SAN
SERGIO DI RADONEZ
San
Sergio di Radonez (+ 1392), fondatore della celebre laura della Santissima
Trinità vicino a Mosca, fu l'iniziatore di una spiritualità che venne seguita
da numerosi monaci, apostoli e civilizzatori della Russia settentrionale.
Sergio
pregava molto, in chiesa e nella sua cella. Era un contemplativo, ma non di
tipo esicasta. Cercava l'unione a Dio mediante l’osservanza di un'ascesi molto
dura. Sergio e i suoi discepoli furono lavoratori coraggiosi e tenaci-
Dissodavano terre, costruivano essi stessi le loro capanne, sgobbavano nelle
foreste e nei campi per nutrire un gran numero di bisognosi. Secondo
l'espressione di un antico biografo, il padre del monachesimo russo del nord
lavorava «come uno schiavo comprato al mercato». Schiavitù libera, generosa,
trasfigurata da motivi di fede e di carità. Per dedizione al Cristo, egli si
faceva portatore d'acqua, carpentiere, cuoco, fornaio, sarto, calzolaio;
desiderava che tutti i suoi fratelli lavorassero così in spirito di corpo e di
subordinazione. Lo scrittore russo B. Zajcev dice che Sergio «innestava in un
certo senso la cultura occidentale, lavoro e ordine, nelle foreste di Radonez».
Sergio fu prima un fanciullo docile, un figlio sottomesso, per diventare poi e
restare fino alla morte un religioso obbediente; fu non solo un santo, ma un
grande artefice della civiltà cristiana.
San Sergio
amava gli animali come amava tutte le opere del Creatore. Per molto tempo,
dicono, divise il suo povero cibo con un orso che la sua bontà aveva
addomesticato. Egli vedeva nella povertà religiosa la salvaguardia di tutte le
virtù. La voleva dovunque, anche nella chiesa, che illuminava con torce di
legno. La patena e il calice di cui si serviva per la messa erano di legno,
fabbricati da monaci. Divenuto superiore del suo monastero, Sergio continuò a guadagnarsi
da vivere con il sudore della fronte; certe volte, per un lungo e duro lavoro
non chiese altro che qualche pezzo di pane ammuffito.
Uno dei
suoi principi fondamentali era: accontentarsi di pochissimo per sé, essere
molto generoso per gli altri. La spiritualità russa dei secoli seguenti rimase
fedele a questo principio.
Fu
soprattutto san Sergio, a parer nostro, che fece della Russia «la santa
Russia». Per apprezzare in pieno il valore della forza soprannaturale di questo
padre del monachesimo russo, si deve ricordare che egli visse in un'epoca in
cui il giogo tartaro manteneva nei costumi alcune sopravvivenze pagane e in cui
la vita cristiana era soffocata dal formalismo. Egli aveva avuto alcuni
predecessori nella Russia meridionale, ma nelle immense regioni del nord furono
san Sergio e i suoi discepoli che insediarono e consolidarono il cristianesimo.
SAN NIL
SORSKIJ
San Nil
Sorskij (dal fiume Sora; morto nel 1508), chiamato «il grande starec», soggiornò
a lungo sul Monte Athos, dove s'impregnò delle tradizioni sulla vita interiore
e prese la risoluzione di farle fiorire in Russia.
I suoi
discepoli furono grandi lavoratori, come quelli di san Sergio, ma lavoravano
soprattutto nelle loro celle: copiavano o traducevano libri. Il loro principio
era che se la mente non è occupata, il bene stesso può diventare un male. San
Nilo studiava, «sondava» la sacra Scrittura. Era un santo intellettuale,
prudente, assennato, che amava la moderazione in tutto.
Alcuni gli
rimproverano di aver ecceduto nell'osservanza della povertà religiosa. Secondo
lui, non solo il monaco doveva essere povero e non disporre di nulla senza il
permesso del superiore, ma il monastero stesso non doveva possedere né immobili
né terre né foreste né tanto meno schiavi. La tenacia con la quale i discepoli
di Nilo rifiutavano ogni possedimento, benché comune, procurò loro molte
persecuzioni. Ciò a cui aspiravano era, forse senza che né prendessero
coscienza, l'indipendenza di fronte ai potenti di questo mondo, la libertà
della Chiesa. Nilo biasima la ricchezza, anche riguardo ai santuari «Non ci si
addice il possedere vasi d'oro o d'argento», scriveva; era meglio distribuire
il denaro ai poveri.
