«Ecco quant'è buono e quant'è gioioso che i fratelli dimorino assieme» (Sal. 133,1). Il nostro intento nelle pagine che seguono è quello di riflettere su alcuni insegnamenti e regole che la sacra Scrittura ci offre per la vita in comune sotto l'autorità della Parola. Non è una cosa così ovvia come spesso si crede che il cristiano possa vivere in mezzo ad altri cristiani. Gesù stesso visse in mezzo ai suoi nemici. Alla fine lo abbandonarono anche tutti i discepoli. Sulla croce rimase completamente solo, circondato da malfattori e da gente che si beffava di lui. Per questo egli era venuto, per portare la pace ai nemici di Dio. Perciò anche il cristiano non deve chiudersi nella solitudine di una vita monastica, ma vivere in mezzo ai suoi nemici. Lì è la sua missione, lì il suo lavoro. «Il Regno deve essere in mezzo ai suoi nemici. E chi non vuole sopportare questa situazione, non vuol far parte del Regno di Cristo, ma vuole trovarsi in mezzo ad amici, sedere circondato da rose e gigli, vivere non presso uomini malvagi, ma presso gente pia. O bestemmiatori di Dio e traditori di Cristo! Se Cristo avesse agito come agite voi, chi mai avrebbe potuto essere beato?» (Lutero).
«Io li disseminerò fra i popoli ed essi si ricorderanno di me nei paesi lontani» (Zac 10,9). I cristiani sono, per volontà di Dio, un popolo disperso, disseminato «in mezzo a tutti i regni della terra» (Dt 28,25). Ecco la loro condanna e la loro promessa. Il popolo di Dio deve vivere in paesi stranieri, in mezzo a gente miscredente, ma sarà il seme del Regno di Dio in tutto il mondo.
«Io li raccoglierò, perché io li voglio riscattare» e «torneranno» (Zc 10,8 - 9). Quando avverrà? È già avvenuto in Gesù Cristo, che morì «per raccogliere in uno i figlioli di Dio dispersi» (Gv 11,52), e sarà visibile alla fine dei tempi, quando gli angeli di Dio raduneranno i suoi eletti, «dai quattro venti dall'un capo ali'altro dei cieli» (Mt 24,31). Fino a quel momento il popolo di Dio resta nella dispersione, unito solo in Gesù Cristo divenuto uno dal fatto che, seminato in mezzo ai miscredenti, pensa a lui nel paese straniero.
Perciò nel periodo che intercorre tra la morte di Cristo e il giudizio universale, è solo un'anticipazione concessa dalla grazia di Dio, se dei cristiani già da qui possono vivere insieme con altri cristiani in una comunità visibile. È per la grazia di Dio che una comunità può riunirsi visibilmente, in questo mondo, attorno alla Parola ed al sacramento. Non tutti i cristiani possono essere partecipi di questa grazia. I prigionieri, gli ammalati, i solitari nella dispersione, i predicatori dell'Evangelo nei paesi pagani sono soli.
Essi sanno che la comunione visibile, è una grazia. Pregano assieme al salmista che vorrebbe «procedere con la folla e guidarla alla casa di Dio tra i canti di giubilo e di lode d'una moltitudine in festa» (Sal 42,5). Ma restano soli, un seme sparso in paesi lontani secondo la volontà del Signore. Ma essi afferrano nella fede con tanto più ardente desiderio ciò che è loro negato come esperienza visibile. Così il discepolo del Signore esiliato, Giovanni l'apocalittico, nella sua solitùdine, dell'isola di Patmos partecipa «in spirito nel giorno di doménica» al culto divino insieme con le sue comunità (Ap 1,10). Egli vede i sette candelabri, cioè le sue comunità, le sette stelle, che sono gli angeli delle comunità, ed al centro al di sopra di tutto il Figlio dell'uomo, Gesù Cristo, nella sua grande gloria di risorto. E questi lo consola e fortifica mediante la sua Parola. In questo consiste la comunione divina a cui l'esiliato partecipa il giorno della risurrezione del suo Signore.
