L'esperienza cristiana
valorizza i beni umani più autentici: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto,
si fa lui pure più uomo» (GS 41). In modo particolare, vivendo la carità di
Cristo, la famiglia si rafforza: fratelli e sorelle riescono a fondare meglio
la loro relazione fraterna.
Una delle testimonianze più
vive della realizzazione di questo ideale, la troviamo nei figli di due sposi,
Basilio ed Emmelia, vissuti nel Ponto e in Cappadocia, nel secolo IV: Macrina,
la primogenita, che divenne la guida spirituale per i componenti della
famiglia; Basilio, divenuto vescovo di Cesarea di Cappadocia, grande teologo e
animatore della vita monastica; Gregorio (detto Nisseno perché scelto come
vescovo di Nissa), riconosciuto come valente teologo ed omileta. Per completare
la presentazione ricordo gli altri due figli, Naucrazio e Pietro rimasti più in
ombra. Naucrazio perì in un evento tragico ancora giovane; Pietro divenne
vescovo di Sebaste, in Armenia[1].
Infine rimane Teosebia, denominata compagna del Nisseno in una lettera inviata a lui da Gregorio
di Nazianzo; alcuni la considerano una sorella, altri la moglie[2].
La questione rimane irrisolta.
La
famiglia proveniva dal Ponto ma Basilio e Gregorio operarono soprattutto in
Cappadocia, un'ampio altipiano, a clima continentale, nel cuore dell'Asia
Minore (attuale Turchia). La regione era rimasta isolata e in stato di
arretratezza in epoca classica, ma, in epoca imperiale, si era aperta alla
cultura greco-romana. La popolazione, stretta attorno alle città più importanti
(quali Cesarea e Tiana), conduceva una vita piuttosto stentata: il territorio
era occupato in gran parte da latifondi, lavorati da coloni sparsi in piccoli
villaggi. Questa regione, evangelizzata da san Gregorio Taumaturgo, si era
strutturata dal punto di vista religioso in modo che l'autorità ecclesiastica
più rilevante era tenuta dal vescovo di Cesarea, coadiuvato da chorepiscopi, sparsi nei centri rurali minori.
Entriamo
ora nella vicenda dei fratelli, esposta nella Vita di Macrina[3], scritta da Gregorio di Nissa.
Provenivano
da una famiglia cristiana benestante e fervente. Macrina, la primogenita, fu
educata nel cristianesimo dalla madre (Emmelia), che la spinse ad apprendere la
Sacra Scrittura[4]; la sua
formazione umana venne completata dall'apprendimento dell'arte della tessitura
e del ricamo, un vanto per le donne nobili dell'epoca.
Basilio,
invece, fu inviato fino ad Atene per attendere ad un corso superiore di studi
retorici[5].
Atene era rimasta la capitale culturale dell’impero romano, la sede più ambita
per chi voleva prepararsi, dal punto di vista accademico, alla vita sociale e
politica. Basilio si proponeva di intraprendere la carriera di retore,
necessaria per ottenere cariche politiche. Intendeva proseguire la tradizione
di famiglia, incoraggiato, senza dubbio, dal padre.
Dopo
la morte del padre (Basilio senior),
Macrina divenne la figura più rilevante all’interno del gruppo familiare. Aderì
con sempre maggiore convinzione al Vangelo e, a motivo di questa conversione
religiosa, cominciò ad interessarsi dell'amministrazione del patrimonio e della
formazione dei fratelli più giovani, coadiuvando la madre[6].
Gregorio
ricevette la formazione basilare, culturale e religiosa, in casa; soltanto i
seguito la completò frequentando altre scuole di cultura profana. A motivo di
questa felice convivenza, rimase molto legato alla sorella, della qual nutrì
sempre grande stima. Egli non ci riferisce in che modo la ella si fosse presa
cura di lui. Lo possiamo intuire, osservando il comportamento materno di
Macrina verso il fratello più giovane, Pietro, che fu il suo vero discepolo.
Scrive Gregorio: «Subito lo allontanò dalla nutrice e lo allevò lei stessa. Lo
spinse verso la forma più alta di educazione, facendolo esercitare fin da bambino
nelle discipline sacre. Divenuta tutto per il piccolo, padre, maestro,
pedagogo, madre, consigliera d’ogni bene…»[7].