Nilo amava
la povertà non di per sé, ma come difesa della vita interiore. Era esicasta nel
volere che ci si sforzasse di mantenere «lo spirito nel cuore» e favorire il
raccoglimento, la conversazione dell'anima con Dio; diffidava soltanto dei
metodi fisici troppo artificiali. Il monaco deve ripetere con perseveranza la
preghiera di Gesù: «Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me», per
crescere in umiltà e unione con il Signore. La preghiera interiore non deve
essere interrotta né dal canto delle lodi né dalla salmodia. Questa preghiera
del cuore, apice della perfezione e sorgente di ogni bene, conduce alla luce di
Cristo.
Per tutto
quel che riguarda la vita interiore, la lotta contro le tentazioni e le
passioni, Nilo si attiene all'insegnamento degli antichi. Egli si rivela più
specificamente russo quando parla della carità verso il prossimo, soprattutto
verso «i fratelli»; raccomanda allora una carità tenera, affettuosa, umile,
delicata, premurosa. Di tanto in tanto, concede, è opportuno interrompere la
preghiera per pensare ai propri amici e prodigare loro parole di simpatia.
Nilo era
un deciso avversario delle violenze nei confronti degli eretici e consigliava
di conquistarli con la dolcezza.
Egli
esigeva anche la perfezione nell'obbedienza, ma i suoi ordini erano consigli
fraterni, dati con dolcezza. «Nella predicazione dei principi spirituali, della
perfezione interiore e delle virtù evangeliche della carità, della dolcezza e
dell'indulgenza verso gli altri sta l'importanza essenziale del "grande starez" per la
storia della spiritualità russa»22.
22
Ivan Kologrivof, Essai sur la sainteté en Russie, Beyaert,
Bruges 1955, p. 215-
GIUSEPPE
DI VOLOKOLAMSK
Del tutto
diverso è Giuseppe di Volokolamsk (+ 1515), uno di quei santi ortodossi
canonizzati per ragioni in parte estranee alla religione. Per lui la vita
monastica era non solo un problema di salvezza eterna, ma un servizio dovuto
alla società, allo stato. Egli amava lo splendore della liturgia, voleva una
stretta osservanza delle regole monastiche, aveva un'alta idea della morale
cristiana, ma le sue tendenze cesaropapiste nuocevano alla sua spiritualità.
Per Giuseppe, il potere secolare ha qualcosa di sacerdotale. Egli scriveva al
grande principe Basilio III: «La vita e la grazia, Dio ha tutto depositato
nelle vostre mani»; lo zar è capo della Chiesa, guardiano supremo della fede
ortodossa. Sotto l’influsso di questa dottrina di Giuseppe, Ivan il Terribile
dichiarava lo zar chiamato a salvare le anime dei suoi sudditi. Giuseppe
attribuiva ai decreti degli imperatori bizantini lo stesso valore che ai canoni
dei concili. Era duro verso gli eretici, contro i quali reclamava la pena di
morte; superò in durezza perfino l'inquisizione spagnola,
Giuseppe
di Volokolamsk divenne celebre soprattutto proclamando, contro i discepoli di
Nilo Sorskij, che i conventi debbono possedere vaste terre per poter meglio
compiere il loro dovere sociale e formare i futuri vescovi.
Dopo la
sua morte, la sua dottrina prevalse nei rapporti tra la Chiesa e lo stato, ma
Nilo Sorskij è sempre stato preferito dai russi profondamente devoti che
cercano di vivere secondo un'ortodossia purificata da ogni cesaropapismo e da
ogni etnopapismo: ciò fa onore all’ autentica pietà russa.
Uno
scritto famoso del secolo XIV è il Domostroj,
attribuito al sacerdote Silvestre che fu consigliere di Ivan il Terribile prima
che questo zar diventasse «terribile». La religiosità russa vi si scontra in
diversi punti con l'antica mentalità giuridica e ritualistica; consigli pratici
riguardanti l'ordine nella casa domostroj significa «sistemazione
della casa») vi sono frammisti a elevazioni puramente spirituali.
