia, non certo per sottomissione di convenienza o di paura. Inoltre san
Pietro applica all'assembra dei battezzati le caratteristiche attribuite un
tempo all'antico popolo di Dio: «Voi siete la
stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è
acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua
ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo
esclusi dalla misericordia, ora
invece avete ottenuto misericordiam(1
Pt 2,9-10). La stessa convinzione viene espressa dall'autore dell'Apocalisse
(Ap. 1,5-6; 5,9-10).
Le prescrizioni successive, quali la purificazione e il
divieto di entrare nella sfera del sacro, propongono le convinzioni e le
consuetudini degli antichi, in ogni cultura. Il sacro era visto come qualcosa
che era dotato di una forza attiva di grande intensità. Per questo non era
possibile affrontarlo ed era, invece, alquanto pericoloso il farlo. Non si
tratta di norme etiche ma di disposizioni di carattere sacrale. Infatti anche
gli animali devono sottostarvi.
Più interessante per noi è il contrasto tra vicinanza e
distanza (Cf 24,1-2). Dio vuole comunicarsi ma l'avvicinamento a lui è
problematico. Lo stesso era accaduto a Mosè nel fatto del roveto ma il profeta,
dopo aver ricevuto l'invito ad avvicinarsi, aveva dovuto togliersi i calzari e
coprirsi il volto. Tutto questo ricorda che l'essere invitati all'amicizia con
Dio è un privilegio non meritato. Mentre godiamo della familiarità con Dio,
dobbiamo conservare un profondo rispetto. Dio si dona a noi ma non diventa nostro.
Al popolo viene inculcato un sentimento di timore. Questo non deve venir meno
neppure nella vita cristiana benché si debba superare, invece, il senso di
paura.
La lettera agli Ebrei fa risaltare che il popolo cristiano
passa dal timore alla confidenza: «Voi infatti non vi siete accostati a un
luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a
squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano
scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola; non potevano infatti
sopportare l'intimazione: Se anche una bestia tocca il monte sia lapidata. Voi
vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla
Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea
dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei
giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue
dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,18-24).
La stipulazione dell’Alleanza
Accettazione
Prosegue il processo di stipula dell'Alleanza. Dopo aver
incontrato Dio con i rappresentanti d'Israele, Mosè interpella il popolo e
chiede se sono disposti ad aderire al patto. Gli israeliti non possono
condizionare Dio circa il contenuto dei comandamenti ma non sono forzati
all'accordo che rimane una proposta libera.
[1]Aveva detto a Mosè: “Sali verso il Signore tu e
Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete
da lontano, [2]poi Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si
avvicineranno e il popolo non salirà con lui”. [3]Mosè andò a riferire al
popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose
insieme e disse: “Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!”.
Avviene ora il passaggio dalle parole proclamate dal
profeta, alle parole scritte. Ascoltando lo scritto sacro, le future
generazioni ascolteranno Dio stesso.
Il rito dell’aspersione
Segue un rito che equivale alla stipula ufficiale che
equivale alla nostra firma in calce ad un contratto. L'atto di culto prevede
l'offerta di sacrifici sopra un altare, composto da dodici stele, a simbolo
delle dodici tribù e dall'aspersione del sangue. Questo viene sparso dapprima
sull'altare, che rappresenta Dio, e poi sull'assemblea. Prima di essere asperso
dal sangue il popolo conferma la sua libera adesione e attesta che quanto è
stato scritto corrisponde alle parole che erano state pronunciate. Non è chiaro
il significato preciso dell'aspersione ma il contesto lascia intendere che si
crea una relazione tra Dio e il popolo. Non è soltanto un rito di purificazione
e neppure un giuramento. Il sangue richiama la vita ed ora viene stabilita una
comunione di vita tra Dio e Israele.
[4]Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di
buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le
dodici tribù d'Israele. [5]Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire
olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il
Signore. [6]Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò
l'altra metà sull'altare. [7]Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse
alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo
faremo e lo eseguiremo!”. [8]Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il
popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con
voi sulla base di tutte queste parole!”.
