Purificazione del cuore
Che cosa avviene, allora, nella vita del discepolo
toccato dalla grazia? Riprendiamo alcuni suggerimenti proposti dalle
testimonianze appena riferite, e allarghiamo lo sguardo ad altre esperienze,
lungo il corso della storia cristiana.
Lo Spirito è innanzitutto libertà, possesso di sé
e pacificazione. Dio non vuole che abbiamo padroni sopra di noi. Un uomo,
infatti, diventa schiavo di ciò che lo domina (Cf. 2 Pt 2,19). Quando
cominciamo a ricevere il suo influsso, cominciamo a desiderare e a conseguire
l’autodominio. Niente ci deve sopraffare. La battaglia decisiva e più ardua, è
quella che riguarda il possesso di noi stessi: «È meglio la pazienza che la
forza di un eroe, chi domina se stesso vale più di chi conquista una città»
(Prov 16,32). Per questo motivo, Dio esige in primo luogo la purificazione del
cuore. Molti cristiani ritengono di essere sani (cioè spirituali), a
motivo di certe pratiche (veglie, digiuni, pellegrinaggi, elemosine)
« ma sono dominati nell’intimo da malattie nascoste terribili.... come vane
opinioni, boria, arroganza, diffidenza, tracotanza, ipocrisia, vanagloria,
viltà, turpi pensieri. È detto: l’uomo guarda il volto, Dio vede il cuore.
Bisogna ottenere che l’uomo sia trovato sano all’esterno come all’interno...»
(Pseudo Macario…, Discorsi, 189).
Dobbiamo, allora,
sviluppare in noi la grazia del Battesimo che ci ha reso partecipi della morte
e della risurrezione di Cristo. Moriamo e risorgiamo con Lui perché lasciamo
che Cristo Risorto attui in noi il significato della sua Pasqua: morte al
peccato e vita nuova.
Gregorio di Nissa quando
espone il progetto di purificazione suggerisce di assimilare le caratteristiche
dell’amore tracciate da Paolo nell’inno alla carità. Spegnere in noi sentimenti
negativi come l’invidia, il rancore o la tracotanza è il modo indispensabile
per far crescere in noi l’amore. Purificare il cuore significa in pratica
togliere ciò che impedisce la comunione con gli altri. Corrisponde alla nascita
e alla crescita in noi nell’amore; è manifestazione della nuova creazione, assimilazione della luce
di Cristo. L’amore comincia a
svilupparsi in noi grazie all’autodominio. Tuttavia non basta fare il bene,
bisogna agire con retta intenzione, in spirito di gratuità. San Paolo dichiara
che è possibile compiere gesti eroici senza essere animati dall’amore e che
questo fare, anche se è eclatante agli occhi degli uomini, rimane vuoto, e
viene disprezzato da Dio stesso (Cf. 1 Cor 13,1-3).
«Non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Affinché le opere nostre sian buone e perfette, è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù Cristo: “Ha fatto bene ogni cosa” (Mc 8, 37). Molte azioni saranno in sé lodevoli, ma perché sono fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente valgono presso Dio. Egli rimunera le nostre opere a peso di purità. Nella misura in cui la nostra intenzione è pura, il Signore gradisce e premia le nostre azioni. Quanto è difficile a trovare un'azione fatta solo per Dio!» (de Liguori, Pratica…, 88).
Abbandono filiale
Gesù si rapportò con il Padre con grande fiducia e perciò si
sottomise in tutto a Lui. L’abbandono fiducioso in Dio in qualsiasi
circostanza, diventa anche un atteggiamento fondamentale del cristiano, benché
non sia facile, acquisirlo e conservarlo.
Il credente accetta tutto ciò che gli capita e in ogni
evento coglie la mano di Dio. È vero che gli avvenimenti negativi sono causati
dall’uomo e sono un prodotto della sua malizia. Tuttavia la persona pervasa
dallo Spirito Santo non si attarda a cercare le motivazioni o le
responsabilità, poiché sa che anche l’avvenimento che non è causato in modo
diretto da Dio, rimane comunque nell’ambito della sua provvidenza.
