martedì 11 marzo 2025

Beati gli affamati, i misericodiosi

 beati quelli che hanno fame e sete di giustizia 

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati. Accostiamoci a Cristo che, guardando le folle oppresse e sfruttate, manifesta la sua fame e sete di giustizia. Non solo sul monte della beatitudine, ma anche sulla croce egli non anela ad altro che a vedere onorato e glorificato il Padre celeste da una società divenuta veramente fraterna e giusta. Fin dall'inizio Cristo ha consacrato tutta la sua vita a questo fine: che il mondo risponda a quella giustizia che Dio Padre manifesta in lui, e lo onori in modo degno. Agli occhi di Cristo non sono sufficienti i vari sacrifici rituali, e a Dio egli offre se stesso, perché la terra ridiventi giusta. 

Di quale giustizia si tratta? Cristo parla della nuova giustizia che viene dal cielo, la giustizia di Dio Padre, amore onnipotente, che avendo creato l'uomo, non può abbandonarlo nella miseria del peccato. Non c'è un titolo di merito da parte dell'uomo per essere riconciliato e reintrodotto all'onore di figlio dopo aver peccato. Ma Dio Padre, per il suo nome, per la sua santità, non abbandona la sua creatura. Tutta la vita di Gesù è manifestazione di questa giustizia misericordiosa. Gesù Cristo, vero uomo e vero nostro fratello, ha ricevuto dal Padre il dono più alto: la figliolanza divina. La sua natura umana è, in modo unico, unita al Verbo eterno, alla persona del Figlio unigenito del Padre. Questo dono, essendogli stato conferito in vista della redenzione del mondo intero, lo obbliga nel senso della nuova giustizia. Perciò ha fame e sete di dare se stesso a

servizio del genere umano. Egli esprime questa nuova giustizia già nel battesimo che riceve insieme con le folle nel Giordano (cf. Lc 3,21). Giovanni il Battista si meraviglia quando Gesù viene da lui per essere battezzato con i peccatori. Ma Gesù risponde: «Lascia fare, ora, perché è conveniente per noi compiere così ogni giustizia» (Mt 5,15). Nel Vangelo di Matteo come nelle Lettere di san Paolo, la parola giustizia ha un senso estremamente profondo che diventa evidente proprio quando Gesù considera il suo battesimo nella prospettiva dell'esigenza di giustizia. La giustizia di cui parla, è quella del Padre e del Figlio e quella del fratello di tutti. Il battesimo nel Giordano lo introduce al battesimo del sangue che riceverà sulla croce. Il sangue della nuova ed eterna alleanza è l'espressione, la più forte e più evidente, della giustizia fraterna. Anche noi battezzati con Cristo, non possiamo più vivere per noi stessi, ma dobbiamo vivere la solidarietà dei redenti: è l'unico cammino che ci libera dalla solidarietà di peccato e di perdizione. Gesù ha veramente fame e sete finché sia compiuta questa suprema manifestazione della giustizia, espressione di fratellanza, ad onore di Dio Padre che vuol vedere uniti tutti gli uomini nella stessa solidarietà manifestata dal suo Figlio. Gesù continua ad aver fame e sete di vedere confermata la nuova giustizia nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nella nostra società, nei rapporti tra le nazioni, ma soprattutto nella sua Chiesa, perché diventi segno visibile ed efficace di questa nuova giustizia. 

La discepola più fedele di Cristo, sua immagine autentica, Maria, canta nel Magnificat e manifesta in tutta la sua vita la stessa beatitudine: «Ha saziato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,53). Certe apparizioni in cui vengono attribuiti alla Vergine solo delle lamentele sulla immodestia della moda, non meritano di essere credute. Maria, come Gesù, ha soprattutto fame e sete di vedere realizzata la giustizia fraterna tra gli uomini. Perciò, con gesto di misericordia, avverte i ricchi e i potenti che saranno rimandati a mani vuote se non si aprono alla giustizia, ai bisogni degli oppressi e dei poveri, al diritto di ogni uomo ad essere rispettato, onorato. Giustamente Paolo VI ha sottolineato come Maria si presenti nel Magnificat, e perciò in tutta la sua vita, quale patrona della giustizia sociale, smascherando la miseria di coloro che vogliono dominare sugli altri. Nessuna devozione di tipo sentimentale verso la beatissima Vergine potrà salvarci, se non ci poniamo con lei alla scuola di Cristo, imparando ad aver fame e sete di giustizia. Chi conosce Cristo in questa fame e sete non metterà l'accento sul ritualismo, non cercherà centinaia di peccati mortali a causa di vesti, cose e pietre sacre, non farà litigio per particolari marginali, ma s'impegnerà, insieme ai fratelli e alle sorelle, per la giustizia nella Chiesa e nel mondo. 