Al rito della stipulazione, segue una visione e un pasto
al quale possono partecipare soltanto alcuni privilegiati. Non si tratta di un
altro rito ma di una conclusione solenne di quello precedente. Il banchetto
segnala che tra Israele e Dio vige ormai un'amicizia.
[9]Poi Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i
settanta anziani di Israele. [10]Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi
piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo
stesso. [11]Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi
videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero.
Gesù, al termine della sua vita, consumando la cena
pasquale con i discepoli, annuncia che Dio attua la promessa della nuova
Alleanza, che è stipulata grazie alla sua morte, o meglio, al versamento del
suo sangue sulla croce (Mt 26,27-28; 1 Cor 11,25). La sua obbedienza totale ci
ottiene il perdono delle colpe e la possibilità di ristabilire una relazione
riconciliata con Dio, animati ormai dalla mozione in noi dello Spirito.
La nuova alleanza sarebbe stata stipulata proprio per
cambiare il cuore dell'uomo, renderlo capace di obbedire (Ger 31,31; Ez 36,26).
Noi possiamo aderire a Dio e proporci un'obbedienza vera contando sulla forza
dello Spirito, frutto della redenzione operata da Gesù (Rm 8,2-4).
Le prescrizioni
Il decalogo (le “dieci parole”) sono un compendio della
proposta dell’Alleanza. Le prime prescrizioni riguardano l’amore verso Dio
(vv.1-11) e le altre l’amore verso il prossimo (v.12-17).
L’amore verso Dio
All’inizio Dio, il Legislatore, si presenta e conferma di
voler restare il Liberatore, il Soccorritore compassionevole e leale. La fede
non si fonda sulla fiducia dell’essere amati. L’impegno morale viene dopo. La
Legge è un dono offerto da Dio che intende donare la liberà, per un atto
d’amore gratuito.
[1]Dio allora pronunciò tutte queste parole: [2]“Io
sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla
condizione di schiavitù..
Stabilito questo fondamento della fede, vengono fatti
conoscere tutti i comandamenti, come applicazione. Il primo comando proibisce
l’idolatria; il secondo l’utilizzo del Nome di Dio per scopi iniqui. Il terzo,
al positivo, il rispetto del Sabato.
…[3]non avrai altri dei di fronte a me. [4]Non ti farai idolo
né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla
terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. [5]Non ti prostrerai davanti
a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio
geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta
generazione, per coloro che mi odiano, [6]ma che dimostra il suo favore fino a
mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
[7]Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo
Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.
[8]Ricordati del giorno di sabato per santificarlo:
[9]sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; [10]ma il settimo giorno è il
sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo
figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame,
né il forestiero che dimora presso di te. [11]Perché in sei giorni il Signore
ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il
giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha
dichiarato sacro.
Venerare Dio diventa un vantaggio per l’uomo: egli non
deve, adorando qualche creatura, finire col collocarsi al di sotto di sé.
Inoltre nessuno diventa oggetto di sfruttamento o di oppressione da parte di
altri in seguito ad un uso abominevole del nome divino, come avviene nella
magia o in certe ideologie politiche. Infine tutti hanno diritto del riposo e
di non essere considerati come strumenti della produzione o di profitto.
Obbedendo a Dio, l’uomo realizza un rispetto profondo del fratello.
L’amore verso il prossimo
La seconda parte del decalogo riguarda in modo diretto la
relazione con il prossimo, che deve essere corretta e solidale.
[12]Onora tuo padre e tua madre, perché si
prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio. [13]Non uccidere. [14]Non commettere adulterio. [15]Non rubare.[16]Non pronunciare
falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
[17]Non desiderare la casa del tuo prossimo.Non desiderare la moglie del
tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo
asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.
La Legge si riassume nell’amore: «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello
di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge.
Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non
desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste
parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge
è l'amore» (Rm 13,8-10). «Parlate e agite come persone che devono essere
giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza
misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha
sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,12-13).
Cristo ha vissuto la sua esistenza senza commettere
peccato; Egli è stato l’uomo dedito interamente a Dio e ai fratelli. Mediante
la presenza in noi del suo Spirito, Egli può riprodurre se stesso in noi. Da
soli non siamo in grado di osservare la Legge (Cf. Rm 8).
