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Giovanni non ci dà alcuna interpretazione psicologica dell'agire di Giuda. Ciò che è accaduto a lui, per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. È finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l'amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo dolce gioco, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze, Anzi, il fatto che gli tradisca questa amicizia, deriva ormai dall'intervento di un altro potere, al quale si è aperto. Tuttavia la luce che, provenendo da Gesù, era caduta nell'anima di Giuda, non si era spenta del tutto. «Ho peccato dice ai suoi committenti», cerca di salvare Gesù e restituisce il denaro. Tutto ciò che aveva ricevuto da Gesù rimaneva iscritto nella sua anima e non poteva dimenticarlo. Purtroppo il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre e non vede più la luce di Gesù che può illuminare e superare anche le tenebre. C'è, quindi, anche un pentimento errato: un pentimento che non riesce più a sperare, ma che vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento. Fa parte del vero pentimento la certezza della speranza una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della luce fattasi carne in Gesù.
Benedetto XVI
Secondo la narrazione di Matteo, sembra che Giuda si penta per quanto ha fatto.
«Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi» (Mt 27,3-5).
Il primo segno del pentimento è infatti la restituzione dei denari. mendo pubblicamente il suo peccato, Giuda cerca il perdono. Le sue parole (ho peccato consegnandovi sangue innocente), sono una confessione che rafforza e spiega il significato del suo pentimento, espresso del versetto precedente. Le sue parole sono identiche a quelle in uso nella Bibbia ebraica per esprimere la richiesta di perdono dei peccati. Per la stragrande maggioranza dei casi, l'espressione “Ho peccato“ esprime un equivocabile assunzione di responsabilità da parte di chi ha commesso tale peccato davanti a Dio e gli uomini.
Dopo tale confessione, da Dio ci si può attendere una punizione, immediata o dilazionata, o il perdono dei propri peccati. Perché dunque il suicidio di Giuda?
Giuda cerca, anzitutto, di tornare dietro a ripagare il danno, restituendo i denari. Trova però l'opposizione dei sacerdoti e cerca, allora, un'altra strada. La morte in sé, secondo alcuni filoni della riflessione ebraica, porta al perdono dei peccati. Nel giudaismo il peccato viene suddiviso in due forme principali, alle quali corrisponde la relativa espiazione. La prima forma è quella del peccato compiuto per inavvertenza, senza intenzione, peccato può essere espiato con un sacrificio. Il secondo caso è quello del peccato commesso come un atto di deliberata disobbedienza.
I peccati perdonabili possono essere rimessi in due modi, sempre a condizione che il peccatore sia pentito e provi rimorso: mediante l’espiazione del kippur (cioè il giorno del perdono) e mediante la morte, che è espiazione per tutti i peccati. Ne diviene che con la morte quasi tutti i peccatori sono riconciliati con Dio. Secondo l’insegnamento dei rabbini, non è sufficiente chiedere scusa, ma è richiesto un atto espiatorio.
Provando ad applicare quanto detto al nostro testo, sembrerebbe che il peccato di Giuda possa rientrare nella seconda categoria, quella di un’azione deliberata. Da questo Peccato ci si può liberare o mediante l'espiazione del kippur, o con la morte. Non si può escludere che qui Matteo possa pensare a tutte due queste modalità. Possiamo ritenere che Giuda può aver tentato di risolvere il suo dramma con i mezzi ritenuti idonei nel sistema religioso del suo tempo, magari anche attraverso il suicidio. A fronte di un tentativo fallito di trovare un segno di perdono dai sacerdoti, a Giuda non resterebbe che ritirarsi per ottenere un espiazione con l'altro mezzo possibile, quello della morte.
Dal punto di vista cristiano, Gesù con la sua fedeltà a Dio e il suo amore, ha ottenuto il perdono dei nostri peccati. Anche per noi, tuttavia, è necessario il pentimento. Ogni ulteriore espiazione (gli atti positivi conseguenti al nostro pentimento) non sono necessari per essere perdonati ma per esprimere la verità del pentimento, per crescere nella carità, recuperando il tempo perduto, e per collaborare alla salvezza di tutti
Cf. Giulio Michelini, Matteo, san Paolo.
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