Dal mondo peccaminoso la giustizia viene presentata come rispetto dei privilegi e dei cosiddetti diritti dei potenti, dei forti, dei ricchi. La giustizia che viene dal cielo con Cristo Gesù, dà tutto in favore dei deboli, degli affamati, degli emarginati, dei poveri, degli sfruttati. E questa giustizia oggi ci impegna particolarmente a fare di tutto per proteggere la vita dei bambini non ancora nati. Sarebbe una pericolosa illusione pensare che basti a questo fine una legge penale dello Stato, benché siano necessarie diverse leggi, soprattutto quelle che rimuovono le cause dell'aborto, e anche sanzioni legali per chi promuove l'aborto e sfrutta la debolezza umana. Lo Stato si avvilisce quando vien meno al suo compito di proteggere i più deboli. Ma non possiamo immaginare che lo Stato sia in grado di operare in questo senso se non c'è un'élite religiosa e sociale che s'impegni fino in fondo per il diritto alla vita e allo sviluppo di ogni essere umano. Dovremmo, come credenti, fare tanto di più: ad esempio, nutrire per le ragazze madri un profondo rispetto e una fraterna solidarietà. Non si dica che non lo meritano. Noi tutti viviamo e speriamo la salvezza eterna solo perché Dio ci viene incontro e ci onora come suoi figli. Certo, non si sta ad approvare i rapporti sessuali extramatrimoniali, ma si deve stimare chi, malgrado la fragilità umana, dimostra un senso di responsabilità e prende su di sé le conseguenze della sua azione. Chi dimostra disprezzo per le ragazze madri e discrimina i figli cosiddetti illegittimi, diventa, con tale atteggiamento, una vera tentazione per molti ad abortire. Dopo una conferenza contro l'aborto, a Detroit, negli Stati Uniti, mi trattenni a parlare con una signora, assistente sociale, la quale durante la discussione aveva detto pubblicamente che spesso doveva consigliare i poveri ad abortire. Mentre parlavo con lei si avvicinarono due signori, uno dei quali sacerdote, che diedero il proprio indirizzo e numero telefonico alla signora, dicendo: Se in avvenire troverà qualche donna incinta che pensa di essere costretta dall'indigenza ad abortire, mi chiami: prenderò su di me tutta la responsabilità di quella creatura innocente che ha pur sempre diritto non solo alla vita, ma anche all'accoglienza e all'amore. Mi pare che questo sia segno di vera fame e sete di giustizia. La giustificazione e la santificazione ricevute come dono gratuito di Dio ci obbligano in giustizia ad onorare Dio come Dio e come Padre. Ebbene non possiamo onorare il Padre onnipotente senza dare rispetto, amore e stima al prossimo. 

