Il
nostro non sarà un saggio di agiografia: sui podvizniki —
personaggi notevoli per i loro sforzi tesi a raggiungere la perfezione
cristiana - di cui si parlerà in seguito, diamo soltanto le informazioni
strettamente necessarie. Non faremo nemmeno la storia della spiritualità russa:
se evochiamo la vita cristiana dei secoli passati presso gli slavi, è
unicamente per mostrare quanto sarebbe inesatto affermare che l'Oriente
cristiano è «fossilizzato» in una routine plurisecolare.
Vorremmo
dare al lettore un'idea della teoria e della pratica
ortodosse russe in materia di spiritualità, tenendo conto delle rifrazioni che
questa spiritualità ha subito in diversi ambienti.
Come
sappiamo, la spiritualità russa è venuta dall'Oriente cristiano, soprattutto da
Bisanzio, sia direttamente» sia attraverso le cristianità balcaniche dal secolo
XI al XV. Alcune infiltrazioni occidentali, soprattutto nei secoli XVIII e XIX,
non hanno avuto che effetti sporadici, locali o effimeri; tuttavia, in certi
casi, la spiritualità latina si è mostrata così vicina alla spiritualità
orientale autentica, che ha rafforzato fra i russi numerosi slanci verso la
perfezione.
La
dottrina dei grandi maestri della spiritualità cristiana dal secolo IV all'XI
non ha subito, nella Russia ortodossa, alcun cambiamento essenziale, salvo
qualche abuso passeggero, ma è stata adattata al carattere russo da asceti
eminenti, come san Tichon di Zadonsk (t 1783) e Teofane il Recluso (+ 1894). La
spiritualità russa è più comunicativa, più affettuosa, compassionevole,
spontanea, più aperta, più familiare — nel senso buono della parola — e forse
meno «teologica» della spiritualità bizantina. Essa riflette spesso il
carattere massimalistico, come dice Berdjaev, del popolo russo, il suo «tutto o
niente», il suo slancio che va dritto alla meta, alla perfezione, alla rottura
radicale con il passato, per darsi senza riserve a Dio e al prossimo.
Tracceremo
in primo luogo un quadro d'insieme della spiritualità ortodossa
russa, per far risaltare i tratti dominanti. Poi esporremo brevemente,
corredandola di citazioni, la dottrina dei migliori teorici
russi. Infine presenteremo alcuni generi particolari di
spiritualità vissuta da personaggi di eminente virtù.
La
spiritualità ortodossa russa non ha scuole, nel senso specializzato e definito
della parola. Fra i nostri fratelli separati non ci sono ordini religiosi,
ciascuno con la propria spiritualità tradizionale. Si possono tuttavia
distinguere correnti spirituali diverse, che talvolta più o meno si mescolano,
talvolta si oppongono e si combattono. Ci furono anche evoluzioni, dovute a
contatti esterni, a influenze politiche o etniche o a reazioni contro queste
influenze. Certe volte predominano gli splendori della liturgia, altre volte le
austerità dell'ascesi, altre volte ancora la mistica. I principi fondamentali
provenienti dalla Scrittura restano gli stessi, ma varia la loro importanza
rispettiva. Quale varietà di mazzi si può formare con sette o dieci qualità di
fiori! Questa varietà si ritrova in Russia forse più che altrove in Oriente.
Anche i lati deboli — deviazioni, lacune, dimenticanze, situazioni senza via
d'uscita o rischi — non sono sempre e dovunque gli stessi. La spiritualità
russa dal secolo XIII al XVII risentiva di una giuridicità ritualistica
esorbitante; quella dei tempi più recenti rischia talvolta di esagerare
nell’affrancamento dalle «forme esteriori». Bisogna tener conto anche di un
lodevole adattamento alle condizioni di vira dei fedeli. In Russia, come nel
mondo cattolico, la madre di famiglia, l'uomo di affari e il monaco hanno
maniere differenti di tendere alla perfezione.
Infine,
non bisogna dimenticare le categorie o i tipi classici di asceti che si
sentivano chiamati all'una o all'altra forma di ascetismo speciale e ben
determinata. Segnaliamo soprattutto; 1) i pustynniki, o
eremiti del deserto, che adattavano alle condizioni di vita in Russia l’ideale
dei primi asceti dell'Egitto; 2) gli zatvomiki,
reclusi, la cui vita spirituale era imperniata sulla decisione di non lasciare
mai la propria cella o casetta monastica; 3) i molèal'niki, o
silenziosi, che offrivano in sacrificio a Dio l'uso della parola, talvolta per
decine di anni; 4) gli stranniki, o pellegrini, che, per non
attaccarsi alle cose di questo mondo, cambiavano spesso ambiente percorrendo
gli immensi spazi della Russia e facendo pellegrinaggi ai celebri santuari; 5)
gli strastoterpzy, quei «pazienti nelle sofferenze», degni di nota soprattutto
per la dolcezza nei confronti dei persecutori; 6) gli jurodivye che,
per amore di Cristo e per umiltà, ricercavano gli affronti; 7) i postniki, o grandi
digiunatori; 8) gli starzy che si dedicavano alla
direzione spirituale dei fedeli.
L'ortodosso
teme la penetrazione nel santuario della propria anima, come nel culto pubblico,
di tutto ciò che e profano, mondano, terra terra,
materiale. Egli vuole «il cielo sulla terra», diffida della «terra» nel cielo
della religione. Nel suo santo dei santi egli ammette soltanto ciò che è trasfigurato,
«teofanico», portatore di una presenza particolare di Dio o dei suoi santi in
un minimo di forme umane.
Le
statue, salvo rare eccezioni, non sono tollerate nelle chiese ortodosse: hanno
troppe «forme», non si prestano alla trasfigurazione bene quanto le pitture o i
mosaici. La religiosità russa da ampio spazio alle icone, dipinte in spirito di
preghiera e di mortificazione, teofaniche, splendenti di tutta una teologia
tradizionale, che non hanno nulla di un ritratto.
Per la
stessa ragione, sono esclusi dalle chiese gli strumenti musicali, non solo il
tamburo, il violino e il flauto, ma anche l'organo. I canti devono essere
strettamente liturgici, di carattere piuttosto recitativo. Il canto polifonico
è ammesso e spesso assai apprezzato; ma molti, che vogliono essere fedeli allo
spirito ortodosso, vedono in esso - non senza ragione — un'infiltrazione
d'influenze occidentali indesiderabili.
La
stessa mentalità appare nell’avversione per la scolastica e i suoi
ragionamenti, giudicati troppo astratti, troppo «profani». La scolastica è
considerata un modo di pensare al quale manca la trasfigurazione, la luce
divina; essa è di origine pagana, è sterile, genera dispute indefinite; forma
dei razionalisti, in spiritualità come in teologia. Si confonde così il
razionalismo condannato dalla Chiesa cattolica con l'intellettualismo dì san
Tommaso e quello di parecchi padri; si perde di vista il ruolo che san Giovanni
Damasceno ha svolto all'origine della scolastica e dei fondamenti dottrinali
della spiritualità cristiana.
Lo
stesso orientamento verso la trasfigurazione si nota nel campo ecclesiologico
della spiritualità. La Chiesa, nel senso stretto della parola, è il tempio, o
piuttosto l'assemblea dei fedeli che si uniscono agli uffizi che vi sono
celebrati, sotto l'azione divinizzante della santissima Trinità sulla comunità
che prega con la gerarchia: il vescovo, i preti, i diaconi. La Chiesa
universale è concepita secondo questa chiesa-culto: trasfigurata, teofanica,
«torrente di grazie», «carità pura», a rischio di essere confusa nella sua
realtà comunitaria sia con lo Spirito Santo, sia con un ideale che non basta
ammirare, ma che bisogna realizzare nei fedeli. Questa aspirazione verso «il
cielo», verso la Chiesa-carità divina, attesta un profondo spirito di fede,
ricorda la dottrina cattolica dello Spirito Santo, anima della Chiesa, ma
comporta una tendenza al docetismo ecclesiologico, il rischio di dimenticare
che la Chiesa deve essere simile al Cristo suo capo, dunque non solo
perfettamente divinizzata, ma anche pienamente umana, «società perfetta» umana.
L'ortodossia,
nella sua spiritualità come nella sua teologia, è sinergica, nel senso largo
della parola; è di natura sintetica piuttosto che analitica. Il
laboratorio o la vivisezione non le si addicono: non si isola la parte dal
tutto vitale, per sottoporre F elemento staccato a un esame dettagliato. Si
guarda ai principi generali, alle radici comuni, all'insieme vitale, più
volentieri che ai casi particolari, ai fiori colti o alle membra separate dal
corpo.
La
spiritualità ortodossa parla spesso del cuore. Infatti, secondo l'espressione
di Teofane il Recluso, attinta da diversi padri, «il cuore è la radice
dell'essere umano, la fonte di tutte le sue forze spirituali, psichiche e
animali». L'ortodosso ripete volentieri i versetti della Scrittura che parlano
del «cuore»; è più riservato quando si tratta di applicarli alle singole
situazioni, isolate dall'insieme vitale dell'anima.
Fra gli
ortodossi, la differenziazione della teologia in branche specializzate - non
parliamo degli autori influenzati dall'Occidente - non è molto approfondita:
queste branche si compenetrano, come nella patristica, soprattutto in quella
delle origini. La morale coincide quasi con la spiritualità e resta
abitualmente su quelle altezze evangeliche da cui si hanno belle e ampie visioni
d'insieme. Si lotta contro le passioni, anzitutto contro la passione dominante,
considerata come radice di tutte le altre. Nel confessarsi secondo i consigli
della maggior parte dei maestri spirituali, più che enumerare tutti i peccati
commessi precisandone la specie, si espone al confessore lo stato di disagio
dell'anima, la sua malattia spirituale, l'insieme delle sue tendenze; ci si
libera da tutto ciò che opprime il cuore. Allo stesso modo, la contrizione e la
risoluzione di correggersi vertono sul complesso dell'anima e sulla radice del
male, più che sulle azioni concrete e i casi particolari.
