venerdì 5 dicembre 2025

La coscienza

 

Per quale motivo Dio ha stabilito nella mente di ciascuno di noi un giudice sempre vigilante e lucido? Sto parlando della coscienza. Infatti fra quelli umani non esiste, proprio no, un giudice così vigile come la nostra coscienza. Infatti i giudici esterni sono corrotti dal denaro, ammansiti dalle lusinghe, indotti a sentenze ingiuste dalla paura e molte altre cose danneggiano il loro corretto giudizio. Al contrario il tribunale della coscienza non sa tirarsi indietro davanti a niente : quand'anche tu le dia del denaro, la lusinghi, la minacci o le faccia qualunque altra cosa, formulerebbe la giusta sentenza contro i tuoi pensieri peccaminosi. 

Chi commette il peccato, poi, è il primo ad accusarsi, anche se nessuno lo accusa. Non una o due volte, ma spesso e per tutta la vita continua a farlo: anche col passare del tempo non dimenticherà mai i peccati commessi, ma nel commetterne uno nel concepirlo e dopo averlo compiuto, si alzerà come un accusatore implacabile, soprattutto dopo che abbiamo peccato. Infatti nell’atto del peccare non ce ne accorgiamo, come ubriacati dal piacere; invece, dopo che è bello e compiuto, calmato tutto il piacere, sovraggiunge il pungolo amaro del pentimento, l'esatto opposto di ciò che avviene alle partorienti. Nel loro caso infatti prima del parto, il travaglio è grande e insostenibile e le doglie le tormentano aspramente; ma, dopo il parto viene la quiete come se il dolore uscisse via con il bambino. Diversamente avviene con il peccato: finché stiamo partorendo e concepiamo delle decisioni corrotte, ci divertiamo e ci rallegriamo; dopo aver messo al mondo il nostro figlio deforme, il peccato, soffriamo alla vista della nostra prole, allora siamo straziati più duramente delle partorienti. Perciò vi supplico di non accogliere un desiderio cattivo, soprattutto dal principio: se lo accogliamo, bisogna soffocarne i semi. 

Se, tuttavia, fossimo stati negligenti a tal punto da tramutare il peccato in atto, non resta che ucciderlo con la confessione, le lacrime e accusando noi stessi. Niente infatti è così letale per il peccato quanto accusarsi e condannarsi da sé, con il pentimento e le lacrime. Hai condannato il tuo peccato? Liberati dal suo peso. E chi lo dice? Dio stesso che giudica. Parla tu per primo dei tuoi peccati per essere giustificato (Is 43,26). 

Per quale motivo, dimmi, ti vergogni e arrossisci di confessare i peccati ? Li dici forse a un uomo, perché te li rifacci? Li confessi forse a un tuo compagno di servitù perché li renda pubblici? Al Signore, al difensore, all'amico degli uomini, al medico mostri le ferite. Ne è forse all'oscuro, se tu non glieli dici, lui che li conosce prima che tu li commetta? Allora perché non li confessi? […] Egli vuole che tu li confessi, non per punirti ma perdonarti; non per conoscere il tuo peccato ma perché tu apprenda che grande debito ti condona. Vuole che tu apprenda la grandezza della Grazia, perché non smetta mai di ringraziarlo, perché tu diventi meno incline al peccato, più ben disposto alla virtù. Se non confessassi la grandezza del debito, non riconosceresti l'abbondanza della grazia. Dice: Non ti costringo ad andare nel mezzo del teatro e non ti circondo con molti testimoni. A me soltanto, in privato, confessa i tuoi peccati, perché possa curarti la piaga e liberarti dal dolore. Per questo motivo ha posto in noi la coscienza, che ci vuol bene più di un padre. Infatti un padre, che ha rimproverato il figlio una, due, tre o anche dieci volte, se vede che è incorreggibile, smette, lo ripudia, e lo disereda ma non così la coscienza. Anche se fai finta di non sentirla una, due, tre o migliaia di volte, parlerà ancora e non smetterà fino al tuo ultimo respiro. E a casa, per strada, a tavola, nella piazza, in viaggio spesso che nei nostri stessi sogni, ci metterà dinanzi alle immagini e alle visioni dei nostri peccati. 115