L’Alleanza infranta e rinnovata
Il vitello d’oro
L'alleanza viene subito infranta. Il peccato è molto grave
e Israele rischia di decadere in modo definitivo dal suo privilegio di alleato
di Dio. Tutto nasce dal fatto che il popolo rifiuta la guida di Mosè e vuole
crearsi l'immagine di un dio che cammini davanti a loro. Ritorna la stessa preoccupazione che aveva già
fatto capolino altre volte. Il popolo ha bisogno di una rassicurazione continua
e quando, invece, predomina una situazione d'incertezza, viene meno nella fede.
[7]Allora il Signore disse a Mosè: “Và, scendi,
perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è
pervertito. [8]Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro
indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati
dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele;
colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto”.
Aronne non intendeva introdurre l'idolatria - Il vitello
probabilmente era pensato come un trono sul quale la divinità sedeva - ma
trasgredisce comunque il comandamento che impone di non costruire immagini
della divinità. Rischia così di incrementare il bisogno del popolo di avere un
dio che sia la semplice proiezione dei propri bisogni. Il Dio, l'Io sono, libero e trascendente, viene sostituito da una
divinità che è a misura dell'uomo. È il primo scivolamento verso l'idolatria.
Dal misconoscimento di Dio, deriva una perdita d'umanità che si manifesta nel
darsi alla gozzoviglia, utilizzando l’altro per il proprio piacere.
Prima intercessione di Mosé
I fatti dimostrano che il popolo è incapace di vivere una
vita di fedeltà, con nobiltà d’animo. La situazione potrebbe essere
irreparabile, se nessuno si prendesse la responsabilità e non si accollasse il
compito di porre rimedio. Mosè si offre a questo compito gravoso.
Nella preghiera, sviluppa due ragionamenti: se Dio si
adira in modo irrimediabile, e annienta il popolo, danneggia anche se stesso,
poiché si mostrerebbe incapace di salvare. Invece di prestare attenzione ai
peccati del popolo, dovrebbe ricordare i meriti di santità dei suoi
capostipiti, i patriarchi.
[9]Il Signore disse inoltre a Mosè: “Ho osservato
questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. [10]Ora lascia che
la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una
grande nazione”.[11]Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: “Perché,
Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal
paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? [12]Perché dovranno dire
gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne
e farli sparire dalla terra? Desisti dall'ardore della tua ira e abbandona il
proposito di fare del male al tuo popolo. [13]Ricòrdati di Abramo, di Isacco,
di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò
la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di
cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per
sempre”.[14]Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.
Mosè ricorre alla mediazione di persone gradite a Dio come
lo erano i Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. Noi confidiamo nella
mediazione di Gesù: «Se Mosè pregando, riuscì a piegare il Signore, non
riuscirà Gesù a placare il Padre, quando egli il suo Unigenito prega per noi?»
(Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi,
2,10, p. 55). «Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è
risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?» (Rm 8,34).
Nella tradizione cristiana è molto importante la preghiera
d’intercessione a favore dei fratelli: «Credo che ci siano alcune persone
capaci d’implorare Dio per miriadi di uomini poiché il Signore farà la loro
volontà. Le loro preghiere salgono a lui come folgori risplendenti» (Barsanufio
e Giovanni di Gaza, Epistolario, 187,
pp. 228-229). «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la
preghiera del giusto fatta con insistenza» (Gc 5,16). «Se uno vede il proprio
fratello commettere un peccato…, preghi e Dio gli darà la vita» (1 Gv 5,16).
«Dio si dimostrò più grande dell'enormità del peccato di
tutto un popolo; non cessò di essere misericordioso di fronte a tanta
[ingratitudine]. Gli uomini rinnegarono Dio, ma Dio non rinnegò se stesso»
(Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi,
2,10, p. 55). «La remissione dei peccati non è data per un merito [acquisito
dagli uomini] ma per una volontà di spontanea condiscendenza [propria di Dio],
che dalle ricchezze della bontà divina trabocca nel dono della compassione»
(Ilario di Poitiers, Commento ai Salmi/1, 66, 2, p. 381).