L'ortodosso
che aspira alla perfezione evita di perdersi in mezzo a una selva di pratiche;
non erige compartimenti stagni tra i suoi diversi atti di pietà: meditazione,
lettura spirituale, preghiere vocali, ecc. Leggendo un libro edificante,
medita, prega. Durante il governo — ritiro spirituale di alcuni
giorni — ha raramente un orario determinato; in chiesa, medita volentieri,
pensa ai poveri; dopo l'uffizio, fa l'elemosina meditando, recita preghiere
attinte dalla liturgia. L'ortodosso fervente medita molto, pratica il bogomysiie, ossia
«pensa a Dio»; la sua meditazione è una contemplazione, una pia valutazione
delle realtà divine, un orientamento della memoria su avvenimenti o punti di
dottrina, più che un'analisi logica, con deduzioni e conclusioni, tratte dai
diversi fatti o testi della Scrittura.
Come si
sa, nella spiritualità ortodossa ha un ruolo capitale l'idea della somiglianza
dell'uomo con Dio e del dovere che egli ha di perfezionare dentro di sé questa
somiglianza. Ma l'ortodosso non suddivide l'immagine di Dio in diverse
perfezioni per considerarle ciascuna separatamente: egli ammira Dio nel tutto
armonioso della sua perfezione, nella sua bellezza trascendente, nel suo
splendore, e cerca di realizzare in se stesso, per quanto è possibile,
l'immagine sempre più perfetta di questa bellezza spirituale, perseguita per
via apofatica, attraverso la negazione della bellezza creata.
In
generale, l'idea di bellezza, d'insieme armonioso, di unità nella varietà, è
fortemente impressa nella spiritualità orientale. La perfezione morale è di
bellezza divina; il vizio, lo spirito satanico, manca di armonia, è brutto,
disgregante, ributtante. Non senza una ragione profonda i russi devoti tengono
tanto alla bellezza celeste del culto e dei canti sacri.
Al
centro della spiritualità ortodossa, c'è il discorso della montagna, le
beatitudini. Certamente, il decalogo non è omesso, ma, come abbiamo detto, il
russo è «massimalista», non ama «a metà», non gli piacciono le deviazioni, le
lentezze. Egli si slancia dritto verso la meta, dunque verso la santità. Questo
slancio lo dispone ad aderire così bene alle parole del Signore, riportate nel
capitolo 5 di san Matteo, che egli dimentica talvolta altri punti importanti
del Nuovo Testamento. Vuole essere pienamente umile, vuole essere disprezzato;
in Russia i pazzi per il Cristo, gli jurodivye, erano
venerati in particolar modo. Pratica l'umiltà nel linguaggio e nei comportamenti;
esercita la dolcezza, la mansuetudine, anche nei confronti dei nemici più
feroci, degli assassini, dei briganti; la vita di san Serafino di Sarov (+
1833) ne offre un bell'esempio. Perdona dal profondo del cuore chi lo ha
offeso. E generoso, la sua carità è inesauribile. La compunzione, il pentimento
dei peccati commessi gli fanno versare lacrime e invocare la pietà di Dio;
l'invocazione del nome di Gesù in spirito di penitenza si addice alla sua
anima.
Il vero
ortodosso non cerca soltanto di adempiere i comandi di Gesù Cristo, ma pratica
l'imitazione della vita del Salvatore, «segue le orme» di Gesù, umile,
paziente, dolce, compassionevole.
Si dice
spesso che la spiritualità ortodossa è eminentemente mistica. Questo
è vero nel senso che fra gli ortodossi la dedizione a Cristo nella vita attiva,
in ciò che noi chiamiamo «le opere», nelle scuole, negli ospedali o fra i
pagani d'oltremare, è molto meno intensa che fra i cattolici ferventi. E questo
l'aspetto negativo di tale misticismo. Ma c'è anche un aspetto positivo: gli
ortodossi che hanno una profonda vita interiore, fedeli a tradizioni che
risalgono ai primi secoli cristiani, si dedicano alla «preghiera del cuore»,
alla hesychia, riunione di tutte le facoltà dell'anima nel cuore, procurata
dal silenzio, dalla solitudine e dagli sforzi costanti, anche eroici, per fare
«entrare lo spirito (o l'intelletto) nel cuore»; questi sforzi, che i maestri
spirituali chiamano «vita attiva», vertono tanto sulle facoltà dell'anima
quanto sugli atteggiamenti del corpo.
Da
qualche tempo si parla molto dell'importanza del «palamismo» nella spiritualità
ortodossa. Se con questa parola s'intende semplicemente il raccoglimento e il
silenzio nella meditazione, come pure un atteggiamento del corpo atto a
favorire l'unione a Dio, il palamismo non caratterizza l'ortodosso più del
cattolico. Se si pensa a quella pratica che consiste nel tenere gli occhi fissi
sull'ombelico, è questo un procedimento particolare che di per sé non ha nulla
di religioso; del resto, questa pratica fu tutt'altro che diffusa fra i russi,
a causa degli abusi che rischiava di originare. Infine, se per «palamismo»
s'intende la «preghiera di Gesù» («Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi
pietà di me»), constatiamo che essa fu praticata molto tempo prima di Palamas.
In Russia la praticarono san Nilo Sorskij, Paisij Velickovskij, poi san
Serafino di Sarov e molti altri; del resto, l'invocazione di Gesù in spirito di
penitenza ha sempre svolto un ruolo importante nel cattolicesimo. In quanto
alla teologia esicasta di Gregorio Palamas, «razionale» e «catafatica», pur se
essa non risolve il problema dell'unione dell'anima con Dio e se è forse in
contraddizione con la semplicità divina, si avrebbe però torto a vedere in
Palamas un panteista.
Il
fatto che i monaci orientali pratichino una spiritualità contemplativa non deve
far concludere che gli ortodossi trascurino la vita attiva. Senza dubbio, le
opere organizzate allo scopo di esercitare in comune la carità evangelica nei
confronti dei fanciulli, dei malati, dei bisognosi di aiuto di ogni sorta, o
dei popoli pagani, sono meno sviluppate che nel mondo cattolico. Una delle
ragioni di questa lacuna è l'assenza di un'autorità superiore centrale, atta a
coordinare gli sforzi, a incoraggiarli, a sostenerli nella lotta contro le
potenze di questo mondo. Ma il russo devoto si rivela molto generoso nel
soccorrere gli infelici, molto caritatevole verso i poveri, i pellegrini, tutti
quelli che soffrono, anche i criminali, i prigionieri; nelle vicinanze delle
chiese, quando si svolgevano le funzioni religiose, si poteva vedere sempre una
folla di mendicanti, sicuri di ricevere abbondanti elemosine. I russi danno
prova di squisita delicatezza quando si tratta di soccorrere quelli che si
vergognano di mendicare. Nella loro attività caritatevole, essi sono pieni di
iniziative. In Russia non sono rari gli atti di eccelsa carità e di dedizione
eroica, mentre l'avaro o colui che calcola nel donare viene disprezzato. Il deficit di cui
parlavamo poc'anzi dipende da un'ecclesiologia incompleta, fermata nella sua
maturazione dal cesaropapismo bizantino, più che da una lacuna spirituale.
La
spiritualità ortodossa è ascetica e austera. Vi si
trovano talvolta tracce di un antico rigorismo: il timore della rilassatezza
provoca reazioni che possono eventualmente superare i limiti stabiliti dai
padri, per esempio da san Basilio. In generale, tuttavia, l'ascetismo ortodosso
è sano, vigoroso, conforme al vangelo. L'ortodosso fedele alle sue tradizioni
da molta importanza ai digiuni, alle astinenze (ci sono quattro grandi digiuni
dell'anno liturgico, senza contare quelli dei mercoledì e venerdì e di certe
vigilie di feste), e li osserva in spirito di fede e di preghiera. Durante la
settimana santa, prende pochissimo cibo. Mortifica severamente il suo bisogno
di sonno o di riposo, si priva delle comodità. I grandi asceti russi imitavano
le austerità dei padri del deserto; le foreste, con gli orsi e i lupi,
sostituivano per loro i deserti dell'Egitto. L'ortodosso pio, anche il.
semplice laico, mortifica il suo linguaggio; rinuncia a ridere, a scherzare.
Alcuni vivono una vita di dura penitenza, da reclusi. Anche i pellegrinaggi
sono tenuti in grande considerazione: si cammina a piedi attraverso l'immensa
Russia, si mendica, si sopportano i rigori del clima, spesso la notte si dorme
in piena campagna. Non è ignorato l'uso degli strumenti di penitenza, ma si
preferiscono le mortificazioni naturali: fame, freddo, disagi, vita dura,
veglie, ecc.
La
spiritualità ortodossa è liturgica. Nelle campagne della Russia,
il popolo aveva poche occasioni di ascoltare prediche solide, capaci di
alimentare il fervore. Solamente nel secolo XIX una letteratura di
spiritualità, di solito sotto forma di piccoli opuscoli o di fogli (listki), si
diffuse nei villaggi, esercitando un'azione di una certa importanza. Al
contrario, le chiese sono sempre state numerose; vescovi e laici, ricchi e
poveri, tutti consideravano come un dovere il contribuire alla costruzione di
qualche chiesa, al suo abbellimento o al mantenimento del clero. Nella chiesa,
durante i «servizi divini», così belli e così commoventi nel simbolismo dei
loro riti e nella freschezza evangelica delle preghiere paleoslave — che
d'altra parte sfuggivano talvolta al popolo e anche a certe persone istruite —
i fedeli si sentivano come trascinati in un altro mondo, un mondo di pace
spirituale, di adorazione, d'intensa preghiera comune. Nelle città, i fedeli
erano in generale meglio istruiti, disponevano di una letteratura religiosa e
di begli uffizi, mirabilmente cantati in santuari che i benefattori
arricchivano incessantemente. Ma soprattutto nelle chiese dei monasteri,
durante lunghe funzioni, celebrate secondo le migliori tradizioni, gli
ortodossi di ogni classe sociale e di ogni livello intellettuale trovavano
nutrimento spirituale in abbondanza. Ogni anno migliaia di pellegrini
affluivano in luoghi eminenti di vita spirituale, quali la Laura della
Santissima Trinità vicino a Mosca, la Pecerskaja Laura di Kiev o la famosa
Optina Pustyn', vera «università spirituale» della Russia. A Optina gli starzy
- padri spirituali rinomati - rafforzavano con un insegnamento
appropriato l'effetto delle cerimonie religiose. A partire dal secolo XVI,
l'influenza degli starzy fu considerevole in Russia.