«In ogni circostanza benedici il Signore Dio e domanda che ti sia guida
nelle tue vie e che i tuoi sentieri e i tuoi desideri giungano a buon fine,
poiché nessun popolo possiede la saggezza, ma è il Signore che elargisce ogni
bene e abbassa chi vuole fino al profondo degli inferi» (Tb 4,19).
I santi godono nel ricevere questa disposizione interiore.
Il credente maturo non pensa male di Dio (cf. Dt 1,27); anzi pensa sempre bene
di Lui.
«Pensare bene di Dio consiste nel ricevere con gratitudine tanto le cose
prospere come le avverse, credendo, senza dubitare, che procedono dalla sua
somma bontà e misericordia, poiché dice egli stesso nella sacra Scrittura: Io
quelli che amo li correggo e li educo (Ap
3,19)» (Camilla da Varano, La purità…, 45).
L'affidamento a Dio ci procura un senso profondo di gioia
e di pace (Cf. Fil 4,4-7):
«Se gli uomini conoscessero l'amore del Signore per noi, si
abbandonerebbero completamente alla sua santa volontà e vivrebbero nel riposo di
Dio, come figli di re. Il re si preoccupa di tutto: del regno, della famiglia,
del figlio, mentre il figlio vive tranquillo a palazzo. Tutti lo servono e egli
gode di tutto senza preoccupazioni. Allo stesso modo chi si abbandona alla
volontà di Dio vive nel riposo, è contento del proprio destino anche se è
malato o povero o perseguitato. È tranquillo, perché la grazia dello spirito
Santo è con lui, la dolcezza dello spirito Santo lo consola» (Sivano, Nostalgia..., 150).
Amore per il nemico
I desideri dello Spirito conducono alla vita e alla pace.
L’uomo di Dio, allora, è una persona gioiosa, pacifica, umile. Paolo si attende
che i suoi cristiani siano dotati di amabilità (Fil 4,5). Del resto,
«Non c’è atteggiamento che tanto edifichi il prossimo, quanto la benignità nel trattare con lui. Nello sguardo sorridente e nella delicatezza dei gesti, dobbiamo portare l'immagine espressa della benignità di Gesù Cristo. Se siamo costretti a negare quel che non è lecito concedere senza offesa della coscienza, dobbiamo mostrarci così benigni, che gli altri, sebbene non è questo che volessero in un primo tempo, si allontanino contenti, provando affetto per noi» (de Liguori, Pratica…, 81-82).
L’amabilità viene riversata, spontaneamente, sui poveri,
sugli ammalati, sulle persone irritanti ed indisponenti.
S’impone qui un altro elemento pasquale significativo:
l’amore per i nemici. Gesù ci ha dato questo comando paradossale, esclusivo del
Vangelo. Questo comando suggerisce che la proposta di Gesù non è soltanto etica
ma teologica. Che cosa voglio dire con questo? Egli non chiede soltanto al
discepolo di vivere con rettitudine ed onestà ma di divenire un imitatore
dell’amore di Dio, di agire com un figlio. Egli dovrà comportarsi meglio dei
pagani più onesti. C’è un di più da esibire. Non si tratta di entrare in gara
con altri né di dare spettacolo di sé ma di rivelare nella vita chi è Dio, nel
mostrare in sé la luce divina rivelata a noi per dono. Non si deve amare per
qualche strategia: ad esempio, mostrarsi remissivi per persuadere il nemico a
rinunciare alla violenza. Anche questo è utile ma il discepolo ama perché non
riesce più ad odiare. È divenuto un altro; in lui traspare un amare che viene
da altrove, dal cielo.