5. Osserva la sapienza di Dio. Non ha reso l'accusa della coscienza incessante (infatti non potremmo portare il peso di un rimprovero continuo), né così debole da stancarsi dopo il primo o il secondo ammonimento. Se infatti ci punzecchiasse ogni giorno e in ogni istante, saremmo soffocati dallo scoramento; e se desistesse dal rimprovero, dopo avercelo ricordato una o due volte, non ne avremmo molto beneficio. Perciò ha reso questo rimprovero continuo, ma non ininterrotto: continuo perché non cadiamo nell'indolenza, ma perché, ammoniti fino alla fine, siamo sempre vigilanti; non ininterrotto o in rapida sequenza perché non affondiamo, ma, godendo di quiete e di conforto, possiamo respirare. Infatti come non provare mai alcun dolore per i nostri peccati è letale e genera in noi la massima insensibilità, così è nocivo soffrire ininterrottamente ed eccessivamente.

Infatti uno scoraggiamento eccessivo spesso è in grado di farci uscire di senno, di sommergere l'anima e di renderla del tutto incapace di bene. Per questo motivo ha disposto anche che l'accusa della coscienza ci piombasse addosso ad intervalli, poiché è molto severa e suole pungere il peccatore più acutamente di qualsiasi pungolo. Non solo quando pecchiamo noi, ma anche quando altri commettano il nostro stesso peccato, si risveglia impetuosa e ci grida contro con tutto il suo vigore. E infatti il fornicatore, l'adultero e il ladro, non solo quando sono accusati, ma anche quando vengono a sapere che altri sono accusati dello stesso delitto, credono di essere frustati, ricordando il loro peccato attraverso le punizioni degli altri. Un altro è citato in giudizio, ma è percosso anche chi non è imputato, se ha commesso lo stesso delitto. Allo stesso modo riguardo alle opere buone, quando altri sono lodati e incoronati, anche gli altri che le abbiano compiute gioiscono e si compiacciono, come se fossero lodati non meno di quegli altri.

Che cosa potrebbe essere più miserevole del peccatore che, mentre altri sono accusati, si nasconde? E, d'altronde, cos'è più beato del virtuoso che, mentre altri sono lodati, gioisce e si rallegra, perché attraverso l'encomio di quegli altri si ricorda delle sue opere buone? Questo è opera della sapienza di Dio e segno della sua grandissima provvidenza. Infatti il rimprovero della coscienza è come un'ancora sacra, che non ci lascia affondare fino in fondo nell'abisso del peccato. Non solo al momento stesso dei peccati, ma anche dopo una lunga serie di anni riesce spesso a rammentarci i vecchi peccati: anche questo dimostrerò con chiarezza proprio grazie alle Scritture.

7. Sapendo tutte queste cose, dopo aver commesso qualcosa di male, non aspettiamo disgrazie e difficoltà, né pericoli e catene, ma ogni ora e ogni giorno risvegliamo in noi questo tribunale; da soli decretiamo la nostra condanna e cerchiamo in ogni modo di renderci giusti dinanzi a Dio; e, proprio noi, non ci mettiamo a discutere della resurrezione e del giudizio, non tolleriamo che altri ne parlino, ma in ogni modo chiudiamo loro la bocca con le nostre parole. Infatti se di là non subissimo i castighi per le nostre trasgressioni, Dio non avrebbe stabilito qui un tale tribunale. Ma anche questa è una prova del suo amore per gli uomini. Infatti dal momento che di là ci chiederà conto delle nostre trasgressioni, ha stabilito qui un giudice incorruttibile, per strapparci da quel giudizio futuro, giudicandoci qui per i nostri peccati e rendendoci migliori.

È ciò che dice anche Paolo: «Se infatti ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo giudicati dal Signore» (1 Cor 11,31). Perciò, per non esser puniti allora, per non subire le pene, ciascuno penetri nella sua coscienza e, dopo aver dispiegato la sua vita e percorso con precisione tutte le trasgressioni, condanni l'anima che le ha compiute, punisca i suoi pensieri, affligga e tormenti la sua mente, esiga da sé stesso il giusto castigo dei suoi peccati attraverso la condanna, la conversione accurata, le lacrime, attraverso la confessione, il digiuno e l'elemosina, la continenza e l'amore, affinché in ogni modo possiamo ottenere la remissione dei peccati in questa vita e andare nell'altra con grande confidenza. Voglia il cielo che tutti noi la conseguiamo, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, con il quale sia gloria al Padre, insieme allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.


Giovanni Crisostomo, Discorsi sul povero Lazzaro, 4, 4-7



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