Gli
ortodossi diffidano delle devozioni di origine più o meno recente,
extraliturgica, come, per esempio, la nostra Via Crucis o il
nostro rosario. Essi hanno una specie di corona, che serve per contare le
giaculatorie, in particolar modo la «preghiera di Gesù». Oltre ai vecchi usi
tradizionali, come la consuetudine di accendere un cero davanti a un'i-cona o
di chiedere dal sacerdote un moleben — sequenza di preghiere
per ottenere una grazia o per grazia ricevuta — l'ortodosso apprezza molto le
elevazioni spontanee dell'anima verso Dio, le manifestazioni di devozione viva,
sincera, ardente, comunicativa.
Il
russo pio ama i santi, i santi dell'antico Oriente, molti santi della Chiesa
latina, soprattutto quelli di prima della separazione del secolo XI, ma più
ancora i santi russi. Onora i santi di cui parla la Scrittura. Non gli piace il
culto eccezionale che i cattolici rendono a san Giuseppe, ma, al contrario,
attribuisce una specie di supremazia a Giovanni Battista. Molto popolare è il
culto di san Nicola; si ricorre a lui in tutte le difficoltà della vita; le sue
icone sono molto diffuse; davanti ad esse si prega, si piange, si geme, si
fanno pokiony (prostrazioni), si accendono ceri; ma al di fuori degli
uffizi liturgici, il santo non è oggetto di una devozione fìssa. I giovedì sono
consacrati a lui. L'anno liturgico lo festeggia due volte: il 6 dicembre e il 9
maggio (la festa del 9 maggio è stata istituita in onore della traslazione
delle reliquie di san Nicola a Bari in Italia). Gli altri santi hanno per lo
più una «specialità»: guarigione dei malati, benedizione del bestiame, ecc.; a
san Nicola ci si rivolge in ogni occasione, in tutte le sventure, nei casi più
banali. Lo si ama come si ama un meraviglioso nonno al quale si confidano tutti
i propri dolori, quelli del corpo e quelli dell'anima, al quale si chiede tutto
e al quale, all'occorrenza, si fanno anche dei rimproveri. Il suo culto è
contagioso: in Russia la sua intercessione era richiesta anche da musulmani, da
ebrei, da pagani.
E noto
quanto in Russia sia vivo e filiale il culto della santa Vergine. E difficile
concepire una casa o un'istituzione religiosa dell'antica Russia, a maggior
ragione una chiesa o una cappella, in cui non si trovi, al posto d'onore,
un'immagine della Madre di Dio. L'ortodosso pio non prega mai e non comincia
nessun lavoro di una certa importanza senza invocare il soccorso della «Regina
dei cieli», della «Purissima»; lo stesso accade in occasione di un viaggio, di
un'azione caritatevole, di un'im-presa da intraprendere, di un'operazione
chirurgica da subire. In chiesa egli accende volentieri un cero davanti
all'icona della Madre di Dio; in casa sua, fa brillare una piccola lampada
davanti alla sua immagine. Dinanzi alle icone miracolose — l'antica Russia ne
aveva parecchie — si poteva vedere di solito una folla d'infelici o di
pellegrini che pregavano con fervore. Molebny e
altre preghiere in onore della Vergine sono chieste costantemente ai sacerdoti.
Il rispetto per la Vergine è tale che non si osa dare il suo nome alle bambine;
in Russia molte donne si chiamano «Maria», ma il nome indica Maria Maddalena.
La Madre di Dio non può essere messa sullo stesso piano degli altri santi
patroni, essa è «più venerabile dei cherubini, incomparabilmente più gloriosa
dei serafini». Alcuni titoli con i quali i cattolici la designano — nostra
Signora, Madonna e altri simili - urtano l'ortodosso, gli sembrano irriverenti,
terra terra, non trasfigurati.
Certe
manifestazioni di pietà mariana ricordano la nostra devozione ai sette dolori
di Maria, al suo Cuore, ma sembra trattarsi di gusti personali o di
un'importazione occidentale. Il culto dell'immacolata concezione non contrasta
di per sé con la religiosità slava, tuttavia non vi ha mai messo radici, a
causa di una certa diffidenza dei capi dell'ortodossia. Gli ortodossi darebbero
volentieri credito alle apparizioni di Lourdes e di Fatima. In generale la
devozione mariana li commuove, quando proviene dal cuore, come è il caso per il
santuario cattolico di Czestochowa, in Polonia, o anche per i «mesi di Maria»
che si celebrano in molti paesi slavi.
Tutto
il culto liturgico bizantino è incentrato sulla santa comunione che la maggior
parte dei maestri spirituali consiglia di ricevere frequentemente; alcuni la
vorrebbero quotidiana. La comunione è considerata come il punto culminante della
messa, perciò non è consentita al di fuori della messa, salvo come viatico o in
casi del tutto eccezionali. L'unio-ne al Cristo eucaristico è ritenuta
necessaria a tutti, anche ai bambini. L'ortodosso pio si prepara alla comunione
con un giorno almeno di go-venie, vale a dire di presenza in
chiesa durante gli uffizi, di digiuni, di raccoglimento, di atti di carità;
abitualmente, non riceve l'eucaristia senza essersi prima confessato, anche se
la sua coscienza non gli rimprovera nessun peccato grave. La comunione sotto
una sola specie è tollerata soltanto in casi eccezionali. Al di fuori della
messa, la «santa riserva» è quasi dimenticata, benché sia conservata nella
chiesa: non si va a «visitare» l'Ospite divino nel tabernacolo, ad «adorare» il
santissimo sacramento. Si raccomanda di salutare in chiesa le «cose sante» (svjatyni), icone,
libro del vangelo, reliquie dei santi, santa croce; ma il più delle volte non
si parla dell'eucaristia. Ore di adorazione, processioni del santissimo
sacramento, «esposizioni» dell'ostia, «benedizioni»; tutto ciò è estraneo alla
pietà ortodossa, o per lo meno vi è eccezionale.
Gli
orientali attribuiscono una grande importanza al «cuore», questo centro
dell'anima, come vedremo meglio esaminando le dottrine dei maestri spirituali.
In alcuni predicatori, starzy o missionari, si trovano
toccanti considerazioni sul cuore di Gesù. La parola è presa il più delle volte
nel senso metaforico, raramente nel senso realistico. Ma l'Oriente cristiano
separato non pratica una devozione particolare al sacro Cuore, teologicamente
elaborata, «cristallizzata» in forme ufficiali; non dedica acatisti al sacro
Cuore. Teme - d'accordo in questo con la Santa Sede — tutto quello che
sembrerebbe isolare il cuore di Gesù dalla sua persona. Ogni spiritualità
cristiana tiene a rendere un culto a delle persone — Spirito Santo, Verbo
incarnato, santissima Vergine, i santi — e per di più la spiritualità
ortodossa, lo ripetiamo, non ama scomporre, ma cerca l'unità vivente.
In
generale, l'ortodosso trova largamente nelle ricchezze dogmatiche e mistiche
della liturgia bizantina di che soddisfare le sue aspirazioni alla
«deificazione», all'unione con Dio in tre Persone, il suo attaccamento alla
santa Vergine, ai santi e agli angeli. Perciò non sente il bisogno di devozioni
extraliturgiche.
II. I TEORICI DI
SPIRITUALITÀ RUSSI ORTODOSSI
I trattati russi di
spiritualità sono poco numerosi. Esaminiamo quelli che meritano più
particolarmente l'attenzione del lettore desideroso di conoscere la
spiritualità ortodossa di tendenza russa, i suoi principi e assiomi.
In primo luogo,
segnaliamo l'opera capitale del vescovo
Teofane il Recluso,
autore ragguardevole,
di cui l'arciprete Gheorghij Fiorovskij scrive: «Teofane Govorov fu un fedele e
tipico continuatore della tradizione patristica in materia di ascetismo e di
teologia... Egli si sforzava di ricostruire tutta la dottrina della vita
cristiana secondo i principi dell'ascetismo dei padri».
Teofane, al secolo
Gheorghi] Govorov, nacque nel 1815 a Cernavsk (governatorato di Orël). Fece gli
studi di teologia all'Accademia ecclesiastica di Kiev. Per sette anni soggiornò
in Medio Oriente, dove studiò i padri orientali. Divenuto vescovo nel 1859, si
ritirò dal 1866 in un monastero per dedicarsi all'apostolato della penna; ben presto,
fattosi «recluso», condusse una vita molto ascetica; negli ultimi anni
celebrava la messa ogni giorno «tutto solo, in silenzio, concelebrando con gli
angeli». Morì nel 1894.
Il suo libro, La via
della salvezza,
è un «compendio di ascetismo» in cui si trovano i principi della spiritualità
ortodossa russa. Ebbe larga diffusione ed esercitò una profonda influenza,
anche fuori della Russia.
La via della salvezza si divide in tre parti:
1) in che modo comincia in noi la vita cristiana; 2) come si sviluppa e si
rinsalda; 3) quello che essa è nella sua perfezione. La nostra attenzione si
soffermerà soprattutto su quest'ultima parte.
Parte prima. «L'essenziale della
vita cristiana consiste nell'essere in comunione con Dio (bogoobscenie) nel nostro Signore Gesù
Cristo» (p. 10). «L'onestà e l'osservanza delle prescrizioni della Chiesa non
hanno alcun valore agli occhi di Dio se non hanno Io spirito della vita in Gesù
Cristo» (p. 11).
Bisogna cominciare con
la decisione di essere un perfetto cristiano. Ciò presuppone grandi sforzi, ma
è lo spirito di Dio che purifica il cuore e «riunisce i tratti dell'immagine di
Dio offuscati e spezzati» (p. 14). Per restaurare questa immagine è
indispensabile la grazia, che si riceve nel battesimo, «senza il quale non si
può entrare nell'universo cristiano» (p. 17).