Punizione del popolo
Lo sdegno di Mosè non è uno sfogo d’ira incomposta ma la
reazione normale che il giusto deve provare nel verificare lo sprofondamento
nel male. Condivide la valutazione stessa del Signore. Egli compie dei gesti
che servono a scuotere il popolo (come la rottura delle tavole) e a ristabilire
la giustizia. Bere i residui del vitello bruciato è un modo per riconoscersi
responsabili del fatto avvenuto e sottoporsi al giudizio di Dio. Soltanto Lui
può valutare la colpevolezza e sottoporre alla correzione necessaria.
[15]Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano
le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e
dall'altra. [16]Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di
Dio, scolpita sulle tavole. [19]Quando si fu avvicinato all'accampamento, vide
il vitello e le danze. Allora si accese l'ira di Mosè: egli scagliò dalle mani
le tavole e le spezzò ai piedi della montagna. [20]Poi afferrò il vitello che
quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in
polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli Israeliti.
[21]Mosè disse ad Aronne: “Che ti ha fatto questo popolo, perché tu l'abbia
gravato di un peccato così grande?”. [22]Aronne rispose: “Non si accenda l'ira
del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è inclinato al male. [23]Mi
dissero: Facci un dio, che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo
che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia capitato.
[24]Allora io dissi: Chi ha dell'oro? Essi se lo sono tolto, me lo hanno dato;
io l'ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello”.
La strage compiuta dai leviti (vv. 25-29) è un clamoroso
esempio dello zelo per Dio del quale ci sono numerosi esempi nella storia ma è
un comportamento che verrà proibito da Gesù in modo totale (Lc 9,54). Lo zelo è
giusto e opportuno ma deve essere usato in modo pacifico.
Seconda intercessione di Mosè
Mosè, dopo aver ristabilito la situazione, cerca il
perdono presso Dio. La sua intercessione rivela che egli ha raggiunto una
maturazione spirituale di grande profondità perché vuole identificarsi con il
popolo peccatore. Grazie alla sua fedeltà e generosità, diventa uno strumento
attraverso il quale Dio può continuare una storia di salvezza. Tuttavia ciò che
è accaduto non è un fatto occasionale. Si è manifestata la durezza di cuore
d’Israele e quindi il fatto potrà ripetersi. Dio, per correggere le deviazioni,
dovrà intervenire ancora e in modo più pesante.
[30]Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete
commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il
perdono della vostra colpa”. [31]Mosè ritornò dal Signore e disse: “Questo
popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. [32]Ma ora,
se tu perdonassi il loro peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai
scritto!”. [33]Il Signore disse a Mosè: “Io cancellerò dal mio libro colui che
ha peccato contro di me. [34]Ora và, conduci il popolo là dove io ti ho detto.
Ecco il mio angelo ti precederà; ma nel giorno della mia visita li punirò per
il loro peccato”. [35]Il Signore percosse il popolo, perché aveva fatto il
vitello fabbricato da Aronne.
Nella preghiera, Mosè esprime una solidarietà con la sua
gente di grande intensità, di carattere eroico. San Paolo coltiva sentimenti
simili nei confronti d’Israele. Entrambi vivono un sentimento proprio del
Cristo: «Osserva la grandezza di cuore dell'apostolo: Ho una grande
tristezza e il mio cuore, ha un continuo dolore egli dice. E sia, addolorati per la perdita dei tuoi
fratelli: forse potrai farlo fino al punto da desiderare di diventare anatema
da Cristo? E come salverai gli altri, se tu stesso ti perdi? Non è così, egli
dice: ma io ho imparato dal mio Maestro e Signore che chi vuole salvare la
sua anima, la perde; e chi l'avrà persa, la troverà (Mt 16,25). Perché stupirsi, quindi, se l'apostolo vuole diventare
anatema per i suoi fratelli? Sa che Cristo, che era nella forma di Dio, si è
spogliato di essa e ha preso la forma di servo, ed è diventato maledizione per
noi (Gal 3,13). Dal momento che il Signore si è fatto maledizione per i servi,
il servo diventa anatema per i fratelli? Ma io penso che questo sia ciò che
anche Mosè diceva a Dio, dopo che il popolo aveva peccato: “Se perdoni loro il
peccato, perdona: altrimenti cancellami dal libro della vita che hai scritto”
(Es 32,32). Vuoi che Paolo sembri inferiore a Mosè? Costui chiede di essere
cancellato dal libro della vita per i suoi fratelli, Paolo non deve desiderare
di essere anatema per i suoi fratelli?» (Orig., CLR/2 p. 5).