Spesso, parlando di giustizia, si pensa solo alla giusta retribuzione dei beni materiali, dei diritti e privilegi sociali. Questi aspetti sono certamente inclusi; ma il primo diritto che ha l'uomo, è quello all'amore, al rispetto, alla sua identità e unicità, ad un suo inserimento nella comunità fraterna. Ogni atteggiamento e comportamento che considera l'altro solo come un'estensione del proprio io e come un mezzo alla propria autorealizzazione, agisce ingiustamente contro l'altro e contro se stesso. Noi possiamo essere una vera immagine di Dio e scoprire il nostro vero nome, solo se rispettiamo l'altro come l'altro. Il banco di prova sarà il nostro atteggiamento verso quelli che possono offrirci soltanto il loro volto e i loro bisogni. Nutriremo dunque un amore fattivo e un particolare impegno per gli emarginati. È illusione pensare che i problemi possono essere risolti dallo Stato solo mediante sanzioni e punizioni esemplari. Se a volte sono necessarie anche delle sanzioni, certamente più importanti sono un nuovo clima sociale, un miglioramento delle abitazioni, dell'ambiente, della legislazione sociale; la promozione delle classi più sprovvedute e soprattutto la possibilità di un lavoro decente per tutti coloro che vogliono lavorare. Chi poi va sottomesso a sanzioni legali, conserva il diritto di poter riacquistare dignità, equilibrio, ed essere inserito nella società. A questo riguardo potremo forse fare qualche cosa di più. Qualche tempo fa incontrai un gruppo di religiose negli Stati Uniti e tra loro una che avevo conosciuto come madre generale. Con un sorriso ella mi disse: «Padre, dove ci cercherà?». E poiché non capivo la domanda, aggiunse: «Durante il Concilio le avevo posto una domanda: «Dove si troveranno i religiosi del futuro?». E lei rispose, fra l'altro: «Si troveranno nelle carceri per guarire e aiutare questa povera gente emarginata». Ed ecco, dopo un addestramento come assistenti sociali, ci troviamo là, per aiutare le nostre sorelle, le più povere». Beati noi credenti se siamo veramente affamati del desiderio che si realizzi sulla terra la giustizia verso Dio, Padre comune di tutti, nella preghiera e nella lode, ma anche per mezzo della vera giustizia sociale. È compito dei religiosi e delle religiose far capire a tutti gli uomini che non possiamo sperare la giustizia infraumana se non onorando Dio come Dio, se non siamo giusti nei confronti di chi merita tutto il nostro amore. Non saremmo credenti e non potremmo essere sale della terra e luce del mondo se non fossimo convinti che Dio è il primo a meritare l'adorazione, l'amore e il santo timore. Ma nello stesso tempo è impensabile per un credente separare l'aspetto verticale da quello orizzontale. Ciò che può convincere il mondo di oggi è soltanto la sintesi fra giustizia verso Dio, che si esprime nella lode, nel ringraziamento, nell'amore filiale e che al tempo stesso porta frutto nella giustizia e nella carità fraterna. Cuore e centro della nuova giustizia portataci da Cristo è la riconoscenza. Tutto ciò che possediamo, compreso il dono più alto, l'amicizia con Dio e l'onore di essere suoi figli, ci obbliga prima di tutto alla riconoscenza e alla gratitudine verso Dio. Solo coloro che rendono grazie sempre e dovunque, sanno apprezzare il dono di Dio e seguire Cristo nella sua fame e sete di giustizia. Trovandomi una volta dinanzi a due famiglie in gravi necessità, mi recai da un cattolico praticante, molto ricco, per chiedergli un valido aiuto in loro favore. Mi rispose: «Non saprei perché dare questo aiuto. Io non ho mai ricevuto niente da nessuno». Gli dissi allora: «Mi perdoni se le manifesto con tutta sincerità i miei sentimenti: è lei il più povero e infelice, perché non ha mai pensato che tutto ciò che possiede, è dono dell'unico Padre celeste, e perciò non potrà mai gioire delle sue ricchezze. Inoltre lei è anche cieco, perché non vede che le sue ricchezze sono il risultato del lavoro di tante persone che forse non sono state giustamente retribuite». Essendo un credente, egli accettò la mia correzione fraterna e venne generosamente incontro ai bisogni delle due famiglie. Beato chi sa trasformare tutti i doni dell'unico Padre celeste in manifestazione di giustizia e carità fraterna. Chi è veramente formato dall'Eucarestia, dall'azione di grazie per tutto quello che Gesù, nostro fratello, ha fatto per noi, sarà sensibilissimo verso i bisogni degli altri. La nostra fede è fonte d'incessante conversione ai più poveri, perché ci fa consapevoli di essere figli dell'unico Padre celeste, di essere stati tutti redenti nell'unico sangue di Cristo, di aver tutti ricevuto lo stesso Spirito, dono d'amore tra il Padre e il Figlio che ci arricchisce con i suoi doni e ci fa gioire per essi, nella giustizia e nella carità fraterna. In questo modo, proprio nella conversione alla giustizia, esprimeremo autenticamente la nostra fede «nella comunione dei santi e nella vita del mondo che verrà». La fede che celebriamo giorno per giorno nell'Eucarestia non ci deluderà se ora, sulla terra, ciascuno nel suo campo, c'impegneremo per la giustizia insegnataci da Cristo. Ma ci sia chiaro che essa esclude gli atti di violenza e l'odio, perché la nuova giustizia scaturisce dall'amore non violento di Cristo. Sarebbe infine un errore disastroso pensare che l'accento posto sulla giustizia e sull'impegno per la pace sociale, politica, internazionale, sia un motivo per sottovalutare la vita religiosa. Solo se si approfondisce in noi la consapevolezza della nostra unione con Dio si rafforzerà anche la nostra solidarietà con i nostri fratelli. E non dobbiamo limitare la fame e sete di giustizia ai soli beni terreni. Abbiamo ricevuto come dono supremo la fede, e proprio la gratitudine per essa ci obbliga a comunicarla agli altri uomini per mezzo della testimonianza di vita e di parola.