Genitori e educatori
devono vegliare sullo sviluppo dell'azione divina nell'anima del bimbo
battezzato. A questo scopo, è bene dare spesso ai bambini la santa comunione,
«portarli spesso in chiesa, far baciare loro la santa croce, il libro del
vangelo, le icone, coprirli con il vozduch (velo liturgico)»; in
casa, è bene «porre spesso il bimbo sotto le icone, benedirlo tracciando su di
lui il segno della croce o aspergendolo con l'acqua benedetta, far bruciare
l'incenso, benedire la culla, il cibo e tutto ciò che è a contatto con il
bambino, far benedire il bimbo dal sacerdote, portare a casa icone della
chiesa, celebrare molebny» (p. 25). Tutto ciò «ravviva e alimenta la vita
di grazia». Attraverso il loro sguardo, i genitori possono trasmettere al bimbo
che li guarda qualcosa della loro devozione (p. 27).
Seguono diversi consigli
per la formazione cristiana del fanciullo. Sul suo cuore si agirà soprattutto
mediante lo zerkovnost', lo spirito, l'«atmosfera» del santuario, della chiesa; gli
si ispirerà il gusto dei canti di chiesa, delle icone, delle preghiere vocali.
Gli si insegnerà a comportarsi in maniera «cosciente e coscienziosa» (p. 41).
II fanciullo deve «convincersi ragionevolmente che la santa fede è l'unica via di
salvezza veramente sicura» (p. 46).
Nel difficile momento
dell'adolescenza, il fanciullo verrà posto sotto la guida di un padre
spirituale che saprà parlargli come un amico devoto (p. 53), aiutandolo a
formarsi una vita spirituale veramente «Ulteriore»; in tutto, compresi gli
uffizi religiosi, si eviti «la predominanza di ciò che è esteriore» (p. 60).
Il nostro autore cita
ampi brani delle istruzioni pedagogiche di san Giovanni Crisostomo.
Parte seconda. Molti sono fra i
battezzati quelli che cadono nel peccato. Così «la penitenza è divenuta per noi
l'unica sorgente di vita veramente cristiana» (p. 99). Ma «solo la grazia è
capace di portare l'uomo a pentirsi, per immolarsi e sacrificarsi a Dio» (p.
101). Il peccatore avverte dentro di sé un vuoto spaventoso: l'intelligenza è
vuota, perché «ha dimenticato l'Unico che è tutto»; la volontà è vuota, perché
non possiede più l'Unico; il cuore è vuoto, non assapora più l'Unico (p. 103).
Ma la «grazia eccitante» viene a trarlo dal suo torpore. Tuttavia, se egli ricade,
«l'eccitazione divina non gli viene data gratuitamente: è richiesto uno sforzo
del peccatore stesso che deve, per così dire, meritare il soccorso divino e
ottenerlo mediante la preghiera» (p. 110). E una prova, dopo la quale
riapparirà la grazia che «mostra vivamente» l'orrore del peccato e la bellezza
del bene morale, e consente di scegliere liberamente tra il bene e il male.
La grazia agisce in
diversi modi. Certe volte Dio si mostra egli stesso, come a san Paolo; altre
volte fa apparire la santa Vergine, alcuni santi o angeli (p. 113). Talora Dio
concede dei miracoli, ma per lo più la grazia agisce in maniera tutta
interiore.
Ciò che trattiene l'uomo
lontano da Dio è la «condiscendenza nei confronti di se stesso», il mondo e il
demonio. Per aiutarci a lottare contro l'irreligione del mondo, la Provvidenza
«tiene dinanzi a noi alti due mondi, mondi santi, divini... Sono la natura
visibile e la Chiesa di dìo» (p. 120), vale a dire la bellezza del creato e del
culto divino.
La grazia eccitante
agisce anche attraverso la parola del sacerdote, che deve «esporre la verità
quale essa è, senza il velame di considerazioni intellettuali e meno ancora di
immaginazioni; la verità è accordata naturalmente allo spirito; esposta con
semplicità e sincerità, essa lo raggiungerà» (p. 126). La predicazione si
esercita anche attraverso le cerimonie, i canti sacri, i libri pii, le
conversazioni edificanti, le icone, l'in-segnamento (p. 127).
Il peccatore deve
lottare anzitutto contro il proprio corpo: «Rifiutagli le delizie e i
piaceri... Prolunga le veglie, togli qualcosa dal tuo regime alimentare
abituale, aggiungi ai tuoi lavori un nuovo lavoro» (p. 134). Egli deve anche
convenire il suo cuore, sottometterlo alla ragione, perché esso è cieco e ci
inganna: «Quando il cuore vuole attaccarsi a qualche oggetto, consulti la
ragione e non agisca da solo precedendola» (p. 137).
Le passioni, il mondo e
Satana suggeriscono mille pretesti per far trionfare il peccato. Bisogna
reagire con energia: «Con uno sforzo più vigoroso dello spirito, convinciti di
alcuni pensieri capaci di allontanare questa ebbrezza; aiutati con questi
pensieri per scuotere e piegare il tuo cuore inerte... Immagina di essere nella
situazione di un uomo che una spada sta per colpire» (p. 141), «Sali con il pensiero
sul Golgota» (p. 142). «Rientra in te stesso, spezzati, colpisciti, correggi i
tuoi giudizi. Tratta del tuo caso con Dio. Esortati, persuaditi. Per accedere
alla conversione, non c'è che una porta: un serio esame interiore» (p, 145).
Non si tratta di atteggiarsi a sapiente, ma di essere ragionevole. Non bisogna
«trascorrere da un pensiero all'altro» (p. 147), ma lasciare a ciascuno il
tempo di penetrare nel cuore. Sarà utile «rivestire il pensiero con un'immagine
che rimanga presente allo spirito e non cessi di stimolarlo. La cosa migliore è
riunire in una sola immagine, se possibile, diversi pensieri che colpiscono...
Questa immagine rimane allora più facilmente presente all'anima, in cui agisce
con maggior forza» (p. 147)7.
7 Alcuni
autori russi moderni sostengono che la spiritualità ortodossa respinge ogni uso
dell'immaginazione. Come vediamo, ciò è inesatto. Come i padri spirituali
cattolici, gli ortodossi mettono in guardia contro le divagazioni
dell'immaginazione, ma non considerano questa facoltà come cattiva di per sé.
La meditazione non
basta, bisogna interromperla spesso per la preghiera: «Se durante la
meditazione un sentimento cade nel cuore..., alzati e prega... Prega con
semplicità, come un fanciullo, brevemente; è meglio pregare senza parole... Non
comporre preghiere... Se l'ardore della preghiera diminuisce, ritorna alla
meditazione, per passare di nuovo alla preghiera... Ripeti spesso delle
giaculatorie» (p. 149).
E molto importante che
il peccatore pratichi la carità: «Moltiplica le elemosine, asciuga le lacrime
degli infelici» (p. 150).
Quali sono gli effetti
della grazia eccitante? Essa risveglia il sentimento di dipendenza nei riguardi
di Dio; l'uomo vede la sua bruttura morale, «presente» la felicità di vivere in
Dio. Questa grazia, come un lampo, proietta luce su ogni cosa.
Il peccatore deve
convertirsi in piena libertà: «II fine della libertà umana non è né in se
stessa né nell'uomo, ma è in Dio. Dando la libertà all'uomo. Dio, per così
dire, cede all'uomo una parte del suo potere divino, affinché l'uomo la
sacrifichi liberamente in olocausto a Dio» (p. 174).
Il peccatore si
esaminerà ripetendo i dieci comandamenti di Dio e le beatitudini, o
ripercorrendo con il pensiero «la legge veramente cristiana», secondo il Nuovo
Testamento. Nel corso di quest'esame di coscienza, egli si giudicherà come
cristiano, tenendo conto del proprio stato, della propria situazione, delle
circostanze; ma quel che conta soprattutto è «entrare più profondamente nel
cuore corrotto», conoscere bene le passioni dominanti e specialmente quella
tendenza che è alla radice di tutti i peccati (p. 176).
La conversione
presuppone una leale confessione. E questa l'unica via di salvezza. Il
convertito deve essere deciso «a seguire il Cristo Salvatore» e a fare la
penitenza imposta dal confessore, o che egli gli avrà «chiesto, se il
confessore non ha imposto nulla» (p. 189). Verrà poi la santa comunione che «è
alla base della vita conforme a Cristo» (p. 192). Il tempo che separa la
confessione e la comunione deve essere passato nel raccoglimento, nella pace
del cuore, nella meditazione sull'eucaristia o su qualche passo del Nuovo
Testamento (p. 193).
Parte terza. L’autore vi parla della
perfezione spirituale.
L'ideale al quale deve
tendere il convertito è «l'unione vivente con Dio» (p. 199). Al momento della
conversione, quest'unione non è che una pura luce; poi diviene «operante»,
vissuta. «Al suo primo entrare nell'anima mediante i sacramenti, questa grazia
consente all'uomo di gustare pienamente la felicità dell'unione con Dio» (p.
203). Più tardi, essa «si nasconde»; ma resta tuttavia nell'uomo, agisce in
lui; talvolta lo consola, ma abitualmente l'anima è immersa nella notte.
Infine, dopo questo periodo di prove, «Dio comincia ad abitare nell'uomo in
maniera particolare» (p. 205); «si da egli stesso al cuore, e l'uomo è reso
degno di essere uno spirito con il Signore...; diviene pienamente dimora dello
Spirito Santo» (p. 206).
Così, «la vera vita
della grazia non è all'inizio che un piccolo seme, una scintilla; un granello
seminato in mezzo alle spine, una scintilla tutta coperta di ceneri...» (p.
210). Per molto tempo «Dio non può prendere interamente dimora nell'uomo...;
l'abitazione non è ancora pronta» (p. 211). Le passioni devono essere a poco a
poco domate: quelli che si danno pienamente a Dio fin dall'inizio sono rari.
L'anima che vuole
camminare verso la perfezione deve prendere una guida, perché «di solito Dio ci
conduce per mezzo di altri» (p. 218). «Satana non si avvicina a quelli che si
sono affidati a un direttore di coscienza» (p. 219). E anche necessaria una
regola di vita per fissare gli esercizi di pietà: lettura, preghiera,
meditazione, ecc... La vita non regolata «non è una vita». «Si avvolge un bimbo
nelle fasce perché non diventi un mostro, un gobbo; allo stesso modo, tutta
l'attività spirituale deve essere avvolta nelle regole... Senza regole, si è
come senza appoggio, si cade e ci s'inganna inevitabilmente» (p. 221).
