Vivere da discepoli di Cristo, in primo luogo, è un dono
gratuito. Prima di noi e senza di noi, agisce il Signore da solo, in base alla
sua benevolenza; in un secondo tempo, dobbiamo cooperare anche noi in modo tale
che il suo dono diventi anche un nostro merito. Vediamo ora che cosa ha fatto
il Signore per noi allo scopo di rendere possibile la nostra trasformazione di
vita.
Il primo dono: possiamo diventare cristiani contando sulla
grazia che ci proviene dalla morte di Cristo.
Che significa ciò? Riccardo Bacchelli, nel suo romanzo «Lo
sguardo di Gesù» sviluppa con chiarezza questa proposizione. Il protagonista
della vicenda si chiama Itamar, un nome di fantasia assegnato ad un indemoniato
guarito a Gerasa (Cf. Mc 5). Itamar, liberato dalla possesione diabolica,
otteniene subito la guarigione fisica tanto da poter partecipare di nuovo alla
vita sociale. Vive così una prima rinascita. Non riesce tuttavia a credere in
Gesù, anzi rimane offeso dal fatto che non l’abbia chiamato a far parte del
gruppo dei suoi amici, i discepoli. Rimane sempre inquieto. Conserva il fascino
dello sguardo del Maestro, colpito come lo fissò nel momento di guarirlo, e
perciò continua a cercarlo. Ascolta volentieri la sua predicazione senza,
tuttavia, lasciarsi convincere. Giunge, infine, l’ora decisiva. Presente per
caso al Calvario, al momento della morte di Gesù, Itamar, in modo inaspettato
ed improvviso, perviene alla fede in Lui e, questa volta, intraprende una vita
davvero nuova. Comincia una seconda rinascita, in una modalità ancora più
miracolosa. Morendo anche per lui, Gesù compie per lui ciò che non aveva
ottenuto né con il prodigio della guarigione, né con la predicazione. Itamar è
in fondo una controfigura del ladrone pentito (Cf. Lc 23,42-43). Ciò che accade
a lui vale per ogni altro credente.
Giovanni Crisostomo aveva difeso la medesima intuizione. Ciò
che è accaduto a Itamar, Egli lo vide verificarsi in Paolo apostolo: «Vi dicevo
come tutti i miracoli che hanno seguto la croce siano stati più grandi di
quelli che l’anno preceduta. Miracolo più grande di tutti gli altri è quello di
Paolo, che si è avvicinato a Cristo dopo la sua passione… Se Cristo non fosse
risorto, chi avrebbe attirato a sé un uomo così ostile e furioso?» (De
mutatione nominum,I, PG 51,120,5).
La morte di Cristo produce vita; rende possibile il perdono
dei peccati ma anche la loro eliminazione dalla vita degli uomini. Il libro
dell’Apocalisse afferma che i salvati lavano le loro vesti e le rendono
candide nel sangue dell’Agnello (Cf. 7,14).
Cristo Cristo è apparso «per distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8). È un
evento accaduto al passato che esercita il suo influsso in ogni epoca. Ogni
giorno il Risorto riprende a rinnovarci perché usufruiamo del tesoro spirituale
accumulato dalla sua morte. «Cristo apparve come nuovo ed era antico e sempre
diviene nuovo nei cuori dei fedeli» (A Diogneto XI,4). Il
cristianesimo inizia da un dono ricevuto e non da uno slancio etico; Cristo
infonde in noi la sua luminosità – grazie alla fede e al battesimo – e solo in
seguito possiamo sviluppare ciò che abbiamo ricevuto all’inizio, senza alcun
merito.
Un secondo dono. Vivere da discepoli di Gesù non è un
fatto ovvio ma un frutto dello Spirito, che, a sua volta, è il primo frutto
della Pasqua.
«… il cristiano è tale per la partecipazione allo spirito di Gesù Cristo
[...] Lo Spirito è la somiglianza con Gesù e con i suoi modi di comportarsi.
Viene chiamato Spirito di Gesù, perché Gesù ce l'ha meritato affinché venisse a
dimorare in noi e, dimorando, ci spingesse e ci infiammasse di continuo
nell'abbracciare la sua dottrina, nell'imitare la sua vita e ci fortificasse
con il suo aiuto. Inoltre è la partecipazione e la somiglianza che abbiamo con
Gesù Cristo e con tutti i suoi modi di comportarsi» (J-B Saint-Jure, L’uomo
spirituale, 21 passim).
La
buona volontà, per quanto possa essere fervente, risulterà sempre del tutto
insufficiente a liberare l’uomo dal male e a generare in lui la carità.
Tuttavia Dio, quando osserva che il credente si impegna con tutte le sue forze,
viene in suo soccorso e gli comunica la pienezza dei doni dello Spirito, così
che possa conseguire il fine sperato. «Soltanto la potenza divina è in grado di
sradicare il peccato e il male... Lottare, combattere, dare e ricevere colpi è
compito tuo, ma sradicare il male spetta a Dio» (Pseudo-Macario, Discorsi, 166). L’operare virtuoso
del credente, agli inizi della conversione, è già frutto dello Spirito operante
in noi, ma anche attesa di un’azione dello Spirito ancora più vasta e decisiva.
Terzo dono: lo Spirito infonde in noi la carità. La carità è
stata la caratteristica fondamentale della persona di Gesù ed è la virtù
principale suggerita al suo discepolo. La carità non è un sentimento ma un
agire che si conforma alle parole autoritative di Gesù (o comandamenti).
Credere che Gesù sia il Signore, ci sprona ad accogliere la sua dottrina.
Può accadere, però, che alcuni suoi insegnamenti non solo
vengano respinti da chi non crede in Lui, ma non vengano accolti neppure da chi
ha cominciato a seguirlo e ritiene di essere cristiano. Cristo cresce in noi e
nella nostra vita, con gradualità.
Da un lato, l’obbedienza reale alla sua parola è il segno di
quanto Egli sia cresciuto in noi; dall’altro la luce e la forza che ci vengono
dall’obbedire a ciò che abbiamo già compreso, ci aiutano ad accogliere ciò che
ancora respingiamo. Un agire retto ci aiuta a capire meglio.
Accade che, quando un cristiano interrompe la relazione con
il Signore, per un certo tempo possa ancora ispirare il suo agire agli
insegnamenti che lo avevano animato fino a quel momento. Col tempo però sarà
l’egoismo a prevalere. Una bottiglia svuotata conserva ancora per un po’ il
profumo del liquore che conteneva ma col tempo il buon odore si disperde.
Vivere la carità non obbliga di
per sé ad eroismi. Questo in via normale. A volte la situazione storica obbliga
a scelte rischiose (pensiamo ai giusti che hanno salvato gli ebrei durante la
persecuzione nazista, rischiando la vita; ai magistrati che hanno affrontato la
mafia…). Normalmente, però, la carità ha una valenza quotidiana e corrisponde
al tentativo di vivere una relazione positiva con gli altri, rintuzzando
l’orgoglio, il risentimento, la sfiducia, l’invidia.
Il dono che il cristiano riceve non è destinato soltanto a
lui. Egli vive rettamente per far risplendere la gloria di Dio nel mondo, per
attirare altri, in modo misterioso, al bene, anzi a Dio. Sa di avere una
responsabilità nei confronti della comunità cristiana e nei confronti del
mondo. Se i suoi peccati corrompono la comunità, al contrario, i suoi atti
d’amore la rinvigoriscono. La ricerca della santità non si muove soltanto
nell’ambito del privato, ma ottiene una risonanza per tutta la Chiesa e per
tutto il mondo.
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