La presenza fisica di altri cristiani è per il credente fonte di incommensurabile gioia e fortificazione. Con profonda nostalgia l'apostolo Paolo prigioniero chiama a sé nella sua prigione «il suo caro figlio nella fede» Timoteo, negli ultimi, giorni della sua vita; lo vuole rivedere ed avere vicino. Paolo non ha dimenticato le lacrime sparse da Timoteo all'ultimo addio (2 Tim. 4,4). Pensando alla comunità di Tessalonica, l'apostolo Paolo prega «notte e giorno intensamente di poter vedere il vostro volto» (1 Tess. 3,10), ed il vecchio Giovanni sa che la gioia che prova al pensiero dèi suoi sarà perfetta solo quando potrà andare da loro e parlare loro a voce invece che per mezzo di «carta e inchiostro» (2 Gv 12). Non ha motivo di vergognarsi e sentirsi ancora troppo legato alla carne, se un credente desidera vedere il volto corporeo di altri cristiani. L'uomo è creato con un corpo, e il Figlio di Dio comparve per noi in terra corporalmente, fu risuscitato nel corpo, nel corpo il credente riceve il sacramento, e la risurrezione dei morti porterà la piena comunione delle creature di Dio spirituali e corporali insieme. Nella presenza fisica del fratello il credente glorifica il creatore, il redentore, il riconciliatore, il salvatore, Dio Padre, Figlio e Spirito santo. Il prigioniero, l'ammalato, il cristiano in diaspora riconosce nella vicinanza del fratello un segno corporale della presenza del Dio uno e trino. Visitatore e visitato riconoscono nella solitudine l'uno nell'altro il Cristo che è presente fìsicamente; essi si accolgono reciprocamente e s'incontrano come s'incontra il Signore, con rispetto, umiltà e gioia. Essi ricevono l'uno dall'altro la benedizione come benedizione del Signóre Gesù Cristo. Ma se già in un solo incontro del fratello con il fratello c'è tanta gioia, quale infinita ricchezza si deve offrire a coloro che, secondo la volontà del Signore, sono ritenuti degni di vivere giorno dopo giorno in comunione di vita con altri cristiani! Certo è facile che quanto chi è solo ritiene una indicibile grazia di Dio, da chi gode continuamente di questo dono sia tenuto in poco conto e venga calpestato. Si dimentica facilmente che la comunione con fratelli cristiani è un dono della grazia del Regno di Dio, che può esserci tolto ogni momento, che passerà forse solo un breve tempo prima che siamo gettati nella più profonda solitudine. Perciò, chi fino da ora può godere di una vita cristiana insieme con altri cristiani glorifichi la grazia di Dio dal più profondo del suo cuore e ringrazi Dio e riconosca che è grazia, null'altro che grazia se oggi ancora possiamo vivere in comunione
2. Comunità è comunione di vita mediante Cristo e in Cristo
La misura in cui Dio concede il dono di una comunità visibile è vario. Il cristiano in diaspora è consolato da una breve visita di un fratello cristiano, da una preghiera in comune e dalla benedizione fraterna; è persino fortificato da una lettera scrittagli da mano cristiana. Il saluto aggiunto dall'apostolo Paolo di propria mano alle sue lettere era certo anche un segno di questa comunione. Ad altri è donata la comunione nel culto domenicale. Altri ancora possono vivere una vita cristiana nella comunità familiare; giovani teologi, prima della loro consacrazione, godono del dono di una vita in comune con i fratelli per un certo tempo. Tra cristiani impegnati di una comunità oggi nasce il desiderio di incontrarsi, negli intervalli concessi dal loro lavoro, con altri cristiani, per breve tempo, per vivere insieme e studiare insieme la Parola. La vita in comune, oggi, è di nuovo sentita dai cristiani come quella grazia che veramente è, come la situazione di eccezione, come rose e gigli della vita cristiana (Lutero).
Comunione cristiana è comunione per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Non esiste comunione cristiana che sia più di questo e nessuna che sia meno. Solo questo, sia nel breve incontro di una sola volta sia in una comunione quotidiana prolungata negli anni. Siamo uniti solo per mezzo di Gesù Cristo e in Lui.
Che cosa significa?
In primo luogo vuol dire che un cristiano ha bisogno dell'altro per Gesù Cristo.
In secondo luogo che un cristiano incontra l'altro solo per mezzo di Gesù Cristo.
In terzo luogo che in Gesù Cristo siamo stati eletti fin dall'eternità, accolti nel tempo e uniti per l'eternità.
Primo: cristiano è l'uomo che non cerca più la sua salvezza, la sua salute, la sua giustizia in se stesso, ma solo in Gesù Cristo. Il cristiano sa che la Parola di Dio in Gesù Cristo lo giudica colpevole, anche se lui stesso non si sente colpevole, e la Parola di Dio in Gesù Cristo lo dichiara innocente e giusto, anche quando non si sente affatto giusto. Il cristiano non vive più di se stesso, dell'accusa di sé o della propria giustificazione, ma dell'accusa e della giustificazione di Dio. Vive completamente della Parola che Dio pronuncia su di lui, nella fiduciosa accettazione del suo giudizio, sia che esso la giudichi colpevole sia che lo giustifichi. La morte e la vita del cristiano non sono più chiusi in lui stesso; egli trova ambedue solo nella Parola che dall'esterno gli viene incontro nella Parola di Dio rivolta a lui. I riformatori hanno espresso questo pensiero: «la nostra giustizia è una giustizia estranea, una giustizia che ci viene da fuori (extra nos». Con ciò hanno detto che il cristiano dipendedalla Parola di Dio che gli viene rivolta: egli è teso verso l'esterno, verso la Parola che gli viene incontro. Il cristiano vive completamente della verità della Parola di Dio in Gesù Cristo: Se gli si chiede: «dov'è la tua salvezza, la tua beatitudine, la tua giustizia?», egli non può mai indicare se stesso, ma la Parola di Dio in Gesù Cristo che gli attribuisce salvezza, beatitudine, giustizia. Egli cerca questa Parola dove può. Poiché ogni giorno è affamato e assetato di giustizia, egli desidera sempre di nuovo questa Parola redentrice. Ed essa può venirgli solo dall'esterno. Lui in se stesso è povero e morto. Dall'esterno deve venirgli l'aiuto, ed esso è venuto e viene ogni giorno di nuovo nella Parola di Gesù Cristo che ci porta la salvezza, la giustizia, l'innocenza, la beatitudine. Ma Dio ha posto questa Parola in bocca a uomini, perché venga trasmessa da un cristiano all'altro. Quando uno è stato da essa raggiunto egli la dice al prossimo. Dio ha voluto che cercassimo e trovassimo la sua Parola viva nella testimonianza del fratello, sulla bocca dell'uomo. Perciò il cristiano ha bisogno del cristiano che gli dica la Parola di Dio, ne ha sempre di nuovo bisogno quando è incerto e scoraggiato; perché non può aiutarsi da solo senza defraudarsi della verità. Ha bisogno del fratello quale portatore e nunzio della Parola salvifica di Dio. Ha bisogno del fratello solo per Gesù Cristo. Il Cristo nel proprio cuore è più debole del Cristo nella parola del fratello; quello è incerto, questo è certo. Da ciò risulta anche chiaro lo scopo di ogni comunità cristiana: i cristiani si incontrano come nunzi del messaggio della salvezza. Come tali Dio li fa riunire e dona loro la comunione; solo per mezzo di Gesù Cristo e della «giustizia estranea» è giustificata la loro comunione. Possiamo solo dire: dal messaggio annunziato dalla Bibbia e dai riformatori che l'uomo è giustificato solo per grazia, nasce la comunione dei cristiani; solo in esso è fondato il bisogno reciproco dei cristiani.