San
Dmitrij, metropolita di Rostov
(t. 1709), è il miglior rappresentante di una corrente di spiritualità fortemente influenzata dalla pietà latina e anche dalla teologia cattolica, come dimostrano il suo culto del Cuore di Gesù e la sua devozione alla santa Vergine. Perciò non lo si può considerare come un testimone autentico della spiritualità russa ortodossa. Non insisteremo dunque su di lui. Tuttavia, malgrado il carattere così «occidentale» della sua pietà, Dmitrij esercitò una grande influenza, anche su parecchi starzy stretti osservanti dell'antica spiritualità orientale. Ciò dimostra che il russo pio non è tanto «chiuso», come si pensa spesso in Occidente; egli ritiene sincera ogni religiosità che si fondi sulla devozione al Cristo e a sua Madre. Dmitrij compose alcune vite di santi che furono molto apprezzate in Russia.
TICHON DI ZADONSK
(t. 1709), è il miglior rappresentante di una corrente di spiritualità fortemente influenzata dalla pietà latina e anche dalla teologia cattolica, come dimostrano il suo culto del Cuore di Gesù e la sua devozione alla santa Vergine. Perciò non lo si può considerare come un testimone autentico della spiritualità russa ortodossa. Non insisteremo dunque su di lui. Tuttavia, malgrado il carattere così «occidentale» della sua pietà, Dmitrij esercitò una grande influenza, anche su parecchi starzy stretti osservanti dell'antica spiritualità orientale. Ciò dimostra che il russo pio non è tanto «chiuso», come si pensa spesso in Occidente; egli ritiene sincera ogni religiosità che si fondi sulla devozione al Cristo e a sua Madre. Dmitrij compose alcune vite di santi che furono molto apprezzate in Russia.
TICHON DI ZADONSK
Annotiamo
alcuni pensieri del suo Tesoro spirituale. «Si vede chiaramente il
sole nell'acqua pura e calma in cui è riprodotta la sua immagine; così Dio, il
Sole eterno, si mostra nell'anima calma e pura, vi imprime la sua immagine». «I
cristiani devono amare Dio come loro padre, con affetto». Tutta la spiritualità
deve ispirarsi a questa verità di fede: noi formiamo un corpo di cui Cristo è
il capo. La grazia di Dio scende sugli umili. Tichon insiste sulla preghiera
interiore: «È meglio pronunziare davanti a Dio due o tre parole che vengono dal
cuore, con umiltà e rispetto, anziché recitare molte preghiere e
"canoni" senza riflettere e rapidamente. Dio ascolta.,. il cuore e
non le labbra». II canto in chiesa è gradito a Dio solamente «se il cantore
vive santamente e armonizza il canto del suo cuore con le parole del canto
vocale».
Tichon
insiste sulla carità nei confronti dei contadini, degli operai, degli
indigenti; stigmatizza tutte le ingiustizie sociali. Non serve a niente
costruire una chiesa, se a tal fine si sfruttano le classi sociali inferiori.
Quando parla di carità, Tichon diventa patetico e commuove. «Dove è la carità,
là è Dio stesso».
Il nostro
santo predicava con fervore l'imitazione di Cristo, ed è forse questa la nota più
caratteristica della sua spiritualità: «I figli di questo mondo si imitino l'un
l'altro; in quanto a noi, poniamo dinanzi a noi il Cristo e la sua santa vita e
imitiamo colui che si è dato personalmente a noi come esempio da imitare».
Tichon non vuole che si pensi al Cristo glorioso e trionfante più che a Gesù di
Nazaret che lavorava e soffriva sulla terra in mezzo agli uomini: «Tutti
vogliono essere con il Cristo glorificato e trionfante, ma pochi sono quelli
che vogliono seguire le orme di Cristo e portare con lui la croce, soffrire gli
affronti, l'umiliazione, gli schemi e la tristezza... Chi vuole essere con
Cristo nel suo regno e nella sua gloria deve qui, in questo mondo, essere con
lui, imitarlo con l'umiltà e la pazienza». «Molti cristiani vogliono essere con
il Cristo Signore glorificato, ma non vogliono essere con lui nell'umiliazione
o negli oltraggi...; non vogliono soffrire con lui nel mondo; in questo modo
mostrano che non amano veramente il Cristo». Simili consigli abbondano in tutti
gli scritti di san Tichon. Sotto diversi rapporti, egli ricorda san Francesco
di Sales.
L’arciprete
Evgenij Popov, membro onorario dell'Accademia ecclesiastica di Pietroburgo,
pubblicò nel 1901 un'opera considerevole, una specie di lungo esame di
coscienza. Ecco il genere di atti o di omissioni che Popov considera peccati o
difetti contrari alla pietà ortodossa.