«Chi desidera conservare
un fervore inestinguibile deve; a) abitare all'interno di se stesso; b) contemplare un mondo
nuovo; c)
mantenersi nei sentimenti e nei pensieri mediante i quali sale come su dei
gradini fino ai piedi dell'altare di Dio» (p. 228).
«La gallina che ha
trovato qualche chicco da un segnale ai suoi pulcini, e tutti accorrono da ogni
parte verso la loro madre per mettere il loro becco nel punto in cui essa ha
fissato il suo. Allo stesso modo, quando la grazia divina agisce nel cuore di
un uomo, lo spirito di quest'uomo entra nel suo cuore, e con lo spirito tutte
le forze dell'anima e del corpo. E questa la legge dell’abitazione
nell'interno: tieni il tuo spirito nel tuo cuore, e raduna lì, grazie ai tuoi
sforzi, tutte le forze della tua anima e del tuo corpo» (p. 228). Radunare le
proprie forze nel proprio cuore: ecco l'atto per eccellenza, la grande impresa (podvig) della vita spirituale:
«La concentrazione dello spirito nel cuore è l'attenzione (vnimanie); la concentrazione della
volontà è la vigilanza (bodrennost'), la concentrazione del sentimento è la sobrietà (trezvenié)» (p. 229). Colui a cui
manca uno di questi tre elementi, non ha «l'abitazione nell’interno» (vnutr-prebyvanié). Questi atti dell'anima
devono essere accompagnati da atteggiamenti del corpo: l'attenzione esige che
gli occhi siano volti verso l’interno; la vigilanza richiede «una tensione dei
muscoli in tutto il corpo, nella direzione del petto»; la sobrietà presuppone
«la rimozione degli umori emollienti che salgono verso il cuore» (ihid.). Il mattino, al
risveglio, «discendi all'interno di te stesso, verso il tuo cuore, nel tuo
petto; subito chiama, attira, trascina lì tutte le forze della tua anima e del
tuo corpo...; fa' così finché la coscienza vi si sia insediata come nella
propria dimora e vi stia attaccata come il vischio su un muro» (ihid.).
L'uomo che ha compiuto
questo rientro in se stesso si trova come in una grande sala dove scopre «un
mondo nuovo». E «il primo colpo della grazia che chiama». Ma subito dopo, «la
visione, come l'abitazione nell’interno, è affidata da Dio alla libertà
dell’uomo»; a lui dunque spetta mantenerla viva (p. 232). In altre parole,
l'uomo deve collaborare con la grazia.
Su quali realtà verte
questa «visione»? Anzitutto sull’onnipresenza e l'onnipotenza di Dio: Dio tiene
tutto nella sua mano; poi sull'economia della salvezza: la morte, il giudizio,
il paradiso, l’inferno (p. 233). La prima di queste realtà disporrà il
cristiano a «sentirsi come un bimbo fra le braccia di sua madre»; la seconda
farà di lui un «soldato nell'esercito, un figlio nella casa paterna, un operaio
abile nel lavoro, un compagno fra i suoi amici, o un uomo in mezzo alla sua
famiglia». La visione della morte ci rivelerà a noi stessi come colpevoli. Il
paradiso e l’inferno saranno presenti attraverso P immaginazione, il primo come
un giardino magnifico, l’altro come un abisso di fuoco: tra i due, l'uomo
avanza su una stretta passerella (p. 235).
Si contempleranno queste
verità, una dopo P altra, soffermandosi a lungo su ciascuna. «Non è una
meditazione, è una contemplazione immobile dell’intelligenza; è la fede
nell’oggetto contemplato» (p. 236). Ci si aiuterà con immagini e con quadri che
illustrano queste realtà; si ricorrerà a libri che «le descrivono in modo
vigoroso», se ne parlerà; ci si raffigurerà sul proprio letto di morte. Si
manterrà viva l’immagine «impressa» nell’anima (p. 237), per conservare i
sentimenti salutari una volta provati: è questa «l’attività vitale spirituale»
(p. 240). Si sceglierà nel Salterio una preghiera in cui sono espressi tutti
questi sentimenti, ma «non c'è mezzo più sicuro per imprimerli (nella mente e
nel cuore) che l'assistere agli uffizi della chiesa» (p. 241).
Questo lavoro spirituale
inizia con il timore di Dio e termina con un «umile abbandono alla sua volontà»
(p. 242).
La tendenza alla
perfezione esige che si dia a tutte le facoltà dell'a-nima una formazione
veramente cristiana.
Per abituare
l'intelligenza a giudicare secondo la fede, si farà grande uso della lettura
spirituale. I principianti leggeranno soprattutto vite di santi; quelli che
sono «progrediti» leggeranno di preferenza le opere dei padri; i «perfetti»
leggeranno di preferenza la sacra Scrittura. Prima della lettura ci si
raccoglie, si prega per qualche istante; durante la lettura, ci si sofferma su
ogni passo finché sia penetrato nel cuore, A questa formazione cristiana
dell'intelligenza concorrono le conversazioni con persone esperte nella vita
spirituale,
Per educare
cristianamente la volontà, bisogna sottomettersi, obbedire, rispettare i
comandamenti di Dio, «il regolamento della Chiesa, le leggi della società e
della famiglia...; si osserverà tutto ciò secondo la volontà di Dio e in suo
onore» (p. 257).
Per formare il cuore e
acquisire «il gusto delle cose sante, divine, spirituali», l'educatore per
eccellenza è la liturgia. «Il nostro tempio è il paradiso sulla terra». Il
cristiano assisterà al mattutino, alla messa, ai vespri, senza trascurare gli
«uffizi privati»; cercherà di restare sempre nel? «atmosfera speciale della
vita liturgica». Per formarsi allo spirito di preghiera, utilizzerà qualche buon
libro; pregherà «in piedi, facendo inchini o prostrazioni, genuflessioni e
segni di croce, leggendo, talvolta cantando»; reciterà queste preghiere «come
all'orecchio di Dio» (p. 262).
La preghiera comporta
diversi gradi. Si comincia con la preghiera «attiva, corporea», lettura,
inchini, atteggiamenti del corpo. Viene poi la preghiera «attenta», quella
dell'intelligenza. Infine, si arriva alla preghiera del cuore, la preghiera
senza parole. Quando è diventata continua, la preghiera del cuore lascia il posto
alla preghiera «spirituale», quel dono dello Spirito Santo che prega in noi (p.
263). Il mezzo più facile per giungervi è di ripetere con attenzione la
preghiera di Gesù, mantenendo «la coscienza di sé nel cuore» e «trattenendo un
po' il respiro» (P- 265).
Per pregare bene è
necessaria la mortificazione del corpo. Bisogna dominare i sensi, seguire non i
loro appetiti, ma la ragione, mortificarsi gradualmente (p. 270). L'esperienza
personale indica ciò che è opportuno eliminare nel proprio comportamento: ogni
elemento mondano sarà escluso; bisogna «purificare tutta la propria vita
esteriore, rimuovere tutto ciò che è passionale» (p. 272).
Il mezzo per eccellenza
per alimentare la vita divina in noi è la santa comunione. «Fin dalle origini,
i veri zelatori della pietà hanno considerato come il bene più grande la
comunione frequente... La persuasione comune di tutti i santi è che non c'è
salvezza senza la comunione, ne progresso nella vita spirituale senza la
comunione frequente» (p. 277). La santa comunione deve essere il coronamento,
l'apice del govenie, al quale ci si dedica di norma durante le quattro quaresime
dell'anno. Il govenie consiste nel raccogliersi, nel digiunare più del solito,
nel frequentare gli uffizi sacri, nel leggere libri edificanti, nel distribuire
elemosine, nel fare una buona confessione. Ci si sforzerà di conservare lo
spirito del govenie per tutto Panno praticando il digiuno del mercoledì e del
venerdì, confessandosi ogni volta che «il peccato appesantisce la coscienza»,
«confessandosi a Dio» tutte le sere, o anche durante la giornata, parlando dei
propri problemi di coscienza con un padre spirituale prudente, praticando
almeno la «comunione spirituale» a ogni messa (pp. 278ss).
Le passioni devono
essere combattute energicamente. Satana agisce in noi soprattutto attraverso i
«cattivi pensieri». Perciò, nella sua lotta, il cristiano veglierà anzitutto
sui suoi pensieri, «perché il cuore e la volontà non sono mobili quanto il
pensiero; le passioni e i desideri sorgono raramente da se stessi, il più delle
volte sono generati da pensieri. Da ciò questa regola: tronca il pensiero, e
tutto sarà troncato» (p. 295).
Allo scopo di dominare
così i propri pensieri, ci sì sforzerà di essere sempre occupati e di avere i
sensi esteriori «legati». La vigilanza è dunque indispensabile. Essa ha due
aspetti: la «sobrietà», che regge il nostro interno, e la «considerazione» (blagorassmotrenie), che consiste nel
prevedere le situazioni nelle quali ci si troverà, e nel decidere il
comportamento da tenere (p. 297).
Alcuni di questi
pensieri sono molto sottili e si presentano sotto buone apparenze; è il caso
allora di applicare il discernimento degli spiriti traendo profitto
dall'esperienza acquisita; ma è ancora più importante «non fidarsi della
propria ragione e sottoporre ogni pensiero al proprio direttore di coscienza (rukovoditel’)» (p. 305).
«La purificazione
definitiva di tutto il nostro essere... è opera del Signore, purificazione
esteriore attraverso le prove, purificazione intcriore attraverso le lacrime»
(p. 312).
La vita spirituale
culmina nella «comunione vivente con Dio». Essa consiste nel vedere Dio e nel
sentire che si è visti da lui, nel fare tutto per la sua gloria (p. 318). Si è
«immersi in Dio». È «il silenzio dello spirito o il rapimento in Dio», è il
«distacco da tutto». Solamente i puri di cuore vedranno Dio (p. 320).
«L'anticamera» di questa perfetta unione con Dio è descritta in questi termini:
«Abbandonarsi perfettamente a lui... e rinunziare alla propria libertà» (p.
321).