Benché solo con Pietro, Macrina abbia potuto dispiegare in totalità il suo
progetto pedagogico, senza alcuna limitazione, anche Gregorio fu oggetto di una
attenzione particolare da parte sua.
All'età
di circa trent'anni, Macrina diede una svolta decisa alla sua esistenza.
Intraprese una vita di tipo monastico[8]
e spingerla a questa decisione, con ogni probabilità, fu Eustazio di Sebaste[9],
figura di grande fascino, animatore di un movimento religioso di tipo
monastico, che proponeva una vita cristiana più aderente al Vangelo (con
risvolti radicali). Macrina convinse la madre, rimasta vedova, a condividere la
sua nuova esistenza[10].
Si stabilirono ad Annisi, nel Ponto, in un podere di loro proprietà. La loro
vita era caratterizzata dalla preghiera, dalla lettura della Sacra Scrittura,
dal lavoro. A questo proposito, le due donne decisero si svolgere anche i
lavori manuali più umili, quelli riservati alla servitù, in modo da evidenziare
l'uguaglianza che deve regnare tra le sorelle che condividevano la medesima
fede. Il segno del cambiamento di vita, oltre l’impegno in una preghiera
intensa, fu proprio nella scelta di impegnarsi nei lavori manuali, propri dei
servi[11].
Ritornato in patria, Basilio,
ben attrezzato dal punto di vista culturale, suscitò l’inquietudine di Macrina.
Desideroso di fare carriera, si mostrava sprezzante nei confronti di colleghi,
meno preparati di lui ed era ben distante dall’ideale evangelico, a cui lei
s’era votata con Emmelia. «Lo trovò insuperbito oltre misura per le sue
capacità nell’oratoria…»[12].
Del resto anche il Nazianzeno lamenterà che Basilio tendeva a trattare gli
altri con una certa supponenza[13].
Vinto dall’assedio della sorella, ma anche dalla testimonianza evangelica di
Eustazio, Basilio accettò il battesimo e divenne lettore nella Chiesa.
«Rinunciando alla notorietà mondana e disdegnando il fatto di essere oggetto
d’ammirazione per il suo talento oratorio, disertò, per passare ad una vita di
lavoro»[14].
Basilio volle iniziare
anch’egli una sorte di vita monastica, situandosi nelle vicinanze di Annisi.
Tentò di coinvolgere l’amico conosciuto ad Atene, Gregorio (di Nazianzo), il
quale si lasciò convincere, superando la sua riluttanza iniziale. I due, aperti
alla cultura, studiavano insieme le opere di Origene, del quale avevano sentito
parlare già in famiglia, e compilarono un’antologia dei suoi scritti (Filocalia) ma dovettero faticare anche in un duro lavoro manuale.
Invitò anche il fratello più giovane, Gregorio (Nisseno) ad associarsi a loro. Quali
parole usò per persuadere quest’ultimo, di per sé poco propenso ad una vita
ecclesiastica? Conosciamo la lettera inviata da Basilio al Nazianzeno per
persuaderlo a raggiungerlo[15].
Possiamo pensare che esortazioni analoghe le abbia rivolte anche al fratello.
La lettera, colma di entusiasmo per quel tipo di vita appena scelto, presenta
un tono programmatico (con aspetti di regola di vita), con accenti
pubblicitari.
Ciò nonostante quel tipo di
vita non li soddisface del tutto, molto fervente ma anche improvvisata. Il
primo a lasciare il gruppo fu il Nisseno perché desiderava intraprendere una
normale carriera, come insegnante, avvocato o uomo politico. Intendeva anche
sposarsi, come fece. In questo modo, abbandonava il ministero ecclesiale che
aveva accettato, facendosi ordinare lettore. Il cambiamento dispiacque molto a
Basilio ma l’interprete del suo rammarico fu l’amico Gregorio, che indirizzò al
transfuga uno scritto piuttosto risentito. Gregorio lo tratta molto duramente;
è chiaro che può permetterselo perché suffragato da Basilio (e forse anche da
Macrina stessa): «La tua brama d’onori è infausta più d’ogni altro demonio…
Ricusasti i libri sacri che estinguono la sete, libri che leggevi ad alta voce
ai fedeli, prendendo al loro posto nelle tue mani libri pieni di sale che non
placano per nulla la sete. Hai voluto aver fama di retore più che di cristiano»[16].