Amicizia incrinata
Il Signore non intende procedere più con il popolo con una
presenza personale ma lo guida mediante un angelo. Egli perdona, ma l’amicizia
con il suo popolo ha subito un’incrinatura irreparabile. Nulla è più come
prima. Gli israeliti si tolgono gli ornamenti per evitare di crearsi ancora una
volta qualche idolo.
Dio non può ammettere Israele nella comunione più profonda e
vera con sé perché è troppo grande l’abisso di santità tra lui e il popolo. La
tenda, in cui Dio abita, è piantata fuori dall’accampamento, discista dalle
altre tende. Il popolo può acvvicarsi ad essa ma soltanto Mosè vi entra. Questi
vive un rapporto di comunione profonda con Dio, e così si manifesta come il più
grande dei profeti.
Cap. 33 [1]Il Signore parlò a Mosè: “Su, esci di
qui tu e il popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso la terra che
ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Alla tua
discendenza la darò. [2]Manderò davanti a te un angelo e scaccerò il Cananeo,
l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, l'Eveo e il Gebuseo. [3]Và pure verso la
terra dove scorre latte e miele... Ma io non verrò in mezzo a te, per non
doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei un popolo di dura
cervice”.[4]Il popolo udì questa triste notizia e tutti fecero lutto: nessuno
più indossò i suoi ornamenti.[5]Il Signore disse a Mosè: “Riferisci agli
Israeliti: Voi siete un popolo di dura cervice; se per un momento io venissi in
mezzo a te, io ti sterminerei. Ora togliti i tuoi ornamenti e poi saprò che
cosa dovrò farti”.[6]Gli Israeliti si spogliarono dei loro ornamenti dal monte
Oreb in poi.
[7]Mosè a ogni tappa prendeva la tenda e la
piantava fuori dell'accampamento, ad una certa distanza dall'accampamento, e
l'aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta
fuori dell'accampamento, si recava chiunque volesse consultare il
Signore.[8]Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava
in piedi, stando ciascuno all'ingresso della sua tenda: guardavano passare
Mosè, finché fosse entrato nella tenda. [9]Quando Mosè entrava nella tenda,
scendeva la colonna di nube e restava all'ingresso della tenda. Allora il
Signore parlava con Mosè. [10]Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che
stava all'ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno
all'ingresso della propria tenda. [11]Così il Signore parlava con Mosè faccia a
faccia, come un uomo parla con un altro. Poi questi tornava nell'accampamento,
mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava
dall'interno della tenda.
Quando fu costruito il tempio, si osservarono norme
analoghe di separazione e differenziazione.
La morte di Cristo, al contrario, apre a tutti la
possibilità di entrare nella comunione con Dio Padre. Egli ritorna presso il
Padre come nostro intercessore: «Cristo, venuto come sommo sacerdote di beni
futuri, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò
una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna…
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello
vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro
favore. Ora, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato
mediante il sacrificio di se stesso» (Eb 9,11-12.24).
Terza intercessione
Dopo la vicenda del vitello, Dio sembra non considerare
più Israele come suo popolo ma lo tratta come fosse soltanto il popolo di Mosè.
Al contrario, il profeta lo costringe a riprenderlo come suo. Gli chiede di
continuare ad accompagnarlo, in una stretta vicinanza, nell’ultimo tratto del
cammino verso la terra promessa. Infine gli esprime il desiderio di godere di
una comunione ancora più profonda con Lui.
[12]Mosè disse al Signore: “Vedi, tu
mi ordini: Fa salire questo popolo, ma non mi hai indicato chi manderai con me;
eppure hai detto: Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei
occhi. [13]Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua
via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa
gente è il tuo popolo”.[14]Rispose: “Io camminerò con voi e ti darò riposo”.
