II verbo dokimàzein (discernere) ha un ampio significato: mettere alla prova qualcosa o qualcuno per saggiarne la genuinità, esaminare una situazione per distinguere il vero dal falso, scorgere la volontà e il disegno di Dio nel groviglio della storia. Dokimàzein è un giudizio complesso, insieme intellettuale e morale.
Il discernimento è un imperativo della vita cristiana
Nell'epistolario paolino dokimàzein e i suoi composti ricorrono molte volte, in rapporto a diversi oggetti e situazioni, tutti però attinenti in qualche modo al discernimento della volontà di Dio. Due passi, ci sembra, meritano maggiore attenzione. Il primo è costituito da alcuni imperativi rivolti dall'apostolo ai cristiani di Tessalonica: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta di male» (1Ts 5,19-22). Il discernimento, come appare da questo passo, è un imperativo che riguarda ogni cristiano e si estende all'intero campo della vita («ogni cosa»). Il suo scopo è discernere il bene dal male.
Il secondo passo fa da titolo alla parte morale delibi lettera al Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, Santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto razionale. Non conformatevi allo schema di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per essere in grado di discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2).
Per Paolo l'imperativo che riassume l'intera morale cristiana è trasformare la propria vita in un culto a Dio. Nella descrizione di questa liturgia dell'esistenza (il «culto razionale»), l'apostolo menziona esplicitamente il discernimento. È un'operazione che abbraccia l'intero campo e che esige conversione: per discernere è necessario, infatti, andare oltre lo schema di questo mondo, cioè il modo comune di pensare e di valutare. Il discernimento cristiano richiede un capovolgimento di tutto questo.
Il quadro teologico del discernimento
II quadro teologico nel quale il discernimento cristiano si radica e dal quale deriva la sua originalità può essere racchiuso in tre affermazioni.
Una storia aperta
E' noto che, mentre i greci concepivano l'universo come un cosmo, cioè come un complesso armonico e coerente, retto da leggi immutabili, la Bibbia lo sente invece come un evento nelle mani dell'azione di Dio. Per il greco è importante scoprire la legge delle cose e uniformarvisi: si tratta di rispettare un ordine fìsso, già dato. Per l'ebreo invece entrare nell'ordine delle cose significa rispettare la volontà di un Dio personale, volontà fatta di fedeltà e innovazione: si tratta di uniformarsi a un disegno che è in svolgimento. L'orizzonte della storia è aperto. Non tanto quindi un ordine da conservare, quanto piuttosto un ordine da fare, prolungare, progettare. Non ci si può limitare a rispettare un ordine fisso, perché la storia è aperta verso l'alto (all'intervento di Dio) ed è aperta verso il futuro. Questa è una prima radice del discernimento cristiano. Al cristiano è richiesta non una semplice memoria, ma un discernimento. Il discernimento cristiano è una memoria aperta.
Una rivelazione storica
Ritroviamo il fondamento e la necessità del discernimento, se riflettiamo sulla concezione cristiana della Rivelazione, considerata sia nel suo formarsi (registrato nella Scrittura), sia nel suo continuo trasmettersi e attualizzarsi nella Chiesa.
La Bibbia registra una Parola di Dio che si è manifestata nella storia: dunque una Parola situata. E questo richiede non soltanto ascolto e memoria, ma anche interpretazione e attualizzazione. Occorre discendere tra ciò che è legato al tempo e ciò che è perenne.
La Bibbia registra un discorso di Dio progressivo, a tappe.
E anche questo richiede discernimento: cioè distinguere tra le premesse e le conclusioni, tra la logica di fondo che spinge il discorso in avanti e le scorie che via via vengono eliminate.
La Bibbia, infine, trascrive una Parola di Dio che si è manifestata attraverso la storia. La Parola di Dio è giunta a noi per lo più mediata dall'esperienza e intrecciata alle situazioni storiche. E anche questo richiede discernimento, cioè l'ascolto contemporaneo (e valutativo) della Parola e dei fatti.
Il discorso si ripropone se osserviamo la Rivelazione nella Chiesa. La Chiesa è in tensione verso la pienezza, progredisce nella comprensione della fede, nell'attualizzarla e nel ridirla oggi, nel dedurre le conseguenze per la vita. E così la Rivelazione continua a incarnarsi nelle situazioni storiche che incontra. Tutto questo - pur essendo guidato dallo Spirito - avviene nelle normali forme umane: è la legge dell'incarnazione. Perciò non si procede senza incertezze, ambiguità e discussioni. Si propone così il problema: come discernere la tradizione immutabile dalle tradizioni mutevoli? Non basta il richiamo allo Spirito, perché Dio agisce, appunto, in un luogo umano. Ne basta la sola Scrittura, perché a sua volta la Scrittura necessita di interpretazione. Neppure basta il solo Magistero meccanicamente inteso; di fatto il Magistero ne sempre ne subito interviene. E poi, in ogni caso, si pone il problema teologico per il Magistero stesso: dove attinge il Magistero la certezza?