Secondo: un cristiano incontra il prossimo solo per opera di Gesù Cristo. Tra gli uomini regna la discordia: «Egli è la nostra pace» (Ef 2,14), dice l'apostolo Paolo di Gesù Cristo, l'umanità vecchia e discorde è divenuta sua. Senza Cristo tra Dio e gli uomini e tra uomo e uomo regna la discordia. Cristo si è fatto mediatore e ha ristabilita la pace con Dio e tra gli uomini. Senza Cristo non conosceremmo Dio, non potremmo invocarlo, non potremmo venire a Lui. Ma senza Cristo non conosceremmo nemmeno il fratello e non potremmo incontrarlo. La via è bloccata dal nostro stesso io. Cristo ha aperta la via a Dio e al fratello. Ora i cristiani possono vivere insieme in pace, possono amarsi e servirsi gli uni gli altri, possono divenire uno. Ma anche ora lo possono solo tramite Gesù Cristo. Solo in Gesù Cristo siamo uno, solo tramite Lui siamo legati gli uni agli altri. Egli resta sempre l'unico mediatore.
Terzo: quando il Figlio di Dio prese su di sé la nostra carne, egli ha preso su di sé per grazia il nostro essere, la nostra natura, noi stessi, veramente e fisicamente. Questa fu l'eterna decisione del Dio uno e trino. Ora siamo in Lui. Dove Egli si trova, porta la nostra carne, porta noi. Dov'è Lui siamo anche noi, nella sua incarnazione, nella croce, nella sua resurrezione; apparteniamo a Lui, perché siamo in Lui. Perciò la Sacra Scrittura ci chiama corpo di Cristo. Ma se siamo stati eletti in Gesù, prima, che potessimo saperlo e volerlo, e siamo stati accettati con tutta la comunità, apparteniamo tutti insieme a Lui per l'eternità.
Noi che viviamo qui in comunione con Lui, saremo poi uniti con Lui in comunione eterna. Chi guarda il fratello, sappia che sarà unito a lui eternamente in Gesù Cristo. Comunione cristiana significa comunione per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Su questa premessa si basano tutte le indicazioni e regole che la Sacra Scrittura dà per la vita comunitaria dei cristiani.
«Ora, quanto all'amore fraterno non avete bisogno che vi scriva, giacché voi stessi siete stati ammaestrati da Dio ad amarvi gli uni gli altri... Ma vi esortiamo, fratelli, che maggiormente abbondiate in questo» ( 1 Ts 4,9 ss.). Dio stesso si è assunto il compito di insegnarci l'amore fraterno; tutto ciò che gli uomini possono ancora aggiungere sta nel ricordo di quell'insegnamento divino e nell'ammonimento di abbondare ancora più pienamente in esso. Quando Dio ebbe misericordia di noi, quando ci manifestò Gesù Cristo come fratello, quando si conquistò il nostro cuore con il suo amore, in quello stesso momento incominciò anche l'insegnamento dell'amore fraterno. Quando Dio ebbe misericordia di noi, noi imparammo ad avere misericordia del fratello; quando invece del giudizio ci fu concesso il perdono, fummo preparati a perdonare al fratello. Ciò che Dio faceva per noi, noi lo dovevamo pure al fratello. Quanto più avevamo ricevuto, tanto più potevamo dare, e quanto più misero era il nostro amore per il fratello, certo tanto meno vivevamo della misericordia e dell'amore di Dio. Così Dio stesso ci insegnò a incontrarci tra fratelli quando Dio ci è venuto incontro in Cristo. «Accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio» (Rm 1, 5.7).
