1. Ho riconosciuto la
tua lettera come quelli che riconoscono i figli dei propri amici dalla loro
rassomiglianza con i genitori. Infatti negare che la posizione del luogo abbia
grande importanza per spingere la tua anima alla decisione di condurre la vita insieme
con noi, prima di sapere qualcosa del modo della mia esistenza, sarebbe
certamente un pensiero tutto tuo e proprio della tua mente, che giudica le cose
di questo mondo un nulla, dinanzi alla beatitudine contenuta nelle promesse.
Che cosa io faccia in questa terra remota, di notte e di giorno, io mi vergogno
a scriverlo. Ho abbandonato infatti le occupazioni della città, come origine
di infiniti mali, ma non sono ancora stato capace di abbandonare me stesso. Sono simile a coloro
che soccombono e soffrono il mal di mare, durante la navigazione, per
inesperienza della navigazione. Essi si adirano contro la grandezza della nave,
come se fosse questa la causa dei grandi ondeggiamenti; da questa passano su di
un scafo o su di una piccola barca. Tuttavia continuano dovunque a soffrire il
mal di mare e sono in difficoltà, poiché sono dovunque seguiti dalle loro
contrarietà e dalla loro bile. Simile al loro è anche il mio comportamento.
Portiamo infatti dovunque con noi i nostri intimi sentimenti, viviamo dovunque
con eguali dispiaceri, così da non trarre alcun vero vantaggio da questa
solitudine. Quello che si doveva fare, e per cui ci sarebbe stato possibile
seguire le orme di colui che ci ha guidati alla salvezza, consiste in questo
precetto: « Se uno infatti — dice — vuole venire dietro a me, rinunci a sé
stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16, 24).
2. Bisogna cercare di
avere la mente in pace. Come, infatti, non è possibile che l'occhio, se vaga
continuamente, e ora si volge di fianco, ora va su e giù incessantemente, veda
chiaramente gli oggetti che gli capitano sotto, ma bisogna che fissi lo sguardo
su un oggetto per poter rendere chiara la visione: così pure non è possibile
che la mente dell'uomo, sospinta dalle infinite preoccupazioni del mondo,
guardi chiaramente e fissamente alla verità. Desideri furiosi e impulsi
sfrenati e amori pazzi turbano colui che non è ancora aggiogato ai legami del
matrimonio; colui poi che è già costretto al giogo coniugale, è travagliato da
un altro tumulto di preoccupazioni: se non ha figli, dal desiderio di averne;
se ne ha, dalla preoccupazione di allevarli, dalla sorveglianza della moglie,
dalla cura della casa, dal governo sulla servitù, dai danni inerenti agli
affari, dalle contese con i vicini, dalle lotte dei tribunali, dai rischi del
commercio, dalle fatiche dell'agricoltura. Ogni giorno che viene reca con sé la
sua particolare melanconia per l'anima, e ogni notte, ereditando le
preoccupazioni del giorno, delude l'animo con le medesime visioni. Da questi affanni
c'è una sola via di uscita: l'isolamento assoluto da questo mondo. Questa
separazione non consiste nell'esserne fuori fisicamente, ma nello staccare
l'animo dai legami con il corpo e nel sentirsi slegato dalla patria, dalla
casa, dalla proprietà, dagli amici, dai possedimenti, dalla vita, dagli affari,
dalle relazioni con gli altri, dalla conoscenza degli insegnamenti umani, e nell'essere
pronti a ricevere in cuore le impronte derivanti dall'insegnamento divino. Questa preparazione
del cuore si ottiene spogliandolo delle lezioni e degli insegnamenti, che per
cattiva e radicata abitudine lo posseggono. Non è infatti possibile scrivere sulla
cera se prima non si sono cancellati i caratteri precedenti; e neppure
imprimere nell'animo gli insegnamenti divini se prima non si sono cancellate le
basi acquisite dalla consuetudine. In vista di questa, la solitudine ci procura
un grandissimo vantaggio, poiché addormenta le nostre passioni e da alla
ragione la possibilità di sradicarle completamente dall'animo. Come infatti si
potrebbero vincere le fiere se non le si domasse? Così i desideri e l'ira e la
paura e il dolore, passioni nocive all'anima, solo se sopite dalla pace e non
acuite da continuo eccitamento, possono essere più facilmente vinte dalla forza
della ragione.
Sia dunque questo luogo
tale quale il nostro, libero dal commercio con gli uomini, in modo che la
continuità dell'ascesi non sia interrotta da alcun elemento esterno.
