martedì 15 aprile 2025

La preghiera di Gesù gv 17

 In questa preghiera compaiono alcuni temi: il dono della vita eterna, la consacrazione di Cristo e dei suoi discepoli, la rivelazione del Nome di Dio, l’unità dei discepoli

La vita eterna

Il termine «vita eterna» non significa la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. Vita eterna significa la vita stessa, la vita vera, la quale può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d'ora la vita, vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno. Questo significato di vita eterna in modo molto chiaro capitolo sulla resurrezione di Lazzaro: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25).  «Io vivo e voi vivrete» (Gv 14,19). Gesù ha detto questo ai suoi discepoli durante l'ultima cena  mostrando ancora una volta che per il discepolo di Gesù è catterizzante che egli vive; che egli quindi, al di là del semplice esistere, ha trovato ed abbracciato la vera vita, della quale tutti sono in ricerca. In base a tali testi, i primi cristiani si sono chiamati semplicemente i viventi. Ciò che tutti cercano è la vita stessa, la vita piena e perciò indistruttibile. 

Ma come si può aggiungere a ciò? L'uomo la trova mediante la conoscenza, presupponendo con ciò il concetto biblico di conoscere, secondo cui il conoscere crea comunione, è un essere tutt'uno con il conosciuto. 

Non qualunque conoscenza è la chiave della vita, bensì il fatto che «conoscano te, l'unico vero Dio è colui che hai mandato Gesù Cristo» (Gv17,3).

 Il cristiano non crede ad una molteplicità di cose. Crede semplicemente in Dio, crede che esiste solo un unico vero Dio. Questo Dio gli si rende accessibile in colui che gli ha mandato, Gesù Cristo. Nell'incontro con lui avviene quella conoscenza di Dio che diventa comunione e con ciò diventa vita. Vita eterna e quindi un avvenimento relazionale. Mediante la relazione con Colui che è egli stesso la vita, anche l'uomo diventa un vivente. In questa vita, che Giovanni chiama zoe distinguendola dal bios, l'uomo deve inserirsi. È la relazione con Dio in Gesù Cristo a donare la vita che nessuna morte è in grado di togliere. Questo vivere in relazione è un modo dell'esistenza ben concreto, si intende che fede e conoscenza non sono un qualsiasi sapere presente nell'uomo fra altre cose ma ciò che costituisce la forma della sua esistenza. 

2. La consacrazione

Giovanni parla di una triplice consacrazione; il Padre ha consacrato il Figlio e lo ha mandato nel mondo; il Figlio consacra se stesso e chiede che, a partire dalla sua consacrazione, i discepoli siano consacrati nella verità. 

Che significa consacrare? Consacrato, cioè santo nel senso pieno è solo Dio stesso. Santità è l'espressione usata per esprimere il suo modo d'essere, l'essere Divino come tale. Santificare, consacrare significa il trasferimento di una realtà, di una persona o di una cosa, nella proprietà di Dio, specialmente la tua destinazione al culto. 

Da una parte consacrazione, nel senso di santificazione, è una segregazione dal resto dell'ambiente. La cosa consacrata viene elevata in una nuova sfera e non è più a disposizione dell'uomo. Tuttavia, proprio perché è donata totalmente a Dio, questa realtà esiste ora per il mondo. Segregazione e missione formano un'unica realtà completa. Pensiamo alla vocazione particolare di Israele: da una parte il popolo è segregato da tutti gli altri popoli, ma dall'altra lo è proprio per svolgere un incarico per i popoli, per tutto il mondo. La rivendicazione totale dell'uomo da parte di Dio, la segregazione per lui, è allo stesso tempo una missione per i popoli. Anche nella parola di Gesù, consacrazione e missione sono strettamente connesse l'una con l'altra. 

Questa consacrazione di Gesù da parte del Padre è identica ad incarnazione: l'unità piena col Padre e esistenza totale per il mondo. Gesù appartiene interamente a Dio e proprio per questo è totalmente a disposizione di tutti. 

