La solitudine dell’uomo di fede
Joseph Dov Beer Soloveitchik, rabbino d’origine lituana e molto stimato all’interno dell’ebraismo,
ha proposto un’acuta meditazione sulla scomoda situazione dell’uomo di fede, in
ogni epoca ma, particolarmente, nel mondo contemporaneo [La
solitudine dell’uomo di fede, Salomone
Belforte e C., Livorno 2016].
La sua riflessione prende le mosse da due testi biblici che
parlano della creazione dell’uomo, l’uno al primo capitolo e l’altro al secondo
del libro della Genesi.
«Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo
la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti
gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio
disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate
sui pesci del mare e sugli uccelli del cieloe su ogni essere vivente che
striscia sulla terra» (Gn 1,26-28).
«Allora
il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente… Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel
giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. » (Gn 2,7.15).
Nel primo testo, l’uomo è creato ad immagine di Dio; nel
secondo viene modellato dalla polvere della terra.
Il primo Adamo riceve il mandato di riempire la terra e di
soggiogarla, mentre il secondo si limita a coltivare il giardino e di custodirlo.
Nel primo racconto, maschio e femmina sono creati
simultaneamente; nel secondo, Adamo compare per primo ed Eva in un secondo
momento, come suo aiuto (Gn 2,21-24).
Secondo Soloveitchik, la creazione dell’uomo è stata
presentata in un doppio racconto per evidenziare la duplicità dell’essere
umano, in quanto, in ogni persona umana sono presenti i tratti tipici dei due
Adamo.
Osserviamo le caratteristiche del Primo Adamo. Essere ad
immagine di Dio significa ricevere la capacità di esercitare un’intensa
creatività, a imitazione di Dio, che si esprime in diverse modalità. L’uomo
riceve infinite risorse e gode soprattutto dell’intelligenza, allo scopo di
migliorare la sua posizione nell’ambiente in cui si trova. Si propone, perciò,
di dominare e imbrigliare le forze naturali, ponendolo al suo servizio. La
ricerca scientifica è la massima manifestazione dell’uomo audace, desideroso di
realizzare le proprie risorse e di migliorare la sua condizione. Priva di
questo progresso incessante, la mera esistenza istintuale sarebbe deprivata di
dignità quale esistenza impotente» (20).
La creatività si estende inoltre nel campo della creazione
estetica, come anche nell’ambito normativo. «La sua coscienza è stimolata non
dall’idea del bene, ma dall’idea del bello. La sua mente ricerca non il vero,
bensì il piacevole e il funzionale» (23). Questo impulso non è segno di
ribellione a Dio ma piuttosto un modo di eseguire la sua volontà. Soloveitchik
denomina maiestatico, questo tipo d’uomo.
Passiamo ora al Secondo Adamo. Questi non è interessato ad
ottenere il potere e il controllo sul cosmo ma a comprendere il motivo
dell’esistenza dell’universo e desidera vivere in comunione con il suo
Creatore. Dio soffiò
nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Il soffio, ricevuto da Dio stesso, non corrisponde al possesso di qualche
talento divino ma testimonia il suo anelito incessante per Dio (26).
Mira ad ottenere un’esistenza redenta, ben diversa da una
vita dotata di dignità. La redenzione non è ottenuta attraverso il controllo
sull’ambiente ma mediante il controllo di sé (38), poiché una vita redenta è
una vita disciplinata. «L’essere umano persegue la dignità ogni volta che
trionfa sulla natura. Egli trova la redenzione, invece, quando è sopraffatto dal
Creatore della natura. La dignità è scoperta dall’apice del successo; la
redenzione negli abissi della crisi e del fallimento… il Secondo Adamo fu
formato dalla polvere della terra, affinché la conoscenza delle umilisse origini fosse parte integrante
dell’io di Adamo» (38-39).
Sperimenta in primo luogo la solitudine (Cf. Gn 2,20).
«Essere significa essere l’unico, singolare e differente, com tale “solo”».
Solitudine (e insicurezza) provengono dalla consapevolezza della propria
unicità ed esclusività. Nessun altro esiste come questo io, e la sua
particolare esistenza non può essere ripetuta, imitata o esperita da altri
(42). La solitudine riflette il nucleo stesso dell’esperienza dell’io; non è
affatto una situazione provvisoria o accidentale.