L'esercizio della pietà nutre l'anima con pensieri divini. Che cosa c'è di più
beato che l'imitazione, in terra, del coro degli angeli? Al primo apparire del
giorno muoversi per le preghiere, e in inni e canti rendere onore al Creatore;
più tardi, quando il sole splende alto e luminoso, volgersi al lavoro, mentre
la preghiera ci accompagna dovunque, e condire l'opera, per così dire, con il
sale degli inni. Infatti le consolazioni contenute negli inni danno la grazia
di avere lo animo disposto a ilarità e serenità. La tranquillità è dunque il
principio della purificazione dell'anima, poiché né la lingua va blaterando
parole umane, ne gli occhi si soffermano a contemplare i bei colori e le
armonie dei corpi, ne l'udito distrae l'attenzione dell'anima per ascoltare i
canti composti per il piacere, o parole di uomini arguti e faceti, cosa questa
che più di ogni altra suole distrarre l'attenzione dell'anima. La mente
infatti non si disperde verso l'esterno, e se non è tratta dai sensi a
riversarsi sul mondo, si ritira in sé stessa e da sé stessa sale al pensiero di
Dio.
Illuminata e resa splendente da quella bellezza, è presa dall'oblio verso la
natura stessa, senza che l'anima sia trascinata verso preoccupazioni per il
cibo o per il vestito; allora, libera da preoccupazioni terrene, trasferisce
tutto il suo zelo all'acquisto dei beni eterni. Come si potrebbero ottenere la
saggezza e il valore, come la giustizia, la prudenza e tutte le altre virtù,
che suddivise in altrettanti generi, consigliano all'uomo di buona volontà di
portare a compimento in modo conveniente ciascun atto della vita?
3. La via maestra
verso la scoperta del dovere è la frequentazione delle Scritture ispirate da
Dio. In
esse infatti si trovano tutte le norme di condotta. Inoltre la descrizione
della vita degli uomini beati, tramandataci come immagine vivente del modo di
vivere secondo Dio, ci è posta dinanzi affinché imitiamo le loro buone azioni.
E così ciascuno, meditando su quel lato del suo carattere in cui si accorge di
essere manchevole, trova la medicina capace di sanare la sua malattia, come in
un ospedale aperto a tutti. Colui che è amante della continenza medita a lungo
la storia di Giuseppe e impara da lui azioni temperanti, poiché trova che egli
non solo mantenne la continenza dinanzi ai piaceri, ma che fu disposto alla
virtù anche per abitudine radicata.
Si impara il coraggio da
Giobbe: egli, quando le sorti della sua vita si capovolsero e divenne per un
solo tocco della sorte povero da ricco, privo di figli da genitore di bella
prole, non solo rimase immutato mantenendo sempre alta l'elevatezza della sua
mente, ma neppure si adirò contro gli amici che, venuti per consolarlo, lo
insultavano e rendevano più intenso il suo dolore. Inoltre, quando qualcuno
cerca il modo di divenire mite e nello stesso tempo magnanimo, in modo da
potersi servire del coraggio contro i peccati, e della mitezza verso gli
uomini, troverà che David era valoroso nelle nobili imprese di guerra, ma era
mite e dolce nelle relazioni con i nemici.
Tale era anche Mosé, che
era mosso a grande collera da coloro che peccavano contro Dio, ma sopportava serenamente
le calunnie rivolte a lui stesso.
In ogni modo, come i
pittori, quando dipingono una immagine tenendone un'altra per modello, guardano
frequentemente all'originale e cercano di riprodurre il carattere di quello
nella propria opera d'arte; così occorre che anche colui che si sforza di
raggiungere la perfezione in tutte le parti della virtù, guardi alla vita dei
santi come a statue viventi e operose, e che, attraverso l'imitazione, faccia
proprio il bene di quelli.
4. Le preghiere poi,
intercalate alle letture, trovano l'animo più giovane e più maturo, in quanto
mosso dal desiderio di raggiungere Dio. Bella è la preghiera che rende più chiara
all'anima l'idea di Dio. Proprio in questo consiste la presenza di Dio:
nell'avere in sé Dio, rafforzato dalla memoria. E' in questo modo che noi
diventiamo tempio di Dio, cioè quando la continuità del ricordo non è
interrotta da preoccupazioni terrene, quando la mente non è turbata da
sentimenti improvvisi, ma quando colui che ama Dio si è allontanato da ogni cosa,
e si rifugia in Dio, quando respinge tutto ciò che ci richiama al male, e passa
la sua vita nelle opere che conducono alla virtù.