Teofane il Recluso
espone il fondo del suo pensiero sulla preghiera di Gesù in una delle sue
lettere, pubblicate dal monastero russo San Panteleimon del Monte Athos8;
8 «Raccolta
delle lettere del vescovo Teofane», serie I, Moskva 1898, p. 17.
«La preghiera Signore
Gesù Cristo, Figlio
di Dio, abbi pietà di me è una preghiera composta di parole, come ogni altra
preghiera. Di per sé, la preghiera di Gesù non rappresenta nulla di
particolare; tutta la sua forza deriva dalla disposizione interiore con la
quale la si recita. Tutti gli accorgimenti che vengono descritti — sedersi,
inchinarsi, ecc. - in altre parole la maniera artificiale di praticare questa
preghiera, non è cosa adatta a tutti e, se non si ha un istruttore, rappresenta
un pericolo. Meglio astenersene. Un solo accorgimento è obbligatorio, e per
tutti: mediante l'attenzione restare nel cuore. Tutto il resto è
aggiunta estranea che non conduce allo scopo ricercato. Si parla tanto dei
frutti della preghiera di Gesù, come se al mondo non ci fosse niente di più
sublime! Si ha torto. Si crede di aver trovato un talismano! Di questi frutti
nulla è proprio delle parole di cui questa preghiera è composta ne dell'uso
verbale che ne viene fatto. Tutti questi frutti possono essere ottenuti
altrettanto bene senza la preghiera citata, e anche senza nessuna preghiera
composta di parole, mediante la semplice elevazione dello spirito e del cuore
verso Dio. L’essenziale è acquisire l'abitudine di pensare a Dio e di vivere
alla sua presenza. A ciascuno si può raccomandare: "Acquisisci questa
abitudine in un modo o nell'altro; recita la preghiera di Gesù, oppure fa'
delle prostrazioni, o va in chiesa, fa' quello che vuoi, ma arriva a pensare
sempre a Dio". Ho conosciuto a Kiev un uomo che non usava nessun metodo,
ignorava la preghiera di Gesù, e possedeva nondimeno tutti i frutti di cui si
parla».
L'ultimo libro di
Teofane il Recluso è intitolato: Lineamenti di morale cristiana9. E un trattato di
morale, ma vi domina la spiritualità. Segnaleremo soltanto alcuni passi
caratteristici.
9. Nacertanie
christianskogo nravoucenija, a cura del monastero San Panteleimon del Monte
Athos; seguiremo la seconda edizione, Moskva 1895.
«La piena
giustificazione, ossia la piena soddisfazione della giustizia divina, consiste
non solo nel sacrificio propiziatorio, ma anche nell’arricchimento dell’uomo in
stato di grazia mediante opere di giustizia» (p. 12). Ciò non può provenire che
dall’ uomo-Dio, il Verbo incarnato.
Un altro fondamento
della vita cristiana è l'unione vivente con il corpo della Chiesa, che ha per
capo il Cristo (pp. 27ss).
La regola che determina
il destino dell’uomo è l'unione con Dio, perché l'uomo è creato a immagine e
somiglianza di Dio (pp. 32ss).
L'uomo contribuisce alla
sua giustificazione mediante il sacrificio della propria libertà, la penitenza,
la fede (pp. 38ss). Senza la grazia, egli non può nulla.
Ci sono doveri di
giustizia e doveri di carità; si mediterà spesso sui propri doveri (pp. 100,
94,200). Contrariamente a quel che insegna «una certa branca del mondo
protestante», è opportuno distinguere tra precetti e consigli evangelici (p.
101). E bene anche distinguere tra peccato mortale e peccato veniale (pp.
164ss)10.
10. Su questo punto,
come su molti altri, il nostro autore si discosta dalla maggior parte dei
moralisti ortodossi e sembra seguire i moralisti cattolici.
L'uomo è costituito di
spirito, anima e corpo. «A quelli che non vogliono distinguere tra spirito e anima, si può proporre
tuttavia di chiamare spirito il nostro essere incorporeo, nelle sue attività
superiori, e anima il nostro essere incorporeo nelle sue attività inferiori»
(p. 188).
Ogni buona azione
cristiana è frutto della collaborazione della ragione con la grazia (p. 132).
L'intelletto è la
«facoltà superiore di conoscenza», «l’oggetto della conoscenza mediante
l’intelligenza è l'Essere supremo, Dio, con le sue perfezioni infinite, e
l’ordine divino eterno degli esseri» (p. 214). Si conosce resistenza del mondo
invisibile «non immediatamente, ma per mezzo di conclusioni logiche» (p. 215).
«La nostra fede nella fede deve essere intelligente» (p. 337),
L'immaginazione è una
«facoltà inferiore di conoscenza». Essa può avere «un grande valore» nel
comportamento. La sua attività può essere buona o cattiva. Bene utilizzata, «è
molto utile alla ragione, vivificando il pensiero mediante le immagini» (p.
251).
La vita di fede si
alimenta attraverso la comunicazione e la preghiera di Gesù (p. 374). Ci si
santifica anzitutto e soprattutto per mezzo dei sacramenti. «Il primo posto
dopo i sacramenti spetta al digiuno con il governo»; vengono poi gli uffizi
liturgici, il culto (p. 418). Si deve partecipare alla preghiera comune in
chiesa. «Se qualcuno se ne separa volontariamente, la sua preghiera solitaria
diventa del tutto insignificante. Quando si svolge la preghiera comune, la
preghiera di ciascuno riveste la forza della preghiera di tutti... In chiesa
Dio manifesta la sua presenza particolare... Si deve dunque rispettare questa
dimora di Dio..., onorare i ceri, le vesti e i vasi sacri, le icone, e
soprattutto la croce e il vangelo; una venerazione ancora più intensa deve
essere rivolta alle sante reliquie e alle icone miracolose» (p, 420; anche pp.
445ss),
«La casa in cui si abita
diventa anch'essa un tempio quando vi si prega» (p. 421). «Assistete alla messa
il più spesso possibile...; con la compunzione e le suppliche, innestatevi (priveitesi) sul sacrificio che è
offerto» (p. 423).
Il cristiano deve
invocare a ogni preghiera la santissima Vergine, il suo angelo custode e il suo
santo patrono (p. 430); deve pregare per i defunti e soprattutto offrire il
santo sacrifìcio (p. 431).
«Agli occhi di Dio,
tutti gli uomini formano una sola famiglia; ciò che egli da a uno di loro, lo
da a tutti. L'avarizia dello spirito deve essere considerata più criminale
dell'avarizia di denaro, nella misura stessa in cui lo spirito è più prezioso
della materia» (p. 448). Perciò bisogna praticare la carità in tutte le sue
forme. In altre parole, «abbiamo il dovere di tendere alla perfezione, o — ed è
la stessa cosa — d'imitare il Signore Gesù Cristo, di rappresentarcelo in noi
stessi, d'itnprimere le sue perfezioni in noi» (p. 470)11.
11 Alla fine
di quest'opera si trovano alcune considerazioni sul ruolo riservato allo zar
nella Chiesa.
Per comprendere bene
l'orientamento spirituale di Teofane il Recluso, bisogna tener conto dei punti
seguenti: 1) egli ha tradotto in russo la celebre Filocalia, pur se con aggiunte e
omissioni rispetto al testo originale: così, per esempio, ha fatto ampi tagli
nei testi di Palamas; 2) ha composto anche una raccolta di scritti degli
antichi maestri su «La preghiera e la sobrietà»; questi maestri sono: Basino,
Giovanni Crisostomo, Efrem, Giovanni Climaco, Nilo il Sinaita, Esichio, Filoteo
il Sinaita, Isacco il Siro, Barsanufio e Giovanni; 3) ha scritto commenti sulle
lettere di san Paolo; 4) predicava spesso sulla penitenza, insistendo sul suo
ruolo nella vita cristiana.
Fra i teorici russi
della spiritualità ortodossa uno dei primi posti spetta al vescovo
Ignatij
Brjancaninov,
che esercitò una profonda influenza su molti dei suoi contemporanei.
Dmitrij Brjancaninov
nacque il 6 febbraio 1807 a Pokrovskoe (governatorato di Vologda), da genitori
nobili e agiati, piuttosto mondani. Adolescente, si sentiva attratto
dall’ideale monastico, ma per obbedienza verso suo padre entrò in una scuola
militare per ingegneri. Nel 1827, dopo aver superato grandi difficoltà, il
giovane entrò nel convento Aleksandr' Svirskij, da dove passò successivamente
in diversi altri monasteri. Nel 1831, Dmitrij ricevette la tonsura monacale e
il nome di IgnatiJ. Ben presto ordinato sacerdote, nel 1857 fu nominato vescovo
del Caucaso. Morì nel 1867.
II vescovo Ignatij non
compose un trattato completo di teologia ascetica, ma scrisse una serie di
articoli sulle questioni importanti di spiritualità, Prendiamo in
considerazione soprattutto i suoi Saggi ascetici12.
121 suoi
scritti sono stati riuniti e pubblicati con il titolo Socinenija Episkopa
Ignatia
(«Opere del vescovo Ignatij»). La prima edizione è del 1865-1867; ad essa ci
riferiamo.
Egli voleva limitarsi a
una spiritualità strettamente ortodossa orientale. Le sue fonti sono gli
antichi asceti orientali: Giovanni Damasceno, Pietro Damasceno, Marco, Pacomio,
Cassiano, Giovanni Climaco, lo Pseudo-Macario, Gregorio il Sinaita, Barsanufio,
Teofilatto di Bulgaria, Isacco il Siro, Isaia l'Eremita, Doroteo, Esichio di
Gerusalemme, Filoteo il Smalta e alcuni altri meno noti. Fra gli autori russi,
Ignatij menziona Nilo Sorskij, Tichon di Zadonsk, Serafino di Sarov e — cosa
straordinaria da parte di un avversario delle influenze occidentali — Dmitrij
di Rostov.
Ignatij non espone un
insieme dottrinale completo e bene articolato; per non alterare il suo
insegnamento, non cercheremo di sistematizzarlo, ma ci limiteremo a citare i
punti più salienti.