In seguito anche il
Nazianzeno, si staccò da Basilio. A differenza del Nisseno, non s’allontanò per
darsi ad una carriera mondana, ma per impegnarsi meglio nella Chiesa; non
detestava affatto una vita filosofica (come veniva chiamata) ma voleva
dedicarsi anche alle necessità della Chiesa e prestare aiuto al padre che era
vescovo[17].
Lontano da Basilio, Gregorio gli scrisse per togliersi qualche sassolino dalle
scarpe. Voleva replicare ai rimproveri che riceveva. È vero che vita vissuta
con l’amico era stata colma di fervore, ma era anche molto grama e limitata.
Gregorio gli ricorda alcuni aspetti del godimento spirituale ottenuto ma anche
tanti altri gravi inconvenienti. Nella Epistola VI, Gregorio comincia a
ricordare la dolcezza della devozione religiosa: «Chi mi recherà ancora in dono
quelle salmodie, le veglie, i pellegrinaggi a Dio attraverso la preghiera? Il
fervente studio degli oracoli divini e la luce che trovammo in essi, scortati
dallo Spirito Santo?». Detto questo, comincia, ironicamente, anche a richiamare
i disagi: «Chi mi recherà in dono il quotidiano servizio e il lavoro, frutto
delle nostre fatiche? Il trasporto della legna e il taglio delle pietre».
Nell’Epistola V, Gregorio, tra i disagi, richiama l’imperizia culinaria di
entrambi, al punto che «se non ci avesse prontamente tratto in salvo quella
donna davvero grande e nutrice dei poveri, che è tua madre… saremmo già morti
da tempo»[18]. In questo
modo veniamo a conoscere i disagi sperimentati anche dal Nisseno, che, insieme
alle altre motivazioni, contribuirono anch’essi al distacco dal fratello.
Come ho detto, la scelta
operata da Gregorio (Nisseno) non dovette piacere né a Macrina, né a Basilio.
Abbandonare un ufficio ecclesiastico era un fatto disdicevole, anche per la
folla dei fedeli. Tutta la famiglia era pervasa dall’ideale monastico suggerito
con ardore da Eustazio. Tra tutti i fratelli, Naucrazio fu quello che scelse la
vita più austera. Si mise a vivere in solitudine, da vero eremita, accompagnato
soltanto da un servo. Oltre alla vita ritirata, egli, però, voleva impegnarsi
nelle opere di solidarietà, prendendosi cura di alcuni anziani poveri, incapaci
di provvedere a se stessi. Per procurare loro il cibo necessario, si recava
spesso a caccia, mettendo così a disposizione ad un ideale di solidarietà, un
passatempo appreso da giovane aristocratico. Fu in una circostanza del genere,
che morì nei boschi, aggredito da una fiera. Fu un colpo durissimo per tutti i
fratelli, soprattutto per la madre e per la sorella: «In questa occasione si
rivelò la virtù della grande Macrina quando, opponendo al dolore la ragione, si
mantenne salda e, divenuta sostegno della debolezza della madre, la fece
riemergere dall’abisso della disperazione. Di conseguenza anche la madre non fu
trascinata nel dolore e non si lasciò andare a niente di disdicevole, come
gridare contro il male, strapparsi il mantello, o lamentarsi per la sofferenza,
o intonare i canti funebri con melodie piene di gemiti. Invece in silenzio
sopportava pazientemente, respingendo gli assalti della natura, grazie ai suoi
ragionamenti e alle ragioni portate dalla figlia per curarla dal suo male.
Allora soprattutto si manifestò relevata e grandissima anima della vergine,
perché anche in lei la natura sopportava il medesimo strazio: era suo fratello
e, fra i fratelli, il più caro, il giovane che in questo modo le era stato
strappato dalla morte»[19].
Basilio infine rinunciò
anch’egli alla vita ritirata che aveva abbracciato in un primo tempo. Infatti
lo vediamo prima esercitare il ministero presbiterale e, poi, impegnarsi per
favorire la sua elezione a vescovo di Cesarea di Cappadocia[20].