beati i misericordiosi

Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia. Questa beatitudine va vista alla luce di quella precedente. Non si può parlare biblicamente della giustizia senza ricordarsi della misericordia. L'immagine di Dio che la rivelazione ci presenta è quella del Dio santo e nello stesso tempo misericordioso. Seguendo la tradizione profetica anteriore, Maria nel Magnificat e nella testimonianza della sua vita canta così: «Santo è il suo nome e la sua misericordia si estende di generazione in generazione per quelli che lo temono» (Lc 1,49-50). Dio è giusto verso se stesso e il suo santo Nome, manifestandosi misericordioso verso le sue creature, anche verso i peccatori. 

L'immagine di Dio di Aristotile e dell'etica stoica era la immagine di un Dio immobile, un Dio senza misericordia perché per loro la compassione e la misericordia non sembravano compatibili con la perfezione assoluta della causa suprema. Ma Iddio che si rivela per mezzo dei profeti, e finalmente e perfettamente in Gesù Cristo, si manifesta santo proprio nella sua misericordia. Così parla Dio per mezzo del profeta Osea: «Come ti posso abbandonare, o Efraim? Come ti posso affidare ad altri, o Israele? Il mio cuore mi si rivolta contro e si agitano le mie viscere. Non agirò secondo l'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non un uomo; io sono santo in mezzo a te e non vado in furore » (Os 11,8-9). 

Come tutte le beatitudini, anche questa si riferisce innanzi tutto e soprattutto a Cristo il quale non solo ne parla, ma la vive e la comunica, egli che è il grande sacramento della misericordia. Chi vede Cristo vede la misericordia di Dio Padre. E chi conosce Cristo e per mezzo di lui il Padre, conosce il cammino della salvezza: quello della compassione e della misericordia. Tutta la vita di Gesù, e in modo particolare la sua morte, è rivelazione dell'amore misericordioso di Dio. Tutti gl'incontri di Gesù sono segnati da una misericordia che rinnova il cuore del povero peccatore. Basta pensare al suo incontro con Maria Maddalena che gli lava con le lacrime i piedi; all'incontro con la donna samaritana o con la donna adultera, condotta dinanzi a lui perché la condanni. L'ultimo atto della storia terrena di Gesù è la piena rivelazione della misericordia di Dio Padre. Gesù non solo consola sua madre e il discepolo diletto, ma prega anche per quelli che lo crocifiggono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). E con la stessa misericordia promette al ladro pentito: «Oggi sarai con me in Paradiso» (Lc 23,43). Nella sua sofferenza immensa non pensa a sé quanto a coloro che lo fanno soffrire. Egli chiama Giuda «amico», e certo non sarcasticamente, quando il discepolo lo bacia per tradirlo. Anche allora desidera soltanto salvare colui che aveva scelto come discepolo e amico. Con uguale misericordia volge il suo sguardo a Pietro, dopo che questi lo ha rinnegato per tre volte, perché non disperi. E così Gesù può dirci con tutta la sua persona e con il suo esempio, in vita e in morte: «Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro che è nei cieli» (Lc 6,36). 

Ascoltando le beatitudini proclamate nella Chiesa, accostiamoci a Cristo Risorto: la sua gloria è dovuta anche alla misericordia che ha manifestato e con cui ha rivelato il nome del Padre celeste. Colei che è più vicino a Cristo, Maria santissima, noi la chiamiamo con la Chiesa «madre di misericordia», e la possiamo onorare e invocare fiduciosamente nella misura in cui anche noi diventiamo immagine visibile di Dio misericordioso. Maria è il prototipo della Chiesa, che è sacramento di salvezza in quanto fa visibile e sperimentabile la misericordia di Cristo e del Padre celeste. I religiosi sono parte eletta della Chiesa in quanto sono testimoni forti e perseveranti di questa misericordia. Dio ci giustifica per pura grazia. La salvezza è atto di giustizia misericordiosa di Dio; ma è anche legata alla nostra risposta. L'ultimo giudizio sarà il canto di Cristo per i beati: «Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34). E saranno esclusi dal regno della beatitudine tutti coloro che hanno indurito il cuore e si sono fatti rigidi e intransigenti nei confronti dei loro fratelli. Nel regno della beatitudine eterna c'introdurranno le opere di misericordia come risposta, riconoscente e dovuta, alla misericordia di Dio Padre che si è manifestato in Gesù Cristo e che continua a manifestarsi in tutte le sue opere, soprattutto per mezzo della testimonianza dei santi. 