Non fare i
sacrifici necessari per acquistare una Bibbia. Conservare i libri sacri insieme
ai libri profani. Non alimentare la fiamma delle piccole lampade o dei ceri
davanti alle icone durante le preghiere e nei giorni di festa. Non portare una
piccola croce al collo. Fare il segno della croce con negligenza, senza
inchinarsi, o con le mani inguantate. Fare offerte per le chiese rifiutando di
soccorrere i poveri, «queste chiese viventi di Dio» (p. 57). Avere «un cuore
freddo nei confronti di Gesù Cristo». Trascurare le giaculatorie, le
invocazioni a Gesù (p. 68). Rappresentare nei teatri drammi il cui soggetto è
tratto dalla Scrittura (pp. 150ss). Prima di andare in chiesa, dire o fare
qualcosa che può turbare o distrarre l'anima. Arrivare in chiesa in ritardo e
soprattutto uscirne prima della fine dell’uffizio.
Nei giorni
di festa, accontentarsi di andare a messa. Violare le prescrizioni del digiuno
(pp. 253ss). Trascurare di aggiungere al «digiuno corporeo» il «digiuno
spirituale»; dolcezza, umiltà, compunzione (p. 267), Nei giorni di digiuno,
tralasciare la lettura spirituale, ascoltare musica profana, leggere romanzi,
giocare a carte, ecc. (p. 269).
Dare poca
importanza alla benedizione paterna o materna. Lasciar morire un neonato senza
che abbia ricevuto la santa comunione (p. 304). Affidare l'educazione dei figli
a degli eterodossi (p. 309). Mancare di rispetto verso un povero (p. 516). Nel
dare un'elemosina è bene dire: «Ricevi per amore di Cristo»; sono i padroni di
casa e non i domestici che devono servire i poveri a tavola e preparare loro un
letto; così pure per i pellegrini (p. 534).
Il nostro
autore raccomanda molto la meditazione, «soprattutto la meditazione delle
sofferenze di Gesù Cristo», il digiuno che facilita la meditazione, la
confessione frequente per avere la coscienza pura, la frequentazione degli
uffizi liturgici, la «carità spirituale», la preparazione alla morte attraverso
l'imitazione di Gesù Cristo.
Giorgio
il Recluso
(Masiurin; morto nel 1836 all'età di quarantasette anni) aveva dinanzi a sé una brillante carriera, ma preferì alla vita di ussaro quella di recluso nel monastero della Santissima Vergine a Zadonsk, dove morì dopo diciassette anni di dure mortificazioni.
(Masiurin; morto nel 1836 all'età di quarantasette anni) aveva dinanzi a sé una brillante carriera, ma preferì alla vita di ussaro quella di recluso nel monastero della Santissima Vergine a Zadonsk, dove morì dopo diciassette anni di dure mortificazioni.
Il suo
carattere dominante sembra essere la sua devozione all'amore di Gesù per gli
uomini. Nel Signore egli vedeva sempre Dio, l'Amore infinito, e concludeva:
all'Amore dobbiamo rispondere amando Dio e il nostro prossimo, conservando
un'imperturbabile gioia soprannaturale. Alcune citazioni, tratte dalle sue
lettere di direzione spirituale, faranno gustare al lettore la soave solidità
dei suoi consigli.
La via per
il regno dei cieli è ardua, non vi si arriva «facendo una passeggiata». Bisogna
imitare Gesù Cristo stesso. «Dobbiamo amarci l'un l'altro non nelle delizie e
nelle distrazioni, ma nelle fatiche e nelle opere di virtù, come il Signore ha
amato i suoi» (I, 255); «La dolcezza, l'umiltà, la pazienza e Paniere nel Signore
verso tutti, ecco la via del regno dei cieli» (I, 259). La vocazione del monaco
è «di amare il Cristo Dio al di sopra di ogni cosa» (I, 262), «Soltanto
l'invocazione del dolcissimo Gesù può lenire il dolore della vostra anima» (I,
269). «Tutto il Cristo è amore purissimo, tutto in lui è dolcezza e
consolazione ineffabile» (II,15). «La vostra consolazione e la vostra delizia
siano il dolcissimo Gesù Cristo» (I, 357). «Nessuna distanza può separare i
cuori che si amano nel Consolatorc dovunque presente» (I, 287). «La vera gioia
del cuore e la vera luce dello spirito è Gesù Cristo, Amore celeste, che
abbraccia tutta l'anima e risplende nel cuore» (I, 314). «O scintilla del fuoco
celeste! Ardi, fiammeggia in noi di amore verso la bellezza del Cielo» (II, 59).