Dal momento che soffre per la solitudine, è in ricerca di
compagnia. Cerca una vicinanza di un altro soggetto il quale, sebbene unico e
singolare come lui, padroneggi l’arte del mettersi in comunicazione e che
formi, assieme a lui, una comunità. Questo tipo di’amicizia non è ottenuto
attraverso la conquista, ma mediante la resa e la ritirata. Per il Secondo
Adamo, quindi, comunicare e intrattenere stretti rapporti spirituali sono atti
sacrificali redentivi. Aspira ad integrarsi nella comunità di fede, che appare
già nell’alleanza tra Dio e Abramo. Nessuno può preservarci dalla solitudine.
Il rimedio si trova nell’esperire un nuovo genere d’amicizia che si trova in
una comunità esistenziale (42).
Una comunità di fede è ben distinta da una comunità
naturale; la prima è una comunità di doveri, la seconda d’interessi. La
comunità di fede, nata nel fallimento e nelle angustie, è caratterizzata dalla
presenza di tre membri: io, tu, Egli (Dio). Dio diventa membro di questa
comunità, si associa agli uomini, ne condivide l’esistenza. L’unità solidale di
Dio con gli uomini è un elemento indispensabile per la comunità d’alleanza
(43). «Noi incontriamo Dio, in seno alla comunità di alleanza, in quanto
compagno e membro. Naturalmente, per quanto calato all’interno della struttura
di questa comunità, Dio si presenta come la guida, il maestro e il pastore. La
guida, cionondimeno, è parte integrante di una comunità, il maestro è
inseparabile dai suoi allievi e il pastore non abbandona mai il suo gregge.
Tutti costoro appartengono ad un unico gruppo. L'alleanza coinvolge Dio
all’interno della società degli uomini di fede: II Dio dinanzi al Quale i
miei ladri hanno camminato, il Dio che è stato il mio pastore per tutta la mia
vita (Gen 48,15). Dio è stato il pastore di
Giacobbe e il suo compagno. La comunità di fede, radicata e articolata
nell’alleanza, trova manifestazione in una triplice unione di persone: io, tu
ed Egli (Lv 26,12)».
Il Primo Adamo si sente provocato dal cosmo mentre il
Secondo cerca il dialogo con Dio all’interno dell’Alleanza. L’annuncio
dell’esistenza di Dio, predicato dal cosmo, è debole ed equivoco. Nella
rivelazione cosmica, l’uomo sente Dio molto vicino, presente in tutti i
fenomeni naturali ma lo avverte ancora di più, come misterioso ed
inaccessibile. Questa dicotomia cancella ogni sentimento d’intimità e
d’immediatezza e rende complicato il rapporto con Lui. L’uomo di fede, al fine
di redimere se stesso dalla sua solitudine, vuole incontrare Dio a livello
personale, in una situazione in cui possa essere vicino a Lui e sentirsi libero
in sua presenza (48).
Il luogo dell’incontro personale con Dio è la preghiera. La
contemplazione del cosmo non può spingere l’uomo a pregare nell’intimità perché
l’adorazione estatica, sempre indiretta e impersonale, non rappresenta ancora
un incontro personale con Dio. Esso avviene piuttosto nella comunità
d’alleanza. «Attraverso il suono della voce divina che si rivolge all’uomo con
il suo nome, Dio, ricercato dall’uomo lungo le infinite rotte dell’universo, è
scoperto come vicino all’essere umano e in intimità con lui, mentre gli sta di
fronte o accanto» (51).
Questo tipo di relazione costituisce il nucleo della
comunità profetica. Questa è costituita dalla discesa di Dio sul monte e
dall’ascesa sul monte dell’essere umano, in risposta alla chiamata divina. Qui
avviene un rapporto diretto e personale che apre un colloquio faccia a faccia.
La preghiera è la continuazione dell’esperienza profetica. Quando un essere
umano si rivolge a Dio, chiamandolo con i toni familiari del Tu, in quel
momento si rinnova lo stesso evento dell’incontro profetico dell’alleanza (52).
Comunità profetica e comunità orante s’appoggiano sopra tre
fondamenta: io, tu, Egli. La differenza tra le due esperienze non sta nella
sostanza del dialogo ma nel suo ordine d’apparizione. All’interno della
comunità profetica, è Dio a prendere l’iniziativa (Egli parla e l’uomo
ascolta), nell’altra l’iniziativa spetta all’uomo. La parola della profezia è
di Dio e l’uomo l’accoglie; viceversa, la parola della preghiera viene dall’uomo
e il Signore l’ascolta.
Il profeta in
cui Dio confida e a cui affida la sua parola eterna, rappresenta sempre molti
anonimi; sono il loro a cui il messaggio
è destinato. «Nessun essere umano, per quanto grande e nobile, è degno della
parola di Dio se crede che questa parola sia sua privata proprietà che non
debba essere condivisa con gli altri» (56). Egli, quindi, non prega mai
esclusivamente per se stesso.