Ottenuto l’incarico
auspicato, ebbe bisogno, allora, di contare su chorepiscopi fedeli. Fece quanto possibile perché l’amico Gregorio
accettasse la sede di Sasima, mentre desiderava che il fratello divenisse
vescovo di Nissa. Questi, nel frattempo, aveva modificato le sue prospettive di
vita. Le esortazioni di Macrina, del fratello e dell’amico stavano per
conseguire il risultato da loro sperato. Gregorio aveva rinunciato alla
carriera per interessarsi dei problemi della Chiesa, divenendo un suo ministro.
Così accolse la proposta di Basilio e divenne vescovo di Nissa.
Era in grado di svolgere la
funzione pastorale che gli veniva affidata? Per un certo verso, sì. Egli era
molto abile nella predicazione, nel commentare i testi biblici, l’ufficio
principale di un vescovo. Inoltre sapeva intrattenere buoni rapporti con i suoi
fedeli. Gli mancava però una qualità che gli sarebbe stata assai utile, tenendo
conto di tutti gli affari nei quali veniva coinvolto un vescovo dell’epoca: la
precisione amministrativa e l’abilità a districarsi nelle contese. Basilio se
n’accorse e se ne lamentò: lo definisce «assolutamente inesperto degli affari
della chiesa… troppo assorto, siede troppo in alto per poter udire quanti gli
dicono la verità parlando da terra»[21].
Infatti il vicario (civile) del Ponto, Demostene, per suggerimento
dell’imperatore Valente che voleva favorire gli ariani, trovò il modo di
accusarlo di cattiva amministrazione. Fu destituito dalla carica e costretto
all’esilio. Invano Basilio accorse in difesa del fratello chiedendo a
Demostene, per lettera, di fissare una nuova udienza in tribunale in modo da
riesaminare l’accusa che gli era stata rivolta: «Se si fa questione di denaro,
pensando che sia stato sciupato, qui ci sono gli amministratori del denaro
della chiesa pronti a rendere conto a chiunque lo desideri e a scoprire la
calunnia di coloro che non hanno avuto timore del tuo orecchio attento»[22].
Dalla stessa lettera, veniamo a sapere che Gregorio aveva dovuto interrompere
il viaggio verso la località a cui era stato destinato, perché «tormentato
dalla pleurite e dalla malattia di reni, in seguito al freddo preso». In questo
caso Basilio si mostra preoccupato della situazione del fratello.
Più tardi, in seguito
all’elevazione del nuovo imperatore, Teodosio, Gregorio fu scagionato e poté
riprendere il suo ministero episcopale a Nissa.
Sofferenze più gravi lo
attendevano. In questo periodo della vita, dovette affrontare due lutti, la
morte di Basilio e quella, ancora più dolorosa, della sorella Macrina. Se ci
atteniamo ai documenti, Basilio sembra aver mantenuto un rapporto piuttosto
distaccato con i due fratelli; non parla mai di Macrina e nei confronti di
Gregorio appare piuttosto una guida, un padre più che un fratello.
Quest’ultimo, a sua volta, mostra verso di lui, grande ammirazione ma non
lascia trasparire, in qualche scritto, un particolare legame. In realtà i due
fratelli erano legati reciprocamente da affetto molto di più di quanto volevano
far credere.
Il momento rivelatore lo troviamo
nel racconto dell’addio a Macrina, poco prima che ella morisse. È chiaro che
tra lei e Gregorio s’era creato un legame molto intenso. Concluso il Sinodo
d’Antiochia, più libero da assillanti impegni pastorali, poté finalmente
incontrare la sorella. Non la vedeva ormai da otto anni, dall’epoca del suo
esilio forzato. Avvicinandosi ad Annisi, dove lei abitava con tutta la
comunità, venne a sapere che era gravemente ammalata. Temendo che fosse
prossima alla morte, si precipitò al capezzale.
Ascoltiamo ora in modo
diretto le parole del Nisseno: «Protendendosi fuori dal giaciglio, cercava di
farmi l’onore di venirmi incontro. Anch’io mi affrettai verso di lei e
sollevandole il viso, la raddrizzai. Ella, tendendo la mano verso Dio, disse:
“Anche di questa grazia mi hai colmata, Signore, e non mi hai privata di quello
che desideravo, perché hai spinto il tuo servo a visitare la tua ancella”»[23].