Ma se il Padre lo ha consacrato [da principio], che cosa significa allora «Io consacro me stesso»? La santità di Gesù non è un essere diverso dal mondo in modo statico, ma è una santità che gli acquista man mano nel compimento del suo impegno per Dio e contro il mondo. Essere contro il mondo, è esistere a sua favore. Compimento però significa sacrificio. Nel sacrificio Gesù è contro il mondo e allo stesso tempo egli è per esso.

Arriviamo ora alla terza consacrazione di cui si parla nella preghiera di Gesù: «Consacrali nella verità» i discepoli devono essere coinvolti nella consacrazione di Gesù; anche in loro deve compiersi questo passaggio di proprietà, questo trasferimento nella sfera di Dio e con ciò realizzarsi il loro invio nel mondo. «Io consacrò me stesso, perché anch'essi consacrati nella verità»: la loro consacrazione è partecipazione all’essere consacrato di Gesù. La verità purificatrice e santificatrice è Cristo stesso. In lui devono essere immersi, di lui devono essere come rivestiti e così sono resi partecipi della sua consacrazione, del suo incarico sacerdotale, del suo sacrificio.

La rivelazione del Nome

Un altro tema fondamentale della preghiera sacerdotale e la rivelazione del nome di Dio. «Io ho fatto conoscere loro il tuo nome». Con queste parole Gesù si presenta come il nuovo Mosè [al quale Dio aveva rivelato il suo Nome». Il nome di Dio era più di una semplice parola. Esso significava che Dio si lasciava invocare, era entrato in comunione con il suo popolo. Era realmente presente eppure rimaneva sempre immensamente più grande e inafferrabile. Quando Gesù dice di aver fatto conoscere il nome di Dio e di volerlo far conoscere ancora, non intende con ciò riferirsi ad una qualche parola nuova. La rivelazione del nome è nuovo modo della presenza di Dio tra gli uomini. In Gesù Dio entra totalmente nel mondo degli uomini e chi vede Gesù vede il Padre. La rivelazione del nome avviene perché, come dice Gesù: «L'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (17,26). Mira alla trasformazione del cosmo, affinché Esso in unità con Cristo diventi in modo totalmente nuovo la vera dimora di Dio. 

Lo stesso Cristo come persona è il nome di Dio, l’accessibilità di Dio per noi. «Ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere». L'auto donazione di Dio in Cristo non è una cosa del passato: «lo farò conoscere». Dio viene continuamente incontro agli uomini finché essi possono andare incontro a lui. Far conoscere Cristo significa far conoscere Dio. Mediante l'incontro con Cristo, Dio viene verso di noi, ci attrae in sé per condurci al di là di noi stessi verso l'ampiezza infinita della sua grandezza e del suo amore. 

L’unità dei discepoli

Un altro grande tema della preghiera sacerdotale è la futura unità dei discepoli di Gesù, la futura chiesa è inclusa nella preghiera di Gesù ed egli invoca l'unità per i futuri discepoli. L'unità dei discepoli non è un fenomeno mondano. Questo il Signore lo dice molto chiaramente: l’unità non viene dal mondo, anzi le stesse forze del mondo conducono alla divisione. Nella misura in cui nella chiesa è all'opera il mondo si finisce nelle divisioni. L'unità può venire solamente dal Padre mediante il Figlio. [L’unità della Chiesa deve essere anche visibile e non soltanto nascosta nel mistero (Bultmann)]. La preghiera di Gesù per l'unità mira proprio a questo: l'unità dei discepoli la verità della sua missione si renda visibile agli uomini. L'unità deve apparire, essere riconoscibile. È riconoscibile precisamente come qualcosa che altrove nel mondo non esiste. Mediante l'unità umanamente inspiegabile dei discepoli di Gesù presso tutti i tempi, viene legittimato Gesù stesso. Così Dio si rende riconoscibile come creatore di un'unità la tendenza del mondo alla disgregazione. Per questo la fatica per un'unità visibile dei discepoli di Cristo rimane un compito urgente per i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi. 

Appunti da J. Ratzinger (Benedetto XVI) in Gesù di Nazaret/2


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