In occasione del Natale del 1835 il nostro recluso scriveva: «Vedete quel che
fa l'Amore! Amore divino, ineffabile, che abbraccia tutto, inconcepibile, Amore
che inebria i martiri in una dolce contemplazione dei beni eterni; Amore
disceso dalle altezze del cielo per condurre i peccatori alla penitenza. Amore
che si è umiliato fino ali'annientamento delle sue grandezze... Rallegratevi,
Cristo è in mezzo a noi» (I, 321). La comunione da il cielo, se è ricevuta «con
fede e amore» (I, 340). «L'amore risplende sul Tabor, l’amore soffre sulla
croce, l'amore è sulla terra e sul mare, l'amore è santificato in Cristo» (I,
369). Per conseguire la salvezza eterna, bisogna «essere senza malizia, essere
come un bimbo buono in Gesù Cristo» (I, 353). Bisogna temere più di ogni altra
cosa «queste bestie feroci: l'orgoglio, la vanità, la sufficienza» (I, 355).
«La croce è la nostra gioia» (II, 2). «II fuoco dell’amore purissimo non
produce mai emozioni» (II, 5). «Io bacio per fede e amore le inestimabili icone
e i libri sacri» (II, 7). «La sincerità è la vita che emana la carità divina»
(II, 61), «II cuore arde di santo amore nella misura in cui subisce attacchi da
parte degli uomini» (II, 69). «Il santo amore è comprensivo, intelligente e
puro come la luce» (II, 71). «La migliore occupazione consiste nell'invocare
Gesù Cristo in segreto, nel cuore amante» (II, 160). Cristo è «il principio e
la fine dell'amore di quelli che credono veramente in lui» (II, 228), «La
scintilla del santo amore divampa e domina ogni dolore; ogni collera scompare
all'apparire del puro amore» (II, 90). «Il vero eremita fugge tutti gli uomini
e li ama tutti» (II, 122). «La fede e l'amore trionfano su tutto» (II, 127).
Gesù Cristo è «la gioia che supera ogni gioia e al di fuori della quale non c'è
gioia» (II, 124). «L'umiltà è P altezza» (II, 147). «L'obbedienza, esercitata
con amore, da una santa pace» (II, 140). «Cuore mio! Ama tutti quelli che sono
prigionieri dell'amore di Cristo» (II, 130).
Giorgio il
Recluso amava ripetere: «O mistero, o amore!», oppure: «Che lo spirito di
amore, di dolcezza e di umiltà regni in me». Nelle sue lettere, per designare
Gesù Cristo, dice spesso: l'Unico amabile, la mia Gioia, la mia Gioia
ineffabile, santo Amore, eterno Amore, Amore dolcissimo.
Lo starez
Adriano (+ 1853),
del monastero Jugskaja Dorofieeva Pu-styn' (governatorato di Jaroslav), ha lasciato una raccolta di brevi risposte alle domande che gli ponevano molte anime oppresse dall'angoscia. Ecco anzitutto alcune righe di una delle sue lettere:
del monastero Jugskaja Dorofieeva Pu-styn' (governatorato di Jaroslav), ha lasciato una raccolta di brevi risposte alle domande che gli ponevano molte anime oppresse dall'angoscia. Ecco anzitutto alcune righe di una delle sue lettere:
«Bisogna
osservare il digiuno e l'astinenza. Non si deve far uso di cibi zuccherati,
salvo in caso di debolezza... Quando sei ospite alla mensa di qualcuno, prendi
dal primo piatto ciò che è opportuno, con moderazione. A casa propria, è bene
limitarsi a pane e acqua; in caso di debolezza si prenderà qualcosa di
migliore... Bisogna pregare in solitudine; una metà della notte si dorme,
l'altra metà si prega e si legge» (I, 82).
Ecco
alcune di quelle risposte laconiche, abituali al nostro starez: «Rimani
saldamente attaccato a Giovanni Climaco», «Obbedisci a Efem di Siria»,
«Consulta la Filocalia», «Rivolgi la tua domanda alla santissima
Vergine», «Attingi da Cetii-Minei» (raccolta di vite di santi), «Non
cessare di leggere il Salterio», «Leggi la Scrittura», «Ama il vangelo»,
«Colpisci il diavolo per mezzo della preghiera di Gesù», «Tieni la filocalia con le
due mani», ecc.
