Testimonianze
In questa parte osserviamo in quali modalità sia comparsa
l’azione dello Spirito Santo nella vita del credente e quali risultati abbia
prodotto la carità, infusa dallo Spirito. Più che esporre i doveri del
cristiano, voglio mostrare ciò che egli può diventare, che cosa può accadere in
lui. Si tratta di ascoltare il canto nuovo che i redenti hanno appreso,
rendendo candide e luminose le loro vesti nel sangue dell’Agnello.
Comincio
con l’esporre due testimonianze che provengono dal cristianesimo più antico.
A Donato
Nella
tradizione cristiana primitiva, evangelizzare significava, in primo luogo,
mostrare, nella concretezza, la novità assoluta del Vangelo. Gli
evangelizzatori erano in primo luogo dei testimoni che offrivano allo sguardo
dei loro interlocutori lo stile della vita cristiana, percepita come
un’esistenza paradossale, ossia tale da suscitare stupore: «Vivendo in città
greche e barbare, adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel
resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente
paradossale» (A Diogneto, 63).
Chi
li incontrava, si trovavano di fronte ad una novità irritante ed affascinante.
Irritante perché il modo sentire comune a cui era abituati era sconvolto;
affascinante perché, nello stesso tempo, percepivano un valore indiscutibile in
ciò che veniva proposto:
«I pagani nell’ascoltare dalla vostra bocca le parole del Signore le
ammirano perché belle e grandi. Quando da noi ascoltano che Dio dice: Non c’è
merito per voi se amate quelli che amano, ma c’è merito se amate i nemici e
quelli che vi odiano, ammirano il massimo della bontà» (Seconda lettera ai
Corinti, I Padri Apostolici 224).
Come
avveniva l’annuncio? Il messaggio passava di bocca in bocca, tramite
l’entusiasmo di chi aveva creduto e sperimentato la vita cristiana. Lo attesta
questa testimonianza: Cipriano, convertito da poco, narra la sua vicenda
all’amico Donato, rimasto ancora pagano ma aperto verso il cristianesimo. Non gli espone i dettagli di cronaca
della sua conversione ma il contenuto essenziale suo cammino interiore. Vuole
che l’amico possa ritrovarsi nella descrizione della sua vicenda. Venuto a
sapere che era possibile intraprendere una nuova esistenza, si chiedeva tra sé
se era realmente possibile un cambiamento radicale, una autentica novità di
vita: «Ritenevo estremamente difficile e duro per le mie abitudini d’un tempo
ciò che la misericordia divina mi prometteva per condurmi alla salvezza»
(Donato, 81). La proposta del Vangelo affascinava il giovane ma gli sembra
troppo arduo il passo e impossibile conseguire l’obiettivo desiderato.
Descrive
gli allettamenti che distolgono da una vita sobria, dai quali in parte si era
lasciato trascinare e nei quali anche il suo interlocutore si era lasciato
coinvolgere: pranzi succulenti, abiti preziosi, l’ansia di conquistare una
posizione di prestigio, il bisogno di divertimenti: «... il vizio del bere,
stimola; la collera, infiamma; l’avidità, tormenta; la crudeltà, stimola;
l’ambizione affascina; la passione travolge» (Donato, 83). Per un certo
periodo, dubitò di poter trovare la libertà. Pensò che i mali compiuti,
costituissero la sua identità immutabile.
Fu
per lui una sorpresa la potenza della grazia, sperimentata in seguito al
battesimo. Cipriano rivela all’amico l’evento accaduto, non delle semplici
teorie o vaghe speranze. L’infamia venne spazzata via; una nuova luce,
proveniente dall’alto, si riversò nell’animo ormai purificato. I dubbi si
chiarirono, diventò possibile compiere ciò che prima gli sembrava impossibile:
«Cominciava ad appartenere a Dio, ciò che ormai era animato dallo Spirito»
(Donato, 85).
Il mutamento vissuto presuppone che
Cipriano fosse animato da una convinzione di fede solida e da una generosa
corrispondenza alla grazia, ma egli dirige la sua attenzione sull’agire di Dio;
non evangelizza se stesso ma vuole essere testimone della misericordia
ricevuta: «Appartiene a Dio, dico, a Dio, tutto ciò che possiamo fare. Grazie a
Lui viviamo, grazie a Lui siamo forti, grazie a Lui abbiamo accolto
quell’energia che qui nel mondo ci permette di riconoscere in anticipo gli
indizi della vita futura» (Donato, 85-86).
Dopo
aver narrato in sintesi la sua vicenda, cerca di portare l’amico a riflettere
sulla situazione morale in cui versava la società. Sapendo che Donato, anche se
ancora pagano, non era una persona corrotta e degenerata, comincia a puntare
l’indice contro le consuetudini sociali più riprovevoli, che avevano già
suscitato il disgusto d’entrambi. Nè la religione pagana né la cultura
greco-romana erano riuscite a liberare la società da azioni turpi e violente,
anzi le avevano confermate. Il confronto tra cristianesimo e paganesimo non
avviene a livello della riflessione filosofica, dove anche quest’ultimo aveva
raggiunto delle aspirazioni molto nobili, ma a livello del comportamento delle
masse abbandonate al loro degrado. Cipriano affianca l’amico nella riprovazione
dei giochi gladiatorii. L’abilità retorica accentua il disgusto morale: «Si
prepara il gioco dei gladiatori perché il sangue diletti la folle brama di
occhi crudeli... Si uccide l’uomo per il piacere dell’uomo e diventa arte il
saper uccidere: non solo si compie ma si insegna il delitto» (Donato, 93).