È da questo che l'uomo posto da Dio insieme con altri fratelli in una vita comunitaria impara che cosa significhi aver dei fratelli. «Fratelli nel Signore», così Paolo chiama la sua comunità (Fil. 1,14). È solo in Gesù Cristo che siamo fratelli l'uno dell'altro. Io sono fratello per l'altro a motivo di ciò che Gesù Cristo ha fatto per me e in me, e l'altro mi è divenuto fratello a motivo di ciò che Gesù Cristo ha fatto per lui e in lui. È un fatto di straordinaria importanza che noi siamo fratelli solo per opera di Gesù Cristo. Non avrò dunque a che fare, nella comunità, con il fratello che mi viene incontro in cerca di fraternità; fratello è il mio prossimo salvato da Cristo, assolto dai suoi peccati, chiamato alla fede e alla vita eterna. La nostra comunione non può essere fondata su ciò che un cristiano è in se stesso, in tutta la sua interiorità e pietà; ciò che è determinante per la nostra comunione è ciò che uno è in Cristo. La nostra comunione si basa solo su ciò che Cristo ha fatto per ambedue; e questo non succede solo all'inizio, così che col passar del tempo si aggiungerebbe ancora qualcosa in più a questa comunione; no, resta così per tutto il futuro e per tutta l'eternità. Io ho ed avrò comunione con l'altro solo per mezzo di Gesù Cristo, Quanto più vera e profonda diventa la nostra comunione, tanto più tutto quello che può esserci tra di noi svanirà e tanto più chiaro e puro regnerà in noi solo Gesù Cristo e la sua opera. Apparteniamo gli uni agli altri solo per mezzo di Gesù Cristo, ma per Gesù Cristo ci possediamo completamente, ci possediamo per la eternità.
3. Comunità non è un ideale umano ma una realtà divina
Questo fatto mette, in partenza, al bando ogni torbido desiderio di avere di più. Chi vuole di più di quanto Cristo ha fatto nascere tra di noi, non cerca la fratellanza cristiana; costui cerca qualche eccezionale esperienza comunitaria, che gli è negata altrove; egli intromette nella comunione fraterna desideri torbidi ed impuri. Proprio in questo punto la comunità cristiana è per lo più gravemente minacciata, fin dall'inizio, di essere avvelenata nel suo intimo, cioè rischiamo di scambiare la comunione cristiana con un ideale, mescolando il naturale desiderio di comunione, provato da un cuore pio, con la realtà spirituale della fratellanza cristiana. Per una comunione cristiana è fondamentale che sia ben chiaro fin dall'inizio:
Primo: fratellanza cristiana non è un ideale, ma una realtà divina. Secondo: la fratellanza cristiana è una realtà pneumatica e non psichica.
Infinite volte tutta una comunità cristiana si è spezzata, perché viveva di un ideale. Proprio il cristiano serio, che per la prima volta si vede posto a vivere in una comunità cristiana, porta con sé un'immagine ben precisa della vita in comune di cristiani e cercherà di attuarla. Ma la forza del Signore ben presto farà crollare tutti questi ideali. Dobbiamo essere profondamente delusi degli altri, dei cristiani in generale e, se va bene, anche di noi stessi, quant'è vero che Dio vuole condurci a riconoscere la realtà di una vera comunione cristiana. È la bontà di Dio che non ci permette di vivere, anche solo per brevi settimane, secondo un ideale, di credere a quelle beate esperienze, a quello stato di entusiasmante estasi, che ci mette come in uno stato d'ebbrezza. Il Signore non è Signore di emozioni, ma della verità. Solo la comunità che è profondamente delusa per tutte le manifestazioni spiacevoli connesse con la vita comunitaria, incomincia ad essere ciò che deve essere di fronte a Dio, ad afferrare nella fede le promesse che le sono state fatte. Quanto prima arriva, per il singolo e per tutta la comunità, l'ora di questa delusione, tanto meglio per tutti. Una comunità che non fosse in grado di sopportare una tale delusione e non le sopravvivesse, che cioè restasse attaccata al suo ideale, quando questo deve essere frantumato, in quello stesso istante perderebbe tutte le promesse di comunione cristiana stabile e, prima o dopo, si scioglierebbe. Ogni ideale umano che venisse portato in una comunità cristiana, impedisce la vera comunione e deve essere spezzato, perché la comunità cristiana possa veramente vivere. Chi ama il suo ideale di comunità cristiana più della comunità cristiana stessa, distruggerà ogni comunione cristiana, per quanto sincere, serie, devote siano le sue intenzioni personali.