5. Prima di tutto
occorre badare a non ignorare il modo di usare la parola, ma a interrogare
senza animosità, a rispondere senza ambizione, senza interrompere
l'interlocutore quando dice qualcosa di utile, senza desiderare di mettere
avanti il proprio discorso per mettersi in mostra; a porre discrezione nel
parlare e nell'ascoltare, a imparare senza vergognarsi, a insegnare senza
invidia; e se si è imparato qualcosa da un altro, a non nasconderlo (come
invece accade alle donne stolte che fanno passare per figli propri gli
illegittimi), ma a proclamare equamente l'autore di quel tale discorso. Il tono
di voce da preferire è quello medio, in modo che l'ascolto non sfugga per
troppa fievolezza né sia troppo faticoso per eccessiva intensità. Solo dopo
avere esaminato in precedenza il contenuto del discorso, bisogna esporlo in
pubblico. Bisogna essere affabili negli incontri, dolci nelle conversazioni; non andare alla
ricerca della piacevolezza attraverso le arguzie, ma accattivarsi simpatia con
benevolo incoraggiamento. Bisogna comunque evitare l'acredine, anche se si
deve rimproverare.
Abbassando, infatti, te stesso con umiltà, diverrai bene accetto a colui che
ha bisogno del tuo rimprovero. Spesso infatti ci è utile anche il tipo di
rimprovero usato dal profeta, il quale, quando David aveva peccato, non propose
il tipo di punizione lui stesso, ma introdusse in modo fittizio un'altra
persona e rese David giudice del suo proprio peccato, in modo che quello, dopo
aver pronunciato spontaneamente la condanna, non poté più rimproverare nulla al
suo accusatore (Re 12, 1-14).
6. L'uomo umile, e che
ha abbassato la sua superbia, è caratterizzato da un occhio grave e fisso a
terra, ha l'aspetto trascurato, la chioma incolta, la veste dimessa, cosicché
ci sembra connaturato in lui l'atteggia-mento che coloro che sono addolorati
ostentano per usanza.
La tunica sia legata al
corpo da una cintura. Questa cintura non sia sopra i fianchi (sarebbe infatti
indice di effeminatezza), e neppure molle in modo da lasciar scorrere la tunica
(sarebbe infatti indice di mollezza). L'incedere non sia pigro, in modo da
indicare rilassatezza dell'anima; ma non sia neppure veemente e agitato, così
da suggerire sentimenti incostanti dell'animo. Il fine degli abiti è uno solo,
coprire il corpo in modo sufficiente per l'inverno e per l'estate. Non si curi
la leggiadria del colore, e neppure la mollezza o la delicatezza della stoffa.
Infatti la ricerca, nelle vesti, della bellezza dei colori, è un atteggiamento
simile a quello delle donne che usano belletti, tingendosi guance e capelli con
unguenti di fiori venuti da lontano. La tunica deve anche avere uno spessore
tale che colui che la indossa non abbia bisogno di altro aiuto per scaldarsi.
La calzatura sia modesta di valore, ma capace di adempiere al suo compito a
sufficienza.
Riassumendo, come nella
scelta delle vesti bisogna lasciarsi guidare dalla funzionalità, così anche per
il cibo, il pane soddisferà la fame, e l'acqua lenirà la sete dell'uomo sano,
con quelle pietanze vegetali che possono conservare al corpo la forza bastante
alle necessità usuali. Bisogna mangiare senza mostrare una gola sfrenata, ma
conservare comunque calma, dolcezza e continenza dinanzi ai piaceri; e neppur
allora avere la mente inerte e distratta dal pensiero di Dio, ma trarre motivo
di lode a Dio dalla natura stessa dei cibi e dalla struttura dell'uomo che li
riceve. Si pensi come le varie specie di nutrimento si adattino alla
peculiarità dei corpi, per opera di colui che tutto amministra.
Nelle preghiere prima
dei pasti, chiediamo di divenire degni dei doni di Dio, alcuni dei quali egli
dispensa subito, altri ci pone in serbo per l'avvenire. Dopo i pasti, le
preghiere conterranno un rendimento di grazie per ciò che ci è stato dato, e
una richiesta di ciò che è stato promesso. Vi sia un'ora sola stabilita per la
refezione, e sempre la stessa, che ritorni periodicamente, in modo che, delle
ventiquattro ore del giorno, questa sola sia spesa per il corpo. Le altre
devono essere spese dall'asceta nell'esercizio dell'operosità spirituale. Il
sonno deve essere leggero e da esso ci si deve poter facilmente svegliare e
deve essere commisurato naturalmente al genere di vita: deve essere interrotto
quando occorra per le preoccupazioni riguardanti argomenti importanti. Infatti
l'essere dominati da un sonno profondo, con le membra rilassate in modo da
offrire il destro a strane immaginazioni, rende coloro che così dormono preda
di una morte quotidiana. Quello poi che per gli altri uomini è il sorgere del
giorno, sia la mezzanotte per coloro che esercitano la pietà, poiché
soprattutto la quiete notturna offre in dono tranquillità all'anima: durante
questa infatti ne gli occhi ne le orecchie inviano al cuore visioni o suoni
dannosi, ma l'anima abita sola con Dio, si corregge al ricordo dei suoi
peccati, pone a sé stessa dei limiti contro l'inclinazione al male, e cerca
l'aiuto di Dio per compiere il fine che si è proposto.
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