Le opere di misericordia non hanno un aspetto soltanto individuale, ma anche e soprattutto un significato e una dimensione sociale. La Chiesa esercita come comunità le opere assistenziali. Essa costruisce e sostiene ospedali là dove la società organizzata non lo può fare. Pone in atto aiuti sistematici a favore di zone devastate dalla fame, e compie molte altre opere. Non potrebbe tuttavia continuare questa azione grandiosa senza la presenza dei religiosi. Così proprio la beatitudine dei misericordiosi ci ispira la ansia di suscitare nuove vocazioni e di vivere fedelmente il nostro impegno religioso. Non si tratta soltanto di un'opera di misericordia corporale, ma sempre e al tempo stesso di misericordia spirituale. 

Ogni persona e comunità religiosa ha un suo carisma, un carisma che fa esercitare in modo particolare l'una o l'altra delle opere di misericordia. Ad esempio, consolare gli afflitti. Tante persone sono sole, poco apprezzate. Nessuno le vuole ascoltare. Noi siamo tra i beati se le ascoltiamo pazientemente. Ho sentito dire che le suore anziane di una congregazione religiosa, dopo aver ricevuto una particolare preparazione, sono ritornate alle comunità piccole, e ogni giorno visitano due-tre persone anziane e sole per pregare con loro, per aiutarle a dare un significato alla loro solitudine e povertà. Molti potrebbero visitare un carcerato, soprattutto i carcerati giovani che non hanno i familiari e che non sono visitati dai loro amici. Ma possiamo fare ancora di più se sappiamo influire sull'opinione pubblica perché lo Stato riveda il sistema correzionale. 

La misericordia ci obbliga a far pressione sull'opinione pubblica e sui governi delle nazioni perché diano un aiuto più generoso alle nazioni poverissime. Se i nostri cuori sono veramente ripieni della misericordia di Cristo, troveremo nuove opportunità per testimoniare la sua misericordia. Dio ci ama prima che noi possiamo amarlo. 

Noi siamo tra i beati se sopportiamo pazientemente le persone difficili e complessate, se amiamo quelle che non sono ancora capaci di essere riconoscenti perché non hanno ricevuto ancora amore sufficiente. Dio manifesta la sua misericordia per la nostra salvezza perdonando i nostri peccati. È quindi essenziale per noi perdonare generosamente chi ci offende e si oppone, per meritare di essere figli di Dio. A tale riguardo ogni religioso, come ogni comunità religiosa, dev'essere una testimonianza eccellente. Altrimenti non saremmo più sale della terra. Una delle opere meno stimate è oggi la correzione fraterna; infatti molte volte affermiamo di non averne bisogno, ritenendoci adulti e maturi. Eppure quest'opera è tra le più eccellenti. San Paolo la raccomanda e la fa espressione autentica della «legge di Cristo » (Gal 6,2). Al pensiero che anche noi potremmo avere bisogno dello aiuto di chi ci possa riscattare dal peccato, offriremo questo servizio ogni volta che c'è speranza di essere ascoltati. Se non è più accettabile il tradizionale capitolo delle colpe, dobbiamo almeno ritrovare il senso dell'incoraggiamento fraterno. Questo è innanzi tutto obbligo dei superiori, ma non solo di essi: in quest'opera di misericordia noi esprimiamo la nostra solidarietà di salvezza. Siamo degl'ingrati se non ci aiutiamo nei momenti difficili e pericolosi. Ma solo se apprezziamo volentieri le buone qualità degli altri, possiamo sperare di ottenere un buon effetto dalla correzione fraterna. 

Spesso sento dire da persone religiose di avere molta paura della morte. Non c'è miglior modo di liberarsi radicalmente da tale paura che vivere pienamente e sempre la beatitudine proclamata per i misericordiosi. Se la misericordia diventa l'impegno fondamentale della nostra vita, del nostro modo di pensare, parlare e agire, potremo incontrare Cristo nell'ora della nostra morte con una fiducia assoluta, perché godremo misericordia.

B. Haering



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