Dio odia le fantasticherie, perché rendono superbi e pretenziosi. Chi nella sua fantasia si crea una immagine di comunità, pretende da Dio, dal prossimo e da se stesso la sua realizzazione. Egli entra a far parte della comunità di cristiani con pretese proprie, erige una propria legge e giudica secondo questa i fratelli e Dio stesso. Egli assume, nella cerchia dei fratelli, un atteggiamento duro, diviene quasi un rimprovero vivente per tutti gli altri. Agisce come se fosse lui a creare la comunità cristiana, come se il suo ideale dovesse creare l'unione tra gli uomini. Considera fallimento tutto ciò che non corrisponde più alla sua volontà. Lì dove il suo ideale fallisce, gli pare che debba venir meno la comunità. E così egli rivolge le sue accuse prima contro i suoi fratelli, poi contro Dio, ed infine accusa disperatamente se stesso. Dio ha già posto una volta per sempre l'unico fondamento della nostra comunione. Dio ci ha uniti in un sol corpo in Gesù Cristo, molto prima che noi entrassimo a far parte di una comunità con altri cristiani; perciò ci uniamo con altri cristiani in vita comunitaria non avanzando pretesa alcuna, ma con gratitudine e pronti a ricevere. Ringraziamo Dio per ciò che ha fatto per noi; lo ringraziamo perché ci ha dato fratelli che vivono nell'ascolto della sua chiamata, del suo perdono e della sua promessa. Non ci lamentiamo con Dio per ciò che egli non ci concede, ma lo ringraziamo per ciò che ci dà ogni giorno. Non è forse sufficiente ciò che ci viene donato? Fratelli che nel peccato e nel dolore vivano e camminino insieme con noi sotto la benedizione della sua grazia. Forse che il dono di Dio, in un giorno qualunque, anche nei giorni più difficili e dolorosi di una comunità cristiana, è meno di questo dono così grande ed incomprensibile? Forse che li dove colpa e malintesi dominano la vita in comune, anche il fratello peccatore non resta pur sempre il fratello insieme col quale mi trovo sotto la Parola di Cristo? Ed il suo peccato non offre pur sempre nuova occasione di gratitudine per il fatto che ambedue possiamo vivere in quell'unico amore che ci perdona in Gesù Cristo? Forse che proprio l'ora della profonda delusione per l'atteggiamento del fratello non mi riuscirà estremamente salutare, perché insegna così radicalmente che ambedue non possiamo vivere mai delle nostre parole e azioni, ma solo di quell'unica Parola e di quell'unico fatto che ci unisce nella verità, cioè nel perdono dei peccati in Gesù Cristo? Lì dove le nebbie mattutine delle nostre illusioni si levano, ecco che incomincia la luminosa giornata della comunione cristiana. Nella comunità cristiana il ringraziamento ha lo stesso ruolo che nella vita del singolo cristiano. Solo chi ringrazia per le cose piccole riceve pure quelle grandi. Noi impediamo Dio di concederci i grandi doni spirituali, che Egli tiene in serbo per noi, perché non ringraziamo per i doni quotidiani. Crediamo di non doverci accontentare delle esperienze spirituali, della conoscenza, dell'amore, che ci sembrano dati in piccola misura, ma di dover ricercare bramosi i doni maggiori. Ci lamentiamo di mancare della grande certezza, della forte fede, delle ricche esperienze che Dio ha concesso ad altri cristiani, e ci riteniamo molto pii per queste nostre lamentele. Chiediamo nelle nostre preghiere cose grandi e dimentichiamo di ringraziare per i piccoli (e pure in realtà per nulla piccoli!) doni giornalieri. M come potrebbe il Signore affidare cose grandi a chi non è capace di accettare da Lui con gratitudine le cose piccole?
Se non ringraziamo ogni giorno per la comunione cristiana nella quale siamo posti, anche quando ne facciamo grandi esperienze ne riceviamo ricchezze sei sibili, ma anzi sentiamo la nostra debolezza, la poca fede, le difficoltà, se continuiamo a lamentarci con Dio che tutto resta ancora così misero e così piccolo, che nulla corrisponde alle nostre aspettative impediamo a Dio di accrescere la nostra comunione nella nella misura e con le ricchezze che sono pronte per noi Gesù Cristo. E questo si riferisce in particolare a che alle lamentele che si sentono così spesso da parte di pastori e di membri di Chiesa zelanti a proposito della loro comunità. Un pastore non si lamenti della sua comunità con Dio, ma tanto meno con gli uomini; la comunità non gli è stata affidata perché egli si faccia suo accusatore davanti a Dio e agli uomini.
Chi è deluso di una comunità cristiana nella quale è stato posto, esamini prima se stesso, se non è magari solo un ideale che Dio spezza; e se si rende conto che le cose stanno così, ringrazi Dio che ha condotto in questo travaglio; se invece ritiene che le cose non sono così, eviti, però, di farsi accusatore della comunità del Signore, ma accusi piuttosto stesso per la sua mancanza di fede, chieda a Dio che gli insegni a riconoscere il suo fallimento ed il suo particolare peccato, preghi di non rendersi colpevole di fronte ai suoi fratelli; riconoscendo la propria colpa, interceda per i suoi fratelli, si dedichi al suo compito e ringrazi il Signore.
Per una comunità cristiana accade lo stesso che per la nostra santificazione: è un dono di Dio che non possiamo reclamare. Solo Dio sa a che punto è la nostra comunione, a che punto la nostra santificazione. Ciò che a noi pare debole e povero per Dio può essere grande e magnifico. Il cristiano non deve continuamente stare a sentire il polso della sua vita spirituale, e così pure la comunità cristiana non ci è data perché misuriamo insistentemente la sua temperatura. Quanto più profonda è la gratitudine con la quale accettiamo ogni giorno ciò che ci viene donato, tanto più certa e costante sarà la crescita quotidiana della comunione secondo la volontà di Dio.
Comunione cristiana non è un ideale che dobbiamo sforzarci di realizzare, ma una realtà data da Dio in Cristo, alla quale possiamo partecipare. Quanto più chiaramente impaliamo a vedere il fondamento e la forza e la promessa di ogni nostra comunione in Gesù Cristo solamente, tanto più serenamente impareremo pure a riflettere sulla nostra comunità e a pregare e sperare per essa.