Entrambe le comunità scoprono, assieme alla relazione intima
con Dio, un messaggio etico. Qualsiasi incontro con Dio si prolunga in un
messaggio normativo (57), altrimenti non sarebbe mai un’esperienza di alleanza,
la quale prevede l’assunzione di responsabilità e di obblighi.
L’esperienza profetica è contrapposto a quella mistica che,
a suo giudizio, non sarebbe altro che una sottile forma di egoismo. Nella
mistica, l’uomo cercherebbe se stesso nell’appagamento personale e, quindi,
rifiuterebbe un compito di responsabilità verso gli altri. La mistica sarebbe
elitaria mentre la preghiera profetica avrebbe un carattere democratico essendo
rivolta a tutti i contraenti l’alleanza.
Dalla preghiera autentica sgorga sempre un deciso impegno
etico e, viceversa, soltanto l’orazione che esce da un cuore puro è gradita a
Dio: «La preghiera è sempre annunciatrice di una riforma morale» (61) «Dio
porge orecchio alla preghiera, se essa s’innalza da un cuore contrito…» (61).
«La preghiera deve essere innestata in una vita orante, consacrata alla
realizzazione dell’imperativo divino…» (64).
La comunità profetica garantisce la promozione della
fraternità tra gli uomini. «L’amicizia, non in quanto relazione sociale di
superficie ma come relazione esistenziale profonda tra due individui, è
realizzabile unicamente in seno all’ordito della comunità di alleanza, in cui
le profondità delle singole personalità si mettono in relazione tra di loro
ontologicamente e in cui l’impegno assoluto verso Dio e verso il compagno sono
l’ordine del giorno» (65-66). Le relazioni tra gli uomini presenti anche nella
comunità naturale, rimangono a livello di superficie, non oltrepassano i limiti
dell’utilitarismo. Offrono esperienze di collegialità, socievolezza, educazione
e gentilezza piuttosto che di vera amicizia, la quale viene donata da Dio
all’interno del patto d’alleanza (66).
Infine la comunità d’alleanza consente il superamento della
dissoluzione dell’uomo nelle spire del tempo. L’uomo vive l’esperienza
dell’estraneità del mondo: «è avvertito di un passato senza fine che si è
dipanato prima di lui ed è pure a conoscenza di un futuro senza fine che
sfreccerà via dopo che egli cesserà d’esistere» (66). Nascita e morte appaiono
eventi arbitrari in un flusso che sembra annientare l’individuo. L’uomo
sperimenta la transitorietà e l’evanescenza dell’esperienza dell’ora, che non è
giustificata né da un prima né da un dopo. Solo la comunità d’alleanza può
offrire una prospettiva. «Rettrospettivamente, l’uomo dell’alleanza
ri-esperisce l’incontro con Dio, da cui l’alleanza ha avuto origine, in quanto
promessa, speranza e visione. Relativamente al futuro, invece, egli scorge la
piena realizzazione escatologica di questa alleanza, con le sue promesse,
speranze e visioni» (67).
Il primo e il Secondo Adamo non sono due persone diverse,
bensì un’unica persona. In ogni soggetto umano dimorano due tipi di uomo: il
Primo Adamo, regale e creativo e il Secondo Adamo, umile e docile. Dio ha
voluto tutto ciò e il rifiuto di una delle due componenti, equivarrebbe ad un
atto di disapprovazione del piano divino sulla creazione.
L’uomo di fede quindi, per esplicito volere di Dio, oscilla
tra la comunità dei credenti e quella naturale, maiestatica (78). «A motivo di
questo progressivo movimento da un’orbita a un’altra, l’essere umano non si
sente a casa in nessuna delle due comunità» (79). In questo errare consiste il
senso di solitudine dell’uomo di fede.