Riformuliamo il problema. Da una parte la Tradizione ha bisogno di tradizioni per manifestarsi e attualizzarsi. Questa continua attualizzazione richiede discernimento. Dall'altra, non tutte le tradizioni che ci giungono dal passato sono di uguale valore, legate come sono al loro tempo. Senza dire che nelle tradizioni possono anche affacciarsi semplici tradizioni di uomini, abitudini e costumi di un'epoca. Per tutto questo occorre un ampio discernimento.
Un progetto personale
Un terzo fattore, che ci aiuta a comprendere l'importanza del discernimento, è che il disegno di Dio, pur essendo unitario, non è però uniforme: la chiamata di Dio è una, e insieme molteplice, persino personale.
In proposito può bastarci un'annotazione semplice quanto significativa. La Bibbia indica all'uomo un cammino che va in un'unica direzione, una strada comune, per tutti. Si pensi, per esempio, al decalogo per l'Antico Testamento e alle beatitudini per il Nuovo. La volontà di Dio è una sola. Tuttavia questo non impedisce che la Bibbia sia tutta percorsa da vocazioni particolari. E gli stessi racconti di chiamata - si tratta di un fatto letterario che però tradisce una profonda realtà teologica ed esistenziale - appaiono sempre un intreccio di tratti fissi, comuni a tutti i racconti, e di tratti individuali e specifici. Dentro l'unico progetto prendono forza molti progetti. È importante saper discernere la mia personale chiamata dentro l'unica chiamata.
Quali criteriper discernere?
Paolo enumera diversi criteri, ma qui ci basta attirare l'attenzione soprattutto su due che mi sembrano meritare qualche parola in più.
Il primo: il tratto che identifica più profondamente l'epifania di Dio non è la straordinarietà (così pensavano i Corinti), ma la carità quotidiana. I miracoli, le lingue e le profezie «passeranno»: la carità rimane (ICor 13). La carità che rimane è quella descritta in 13,4-7: è la carità dimessa e quotidiana. Questa sottolineatura paolina mi sembra sovvertire radicalmente un criterio «popolare» (solo popolare?) di discernimento; quello di ritenere che anzitutto la straordinarietà sia il segno della presenza di Dio.
E il secondo: l'edificazione comune. Si tratta di un'espressione spesso ripetuta, ma di cui non sempre si sottolinea la carica missionaria. In ICor 12,7 Paolo non usa l'espressione l'«edificazione comune», ma più semplicemente «per l'utilità». Il contesto fa capire chiaramente che si tratta dell'utilità comune, per utilità dell'intera comunità. Il termine edificare (oikodomein) appare in 14,3.4.5.12, riferito alla edificazione dell'assemblea radunata per la Parola. In Rm 14,19 si legge:
«Diamoci dunque alle opere della pace e della edificazione vicendevole». E poco oltre (15,2): «Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene per edificare». Più pregnante, e applicata al corpo di Cristo, l'affermazione di Ef 4,11-12:
«E lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per preparare i santi al ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo...... L'edificazione (come appare, del resto, dal termine stesso) è un concetto dinamico, non statico: indica crescita, cammina verso un completamento. L'edificazione comune non si realizza orizzontalmente, dividendosi le zone di influenza o trovando una piattaforma di convivenza, ma muovendo tutti in avanti, convergendo verso un punto che sta oltre, in un comune slancio di crescita. Deve trattarsi poi - inutile dirlo - del-l'edifìcazione dell'intero popolo di Dio, non solo di alcune sue parti. E, ovviamente, il punto attorno al quale far comunione è il Cristo (e l'apostolo che lo rappresenta), non se stessi, ne il proprio gruppo.
