sabato 29 marzo 2025

Il significato di espiazione

 Negli scritti del Nuovo Testamento, ci sono diversi tentativi di interpretare la croce di Cristo come il nuovo culto e la vera purificazione del mondo inquinato. 

Più volte abbiamo parlato del testo fondamentale di Romani 3,25 in cui Paolo qualifica Gesù Cristo come «strumento di espiazione» (hilasterion). 

Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto con l'immensamente Puro, con l'anima di Gesù Cristo e così con lo stesso Figlio di Dio. Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario: dove il mondo, con tutta la sua ingiustizia e con le sue crudeltà che lo inquinano, viene a contatto con l'immensamente Puro. 

Egli, il Puro, si rivela al contempo il più forte. In questo contatto lo sporco del mondo viene realmente assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell'amore infinito. Siccome nell'Uomo Gesù è presente il bene infinito, è ora presente ed efficace nella storia del mondo la forza antagonista di ogni forma di male, il bene é sempre infinitamente più grande di tutta la massa del male, per quanto essa sia terribile.


Senso autentico di espiazione

Pian del Levro (Trambileno)
Deposizione 

Se cerchiamo di riflettere un po' più a fondo su questa convinzione, troviamo anche la risposta ad una obiezione che ripetutamente viene sollevata contro l'idea di espiazione. Sempre di nuovo si dice: Non è forse un Dio crudele colui che richiede un'espiazione infinita? Non è questa un'idea indegna di Dio? Non dobbiamo forse, a difesa della purezza dell'immagine di Dio, rinunciare all'idea di espiazione? Nel discorso su Gesù come "strumento d'espiazione" (hilasterion) diventa evidente che il perdono reale che avviene a partire dalla croce si realizza proprio in modo inverso. La realtà del male, dell'ingiustizia che deturpa il mondo e insieme inquina l'immagine di Dio - questa realtà c'è: per colpa nostra. Non può essere semplicemente ignorata, deve essere smaltita. Ora, tuttavia, non è che da un Dio crudele venga richiesto qualcosa di infinito [un compenso dal valore infinito]. E proprio il contrario: Dio stesso si pone come luogo di riconciliazione e, nel suo Figlio, prende la sofferenza su di sé. Dio stesso introduce nel mondo come dono la sua infinita purezza. Dio stesso «beve il calice» di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore, che attraverso la sofferenza trasforma il buio.

 L'autore ella Lettera agli Ebrei qualifica il culto dell'Antico Testamento come «ombra» (10,1) e lo spiega così: «E impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati» (10,4). Poi cita il Salmo 40,7ss ed interpreta queste parole del Salmo come dialogo del Figlio col Padre, un dialogo in cui si compie l'incarnazione e, al contempo, la nuova forma del culto divino diventa realtà: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"» (Eb 10,5ss; cfr Sal 40,7ss).

In questa breve citazione del Salmo c'è una modifica importante rispetto al testo originale. Il salmista aveva detto: «gli orecchi mi hai aperto», mentre la Lettera agli Ebrei preferisce: «Un corpo mi hai preparato». 

Già qui [nel salmo] al posto dei sacrifici del tempio era entrata l'obbedienza. La vita impostata sulla base della parola di Dio e all'interno di essa conosciuta come il vero modo di venerare Dio. Quanto più l'uomo diventa parola, o meglio diventa con l'intera sua esistenza risposta a Dio, tanto più egli pone in essere il culto giusto. Dio è venerato in modo giusto se noi viviamo nell'obbedienza alla sua parola e, plasmati così interiormente dalla sua volontà, diventiamo conformi a Dio. 

Rimane pur sempre anche un'impressione di insufficienza. La nostra obbedienza è sempre nuovamente mancante.  

Il profondo senso dell'insufficienza di ogni obbedienza umana la parola di Dio fa, tuttavia, erompere sempre nuovamente il desiderio dell'espiazione, che però in virtù di noi stessi e della nostra prestazione di obbedienza non può organizzarsi. Per questo nel bel mezzo del discorso dell'insufficienza degli olocausti e dei sacrifici, erompe poi anche sempre di più il desiderio che essi possono ritornare in modo più perfetto. Nel versetto della Lettera agli Ebrei, è contenuta la risposta a tale desiderio : il desiderio che a Dio sia dato ciò che noi non siamo in grado di dargli e che il dono sia tuttavia dono nostro, il suo adempimento. Il salmista aveva pregato: Non hai chiesto olocausto del sacrificio per il peccato. Gli orecchi mi hai aperto. Il Figlio dice al Padre: Non hai voluto né sacrifici né offerte, un corpo invece mi hai preparato. Il Verbo stesso, il Figlio, si fa carne, assume un corpo umano. Così è possibile una nuova forma di obbedienza, che va al di là di ogni adempimento umano dei comandamenti. Il Figlio diventa uomo e nel suo corpo riporta a Dio l'intera umanità. Solo il Verbo fattosi carne il cui amore si compie sulla croce, è l'obbedienza perfetta. In lui non è soltanto divenuta definitiva la critica ai sacrifici del tempio ma è adempiuto anche il desiderio che era restato: la sua obbedienza corporea è il nuovo sacrificio nel quale coinvolge tutti noi e in cui al contempo tutta la nostra disobbedienza è annullata mediante il suo amore. 

Detto ancora in altre parole: la nostra personale moralità basta per venerare Dio in modo giusto. Questo San Paolo ha chiarito con grande forza nella controversia circa la giustificazione. Ma il Figlio fattosi carne porta in sé tutti noi e dona così ciò che noi da soli non potremmo dare. Per questo fa parte dell'esistenza Cristiana sia il sacramento del battesimo quale accoglienza nell'obbedienza di Cristo, sia a l'Eucaristia in cui l'obbedienza del Signore sulla croce ci abbraccia tutti, si purifica tirar dell'adorazione perfetta realizzata da Gesù Cristo. 

[Paolo ci coinvolge tutti nella donazione di Cristo]: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,1-2). 

È qui ripreso il concetto del culto a Dio mediante la parola, l'abbandono a Dio dell'intera esistenza, un abbandono in cui l'uomo intero diventa come parola, diventa conforme a Dio. In ciò è sottolineata la dimensione della corporeità: proprio la nostra esistenza corporea deve essere pervasa dalla parola e diventare dono per Dio. Paolo che pone tanto in rilievo l'impossibilità della giustificazione in base alla propria moralità, presuppone in ciò che questo nuovo culto dei Cristiani, in cui essi sono il sacrificio vivente e santo sia possibile solo nella partecipazione all'amore corporeizzato di Gesù Cristo, quell'amore che mediante il potere della sua santità supera ogni nostra insufficienza. Se, da una parte, dobbiamo dire che Paolo con una tale esortazione non cede ad alcuna forma di moralismo e non smentisce affatto la sua dottrina della giustificazione mediante la fede e non mediante le opere, dall'altra diventa tuttavia evidente che l'uomo con questa dottrina della giustificazione non è condannato alla passività, non diventa un destinatario solamente passivo della Giustizia di Dio che in tal caso, resterebbe in fondo qualcosa di esterno a lui. No la grandezza dell'amore di Cristo proprio nel fatto che egli , nonostante tutta la nostra miserevole insufficienza si accoglie in sé , nel suo sacrificio vivente e santo così che diventiamo veramente il suo corpo.

(Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 2)







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