Macrina cerca di contenere le manifestazioni del suo male per non rattristare
il fratello e instaura una conversazione fraterna. «Poiché nel proseguimento
della conversazione si inserì il ricordo del grande Basilio, l’anima si
piegava: inclinavo il volto per l’abbattimento e le lacrime correvano già dalle
palpebre»[24]. Ora
Gregorio svela l’intensità del suo dolore per la scomparsa del fratello
maggiore. Macrina, per consolarlo, richiama i disegni della Provvidenza.
L’affetto profondo di Gregorio verso il fratello maggiore, ci viene
testimoniato anche dal Nazianzeno nella lettera che gli inviò appena appresa la
morte di Basilio: «Anche questo era in serbo per la mia vita grama, apprendere
la notizia della morte di Basilio… Penso che tu, che disponi di molti amici e
di parole per trovare conforto, da nessuno di loro possa riceverne così tanto
come da te stesso e dal ricordo che hai di lui»[25].
Gregorio ha altre sofferenze
da confidare alla sorella morente. Si sente ancora oppresso per le umiliazioni
e la solitudine patite a motivo della sua deposizione dal seggio episcopale e
del suo esilio: «Io le raccontavo gli affanni nei quali mi trovavo, in primo
luogo allorché l’imperatore Valente mi fece esiliare a motivo della fede, poi
perché la confusione fra le Chiese ci chiamava a lotte e a pene»[26].
Di nuovo viene interrotto da Macrina e invitato a risollevarsi riconoscendo le
grazie che aveva ricevuto e di cui ancora godeva: «Non vedi la grazia di cui
sei oggetto? Non riconosci la causa di beni tanto grandi, cioè le preghiere dei
nostri genitori?»[27].
Sarebbe interessante proseguire la lettura del racconto delle ultime ore di
Macrina ma questo ci allontanerebbe dall’intento di questo studio. Tentiamo
piuttosto una sintesi.
Tra i fratelli, soltanto
Gregorio ci tramanda notizie sulla famiglia e sui rapporti che intercorrevano
tra loro, in modo un po’ più ampio.
È chiaro che Macrina ha avuto
un ruolo nella formazione spirituale di Basilio e di Gregorio; pur non avendo
cariche ecclesiali e neppure una formazione teologica adeguata, influì su di
loro grazie alla sua testimonianza di vita. Preferisco riportare un breve
elogio che Gregorio traccia della sorella: «Avevamo una sorella, per noi
maestra di vita e seconda madre: essa aveva tanta confidenza con Dio che era
per noi torre munita e scudo di grazia... Abitava in una remota solitudine del
Ponto da quando si era esiliata dalla umana convivenza; intorno a lei c'era un
numeroso coro di vergini. …Il suo domicilio era melodioso sempre perché notte e
giorno risonava di salmodie… una bocca che in ogni momento meditava la Legge
divina, un orecchio attento alle cose divine, una mano in continuo movimento
per eseguire le prescrizioni divine»[28].
Tornando al rapporto tra
Basilio e Gregorio, la storia ci suggerisce un vicinanza più stretta di quello
che appare dai loro scritti. Questi ha collaborato da vicino con il fratello
nell’affrontare i problemi ecclesiali dell’epoca. Sulle questioni teologiche
primarie teologiche avevano una visione comune: entrambi difendevano le
deliberazioni del concilio di Nicea; combattevano l’arianesimo radicale (di
Eunomio), difendevano la divinità dello Spirito Santo (accettando, su questo
punto, di interrompere l’amicizia con Eustazio di Sabaste). Gregorio sarà in
grado di assumere l’eredità del fratello e proseguire la sua opera. Dopo la
scomparsa di Basilio si imporrà come uno dei teologi più validi del fronte
ortodosso. Questo dimostra che il giudizio dato dal fratello maggiore, non era
del tutto corrispondente alla verità (oppure che in seguito operò un
cambiamento notevole).
