Dopo la rituale recita in comune dei Salmi, Gesù prega da solo - come durante tante notti in precedenza.
L’appello alla vigilanza è già stato un tema nell'annuncio a Gerusalemme e adesso appare con un' urgenza molto immediata. Ma pur riferendosi proprio a quell'ora, tale appello rimanda in anticipo alla storia futura della cristianità. La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l'occasione favorevole per potere del male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell'anima che non si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l'ingiustizia e da tutta la sofferenza che devastano la terra. È un'insensibilità che preferisce non percepire tutto ciò; si tranquillizza col pensiero che tutto, in fondo, non è poi tanto grave, per poter cosi continuare nell'autocompianto della propria esistenza soddisfatta. Ma questa insensibilità delle anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che per la potenza incombente del male conferisce al maligno un potere nel mondo.
Di fronte ai discepoli assonnati e non disposti ad allarmarsi, il Signore dice di se stesso: «La mia anima è triste fino allamorte». E questa una parola del Salmo 43,5 nella quale risuonano altre espressioni dei Salmi. Anche nella sua passione - sul Monte degli ulivi come sulla croce-Gesù parla di sé e a Dio Padre mediante parole dei Salmi. Ma queste parole tratte dai Salmi sono diventate del tutto personali, parole assolutamente proprie di Gesù nella sua tribolazione: Egli è di fatto il vero orante di questi Salmi, il loro vero soggetto. La preghiera molto personale e il pregare con le parole di invocazione dell'Israele credente e sofferente sono qui una cosa sola.
Dopo questa esortazione alla vigilanza, Gesù si allontana un po'. Inizia la preghiera vera e propria del Monte degli ulivi. Matteo e Marco ci dicono che Gesù cade faccia a terra - è la posizione di preghiera che esprime l'estrema sottomissione alla volontà di Dio, il più radicale abbandono a Lui. Luca dice invece che Gesù prega in ginocchio. Inserisce cosi, in base alla posizione di preghiera, questa lotta notturna di Gesù nella storia della preghiera cristiana: Stefano, durante la lapidazione, piega le ginocchia e prega (cfr At7,60); Pietro s'inginocchia prima di risuscitare Tabità dalla morte (cfr At 9,40); Paolo s'inginocchia, quando si congeda dai presbiteri di Efeso e un'altra volta quando i discepoli gli dicono di non salire a Gerusalemme (cfr At 21,5). Dice Alois Stöger al riguardo: «Tutti questi, di fronte alla morte, pregano in ginocchio; il martirio non può essere superato che mediante la preghiera. Gesù è modello dei martiri» (Das Evangelium nachLukas II).
Segue poi la preghiera vera e propria in cui è presente tutto il dramma della nostra redenzione. Marco dice prima in modo riassuntivo che Gesù pregava affinché, «se fosse possibile, passasse via da Lui quell'ora» (14,35). Riporta poi cosi la frase essenziale della preghiera di Gesù: «Abbà! Padre!Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu»(14,36).
Possiamo distinguere, in questa preghiera di Gesù, tre elementi. Cè innanzitutto l'esperienza primordiale della paura, lo sconvolgimento di fronte al potere della morte, lo spavento davanti all'abisso del nulla, che lo fa tremare, anzi che, secondo Luca, lo fa sudare gocce di sangue (cfr 22,44)… È lo sconvolgimento particolare di colui che è la vita stessa davanti all'abisso di tutto il potere della distruzione, del male, di ciò che si oppone a Dio, e che ora gli crolla direttamente addosso, che Egli in modo immediato deve ora prendere su di sé, anzi deve accogliere dentro di sé fino al punto di essere personalmente «fatto peccato» (2 Cor 5,20). Proprio perché è il Figlio, vede con l'estrema chiarezza l'intera marea sporca del male, tutto il potere della menzogna e della superbia, tutta l'astuzia è l'atrocità del male, che si mette la maschera della vita e serve continuamente la distruzione dell'essere, la deturpazione e la annientamento della vita. Proprio perché è il Figlio, egli sente profondamente l'orrore, tutta la sporcizia e la perfidia che deve bere in quel calice a lui destinato: tutto il potere del peccato e della morte. Tutto questo e Egli deve accogliere dentro di sé affinché in lui sia privato di potere e superato. ...
L'angoscia di Gesù è una cosa molto più radicale di quell'angoscia che assale ogni uomo di fronte alla morte: è lo scontro stesso tra luce e tenebre, tra vita e morte - il vero dramma della scelta che caratterizza la storia umana. In questo senso possiamo con Pascal in modo tutto personale applicare l'avvenimento del Monte degli Ulivi anche a noi: anche il mio peccato era presente in quel calice spaventoso. «Quelle gocce di sangue, le ho versate per te», sono le parole che Pascal sente rivolte a sé dal Signore in agonia sul monte degli Ulivi (Pensieri, VII, 553).