[La persona maturata
nell’amore] se viene perseguitata…, non solo non prova il minimo risentimento
per quelli che le fanno o le vogliono fare del male, ma li circonda di maggiori
attenzioni; e se li vede in qualche travaglio, ne rimane teneramente afflitta,
sino ad essere disposta a far di tutto per sollevarli. Li raccomanda
istantaneamente al Signore, e rinuncerebbe volentieri ad alcune delle sue
grazie affinché Dio le concedesse a loro, ed essi non l’offendessero più (Teresa
d’Avila, Castello interiore, VII,3,5 Opere 950).
Teresa non sta comunicando ciò che si propone di fare né
ciò che intende suggerire ad altri. Mostra ciò che ormai è affiorato in lei e
ciò che è diventata. Nella piena maturazione, il cristiano non è più uno che si
sottomette alla Parola di Dio, lottando contro se stesso, ma è una persona che
è diventata quella parola. La compassione, il perdono, la disponibilità al
servizio diventano un modo di sentire e di vivere spontaneo.
Lo attesta anche Silvano del Monte Athos. Egli non è un
teorico ma un testimone ed attesta più volte di aver conosciuto, nel senso di avere sperimentato, la grazia di Dio o
l'azione dello Spirito Santo: «È molto diverso credere soltanto che Dio esiste,
averne una conoscenza che deriva dalla natura o dalle Scritture, e conoscere il
Signore nello Spirito Santo» (Nostalgia…, ).
La vita del cristiano, infatti, riceve una svolta
fondamentale quando comincia ad affiorare in lui la carità, un sentimento di
compassione universale, rivolta a qualsiasi tipo di disagio, fisico e morale.
In una parola, lo Spirito Santo rende il credente simile al Signore: «Chi ha
conosciuto Dio nello Spirito Santo… assomiglia al proprio maestro, Cristo
Figlio di Dio, e gli è diventato simile» (Nostalgia..., 63).
Lo Spirito Santo insegna particolarmente l'amore per i
nemici. Silvano insiste molto su questo tema:
«L'anima non può avere pace se non pregherà per i nemici… Il Signore mi ha
insegnato ad amare i nemici. Senza la grazia di Dio non possiamo amare i
nemici, ma lo Spirito Santo insegna l'amore e allora avremo compassione perfino
dei demoni, perché si sono staccati dal bene, hanno perso l'umiltà e l'amore
per Dio» (Nostalgia..., 144).
L'amore per i nemici non è inteso come un gravoso dovere,
ma come una grande opportunità: «Vi imploro, provate! Se qualcuno vi offende o
vi disprezza o vi prende ciò che è vostro o perseguita la Chiesa, pregate il
Signore dicendo: “Signore non tutti siamo creature; abbi pietà dei tuoi servi e
volgili al pentimento”, e allora, sensibilmente, porterai la grazia nella tua
anima».
Questo sentimento non sorgerà all’improvviso ma sarà
l’esito di un lungo tirocinio: «All'inizio costringi il tuo cuore ad amare i
nemici e il Signore, vedendo le tue buone intenzioni, ci aiuterà in tutto e
l'esperienza stessa ti istruirà. Ma chi pensa male dei nemici, in lui non c'è
amore di Dio né l'ha mai conosciuto» (Nostalgia..., 144).
Assenza di giudizio
Connesso all’amore per i nemici, l’amico di Cristo
vive un sentimento verso gli altri che è caratterizzato da una radicale assenza
di giudizio nei confronti di qualsiasi uomo:
«In che cosa consiste la purità della mente verso il nostro prossimo? In
questo: che non lo giudichiamo mai, ma che sempre l'onoriamo e lo reputiamo
pietoso e onesto, perché la vera purità verso il prossimo è nell'amarlo con Dio
e per Dio e non dirne male, ne nuocergli con la bocca o con il cuore. Questa è
la vera osservanza dei comandamenti divini» (La purità…, 51)
Silvano, in seguito al dono dell'amore, ha sentito
germogliare in lui un profondo sentimento di umiltà e con l'umiltà con un senso
di pace, anche questo profondo e totale.