Dato che la comunità cristiana è basata solo su Gesù Cristo, essa è una realtà pneumatica e non psichica. Ed in questo veramente essa differisce da Ogni altra comunità. La Sacra Scrittura indica col termine pneumatico ( = spirituale) ciò che solo lo Spirito Santo crea, il quale pone nei nostri cuori Gesù Cristo come nostro Signore e Salvatore; chiama, invece, psichico ( = dell'animo) ciò che nasce dagli istinti, dalle forze naturali, dalla disposizione dell'animo umano.
Il fondamento di ogni realtà spirituale è la chiara Parola di Dio manifestata in Gesù Cristo. Il fondamento di ogni realtà psichica è il desiderio tenebroso e torbido dell'animo umano. Il fondamento della comunione spirituale è la verità, il fondamento della comunione psichica è la brama. L'essenza della comunione spirituale è la luce. — «Dio è luce e in lui non vi sono tenebre alcune» (1 Giov. 1,5) — «Se camminiamo nella luce, com'Egli è nella luce, abbiamo comunione l'uno con l'altro». La natura della comunione psichica è tenebre — «poiché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri» (Mc 7,21).
4. Comunione spirituale e comunità psichica
È la notte fonda che copre ogni opera umana nelle sue origini, anche tutti gli istinti nobili e pii. Comunione spirituale è la comunione di coloro che sono chiamati da Cristo; psichica è la comunione delle anime religiose. Nella comunione spirituale vive il chiaro amore del servizio fraterno, l'agape; nella comunione psichica arde il fosco amore degli empi istinti pii, dell'eros. Là regna il servizio fraterno ordinato, qui la disordinata brama di godimento; là l'umile sottomissione sotto il fratello, qui il Superbo-Umile assoggettamento del fratello ai propri desideri. Nella comunione spirituale regna solo la Parola di Dio; nella comunione psichica accanto alla Parola domina ancora l’uomo dotato di particolari forze, di esperienza, di disposizioni suggestivo-magiche. Là il legame è dato solo dalla parola di Dio, qui il legame è anche un tentativo di vincolare l'altro a sé. Là ogni potenza, gloria e signoria è data allo Spirito Santo; qui si cercano e si coltivano sfere di potere e di influsso personali, finché si tratta di persone pie, certo con l'intenzione di servire alle cose migliori e più nobili, ma in realtà, nonostante tutto, per detronizzare lo Spirito Santo e tenerlo ad una distanza irreale. Infatti qui rimane reale solo quanto v'è di psichico. Perciò lì regna lo Spirito, qui la psicotecnica, il metodo; lì l'amore del prossimo sincero, prepsicologico, premetodico, pronto ad aiutare; qua l'analisi e le costruzioni psicologiche; lì il servizio umile e semplice reso al fratello, qua il trattamento calcolatore ed indagatore dell'estraneo.
Forse la seguente osservazione può rendere più evidente il contrasto tra la realtà spirituale e quella psichica: entro una comunità spirituale non può mai esserci in nessun modo una relazione «immediata» tra l'uno e l'altro; nella comunità psichica invece regna un desiderio di comunione profondo, originale, psichico, di contatto immediato con le altre anime, così come nella carne vive il desiderio di immediata unione con altra carne. Questa brama dell'animo umano cerca la completa fusione dell'io con il tu, sia che essa si effettui nell'unione dell'amore sia che si effettui nel forzato assoggettamento dell'altro alla propria sfera di influenza e di potere, il che in fondo è lo stesso. Qui chi è psichicamente più forte si sfoga e si attira l'ammirazione, l'amore o il timore del più debole. Tutto si basa su vincoli umani, su suggestione, su asservimento, e tutto ciò che è caratteristico e proprio solo della comunione data da Cristo, in questa immediata comunione delle anime, compare come caricatura.
Esiste una conversione psichica, che si manifesta con tutti i segni di una vera conversione lì dove, in seguito all'abuso conscio o inconscio della superiorità di un; uomo, un singolo o tutta una comunità sono profondamente emozionati e attirati nella sua sfera d'influenza. Qui l’animo ha esercitato il suo influsso direttamente su un'altra anima. Il più debole è stato sopraffatto dal più forte; la resistenza del più debole è stata spezzata dalla personalità dell'altro. È stato violentato, ma non vinto dalla causa. E questo si manifesta nel momento in cui si richiede un impegno per la causa indipendentemente dalla persona alla quale sono .legato o forse anche in contrasto con questa. A questo punto chi è psichicamente convertito crolla e manifesta in tal modo che la sua conversione non è opera dello Spirito Santo, ma di un uomo e che perciò non è duratura.