Per quanto riguarda la
conduzione pastorale della Chiesa, entrambi si mostrarono molto attenti alla
condizione miserevole dei poveri, per suscitare la solidarietà dei fedeli nei
loro confronti. Entrambi si opposero alle pretese dell’autorità politica; sulle
prima Gregorio fu quello che pagò il prezzo più caro alla sua opposizione ma,
alla fine, venne ripagato dalla stima manifestata nei suoi confronti
dall’imperatore Teodosio e dalla moglie, l’imperatrice santa Flacilla.
Gregorio, pur dipendendo dal
fratello, non appare dominato da lui. Non solo quando, da giovane, scelse una
strada diversa, staccandosi da Basilio, ma anche perché sviluppò delle
tematiche teologiche diverse dal fratello. Meno abile di lui nella conduzione
pastorale e amministrativa della Chiesa, gli fu superiore sul piano del
pensiero teologico. Appare tra loro una differenza, nella concezione della vita
monastica. Furono entrambi grandi estimatori di essa e, certamente l’apporto di
Basilio fu più decisivo. Il Nisseno, avvicinandosi ai movimenti radicali, si
aprì all’idea che potesse valere un’esperienza monastica incentrata in modo esclusivo
sulla preghiera[29]. Secondo
Macrina, pur dando grande spazio alla preghiera, il passaggio fondamentale alla
vita cristiana radicale avviene quando il penitente accettava il lavoro
manuale. Gregorio, pur trovandosi d’accordo in questo, riteneva che in seguito
l’asceta avrebbe fatto meglio (o almeno avrebbe potuto legittimamente)
diventare, una persona di preghiera, in modo quasi esclusivo.
[1] Cf. Claudio Moreschini, I Padri Cappadoci, Storia, letteratura, teologia, Città Nuova, Roma
2008, pp. 30-31[Moreschini]. Basilio
il Grande (Introduzione a),
Morcelliana, Brescia 2005. Jean Bernardi, Gregorio di Nazianzo. Teologo e
poeta nell’età d’oro della Patristica, Città
Nuova, Roma 1995.
[2] Gregorio Nazianzeno, Epistole, CXCVII, a cura di Antonella Conte, Città Nuova, Roma
2017, p. 262 [Conte].
[3] Gregorio di Nissa, La vita di S. Macrina, introduzione, traduzione e note di Elena
Giannarelli, Edizioni Paoline, Milano 1988 [VM].
[4] Conobbe anche gli autori classici pagani? Gregorio
fornisce, a proposito, dati contrastanti. Nella Vita preferisce mostrarla come una donna nutrita soltanto
alle fonti della fede ma, nell'opera L'anima e la risurrezione, la mostra come esperta di filosofia. Certamente la
fede cristiana ebbe la parte primaria.
[5]In precedenza aveva ricevuto una formazione primaria
dal padre; poi era stato mandato a Cesarea e a Costantinopoli. Basilio frequentò le lezioni del celebre retore
dell’epoca, Libanio. Ebbe come compagno di studi Giuliano (definito poi
l’apostata), che, asceso in seguito al trono imperiale, cercò di opporsi
all’influsso crescente del cristianesimo. Conobbe e strinse un forte legame
d’amicizia con Gregorio (il futuro vescovo di Nazianzo e di Costantinopoli).
[8] Il nuovo decorso le fu possibile anche poiché era
rimasta nubile; da adolescente non aveva sposato il fidanzato, un coraggioso
avvocato, difensore dei poveri, in quanto morì prima del matrimonio.
[9] Cf. Moreschini, pp. 23-26.
[15] Basilio, Epistolario, 2, a cura di Adriana Regaldo Raccone, Edizioni
Paline, Alba 1968, pp. 44-52 [Raccone].
[19] VM 9, pp. 99-100.
[21] Basilio, Epistolario, CCXV, Raccone, pp. 596-597.
Altra severa critica nell’epistola C, p. 316.
[22] Basilio, Epistolario, CCXXV, Raccone, pp. 636-638.
[28] Gregorio di Nissa, Epistolario, a cura di Renato Criscuolo, D’Auria Editore, Napoli
1981, pp. 135-136.
[29] Gregorio di Nissa, Fine, Professione e Perfezione
del cristiano, a cura di Salvatore
Lilla, Città Nuova 1979, p. 57.
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