«Lo Spirito Santo crea in noi l'umiltà. Essa consiste, nel suo aspetto più
profondo, nel ritenere se stessi peggiori di tutti: l'anima sana ama l'umiltà,
come le ha insegnato lo spirito; e anche se ancora non lo conosce, si considera
tuttavia la peggiore di tutti» (Nostalgia..., 60).
Non si tratta di una valutazione di merito ma di un
sentimento autentico suscitato dalla grazia, a prescindere da qualsiasi reale
classificazione. La persona umile si colloca all'ultimo posto con spontaneità.
«Non credere di aver fatto profitto nella perfezione se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser posposto a tutti. Così hanno fatto tutti i santi. Si consideravano i maggiori peccatori del mondo, e si meravigliavano di come la terra li sostenesse e non si aprisse loro sotto i piedi; e ciò lo dicevano con vero sentimento… Chi è vero umile, venendo umiliato più s'umilia. Sì, perchè il vero umile non mai crede di esser umiliato abbastanza quanto merita» (de Liguori, Pratica…, 118).
Rinnegamento di sé
Il credente può cominciare ad amare Dio spinto da motivi
d’interesse; in questa fase, forse, è interessato ancora più a se stesso che a
Dio. In seguito s’impone un altro tipo di motivazione poiché l’amare esige la
purificazione e il distacco da sé. Chi ama davvero, è capace di dimenticarsi;
comincia quasi a non esistere più.
Teresa d’Avila, osservando ciò che vedeva accadere in se stessa, si è accorta
che ormai agiva soltanto per amore di Dio, dimentica d’ogni suo vantaggio:
«Innanzitutto il non pensare a se stessi fino a dimenticarsi di esistere…
né si ricorda come per lei ci sia cielo, vita, gloria, impegnata com’è
nell’ottenere quella di Dio» (Tutte le opere, 1463)
Non si tratta di un invito all’autodistruzione ma di una
sollecitazione non vivere più per se stessi, nella ricerca dei propri vantaggi,
ma di vivere per Dio e per la salvezza degli altri. Così scopriamo meglio il
significato della proposta evangelica del rinnegamento di se stessi. Di
conseguenza, il vero discepolo, pur desiderando la comunione piena con Cristo
in cielo, è disposto a vivere qualsiasi travaglio sulla terra, se questa
sopportazione viene a vantaggio del Vangelo:
Pur sapendo, come sanno, che la dipartita dell’anima dal corpo porta ad un
godimento maggiore di Dio, non ci fanno caso e neppure pensano alla gloria dei
santi… Scoprono la loro gloria nel potere servire in qualche cosa il
crocefisso» (Teresa d’Avila, Tutte le opere, 1465)
È possibile allora guadagnare,
quindi, una vera gratuità d’amore.
Conclusione
Ora possiamo fare nostra l’esperienza di Gesù: «Tutta la
ricchezza di Cristo è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di ciascuno.
Non ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi… Tutto ciò che ha vissuto, egli
fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. Con
l’incarnazione si è unito in certo modo a ogni uomo» (CCC 519 e 521). Egli,
l’unico vero Figlio di Dio, si è fatto uomo, affinché gli uomini diventino
figli di Dio.
Soltanto chi accetta di
diventare una proprietà del Signore, lo guadagna anche come tesoro
inesauribile. Quando ci proponiamo di non vivere più per noi stessi (in balìa
nostro egoismo), quando ci disponiamo (finalmente) a non essere più nostri, ma
del Signore, allora possiamo far nostra tutta la ricchezza di Cristo. «Cristo,
infatti, quelli che lega a sé li libera, e quelli che stringe fortemente a sé,
li scioglie» (Ambrogio, Commento sui salmi, 45,17). Finché vogliamo vivere senza Cristo, perdiamo Cristo ma
perdiamo anche noi stessi.
Quando smettiamo di essere
noi stessi, i peccatori di sempre, diventiamo finalmente noi stessi. «Chi viene
meno a se stesso per unirsi alla Forza, perde ciò che gli è proprio per
ricevere ciò che è eterno» (Ambrogio, Commento al Salmo 118, XI,7).
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