[15]Riprese: “Se tu non camminerai con noi, non farci salire di qui. [16]Come
si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non
nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da
tutti i popoli che sono sulla terra”. [17]Disse il Signore a Mosè: “Anche
quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho
conosciuto per nome”. [18]Gli disse: “Mostrami la tua Gloria!”. [19]Rispose:
“Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome:
Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia
di chi vorrò aver misericordia”. [20]Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio
volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. [21]Aggiunse il Signore:
“Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: [22]quando passerà la mia
Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché
sarò passato. [23]Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto
non lo si può vedere”.
Crisologo
Il rinnovo dell’Alleanza
L’Alleanza viene confermata, il testo è inciso su nuove
tavole e il Signore promette di compiere altre meraviglie nel futuro. Egli
rivela se stesso a Mosè in cinque aggettivi: compassionevole, clemente,
paziente, misericordioso, fedele. Il popolo lo avrebbe già dovuto capire in
seguito agli avvenimenti vissuti. A questo Dio così buono, Mosè ha il coraggio
di chiedere il perdono per Israele e la riammissione nella sua amicizia.
Cap 34. [1]Poi il Signore disse a Mosè: “Taglia due
tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che
erano sulle tavole di prima, che hai spezzate.[4]Mosè tagliò due tavole di
pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il
Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.
[5]Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di
lui e proclamò il nome del Signore. [6]Il Signore passò davanti a lui
proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira
e ricco di grazia e di fedeltà, [7]che conserva il suo favore per mille
generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia
senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli
fino alla terza e alla quarta generazione”. [8]Mosè si curvò in fretta fino a
terra e si prostrò. [9]Disse: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore,
che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu
perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fà di noi la tua eredità”. [10]Il
Signore disse: “Ecco io stabilisco un'alleanza: in presenza di tutto il tuo
popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessun paese e in
nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l'opera del
Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te.
L’Alleanza, imperniata sull’osservanza della Legge, non sarà
mai rispettata nella sua integrità. Gli uomini, in base alle loro forze, sono
incapaci di vivere all’altezza della proposta di Dio. La predicazione di
Geremia attesta la disponibilità di Dio a stipulare un nuovo patto, in base al
quale i suoi comandi non vengono più incisi su tavole di pietra ma nel cuore
stesso degli uomini (Ger 31,31). Ad inciderle è la forza dello Spirito di Dio
(Ez 36,26-27) capace di ricreare l’uomo. Soltanto Gesù è l’uomo fedele a Dio,
di cui il Padre si compiace (Mc 1,11; Rm 8,3-4). Grazie alla sua morte, Dio
Padre attua la nuova Alleanza, prevista dai profeti (Eb 8,6-13). Perdona le
nostre colpe e ci comunica il suo Spirito (Gv 20,22-23). Il cristiano, allora,
può finalmente produrre i frutti dello Spirito, sviluppando un continuo impegno
di conversione (Gal 5,22).
Trasfigurazione di Mosè
Mosè, parlando con Dio, si trasfigura nel volto. Del resto
si era già reso simile a Dio quando aveva interceduto per il popolo e si era
mostrato pronto a condividerne la sorte. La luminosità di Mosè contribuisce a
ribadirne la sua autorità quale mediatore tra Dio e Israele.
[29]Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due
tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva
dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante,
poiché aveva conversato con lui. [30]Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo
che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui.
[31]Mosè allora li chiamò e Aronne, con tutti i capi della comunità, andò da
lui. Mosè parlò a loro. [32]Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed
egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai.
[33]Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso.
[34]Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il
velo, fin quando fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò
che gli era stato ordinato. [35]Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè,
vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo
sul viso, fin quando fosse di nuovo entrato a parlare con lui.
Gesù, a sua volta, vive un’esperienza di trasfigurazione.