Spesso la
risposta è una citazione della Scrittura. Per ottenere certe grazie, lo starez impone
delle prostrazioni- Raccomanda inoltre di servirsi di acqua benedetta o di
accendere lampade davanti alle icone.
Fra quelli
che consultavano il padre Adriano, non erano rari i malati. Lo starez li
mandava allora da un medico o prescriveva egli stesso dei rimedi, a volte
spirituali (preghiere, prostrazioni, unzione con olio di chiesa, ecc.), altre
volte d'ordine naturale.
SERAFINO
DI SAROV
San
Serafino di Sarov (+ 1833) è fra tutti i santi moderni il più amato dai russi,
forse perché praticò successivamente i generi di santità che sono loro più
cari: umilmente silenzioso, recluso immerso nella preghiera, anacoreta
caritatevole, amico degli orsi o dei lupi, starez-proktst. Egli
attingeva la sua spiritualità a buone fonti; Basilio, Pseudo-Macario, Climaco,
Dmitrij di Rostov, la Filocalia. Nella sua vita spirituale avevano
un ruolo importante: 1) la «preghiera di Gesù», che Serafino raccomandava di
ripetere soprattutto al mattino cercando di «fissare lo spirito nel cuore»
secondo la tradizione esicasta; 2) gli sforzi per acquisire lo Spirito Santo,
poiché questa «acquisizione» è «il vero scopo della vita cristiana»; 3) la
devozione alla santa Vergine, la cui icona, chiamata da lui «gioia delle
gioie», non lo lasciava mai; egli consigliava di rivolgere alla Madre di Dio
delle giaculatorie, soprattutto durante la seconda metà del giorno. Questi tre
elementi si compenetrano nella spiritualità dello starez: nella
preghiera di Gesù, egli ama intercalare l'invocazione della Vergine; vuole che
«l'acquisizione» dello Spirito Santo si faccia soprattutto mediante la
preghiera interiore. Il santo diceva al suo amico Motovilov: «La preghiera è
sempre possibile per ciascuno, il ricco e il povero, il nobile e l'uomo di
bassa condizione, il forte e il debole, il sano e il malato, il giusto e il
peccatore; grande è la forza della preghiera, anche di quella del peccatore,
quando essa s'innalza da tutta quanta l'a-nima». Egli paragonava l'uomo
spirituale al mercante che cerca con ardore di «realizzare il maggior guadagno
possibile».
Ci manca
lo spazio per presentare altri «tipi» della spiritualità russa ortodossa, ma si
vede già che nelle aspirazioni degli ortodossi alla santità esistono una grande
varietà di forme, una libertà spirituale, una spontaneità che manifestano
un'estrema vitalità.
Accenniamo
per concludere ad alcune figure di santi e di sante la cui vita meriterebbe di
essere conosciuta in maniera più dettagliata.
La
venerabile Iuliana Lazarevskaja (+ 1604) praticò in ogni cosa una carità
eroica; trattava la gente modesta come i propri figli; perdonò di tutto cuore
un domestico che durante una caccia aveva ucciso per imprudenza il suo figlio
primogenito.
Paisij
Velickovskij (+ 1794),
discepolo di Nilo Sorskij, contribuì a ripristinare in Russia le tradizioni esicaste. Fu lui che tradusse in slavone la Filocalia.
discepolo di Nilo Sorskij, contribuì a ripristinare in Russia le tradizioni esicaste. Fu lui che tradusse in slavone la Filocalia.
Il padre
Ermanno (+ 1837), missionario delle isole Aleutine, voleva essere come «una
nutrice molto amorevole» per gli indigeni; per soccorrerli si privava di tutto,
viveva in perpetua mortificazione.
Un altro
missionario non meno eroico, l'archimandrita Macario (t 1847) si segnalò nelle
regioni selvagge dell'Altaj per il suo zelo apostolico che attingeva in parte dall’Imitazione
di Gesù Cristo e da un'ardente devozione al Cuore di Gesù, II regolamento
della sua missione comprendeva soltanto due precetti: «Amatevi l'un l'altro» e
«Considerate gli altri migliori di voi».