Ed altrettanto esiste un amore psichico' per il prossimo. Esso è capace di compiere i sacrifici più inauditi; nella sua ardente dedizione e nei suoi successi visibili supera spesso il vero amore cristiano, parla il linguaggio cristiano con una eloquenza sbalorditiva ed elettrizzante. Ma è questo l'amore di cui l'apostolo dice: «E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso» — cioè se compissi le maggiori azioni d'amore con la massima dedizione — «se non ho carità (cioè l'amore di Cristo), ciò niente mi giova» (1 Cor. 13,3). L'amore psichico ama il prossimo per se stesso, l'amore spirituale ama il prossimo per Cristo. Perciò l'amore psichico cerca il contatto immediato con l'altro, non lo ama nella sua libertà, ma come uno che è legato ad esso; vuole vincere, conquistare ad ogni costo, insiste presso l'altro, vuoi essere irresistibile, vuole dominare. L'amore psichico non tiene in gran conto la verità, la relativizza, perché nulla, nemmeno la verità, deve intromettersi tra lui e l'essere amato. L'amore psichico desidera l'altro, la comunione con lui, il suo amore, ma non lo serve. Anzi, anche lì dove sembra servire, desidera ancora qualcosa per sé. Due cose, che in fondo sono la stessa, mettono in luce la differenza tra amore spirituale e amore psichico: l'amore psichico non riesce a sopportare lo scioglimento di una comunità non più vera per amore di una comunione vera; l'amore psichico non può amare il nemico, quello, cioè, che gli si oppone ostinatamente e seriamente. Questi sentimenti nascono ambedue dalla stessa origine: l'amore psichico per natura è amore che desidera qualcosa per sé, è, cioè, brama di comunione psichica. Finché è in grado di accontentare in qualche modo questo desiderio, non vi rinunzia mai, nemmeno per amore della verità, nemmeno per il vero amore del prossimo. Dove, però, non ha più speranza di soddisfare questa sua brama, lì è arrivato alla sua fine, cioè al nemico; si muta in odio, disprezzo e calunnia.
5. L'amore spirituale come fondamento della comunità
Ma proprio qui è il punto dove ha inizio l'amore spirituale. Perciò l'amore psichico diviene odio personale lì dove incontra il sincero amore spirituale che non desidera nulla per sé, ma serve il prossimo. L'amore psichico si rende da sé fine a se stesso, opera, idolo, che adora ed al quale deve asservire ogni cosa. Cura, coltiva, ama se stesso e null'altro a questo mondo. L'amore spirituale, invece, viene da Gesù Cristo, serve solo Lui, sa che non ha accesso immediato al prossimo. Cristo sta tra me e l'altro. Che cosa significhi amore per il prossimo non lo so in partenza, solo dal concetto generico di amore sorto dal mio desiderio psichico — anzi, tutto ciò, forse, davanti a Cristo può essere proprio odio e massimo egoismo —; che cosa è amore mi vien detto solamente da Cristo nella sua Parola. Contro ogni mia propria opinione e convinzione Gesù Cristo mi dirà come si manifesta realmente l'amore per il fratello. Perciò l’more, per il cristiano, è legato solo alla Parola di Gesù Cristo. Lì dove Cristo, a causa dell'amore, vuole che io viva in comunione con altri, lo farò; lì dove la sua verità, a causa dell'amore, mi ordina di interrompere una comunione, la interrompo a dispetto di ogni protesta del mio amore psichico. Poiché l'amore spirituale non desidera nulla per sé, ma pensa solo a servire, ama tanto il nemico quanto il fratello. Esso infatti non è nato ne dal fratello ne dal nemico, ma da Cristo e dalla sua Parola. L'amore psichico non comprenderà mai quello spirituale; poiché l'amore spirituale viene dall'alto ed ha qualcosa di completamente estraneo, nudo, incomprensibile per l'amore terreno.
Dato che Cristo sta tra me e l'altro, non devo desiderare una comunione immediata con questo. Come solo Cristo poteva parlare con me in modo da soccorrermi realmente, così anche l'altro può essere aiutato solo da Cristo stesso. Ma ciò significa che lo devo lasciare libero l'altro e non tentare di determinare le sue decisioni, costringerlo o dominarlo con il mio amore. Essendo libero da me, l'altro vuole essere amato così come è veramente, cioè come un uomo per il quale Cristo ha conquistato la remissione dei peccati ed al quale ha preparato la vita eterna. Poiché Cristo ha già da tempo compiuto la sua opera nel mio fratello, ben prima che io potessi incominciare la mia opera in lui, perciò devo lasciar libero il fratello per Cristo; egli deve incontrarmi solo da quell'uomo che egli è già per Cristo. Ecco che cosa significa che possiamo incontrare il prossimo solo tramite Gesù Cristo. L'amore psichico si crea, una propria immagine dell'altro, di ciò che quello è e di ciò che deve diventare. Prende la vita del prossimo nelle proprie mani. L'amore spirituale riconosce la vera immagine del prossimo tramite Gesù Cristo; è l'immagine che Gesù Cristo ha forgiato e che vuole forgiare.
Perciò l'amore spirituale resterà costante affidando, in tutto ciò che dice e che fa, il prossimo a Cristo. Non tenterà di suscitare nel suo animo emozioni cercando di influenzarlo troppo personalmente ed immediatamente, o intervenendo nella sua vita in maniera impura; non proverà piacere nell'eccitazione dei sentimenti e nell'eccessivo ardore religioso; ma lo incontrerà con la chiara Parola di Dio e sarà pronto a lasciarlo solo con questa Parola per un lungo periodo, a lasciarlo di nuovo libero, perché Cristo possa operare in lui. Rispetterà i limiti che sono posti tra me e l'altro da Cristo e troverà la piena comunione con lui nel Cristo che ci congiunge e unisce tutti.
Perciò parlerà più con Cristo del fratello che non di Cristo al fratello. Sa che la via più breve che porta all’altro passa attraverso la preghiera rivolta a Cristo e che l'amore per lui è completamente legato, alla verità in Cristo. Riguardo a questo amore l'apostolo Giovanni dice: «Io non ho maggiore allegrezza di questa, di udire che i miei figlioli camminano nella verità» (3 Gv 4).