L’interesse di questa denuncia non sta soltanto nella riprovazione di una
consuetudine disumana, ma nel fatto che la persona convertita al Vangelo, non
si rinchiude nell’ambito del privato, non si limita a godere della propria
liberazione personale ma si prende a cuore l’intera società. Non si isterilisce
nella semplice condanna ma diventa fermento di rinnovamento facendo leva sul
desiderio di bene presente in ogni uomo, anche in quello più degradato.
Passa
in rassegna tanti altri comportamenti riprovevoli ai quali posso soltanto
accennare: la rappresentazione teatrale di fatti crudeli od osceni. Spesso le
divinità diventano incentivo all’immoralità: Venere sfrontata, Marte adultero,
Giove pederasta. «Imitano gli dei che adorano; per quegli infelici anche le
regole della loro religione diventano incitamento al delitto» (Donato, 97).
Denuncia la corruzione nei tribunali; la virulenza con cui si abbatte l’avversario
ma anche la crudeltà del giudice, l’amoralità dell’avvocato, l’uso della
tortura (Donato, 99-101).
Cerca
di rendere consapevole l’amico dell’incoerenza morale manifestata dagli stessi
pagani: da una parte compiono il male e si giustificano, dall’altra accusano
gli altri di fare le medesime malvagità, già compiute anche da loro. «Alla luce
del sole sono accusatori; in privato, colpevoli.... condannano fuori ciò che
compiono dentro, concedono volentieri ciò di cui accusano gli altri, purché sia
concesso pure a loro» (Donato, 99). Uno strumento efficace di evangelizzazione
era quello di risvegliare l’amore del bene e il disgusto del male. Soltanto
l’adesione alla novità di Cristo diventava, per esperienza, una forza
liberatrice. Il cristianesimo valeva perché era una medicina efficace, l’unico
ritrovato sicuro per garantire un comportamento veramente umano. Il fatto che
molti, pur avendo creduto in Cristo, almeno in apparenza, fossero caduti di
nuovo nel male dal quale sembravano liberati definitivamente, non era in grado
di smentire la testimonianza biografica di Cipriano: chi crede davvero in
Cristo e corrisponde al suo dono di grazia, può sperimentare una liberazione
totale e definitiva. A volte ciò avveniva in mondo repentino, altre volte richiedeva
tempo e la necessità di affrontare una dura lotta, ma il risultato era sicuro.
Cipriano
non si limita ad attestare a Donato la possibilità di uscire dal male ma anche
quella di godere di un’esistenza piena. Lo avverte che ora sta godendo di una
tranquillità placida e sicura, e gli ricorda che il tesoro più sublime dimora
all’interno della coscienza. Possiamo godere dei doni della generosità di Dio
perché il suo dono è gratuito e facile da ottenere: «Come il sole
spontaneamente riscalda, la sorgente sgorga, la pioggia bagna, così si effonde
lo spirito celeste» (Donato, 113)
L’ultimo
tratto dello scritto è un invito a sperimentare personalmente ciò che Cipriano
ha già conosciuto. Non deve dipendere dalle esortazioni dell’amico ma può
diventare a sua volta un testimone: «Mantieni la preghiera o la lettura
continua (dei libri biblici). Ora sii tu a parlare con Dio, ora sia Dio a
parlare con te. Egli ti istruisca, Egli ti educhi. Nessuno renderà povero colui
che Egli ha reso ricco» (Donato, 117).
A Diogneto
Una
seconda testimonianza di rilievo di come avveniva l’evangelizzazione, la
troviamo nella lettera a Diogneto. Non conosciamo né l’autore, né il
destinatario e neppure la datazione precisa dell’opera. Sappiamo soltanto che è
uno scritto appartenente all’epoca cristiana più antica.
Secondo
l’autore dello scritto, il cristianesimo non è una scoperta degli uomini e non
appare come una dottrina filosofica elaborata da qualche pensatore. È una
realtà che presenta dei caratteri paradossali, aspetti contrastanti (anche se
non opposti) che danno origine ad una tensione inesausta e benefica. Ad
esempio, il cristianesimo appartiene appieno a questo mondo ma è estraneo ad
esso. I cristiani, vivendo in questo modo con le medesime necessità degli
altri, hanno un’origine divina, tendono uno stile di vita divina, hanno una
destinazione divina. «Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano
a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni terra
straniera è patria loro, e ogni patria è terra straniera» (Diogneto, 63).
Seguono poi alcune esemplificazioni di carattere pratico. L’autore riferisce
circa le nome di vita abbracciate dal cristiano: «Si sposano come tutti e
generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il
letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne» (Diogneto, 63).