Ecco poi
quel simpatico pellegrino il cui nome resta misterioso e che attingeva la sua
spiritualità dalla Filocalia, dalla preghiera di Gesù e da un
esicasmo ardente, esente peraltro da eccessi.
Più
originale è Vera Aleksandrovna che durante gli ultimi venticinque anni della
sua vita mantenne un silenzio completo, al punto di confessarsi per iscritto.
Il suo mutismo volontario la condusse in prigione e più di una volta in
manicomio, dove pregava incessantemente.
Il monaco
Marco (+ 1817), «pazzo per Cristo», visse a lungo in piena foresta in tane o in
grotte, vivendo da perfetto «silenzioso»; recitava incessantemente una
giaculatoria in onore della santissima Trinità.
Matrona
Popova (+1851) dedicò le sue forze al servizio dei pellegrini e degli orfani,
unendo un'intensa vita inferiore a una traboccante attività caritativa.
L'arciprete
Matvej Konstantinovskij (+ 1857), parroco di Rjev, può essere considerato come
il modello del buon prete russo. Egli trattava i pellegrini e i passanti come
suoi «fratelli in Gesù Cristo»; si privava di tutto per aiutare i poveri,
arrivando un giorno a donare la sua sottana a un mendicante... Recitava di
frequente la «preghiera di Gesù». La mattina, restava in chiesa dalle tré fino alle
dieci. Quando doveva battezzare un bimbo, anche se il battesimo aveva luogo di
sera, digiunava per rispetto verso il sacramento. Non prendeva alcun cibo
durante tutta la prima settimana di Quaresima. Quando un incendio distrusse la
sua casa, chiese una sola cosa ai suoi soccorritori: «Salvate le icone!».
Nel secolo
XIX gli starzy di Optino Pustyn fecero di questo convento,
situato nel mezzo della Russia europea, un centro importante d'influenza
spirituale. Ognuno di questi starzy aveva la sua maniera originale di
parlare e di agire; il monastero presentava una sintesi dei principali elementi
della spiritualità ortodossa russa e agiva sulle folle come sugli individui
attraverso l'azione combinata dei lunghi uffizi, delle tradizioni esicaste e di
un ascetismo prudente.
Il padre
Giovanni, parroco di Kronstadt (+ 1908), era un entusiasta — nel senso buono
della parola — degli uffizi liturgici, soprattutto della messa e, attraverso la
messa, della vita in Gesù Cristo. «Io muoio — diceva — quando non celebro la messa».
La sua arma di combattimento spirituale era anche la preghiera di Gesù. La sua
vita era orientata molto più sull’ attività pastorale e caritativa, vivificata
dalla vita in Gesù Cristo, che sulle austerità. E conosciuto in Occidente.
La
spiritualità cristiana ha avuto in Russia, come altrove, le sue contraffazioni,
i suoi eccessi, le sue deviazioni, ora latenti ora manifesti, arrivando fino
alia rottura con la Chiesa ufficiale- Alcuni sognatori sono caduti in una
mistica avventata, in cui il puro amore soprannaturale del vangelo si
trasformava in una morale molto rilassata. Accanto ai «pazzi per Cristo»,
sinceri e umili, ci furono impostori, avventurieri, isterici. In molti ambienti
popolari, la vita liturgica si mutò in quel famoso o-brjadovìerìe (fede nei
riti), formalismo ritualistico che attribuisce a semplici usi o alle rubriche
un'importanza quasi uguale a quella dei dogmi, dei sacramenti e dei grandi
principi evangelici. Lo zelo per la liturgia si inaridiva in «culto del culto»,
I migliori storici della Chiesa russa, come Znamenskij nel suo classico Manuale
di storia della Chiesa russa, considerano l’obrjadovierie come uno
dei più gravi mali di cui soffrì la vita spirituale in Russia. A. V. Kartasev
constata che nell'antica Russia ci fu una certa tendenza a «proporre il
cristianesimo al popolo solamente attraverso il suo aspetto sensibile,
rituale», e vede in ciò un «errore deplorevole». È questa l'origine del Raskol, lo scisma
dei «vecchi credenti». Bisogna tener conto ugualmente della propensione di
molti orientali, anche cristiani sinceri, al fatalismo. Inoltre la spiritualità
orientale manca spesso di precisione, di chiarezza; perciò non di rado nascono
pericolose confusioni.
Tali sono
le ombre, ma su questo sfondo di debolezze umane, di sopravvivenze pagane e
d'influenze eterogenee, risalta nettamente la vitalità dell'autentica
spiritualità ortodossa.