L'amore psichico vive di un'oscura bramosia incontrollata e incontrollabile; l'amore spirituale, vive nella chiarezza e nel servizio ordinato dalla verità. L'amore psichico lega, produce asservimento e irrigidimento; l'amore spirituale porta frutti che crescono all'aperto, sotto la pioggia e la tempesta, al sole, in pieno vigore, come piace a Dio.
Per ogni convivenza cristiana è questione di vita o di morte promuovere in tempo la capacità di discernere tra ideale umano e realtà divina, tra comunione spirituale e comunione psichica. È questione di vita o di morte di una comunità cristiana saperne, quanto prima, giudicare spassionatamente. Cioè: una vita. vissuta in comune sotto la Parola può restare sana lì dove non si presenta come movimento, ordine monastico, associazione, collegium pietatis, ma come parte della Chiesa universale, una e santa; dove partecipa, lavorando e soffrendo, al travaglio, al combattimento, alla promessa di tutta la Chiesa. Ogni principio di selezione e ogni conseguente separazione, che non è obiettivamente condizionata da un lavoro comune, da cause locali, da nessi familiari, è un vero pericolo per una comunità cristiana.
Nella via della selezione intellettuale o spirituale si introduce spesso di nuovo di soppiatto il fattore psichico e defrauda la comunione della sua forza spirituale e della sua efficacia per la comunità, la spinge ad assumere un atteggiamento settario. L'esclusione dalla comunità di chi è debole o modesto o apparentemente mutile può addirittura comportare l'esclu-sione di Cristo, che bussa alla nostra porta nel fratello povero. Perciò dobbiamo essere particolarmente cauti su questo punto.
Un osservatore superficiale potrebbe pensare che il pericolo di confondere l'ideale con la realtà, il fattore spirituale con quello psichico sia maggiore lì dove una comunità è variamente strutturata, cioè: lì dove, come nel matrimonio, nella famiglia, nell'amicizia il fattore psichico ha un'importanza preminente nella formazione della comunità in genere, e dove il fattore spirituale si aggiunge solo a quello fisico-psichico. Veramente solo in tali comunità si correrebbe il pericolo di mescolanza e di confusione delle due sfere, mentre essa potrebbe difficilmente aver luogo in una comunità di carattere prettamente spirituale. Ma chi pensa così, incorre in un grave errore. Tutte le esperienze e, come si vede facilmente, anche la cosa in sé ci dimostrano proprio il contrario. Un vincolo matrimoniale, una famiglia, un'amicizia conoscono molto chiaramente i limiti delle loro forze intese a creare la comunione; sanno molto bene, se sono sani, dove finisce il fattore psichico e dove incomincia quello spirituale. Conoscono il contrasto tra comunione fisico-psichica e comunione spirituale. D'altro canto dove si mette insieme una comunità di carattere puramente spirituale è molto vicino il pericolo che vengano portati nella comunità tutti i fattori psichici e vi vengano confusi.
Unirsi in una comunità di carattere prettamente spirituale non è solo pericoloso, ma anzi un fatto del tutto anormale. Dove, in una comunità spirituale, non entra a far parte una comunione fisico-familiare, o la comunione in un serio lavoro, dove non entra la vita quotidiana con tutto ciò che essa pretende dall'uomo che lavora, lì è necessaria una particolare vigilanza e sobrietà. Perciò l'esperienza ci dice che proprio in brevi incontri durante le vacanze il momento psicologico si fa largo assai facilmente. Nulla è più facile che risvegliare l'ebbrezza della comunione in pochi giorni di vita comunitaria, e nulla è più fatale per una vita comunitaria sana, sobria e fraterna nel lavoro quotidiano.
Non ci sono molti cristiani a cui Dio non conceda, almeno una volta nella loro vita, la esperienza inebriante di una vera comunione cristiana. Ma una simile esperienza in questo mondo non rimane altro che un sovrappiù, una grazia concessa oltre al pane quotidiano di una vita comunitaria cristiana. Non possiamo reclamare simili esperienze, ed esse non sono lo scopo di una vita in comune con altri cristiani. Non è l'esperienza di comunione cristiana ciò che ci con-giunge, ma la fede ferma e certa nella comunione cristiana. Afferriamo per fede come il più grande dono di Dio il fatto che è Dio che opera ed ha già operato in noi; questo ci rende beati e contenti, ma ci prepara anche a rinunziare a tutte le esperienze se Dio, a volte, non vuole concederle. Siamo congiunti per fede, non per esperienza.
«Ecco quant'è buono e quant'è gioioso per i fratelli dimorare insieme» (Salmo 133,1): questo è l'inno della Sacra Scrittura alla vita in comune sotto la Parola. Volendo spiegare la parola 'insieme' (cioè concordi), possiamo dire «che fratelli dimorino assieme» in Cristo, perché Gesù Cristo solo è la nostra concordia. «Egli è la nostra pace» (Ef. 2,14). Solo tramite lui possiamo incontrarci, godere gli uni degli altri, avere comunione gli uni con gli altri.
D. Bonhoffer, La Vita comune, 35-60

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