Fin
qui il comportamento del cristiano può essere definito paradossale (o degno di
stupore) in quanto rende possibile attuare un’integrità di vita, un’onestà
autentica, che era obiettivo comune a tutti. Il tenore paradossale del
cristianesimo, tuttavia, appare con maggior vigore la dove fa trasparire la
luminosità propria del messaggio evangelico, la dove sia realmente attuato:
«Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano
tutti e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti e vengono
condannati... Sono ingiuriati e benedicono...» (Diogneto, 65).
L’autore
prosegue usando la celebre immagine del cristianesimo come anima del mondo
(Diogneto, 65-67). L’autore attinge ad una antropologia di carattere dualistico, in quanto la relazione
tra anima e corpo è intesa anche in termini di ostilità reciproca.
Al
di là di questi aspetti più problematici, ciò che appare utile anche per noi,
nel tempo presente, è l’invito ad assumere una responsabilità nei confronti del
mondo: i cristiani, partecipando alla vita comune, devono perfino sostenere il
mondo; anzi hanno un compito a favore degli uomini al quale non devono
sottrarsi: «Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito
abbandonare» (Diogneto, 67). Questa convinzione, soprattutto se rapportata con
le difficoltà che essi dovevano affrontare in quel tempo, è del tutto
impressionante: «Non vedi che, gettati alle fiere perché rinneghino il Signore,
non si lasciano vincere? Non vedi: quanto più sono puniti, tanto più crescono?
Questo non è opera dell’uomo, ma è potenza di Dio, prova della sua presenza»
(Diogneto, 69-71). Avendo una responsabilità nei confronti degli uomini, i
cristiani non devono mai lasciarsi vincere, abbandonare la loro opera, vinti
dallo scoraggiamento. In che cosa consiste la responsabilità del cristiano
verso la società? Non si limita soltanto a fornire cittadini onesti o ad
avvalorare i beni morali, ma a conservare la figura di Cristo, la sua memoria e
la sua presenza. Il dono dei cristiani agli uomini è donare il Signore Gesù,
evitando di rinnegarlo. Si proponevano questa missione, quanti, piuttosto che
rinnegarlo, preferivano affrontare una morte crudele.
Infatti
chi è Gesù? Perché è così prezioso? Egli costituisce il massimo dono di Dio
agli uomini, «la verità, la parola santa e incomprensibile», apparsa tra gli
uomini ma infusa anche nei loro cuori (Diogneto, 67).
Il
regno di Dio si differenzia nettamente da quelli umani poiché Egli non viene
per imporre una tirannide, non vuole incutere paura e ottenere degli adoratori
forzati. Dio mandò il Figlio «come chi salva, per persuadere, non per fare
violenza. A Dio non si addice la violenza. Là mandò per chiamare non per
perseguitare» (Diogneto, 69).
Comincia,
poi, ad addentrarsi nell’esposizione della fede cristiana. A questo punto
emerge una preoccupazione che dovrebbe rimanere fondamentale per chi s’accinge
ad intraprendere un’opera di evangelizzazione in qualsiasi epoca. Essa consiste
nel far conoscere agli uomini la forza della bontà di Dio e la singolarità del
suo amore. Bisogna prendere mosse da questo punto capitale, enuclearlo con
precisione, evidenziarlo; solo in seguito si dovrà esporre tutti gli elementi
della dottrina cristiana, di per sé piuttosto elaborati, mostrandoli come siano
parti essenziali d’un disegno fondamentale, riassumibile nel termine amore di
Dio per noi.
«Dopo
che la nostra ingiustizia giunse al colmo e fu dimostrato che come risultato
spettava il castigo e la morte, venne il tempo che Dio aveva stabilito per
manifestare la sua bontà e la sua potenza. Non ci odiò, non ci respinse, non si
vendicò» (Diogneto, 73-75). Solo ora l’autore presenta il motivo per il quale i
cristiani devono assumersi la responsabilità nei confronti degli altri uomini,
quand’anche risultassero malvagi. Essi imitano l’agire di Dio il quale,
vedendoci sprofondati nel male, non soltanto ci sopportò ma si addossò i nostri
peccati. Egli non si propose solamente di usare pazienza, ma volle modificare
realmente la triste situazione degli uomini. Decise allora di mandare il
proprio Figlio per farsi carico dei nostri mali e comunicarci i suoi beni
divini. Significativo che venga attribuita a Dio la disponibilità ad addossarsi
i nostri peccati, un sentimento che, genere, viene assegnato soltanto a Gesù.
Il
risultato di tutto questo impegno sarebbe quello di renderci persuasi del suo
amore: «Ha voluto che ci fidiamo della sua bontà e lo consideriamo nostro
sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria,
forza, vita, senza preoccuparsi del vestito e del cibo» (Diogneto, 75).
Dopo
avergli fatto conoscere questo progetto, promette a Diogneto un futuro radioso:
«Conosciutolo hai idea di quale gioia sarai colmato?» (Diogneto, 77). Egli si
assumerà il compito di diventare imitatore della sua bontà.
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