Apparirà luminoso ai discepoli. I discepoli vedono, in una forma particolare,
dal carattere eccezionale, la luminosità normale di Gesù (Cf. Mc 9,2-3). Egli
da sempre è luce, da sempre riverbera lo splendore del Padre quale irradiazione
della sua gloria (Eb 1,3.) La sua luminosità è la sua carità, la disponibilità
a dare se stesso a Dio a vantaggio dei suoi fratelli. Senza amore, non può
esservi alcuna luminosità. Tutto questo prepara la grande illuminazione della
sua Pasqua. Quando donerà tutto se stesso e la sua vita per gli uomini e
mostrerà così di essere animato da un amore sorprendente, divino, potrà essere
glorificato, non soltanto nelle vesti, ma in tutta la sua persona.
Secondo san Paolo, ogni cristiano possiede in sé la luce del
Signore e questa può aumentare in modo sempre più evidente, purché, lasciandosi
illuminare dallo Spirito, viva la carità stessa di Cristo: «Noi tutti,
riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in
quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito
del Signore» (1 Cor 1,17-18).
Costruzione della dimora e ripresa del viaggio
Il culto di Israele
L’edificazione della dimora
La proposta di costruire la dimora era stata fatta in
precedenza, prima dell’episodio del vitello (Es 25,1-31,18), ma questo fatto,
che implicava un’incrinatura dell’Alleanza, aveva impedito il proseguimento di
questo intento. Il progetto viene ripreso soltanto dopo che Mosè ha ottenuto il
perdono da parte di Dio (35-39).
Dio istituisce il sacerdozio, non solo quello di Aronne,
ma anche quello dei suoi figli, in modo di assicurare la perennità di questa
istituzione. La dimora diventerà un giorno un tempio. Il tempio ricorderà che
Israele sta pellegrinando con Dio verso la terra, che verrà persa e
riacquistata, ma soprattutto verso i beni messianici.
Capitolo 40 [1]Il Signore parlò a Mosè e gli disse:
[2]“Il primo giorno del primo mese erigerai la Dimora, la tenda del convegno.
[3]Dentro vi collocherai l'arca della Testimonianza, davanti all'arca tenderai
il velo. [4]Vi introdurrai la tavola e disporrai su di essa ciò che vi deve
essere disposto; introdurrai anche il candelabro e vi preparerai sopra le sue
lampade. [5]Metterai l'altare d'oro per i profumi davanti all'arca della
Testimonianza e metterai infine la cortina all'ingresso della tenda. [6]Poi
metterai l'altare degli olocausti di fronte all'ingresso della Dimora, della
tenda del convegno. [7]Metterai la conca fra la tenda del convegno e l'altare e
vi porrai l'acqua. [8]Disporrai il recinto tutt'attorno e metterai la cortina
alla porta del recinto. [9]Poi prenderai l'olio dell'unzione e ungerai con esso
la Dimora e quanto vi sarà dentro e la consacrerai con tutti i suoi arredi;
così diventerà cosa santa. [12]Poi farai avvicinare Aronne e i suoi figli
all'ingresso della tenda del convegno e li laverai con acqua. [13]Farai
indossare ad Aronne le vesti sacre, lo ungerai, lo consacrerai e così egli
eserciterà il mio sacerdozio. [14]Farai avvicinare anche i suoi figli e farai
loro indossare le tuniche. [15]Li ungerai, come il loro padre, e così
eserciteranno il mio sacerdozio; in tal modo la loro unzione conferirà loro un
sacerdozio perenne, per le loro generazioni”.
[16]Mosè fece in tutto secondo quanto il Signore gli aveva
ordinato. Così fece: [17]nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese fu
eretta la Dimora. [18]Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi, dispose le assi,
vi fissò le traverse e rizzò le colonne; [19]poi stese la tenda sopra la Dimora
e sopra ancora mise la copertura della tenda, come il Signore gli aveva
ordinato.
In seguito il popolo stesso viene presentato come un
santuario in cui si rende presente il Signore stesso: «In quei giorni - dice il
Signore - non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore; nessuno ci
penserà né se ne ricorderà; essa non sarà rimpianta né rifatta. In quel tempo
chiameranno Gerusalemme trono del Signore; tutti i popoli vi si raduneranno nel
nome del Signore e non seguiranno più la caparbietà del loro cuore malvagio (Ger
3,16-17)».