La penitenza. Se non si fa penitenza
dei propri peccati, non si può avere «un'idea giusta delTeternità e dei propri
doveri», si vive in «una cecità spaventevole». La penitenza trasforma i più
colpevoli in santi. «La sua forza è fondata sulla forza divina: il Medico è onnipotente
e il rimedio che egli prescrive è onnipotente» (vol. II, pp. 69-78). Secondo i
padri, si raggiunge la perfezione della vita spirituale quando «tutti gli
esercizi spirituali confluiscono in una sola penitenza che abbraccia tutta la
vita,,. La visione del proprio peccato e la penitenza che essa suscita sono
attività che non hanno fine sulla terra» (II, 91). «La vera preghiera è la voce
della vera penitenza» (II, 168). «Si deve ricorrere il più spesso possibile al
sacramento della penitenza» (II, 478).
L'umiltà. «La vera umiltà è una
grazia divina... E un mistero divino, incomprensibile per l'uomo; è la sapienza
suprema... L'umiltà è la vita celeste sulla terra... L'umiltà non ha coscienza
dell'umiltà... La falsa umiltà ha sempre un aspetto affettato, si mette in
mostra... II principio dell'umiltà è la povertà di spirito... la sua
perfezione, è la carità di Cristo... L'umile si rimette interamente alla
volontà di Dio; non vive della propria vita, vive di Dio... L'umiltà è la veste
mistica di Cristo, la sua forza mistica» (I, 615-627). «Soltanto Pumiltà e la
penitenza che da essa è generata permettono di ricevere il Cristo! Esse sole ci
danno di che acquistare la conoscenza di Gesù Cristo; esse sole ci mettono in
condizione di avvicinarci a Gesù Cristo, di diventare suoi; esse sono il solo
sacrificio che Dio esige e accetta dal!'umanità decaduta» (III, 250). L'umiltà
deve essere sempre il frutto della vigilanza e della sobrietà (IV, 209-218,
ecc.).
Il digiuno. «Il digiuno consiste in
un'incessante moderazione nell’uso del cibo, unita a una scelta ragionevole
degli alimenti». «All'uomo appena creato e collocato nel paradiso, fu intimato
un solo comando, quello di digiunare». «La preghiera è debole se non si
appoggia sul digiuno, e il digiuno è sterile se su di esso non è edificata la
preghiera». Un'astinenza eccessiva indebolisce l'uomo e lo rende incapace di
compiere nobili imprese d'ordine spirituale (II, 107-114). «Un digiuno troppo
severo è ancora più nocivo degli eccessi dalla tavola» (I, 55). Il digiuno è
necessario «soprattutto ali'intelligenza e al cuore» (III, 96).
L'ortodossia. L'ortodosso fedele alla
sua Chiesa «pensa a Dio ad ogni ora, dovunque... la domenica e nei giorni di
festa, frequenta il tempio di Dio con assiduita; a casa prega mattino e sera; è
caritatevole verso i poveri e i pellegrini, fa penitenza per i suoi peccati e
si comunica, sopporta generosamente le pene mandate da Dio, studia con fervore
la parola di Dio» (III, 531). Un libro è utile alle anime soltanto se è scritto
da un ortodosso pio (I, 40). «La purezza e la rettitudine della coscienza sono
possibili solamente nel seno della Chiesa ortodossa» (I, 370), La
transustanziazione del pane nel corpo di Gesù Cristo e del vino nel suo sangue
non può essere reale che «nella messa celebrata da un vescovo o da un sacerdote
ortodosso» (III, 464). La vera fede «è conservata in tutta la sua purezza e in
tutta la sua pienezza nella Chiesa ortodossa, istituita" dall'uomo-Dio in
Oriente, diffusa dall’Oriente attraverso il mondo; finora la fede conserva la
sua integrità solamente in Oriente» (II, 473).
L’uomo, immagine e
somiglianza di Dio.
Come il sole in una goccia d'acqua, la santissima Trinità si riflette
nell’uomo. Perciò, l'uomo è «pieno di una bellezza multiforme». Il mondo è un
magnifico palazzo, in mezzo al quale Dio ha posto la sua immagine. «L'essenza
stessa della nostra anima è l'immagine di Dio; anche caduta nel peccato, anche
nelle fiamme dell’inferno, l’anima continua a essere l'immagine di Dio», «II
nostro intelletto è l'immagine del Padre; la nostra parola (la parola non
pronunziata è di solito chiamata pensiero) è l'immagine del Figlio; il nostro
spirito è l'immagine dello Spirito Santo». L'incarnazione è l’adorazione da
parte di Dio della sua immagine. «Con la redenzione Dio ha glorificato la sua
immagine più che nella creazione dell’uomo». «La bellezza della somiglianza...
raggiunge la sua perfezione nel? adempimento dei precetti evangelici; il
modello di questa bellezza e la sua pienezza, è il Signore Gesù Cristo».
«Immagine intelligente di Dio! Considera a quale gloria, a quale perfezione, a
quale grandezza sei chiamata!» (II, 119-130). «Onora come un'immagine di Dio il
cieco, il lebbroso, l'alienato, il criminale, il pagano» (I, 605).
La preghiera di Gesù. Su quest'argomento, Nilo
Sorskij trova formule ammirevoli. Ripetendo: «Signore Gesù Cristo, Figlio di
Dio, abbi pietà di me, peccatore», si deve «guardare il fondo del proprio
cuore..., far tacere il pensiero», restare in piedi, seduti o coricati se si è
deboli di salute. Si «respira piano piano», si «frenano tutti i moti del
sangue» (II, 326). Si può usare un rosario per contare le invocazioni. E utile
fare prostrazioni, tenere la mano sinistra sul petto, restare in una
semioscurità, stare seduti su uno sgabello basso (per umiltà); «l'ardore della
carne e del sangue non deve trovare posto nella preghiera» (II, 355). D'altra
parte, non bisogna attribuire troppa importanza al «meccanismo» del corpo; esso
«può essere assai ben sostituito da una recitazione tranquilla, una breve pausa
dopo ogni invocazione, una respirazione calma...» (IV, 148). La preghiera di
Gesù «è stata istituita dal Signore Gesù Cristo stesso» (I, 123), quando
insegnava che la preghiera doveva essere fatta nel suo nome. E un peccato che
«adesso la pratica della preghiera di Gesù sia quasi abbandonata dai monaci»
(II, 277).
Illusioni,
presunzioni, fantasticherie. «Molto spesso la salmodia, praticata con
assiduita e abbondanza, genera la presunzione e le sue conseguenze» (II, 365).
La «preghiera esteriore» (salmodia, tropari, canoni) è adatta soprattutto ai
principianti: bisogna cercare «la preghiera dello spirito». Troppe «preghiere
esteriori recitate con le labbra... nutrono il fariseo intcriore» (II, 366). I
monaci che hanno rifiutato la preghiera di Gesù, o in generale «!'azione dello
spirito», e «si accontentano di una partecipazione assidua agli uffizi in
chiesa» sono in stato di presunzione e d'illusione (I, 152), Quando la chiesa
di un monastero è troppo sontuosa, «l'anima del monaco è inevitabilmente vanitosa,
piena di presunzione e di sufficienza, priva di compunzione, non cosciente dei
suoi peccati» (IV, 248).
Bisogna diffidare dei
propri ragionamenti e desideri: «La ragione e la volontà della natura decaduta
sono interamente corrotte dal peccato» (I, 4).
«Diffida della
fantasticheria che può farti credere che vedi Gesù Cristo...; è il semplice
gioco di una presunzione orgogliosa» (I, 20). «L'anima della preghiera è
l’attenzione... detesta la fantasticheria» (I, 57). «Le sacre icone sono
adottate dalla santa Chiesa allo scopo di evocare ricordi pii, sensazioni
edificanti, ma non per eccitare la fantasticheria... conserva il tuo spirito
senza immagini» (I, 59). Occorre evitare anche i gusti intellettuali, domare la
curiosità, «non perdere il tempo prezioso della preghiera e le forze dell’anima
nell'acquisire conoscenze fornite dalla scienza umana» (I, 73).
L'illusione «deriva
dalla caduta originale... Siamo tutti ingannati... Gesù Cristo ci salverà
dall'abisso delle seduzioni che vengono da noi stessi e dai demoni» (I, 132).
«La più pericolosa e difettosa maniera di pregare consiste nel creare
fantasticherie...; con queste immaginazioni si asseconda la presunzione, la
natura decaduta, la propensione al peccato»; tutto ciò è «invenzione e
menzogna» (I, 136).
Aggiungiamo alcune
osservazioni.
1. Sul cattolicesimo il
vescovo Ignatij ha delle idee del tutto sbagliate. «Francesco d'Assisi, Ignazio
di Loyola e gli altri asceti del mondo latino vivevano in una fortissima
illusione satanica» (IV, 90). L'Imitazione di Cristo «emana lussuria
raffinata e orgoglio», diffonde «un cattivo odore di passioni» (ibid.). Questo libro contiene
«una dottrina menzognera» (I, 41); predica «l’unione con Dio non preceduta da
purificazione attraverso la penitenza...; l’imitazione è apprezzata
soprattutto dagli schiavi della sensualità» (I, 151). «Nelle confessioni
d'Occidente, non resta più che la lettera e l'illusione»14, ecc.
Ignatij è stato probabilmente indotto in errore da qualche libello. Del resto,
egli si mostra talvolta ingiusto anche nei confronti di parecchi asceti russi
ortodossi, come i celebri starzy del convento Optina Pustyn che accusa di
«camminare nelle tenebre e di tenere i loro discepoli nell'oscurità»15.
I4 L,
Sokolov, Episkop Ignatij SrjanSaninov («II vescovo Ignatij Brjancaninov»), II, Kiev
1915, Allegaci, p. 113.
15 Citazione
in Sokolov, Allegati, p. 239.
2. Secondo Ignatij,
Adamo ed Eva «avendo ricevuto la vita naturale della natura umana, ricevettero
anche la vita soprannaturale mediante l'unione con la natura divina» (II, 464).
3. In alcune pagine
molto belle sull'eucaristia, Ignatij arriva ad affermare che «la santa
comunione è stata istituita per essere ricevuta tutti i giorni; la
partecipazione alla vita di Cristo deve vivificare il cristiano tutti i giorni»
(III, 158).