Sarebbe naturale ed auspicabile che i due tipi d’uomini
s’incontrassero ma, in modo particolare nella nostra contemporaneità, essi
appaiono incompatibili l’un l’altro. L’uomo maiestatico sembra chiudersi sempre
di più nella propria orgogliosa sicurezza. Pretende d’identificarsi con la
totalità della persona umana e, in questo modo, offre di sé un’immagine
demoniaca (90). Talora sembra avvicinarsi all’uomo di fede ma, in realtà, egli
non apprezzare la fede nel suo nucleo più autentico ma si limita a gradire
soltanto certe manifestazioni culturali della fede (90). Valuta quindi anche la
religione in termini utilitaristici e considera l’azione religiosa uno
strumento cui egli può accrescere la propria felicità (82). Spesso è alla
ricerca dei poteri terapeutici e redentivi insiti nella fede dal momento che
essa offre sostegno e conforto nelle angustie (84). Ciò nonostante rimaneo
estraneo al vero movimento della fede: «L’atto di fede è primigenio, dirompente
con forza elementare, al pari di una esperienza eudemonistico-passionale che
tutto consuma e che tutto pervade, in cui si manifestano i nostri più segreti
bisogni, aspirazioni, passioni e timori… (86). L’uomo di fede è insensatamente
impegnato, pazzo di amore per Dio. Sostenetemi con focacce d’uva passa,
rinfrancatemi con le mele, perché sono malata d’amore» (88).
Da parte sua, l’uomo di fede non è incline al compromesso
(86). Appare incapace di comunicare la forza della sua esperienza, non tanto
per la sua fragilità ma a motivo della sua enormità. Anche se il messaggio
culturale della fede muta costantemente, con il fluire del tempo, l’atto di
fede in sé è immutabile. «La sua essenza è caratterizzata da fissità e da
perenne identità» (91). Infatti non è frutto di azioni culturali e creatrici
dell’essere umano, ma è piuttosto come qualcosa offerto all’uomo, quando
quest’ultimo si lascia sopraffare da Dio. Solo se si mantiene in tutta la sua
integrità, la fede diventa terapeutica.
La solitudine dell’uomo di fede, nella società
contemporanea, comprende anche l’isolamento sociale (92) a cui lo costringe la
presunzione dell’uomo maiestatico.
Il profeta Eliseo, ben rappresenta l’uomo maiestatico: è un
uomo di potere, intraprendente e ricco. Elia, al contrario, profeta errante,
solo, povero, unicamente interessato a Dio e al valore dell’Alleanza con Lui,
rievoca la figura del Secondo Adamo. Eliseo si lascia affascinare da Elia e lo
segue. Operando questa scelta, decise di abbandonare a se stesso
definitivamente il suo ambiente di vita? In realtà, in seguito, egli fece
ritorno alla società per testimoniare ed istruire. Spesso sperimentò la
frustrazione del rifiuto; mai, però, si disperò e si rassegnò. «Disperazione e
rassegnazione sono sconosciute all’uomo dell’alleanza, che trova il trionfo
nella sconfitta, la speranza nel fallimento» (95). Proprio per il fatto di
essersi trovato solo, incontrò l’Uno che è Solo. Oggi, l’uomo di fede, deve
sobbarcarsi la stessa fatica assunta da Eliseo.
Proviamo a tracciare ora delle osservazioni conclusive e a
formulare una rilettura cristiana della meditazione di Soloveitchik.
Il progresso a favore degli uomini, nella ricerca
scientifica, nella creatività artistica, nella vita politica è voluto da Dio
stesso. Non può esistere concorrenza tra Dio e l’uomo, tra la fede religiosa e
l’azione mondana.
Scandagliando l’intimo della persona umana, mette bene in
evidenza la sua duplicità: l’uomo è, nello stesso tempo, grande e misero. Deve,
opportunamente, impiegare le sue risorse creative ma anche predisporsi a
compiere gesti sacrificali per poter entrare in relazione con i suoi simili.
Una vera comunione con il prossimo si attua soltanto all’interno della comunità
d’Alleanza, dove il prossimo acquista un valore assoluto.
Abolisce ogni forma d’individualismo nella preghiera;
sostiene la necessità che essa favorisca un comportamento etico adeguato e
generi un senso di responsabilità verso la comunità, se intende essere
un’esperienza autentica e non una parvenza, vuota di senso.
Tuttavia, Primo e Secondo Adamo non sarebbero due figure da
porre in contrasto tra loro, in modo netto. Qualcosa dell’uno deve essere
presente anche nell’altro. Se così non fosse, una loro intesa risulterebbe
impossibile. Dentro di noi scorgiamo delle tensioni legittime che sono sì
distinte ma non opposte tra loro.
Ciò diventa più chiaro se, anziché limitarci all’analisi
testo della Genesi, diamo uno sguardo a tutto il percorso biblico. Un passo
della riflessione sapienziale sembra fondere le caratteristiche dei due Adamo:
«Il Signore creò
l’uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare… Li rivestì di una forza
pari alla sua e a sua immagine li formò. …Discernimento, lingua, occhi, orecchi
e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza e mostrò
loro sia il bene che il male. Pose il timore di sé nei loro cuori, per mostrare
loro la grandezza delle sue opere, e permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie. Pose
davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita, affinché
riconoscessero che sono mortali coloro che ora esistono. Stabilì con loro
un’alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti. I loro occhi videro la
grandezza della sua gloria, i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa.