Nella spiritualità cristiana la costruzione della dimora
appare come un’anticipazione dell’edificazione della Chiesa e l’Arca acquista
un valore di prefigurazione: «Che cosa significa se non la costruzione della
Chiesa in seguito alla venuta di Cristo? Ogni ornamento della Chiesa viene
formato a partire dal tempo di grazia del nostro Redentore. Per mezzo della
voce potente del Vangelo, si manifesta lo splendore della nuova Gerusalemme,
che discende dal cielo, come sposa del Re celeste» (Rabano Mauro, Commentaria
in Exodum, XXIV PL CVIII 245 B). Il cristiano è la vera nuova arca: «Abbia
nell'intimo del suo cuore anche l'altare dell'incenso, affinché anch'egli dica:
Siamo il buon odore di Cristo; abbia l'arca dell'alleanza, con le tavole della
legge, per meditare nella legge di Dio giorno e notte e la sua memoria diventi
arca e biblioteca dei libri di Dio, poiché anche il profeta dice beati quelli
che si ricordano dei suoi comandamenti per compierli. Nell'anima sia anche
riposta l'urna della manna: l'intelligenza sottile e dolce della parola di Dio;
vi sia in lei anche la verga di Aronne: la dottrina sacerdotale e la severità
fiorente della disciplina; e al di sopra di ogni gloria vi sia in lei
l'ornamento pontificale» (Origene, Omelie sull’Esodo, IX,4, p. 180). «La sposa
di Cristo è come l'Arca dell'Alleanza, rivestita d'oro entro e fuori, custode
della legge di Dio. Essa non contiene altro che le tavole della Legge; tu pure
non accogliere alcun pensiero profano. Su questo propiziatorio, come su d'un
Cherubino, Dio vuoi porre il suo trono. Il Signore ti considera tutta sua.
Gesù, entrato nel Tempio, butta fuori tutto ciò che ne è estraneo. Dio è
geloso; non soffre che la casa del Padre si trasformi in caverna di briganti»
(Girolamo, Lettera a Eustochio XXIII, 24).
Il Signore prende possesso del santuario
[34]Allora la nube coprì la tenda del convegno e la
Gloria del Signore riempì la Dimora. [35]Mosè non potè entrare nella tenda del
convegno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva
la Dimora.
«Nell'Esodo si dice che la gloria di Dio aveva riempito la
tenda, e con ciò viene indicato che vi era la presenza stessa di Dio. È
indicata la gloria del Figlio che è splendore della gloria e per la
partecipazione a lui si dice che tutte le creature la possiedono. In
riferimento a quanti partecipano alla risurrezione, sta scritto: Una stella
differisce dall'altra per gloria. Chi
ricerca questa gloria, onore e incorruttibilità, consegue la vita eterna per la
perseveranza nelle opere buone» (Origene, Commento alla lettera ai
Romani, II,V).
La nube guida gli Israeliti
Riprende un viaggio che ha un termine ma che, nello stesso
tempo, non ha una metà definitiva. Israele raggiungerà la terra, per poi
perderla al tempo dell’esilio e ancora riprenderla. Il cammino verso la terra è
insicuro ma ancoa più arduo è il cammino verso la libertà.
[36]Ad
ogni tappa, quando la nube s'innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti
levavano l'accampamento. [37]Se la nube non si innalzava, essi non partivano,
finché non si fosse innalzata. [38]Perché la nube del Signore durante il giorno
rimaneva sulla Dimora e durante la notte vi era in essa un fuoco, visibile a
tutta la casa d'Israele, per tutto il tempo del loro viaggio.
Il Signore cammina nel mondo, presente in modo invisibile
negli evangelizzatori: «Dio, per mezzo dei suoi predicatori, cammina localmente
nelle diverse parti del mondo…venendo a noi con la grazia, si nasconde nelle
anime dei suoi predicatori. Quando Paolo, avvinto in catene, si recava a Roma
per occupare il mondo, Dio camminava nascosto nel suo cuore come sotto una
tenda, poiché essendo nascosto non poteva essere visto e, rivelato mediante la
parola della predicazione, completava, senza sosta, ciò aveva iniziato»
(Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, V,
XXVII, 19).
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