4. Ignatij ammira
l’abitudine di san Dmirri] di Rostov e di Tichon di Zadonsk di dedicarsi «a
sante meditazioni... sul soggiorno di Gesù Cristo sulla terra, sulle sue
terribili e salutari sofferenze..., e anche sull'uomo, il suo destino, la sua
caduta» (IV, 153). Egli rileva che questa abitudine era già propria dei padri
della Chiesa. La maggior parte delle sue opere sono vere e proprie meditazioni.
Egli insiste soltanto sul dovere di meditare in spirito di penitenza e di
compunzione. Non si può dire dunque che la meditazione sia del tutto estranea
alla spiritualità ortodossa.
Il vescovo Pietro, al secolo Teodoro
Ekaterinovskij,
vescovo di Ufa, poi di Tomsk, fece gli studi all'Accademia ecclesiastica di
Mosca. Compose diversi libri di spiritualità. Analizzeremo il più importante: Indicazione
del cammino verso la salvezza16, che è un trattato di teologia
ascetica.
16 Ukazame
putì k spaseniju,
Moskva 1872. A questo libro rimandano le indicazioni delle pagine seguenti.
Questo libro è di più
ampio respiro che i lavori del suo contemporaneo Ignatij Brjancaninov. Pur
attingendo dagli antichi maestri orientali — lo Pseudo-Dionigi, lo
Pseudo-Macario, Antonio, Isacco di Siria, Barsanufio, Gregorio il Sinaita,
Massimo il Confessore, Giovanni Climaco, Esichio, Doroteo, Marco, Efrem,
Diadoco, Pietro Damasceno, Simeone il Nuovo Teologo — il nostro autore utilizza
largamente le opere dei padri della Chiesa più conosciuti, sia orientali che
occidentali: Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno, Gregorio Magno, Agostino,
Cipriano, Basilio, Girolamo, Ambrogio. Gli scrittori russi Nilo SorskiJ e
Tichon di Zadonsk sembrano essergli più familiari. Siamo dunque in presenza di
una vasta sintesi, da cui non è escluso l'Occidente dei primi secoli. L'opera è
tutta impregnata dei temi così cari agli ortodossi: l’uomo immagine di Dio, la
bellezza spirituale, la meditazione contemplativa, la vigilanza nel
raccoglimento, l'astinenza, il combattimento contro le passioni, il cuore come
centro delle facoltà dell'anima, la preghiera di Gesù; vi si trovano anche
alcune idee provenienti dai padri, ma precisate soprattutto in Occidente, come
la subordinazione del cuore alla ragione illuminata dalla grazia e dalla
volontà, la soddisfazione, la comunione frequente. Tuttavia il vescovo Pietro non
è influenzato dai teologi cattolici del Medioevo o dei tempi moderni; come
Ignatij e Teofane, quando si tratta dell'azione dello Spirito Santo nella
Chiesa cattolica, egli entra in un mondo che gli rimane estraneo.
Alcuni passi dell’Indicazione
del cammino verso la salvezza mostrano il suo orientamento spirituale.
«L'uomo è un essere
ragionevole e libero; in virtù della sua natura egli deve dunque agire sempre
in maniera ragionevole, ponderata» (così comincia il libro). «La vera carità
consiste in una piena aspirazione intellettuale dell’anima verso Dio,
soprattutto in una disponibilità totale al suo volere...» (p. 385). «Nella
nostra intelligenza è innata l'idea di verità» (p. 338). «Il cuore è cieco...
II valore e Futilità degli esseri possono essere giudicati soltanto dalla sana
ragione, le cui direttive sono necessarie al cuore» (p. 246). «Il ruolo
primario della ragione è quello di dirigere la principale forza dell'anima, la
volontà, nel suo sforzo per acquisire le virtù» (p. 340).
«Il Salvatore ha più di
una volta invitato i suoi discepoli a essere vigilanti, e affinché nessuno
pensi che ciò fosse detto solamente agli apostoli, egli insistette: Lo dico a
tutti, siate vigilanti... Ci sono quattro specie di vigilanza» (p, 28); e cioè:
Pesarne di coscienza, l'allontanamen-to delle occasioni di peccato, la
preparazione delle armi di difesa, l'arte di condurre il combattimento. Si
manterrà la vigilanza anche durante il sonno; a questo scopo, «bisogna dare
prima all'anima buone disposizioni» (p, 106).
«Contemplare Dio è
avvicinarsi a lui attraverso la conoscenza e la disponibilità dell'anima...
Allontanarsi dalla contemplazione di Dio... è privarsi della luce e del calore
divino» (p. 475). Affinché l'anima sia in raccoglimento, sono indispensabili
«l’isolamento, la tranquillità esteriore e il silenzio interiore» (p, 476).
L'uomo è stato creato a
immagine e somiglianza di Dio. La sua vocazione è dunque di «manifestare in sé
le perfezioni che rendono simili a Dio»; egli deve continuamente «sviluppare
dentro di sé, rendere più luminosa l'immagine di Dio» (p. 6). «L’immagine di
Dio brilli in tutti i nostri pensieri, sentimenti e azioni» (p. 13). Il
principale compito dell'uomo è di «crocifiggere la propria carne..., di
purificare, di rinnovare dentro di sé l'immagine di Dio, offuscata dal
peccato..., e di innalzare poi il proprio spirito mediante una continua
contemplazione di Dio» (p. 255). Bisogna dunque cominciare sempre con la
penitenza. «Il fondamento dell'amore di Dio, l'amore eterno, e anche la nostra
anima stessa, creata a immagine di Dio; in questa immagine di Dio sta il motivo
della carità...» (p, 379).
La meditazione è
necessaria per trionfare sulle passioni, per esempio l'avarizia (p- 67).
«L'umiltà è indispensabile; la si acquisisce meditando sulla grandezza di Dio e
sul nostro nulla..., sulla nostra dipendenza da Dio in tutto» (p. 292). Nella
meditazione si impara a conoscere la volontà di Dio (p. 314). I santi trovano
la loro gioia «nel cantare i salmi con devozione, nel conversare filialmente
con Dio, nel pregare, nel meditare su Dio e le sue perfezioni» (p. 355).
«Per mezzo delle buone
opere l'uomo dimostra la sincerità del suo pentimento, soddisfa alla giustizia
di Dio, paga il debito dei suoi peccati, ripara l'offesa che ha fatto a Dio e
il male che ha causato al prossimo, corregge il suo cuore, reprime le sue
passioni, radice di ogni male...» (p. 207).
E meglio astenersi dai
piaceri, anche leciti, «per avere il merito della rinunzia» (p. 53). E
biasimevole cercare «la beatitudine eterna senza fatiche e meriti» (p. 263).
Amare Dio è «tendere ad
unirsi a lui per godere della bellezza ideale delle perfezioni divine» (p.
379). Per «vivificare il cuore» è bene «contemplare spesso la mirabile bellezza
del cielo..., la bellezza che appare con splendore in tutta la natura...», ma
per fare questo bisogna avere «apprezzato la natura secondo la saggia ragione»
(p. 354). «Tendere a godere della bellezza di Dio, contemplata nelle perfezioni
divine e nei loro riflessi, vale a dire nelle diverse creature, è una virtù
essenziale e un bisogno del nostro cuore...» (p. 351).
Fedele alla tradizione
dei primi secoli, il vescovo Pietro insiste sulla comunione frequente; «più
spesso ci si comunica, meglio è» (p. 227). L'eucaristia è «il simbolo e il
mezzo per realizzare la carità fraterna fra tutti i cristiani che, mediante la
comunione di un solo pane, diventano un solo corpo del Cristo-capo» (p. 215).
Nella confessione si
devono dichiarare al sacerdote non solo i peccati commessi, ma anche «le
tendenze dominanti dell'anima, le passioni, le inclinazioni, le abitudini» (p.
210; questa insistenza sul combattimento contro le passioni è caratteristica
della pietà ortodossa).
Come tutti i grandi
asceti cristiani orientali, il vescovo Pietro tiene alla «sobrietà», alla
vigilanza del cuore. Anche durante gli uffizi si deve diffidare dei «sentimenti
di tenerezza» che nascono talvolta «quando si ascolta un canto di chiesa
armonioso» (p. 180). Andare in chiesa per trovarvi consolazioni sensibili è un
«adulterio spirituale».
Fra i teorici dell'alta
spiritualità citati dal vescovo Pietro non troviamo Palamas, che tuttavia
occupa un posto importante nella Filocalia a cui il nostro autore
sospirava volentieri. Come tutti i maestri spirituali sia dell'Oriente che
dell'Occidente, egli attribuisce un ruolo fondamentale al raccoglimento delle
facoltà dell’anima, sostenuto da atteggiamenti appropriati del corpo, ma
diffida dei metodi psicofisici che alcuni consigliano; questi metodi gli
sembrano troppo artificiali: «Certi asceti propongono alle persone inesperte
nella vita spirituale... un modo artificiale per raccogliere i pensieri: ci si
siede in un luogo isolato, si scacciano tutte le preoccupazioni e i pensieri
che attraversano la mente, respirando profondamente, si introduce e si
trattiene l'intelletto nel cuore, si recita la preghiera di Gesù senza però
ripeterla troppo spesso, per non nuocere all'attenzione con l'abbondanza
eccessiva delle parole. Questo metodo si addice soltanto alle persone poco
colte e sembra essere troppo meccanico. Affinché i nostri pensieri non si
disperdano, bisogna pregare con il cuore..., bisogna avere nel cuore il
pentimento dei propri peccati e supplicare Dio di accordarci perdono e
soccorso» (p. 170).
Citiamo infine questo
bei passo, così «orientale» e nello stesso tempo così «occidentale»: «In ogni
tempo tutti i santi consideravano come il mezzo più efficace per raggiungere la
perfezione il culto della santissima Vergine, Madre di Dio, e l'invocazione del
suo soccorso. Essendo vicina al cuore di suo Figlio, ella non teme di chiedere
molto a Dio; il suo intervento ha grande forza e grande efficacia; essendo una
Madre dal cuore compassionevole e una protettrice particolare della purezza
morale, è sempre venuta in aiuto a quelli che ricorrevano alla sua protezione»
(p. 177).
Stanislas Tyszkiewicz
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