Disse loro: «Guardatevi da ogniingiustizia!» e a ciascuno ordinò di prendersi
cura del prossimo (Sir 17,1-14)
L’uomo ad immagine di Dio non è soltanto colui che domina
sul creato, ma anche colui che riceve una propensione alla comunione con Lui.
Nella sua attività creatrice, mentre imita la potenza del Creatore, imita anche
la sua bontà. La creazione, infatti, non è soltanto un segno della potenza
divina ma anche della sua generosità. Di conseguenza, l’uomo ad immagine di Dio
domina il creato con profondo rispetto, animato da un senso profondo di
responsabilità verso gli altri uomini.
All’interno della fede cristiana, l’uomo maiestatico è
figura anticipatrice del Cristo Risorto. La riflessione del salmo ottavo
sull’uomo creativo ha favorito tale associazione. Il salmista, che medita sulla
povertà e sulla potenza dell’uomo, si meraviglia e si compiace del riguardo
amorevole con il quale Dio ha onorato l’uomo, perché questi, pur essendo di per
sé un nulla, ha ricevuto il dominio su tutto il creato:
«Che cosa è mai
l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco
meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle
opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» (Sal 8,5-7).
Nella visione cristiana, la promessa annunciata
all’uomo si è realizata in modo particolare nella risurrezione di Cristo. È il
Risorto a ricevere il dominio su tutto (Cf. Eb 2,9). Introducendo nel mondo il
Regno di Dio, Gesù realizza ciò che si propone l’uomo maiestatico. Il Regno di
Dio presuppone la vittoria sulla miseria, la malattia e il peccato, e quindi,
sulla morte. Tuttavia il dominio di Cristo è in fase di realizzazione. Egli è
stato insediato in autorità ma non ha ancora ottenuto il pieno successo del suo
dominio, proprio come avviene per l’uomo creativo. È chiaro che il Risorto non
opera da solo ma agisce attivando la nostra collaborazione. Non rende superfluo
l’impegno degli altri uomini, ma piuttosto offre loro un modello, una forza
d’impegno e una garanzia di riuscita. L’annuncio del Regno porta a compimento
il disegno divino già tracciato nella creazione.
Gesù può essere prefigurato anche nel Secondo
Adamo, interessato ad aderire all’Alleanza, con Dio e con i fratelli. Nella
stipulazione dell’Alleanza, Dio si renda prossimo all’uomo, molto più vicino di
quanto ha fatto (e continua a fare) nella rivelazione cosmica, fino a
presentarsi a lui nella figura dell’amico. Non rimane soltanto un Mistero
santo.
Gesù si offre come la massima vicinanza di Dio al
mondo. L’uomo non si trova soltanto più di fronte ad una serie di precetti ma
ad una persona concreta che, osservandoli, si offre come modello e guida.
Grazie alla sua rigorosa obbedienza, può inaugurare la Nuova Alleanza, già
annunciata dai profeti. Introduce un nuovo Patto che non annulla il Primo ma lo
conduce alla perfezione. Come era prefigurato nella scala di Giacobbe, in Lui
Dio scende presso gli uomini e conversa con loro e l’uomo sale fino a Dio e si
unisce a Lui. Gesù Risorto conduce l’umanità fino al cielo stesso, fino alla
destra di Dio. L’aspettativa insita già nell’antica Alleanza raggiunge ora il
suo traguardo definitivo.
All’interno del rapporto dell’Alleanza riacquista
senso l’esperienza mistica. Fuori da questo rapporto, essa può degenerare in privilegio,
in pretesa; può isterilirsi nella ricerca spasmodica del vantaggio personale,
nella fusione impersonale con il divino, nella rinuncia alla testimonianza
profetica e all’urgenza etica. All’interno dell’Alleanza, invece, questi rischi
scompaiono. La vicinanza con Dio, di carattere mistico, viene donata al profeta
perché sia rafforzato nella sua missione e rinvigorito nel suo impegno
doloroso.
«Mosè rimase con
il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere
acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Quando
Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano
nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del
suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui» (Es
34,28-29)
Nel colloquio intimo con Dio, sul monte o in una
tenda separata da tutte le altre tende (Cf. Es 33,10-11), Mosè assimila le
qualità divine, come viene testimoniato dallo splendore del suo volto. Solo
così diventa capace di farsi carico delle colpe del popolo e di presentarsi
davanti ad esso come un inviato affidabile.
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