Il vero protagonista del discernimento è lo Spirito. Tutti i passi manifestano questa convinzione, ma è Giovanni che pone il tema con particolare radicalità. Di fronte al problema di cercare una garanzia di fedeltà nel venir meno dei testimoni storici e nell'affacciarsi delle novità - problema che si pone con particolare urgenza verso la fine del primo secolo - Giovanni non ricorre soltanto, e anzitutto, a strutture istituzionali, ma si affida coraggiosamente alla presenza dello Spirito. Lo Spirito di verità, che vivifica la tradizione di Gesù, non è privilegio di alcuni, ma è donato all'intera comunità e a ciascun cristiano, Questa destinazione universale del principio fondamentale del discernimento della verità di Dio, che è appunto lo Spirito, è particolarmente evidenziato nella Prima lettera di Giovanni. Vi si leggono affermazioni sorprendenti. Rivolgendosi ai fedeli e polemizzando contro i perturbatori della comunità, l'apostolo scrive: «Voi invece avete il crisma... e tutti avete la conoscenza» (lGv2,20). E ancora: «Non vi ho scritto che non conoscete la verità, ma che tutti la conoscete e che nessuna menzogna viene dalla verità» (2,21). E infine: «II crisma che avete ricevuto da lui rimane con voi e non avete bisogno che alcuno vi insegni: il suo crisma vi insegna su tutto, veritiero com'è e senza menzogna» (2,27). L'interpretazione di questo crisma è discussa, però alcune innegabili somiglianze con i passi del Paraclito dei discorsi di addio ci fanno pensare che si tratta dello Spirito in quanto ricorda e attualizza la parola di Gesù, interiorizzandola nel credente. Giovanni insiste nel dire che questo Spirito è presente in tutti i fedeli. In possesso dello Spirito tutti hanno in se stessi quasi un istinto che li difende dalla menzogna degli eretici. Chi possiede il crisma è in possesso di un inferiore criterio di discernimento, una sorta di sensus fidei, una connaturalità con la verità di Dio e, al contrario, una istintiva ripugnanza verso tutto ciò che la tradisce.
Unendo tutte queste affermazioni possiamo allora concludere che tre sono soprattutto i criteri del discernimento: il principio inferiore che appartiene all'intera comunità e a ciascun fedele, la tradizione obiettiva della fede e l'autorità di quel noi che è, appunto, l'apostolo che scrive la lettera. Si tratta di tre criteri di discernimento ugualmente fondamentali e che, perciò, debbono reciprocamente sorreggersi e illuminarsi, disponendosi in una sorta di circolarltà in cui a nessuno è concesso fare a meno degli altri.
La fatica delle tensioni
Una condizione necessaria per il discernimento è anche la "fatica delle tensioni". L'esperienza cristiana non è mai priva di tensioni. Giustamente Romano Guardini soleva ricordare che la tensione tra due poli è il nostro modo di aprirci alla complessa realtà di Dio e dell'uomo. Ma vivere la tensione non è cosa facile, richiede maturità umana e cristiana, e fatica. Per esempio, la tensione tra libertà e obbedienza, disciplina e creatività, e tante altre. Più che delimitare ambiti diversi (nell'uno sono libero, nell'altro obbediente), esprimono due poli compresenti e ugualmente importanti. Nessuno dei due poli - per esempio, la libertà e la disciplina - può essere lasciato cadere. Questo significa che il discernimento esige la fatica delle tensioni a cui non è lecito sottrarsi ne con la pretesa di maggior chiarezza ne con la pretesa di maggior coerenza. E ancor meno con la pretesa di schierarsi.
Concludo ricordando la parola di Gesù: «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Lc 6,42). Togliere la trave dal proprio occhio non è solo questione di coerenza (come osi correggere l'altro, se prima non correggi te stesso?): è una condizione indispensabile per vedere. La pulizia morale è condizione di discernimento. Questo concetto è ripetuto anche in un altro detto di Gesù: «Se il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo è nella luce-, ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo è tenebroso» (Mt 6,22-23).
Il discenumento è dono. Divesi sono i criteri del discernimento, ma nessuno in particolare e nemmeno tutti insieme producono meccanicamente il discernimento. Questo resta sempre, alla fine, un'intuizione ed è dono, opera dello Spirito. Condizione per discernere è perciò la domanda, la richiesta umile e l'attesa paziente e fiduciosa.
Certo, il discernimento - inteso come capacità di scorgere il cammino di Dio nella confusione della storia, o anche come capacità di distinguere la verità di Dio dalle tradizioni degli uomini - richiede tecniche e conoscenze. Ma si direbbe che il Nuovo Testamento non si dilunga su questo aspetto. Preferisce insistere nel ricordarci che il discernimento coinvolge quel centro della personalità, che la Bibbia indica soprattutto col nome di «cuore». Il discernimento è un'operazione morale prima che intellettuale. Le sue condizioni sono la pulizia della coscienza, la libertà interiore, l'apertura al nuovo, la disponibilità alle imprevedibili sorprese della manifestazione di Dio.

Nessun commento:
Posta un commento