Per ciò
che è essenziale, questa spiritualità somiglia molto alla spiritualità
cattolica, soprattutto a quella dei nostri ordini contemplativi. Non c'è da
stupirsi, poiché le fonti sono le stesse: la Scrittura, i padri, i grandi
asceti dell'antichità cristiana, i sacramenti di Gesù Cristo. Essa si nutre
anche di una ricca liturgia, che risale a molto tempo prima della rottura del
secolo XI. Anche i dogmi del Credo ortodosso sono dogmi cattolici. San Teodoro
Studita, uno dei principali creatori della spiritualità monastica ortodossa, e
Massimo il Confessore, il più «orientale» dei mistici ortodossi, furono
entrambi «papisti» convinti. Se talvolta alcuni veri santi russi si pronunciano
contro il cattolicesimo, i loro giudizi si riferiscono di solito a un
cattolicesimo deformato da pregiudizi secolari o a colpe o difetti reali di
certi cattolici.
Tra la
spiritualità ortodossa autentica e la spiritualità cattolica ci sono senza
dubbio alcune differenze, ma non incompatibilità. Si tratta piuttosto di un
richiamo reciproco di due orientamenti dell'anima che si completano o si
sovrappongono. Gli ortodossi tengono soprattutto all'esecuzione immediata delle parole
di Cristo — o dei padri — prese alla lettera; i
cattolici cercano di dedurre le conseguenze di queste parole,
per un'attività spirituale collettiva conforme a queste deduzioni. La
spiritualità ortodossa è piuttosto statica,
contemplativa; la spiritualità cattolica è dinamica,
apostolica, attiva. L’ortodosso tende a insediarsi il più presto possibile
sulla cima della montagna della santità per respirarvi l'aria di Dio; forse non
prende tutte le precauzioni necessarie per non smarrirsi strada facendo. Il
cattolico rimanda volentieri a più tardi la gioia della luce del monte Tabor e
si studia piuttosto di camminare con sicurezza verso la perfezione della vita
spirituale, verso la visione della vita futura; rischia meno di smarrirsi, ma
talvolta si attarda troppo lungo il cammino cercando i passaggi più sicuri e
perdendo un po' di vista la meta. L'ortodosso pio mira soprattutto a essere umile,
paziente, dolce, ecc.; il cattolico fervente tende ad agire in
spirito di umiltà, di pazienza, di dolcezza, ecc- La spiritualità ortodossa si
sofferma sulla bellezza del santuario, con i suoi uffìzi divini, le sue icone,
i suoi canti, i suoi inviti alla penitenza e alla gioia di Pasqua; lo slancio
ecclesiale e missionario vi è meno forte che nella Chiesa cattolica. La nostra
spiritualità, senza trascurare «l'anima di ogni apostolato», si lascia guidare
da uno spirito cattolico e apostolico integrale. Nella spiritualità ortodossa,
la mortificazione corporale svolge un ruolo importante; la religiosità
cattolica è più attenta alla mortificazione spirituale.
La
spiritualità ortodossa russa, al pari della spiritualità cattolica, insiste
sulla docilità a un padre spirituale; è meno categorica e meno precisa
sull’obbedienza ai superiori ecclesiastici. I migliori asceti russi tengono in
gran conto quest'obbedienza, insegnata da Gesù Cristo, ma nel parlarne non
mostrano la forza di convinzione dei «padri del deserto» o di una santa
Dorotea, di un san Bastilo, di un san Pacomio, o anche di un san Giovanni
Climaco che, come sant'Ignazio di Loyola, esige dal discepolo l’obbedienza
assoluta, «perinde ac cadaver». Su questo punto, come su altri, la spiritualità
cattolica è più vicina agli antichi maestri orientali. Tuttavia la spiritualità
russa ortodossa contiene nelle sue fonti tutte le ricchezze della santità
evangelica.
STANISLAS
TYSZKIEWICZ
Fra spiritualita cattolica e ortodossa c'è un abisso incolmabile. La prima si prima porta alla morte spirituale, la seconda alla vita. La prima si basa sulla "mortificazione", la seconda sulla divinizzazione (theosis).
RispondiEliminaNella spiritualità ortodossa, la mortificazione corporale svolge un ruolo importante; la religiosità cattolica è più attenta alla mortificazione spirituale." E' proprio il contrario !!!
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