Le due parti della preghiera di Gesù appaiono come la contrapposizione di due volontà: la volontà naturale dell'uomo Gesù, che ricalcitra di fronte all’aspetto mostruoso e distruttivo dell'avvenimento e vorrebbe chiedere che il calice passi oltre; e c’è volontà del Figlio che si abbandona totalmente alla volontà del Padre. Se vogliamo cercare di comprendere per quanto possibile questo mistero delle due volontà, è utile accettare ancora uno sguardo sulla versione di Giovanni di quella preghiera. Anche in lui troviamo le due domande di Gesù: Padre Salvami da quest'ora... Padre glorifica il tuo nome" (12,27). Il rapportotra le due domande non è diverso da quello rinvenibile nei sinottici. La tribolazione dell'anima umana di Gesù spinge Gesù a chiedere di essere salvato da quell'ora. Ma la consapevolezza circa la sua missione, il fatto cioè che proprio per quell'ora Egli è venuto, lo fa pronunciare la seconda domanda, la domanda che Dio glorifichi il suo nome: proprio la croce, l’accettazione della cosa orribile, l'entrare nell'ignominia dell’annientamento della dignità personale, nell'ignominia di una morte infame diventa la glorificazione del nome di Dio. Proprio così infatti, Dio si rende manifesto per quello che è: Il Dio che nell’abisso del suo amore, nel donare se stesso oppone a tutte le potenze del male il vero potere del bene. Gesù ha pronunciato ambedue le domande, ma la prima, quella di essere salvato, è fusa insieme con la seconda, che chiede la glorificazione di Dio nella realizzazione della sua volontà e così il contrasto dell'intimo dell'esistenza umana di Gesù è ricomposto in un'unità.
Alla fine dobbiamo ancora dedicarci al testo della Lettera agli Ebrei concernente il Monte degli Ulivi. Lì si legge:
«Nei giorni della sua vita terrena egli ofri preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per ilsuo pieno abbandono a lui, venne esaudito » (5,7). In questo testo è riconoscibile una tradizione autonoma sull'evento del Getsemani, poiché di forti grida e lacrime non si parla nei Vangeli. Dobbiamo, certo, tener presente che l'autore ovviamente non si riferisce soltanto alla notte del Getsèmani, ma all'intero cammino della passionedi Gesù fino alla crocifissione, fino a quell'istante, quindi, del quale Matteo e Marco ci dicono che Gesù proclamò «a gran voce» le parole inizialidel Salmo 22. Ambedue dicono anche che Gesù spirò con un forte grido; Matteo vi usa esplicitamente la parola «grido» (27,50). Di lacrime di Gesù parla Giovanni in occasione della morte di Lazzaro e questo in rapporto al «turbamento» di Gesu, che viene descritto con la stessa parola usata nel racconto del Monte degli Ulivi per la sua angoscia.
Sempre si tratta dell'incontro di Gesù con le potenze della morte, il cui abisso Egli, come il Santo di Dio, percepisce tutta la sua profondità e spaventosità. La Lettera agli Ebrei vede cosi l'intera passione di Gesù dal Monte degli ulivi fine all'ultimo grido sulla croce pervasa dalla preghiera, come un'unica ardente supplica a Dio per lavita contro il potere della morte. Se la Lettera agli Ebrei considera l'intera passione di Gesù come una lotta, nella preghiera, con Dio Padre e insieme con la natura umana, manifesta con ciò in modo nuovo la profondità teologica della preghiera sul Monte degli ulivi. Per la Lettera, questo gridare e supplicare costituisce la messa in atto del sommo sacerdozio di Gesù. Proprio nel suo gridare, piangere e pregare Gesù fa ciò che è proprio del sommno sacerdote: Egli porta il travaglio dell'essere uomini in alto verso Dio. Porta l'uomo davanti a Dio. Con due parole, l'autore della Lettera ha evidenziato questa dimensione della preghiera di Gesù. La parola «portare» (prosphérein: portare davanti a Dio, portare in alto - cfr Ebr 5,1) è un espressione della terminologia del culto sacrificale. Con questo Gesù fa ciò che, nel più profondo, diviene nell'atto del sacrificio. Si è offerto a fare la volontà del Padre.
La seconda parola, che qui è importante, dice che Gesù ha imparato l'obbedienza da ciò che ha sofferto e cosi è stato «reso perfetto» (cfr Ebr 5,8s). L'espressione «rendere perfetto» nel Pentateuco viene usata esclusivamente nel significato di « consacrare sacerdote». Dice quindi questo brano che l’obbedienza di Cristo, l'estremo «sì» al Padre, a cui Egli giunge nella lotta interiore sul Monte degli ulivi, lo ha, per così dire, « consacrato sacordote»; proprio in questo, nella sua autodonazione, nel portare l'umanità in alto verso Dio, Cristo è diventato sacerdote nel senso vero «secondo l’ordine di Melchisedek».
Gesù supplicò Colui che poteva salvarlo da morte e«per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito» (57). Ma è stato Egli veramente esaudito? Di fatto, è morto sulla croce! Dobbiamo piuttosto cercare di comprendere questo modo misterioso di «esaudimento», per avvicinarci con ciò anche al mistero della nostra salvezza. Si possono individuare diverse dimensioni di tale esaudimento. Una poossibile traduzione di questo testo è: «è stato esaudito e liberato dalla sua angoscia». Ciò corrisponderebbe al testo di Luca secondo cui venne un angelo lo confortava. Allora si tratterebbe della forza interiore da Gesù nella preghiera, così che egli è stato poi capace di affrontare con decisione e la passione. Ma il testo significa ovviamente di più: il Padre lo ha sollevato dalla notte della morte, nella Resurrezione lo ha definitivamente per sempre salvato dalla morte: Gesù non muore più. La resurrezione non è solo il personale salvanltaggio di Gesù dalla morte. In questa morte egli non si è trovato per sé soltanto. Il suo è stato un morire per gli altri; si è trattato del superamento della morte come tale. Così si può sicuramente comprendere l'esaurimento anche a partire dal testo parallelo in Giovanni dove alla preghiera di Gesù : «Padre glorifica il tuo nome», la voce dal cielo risponde: «Lo glorificato glorificherò ancora». La croce stessa è diventata glorificazione di Dio, manifestazione della gloria di Dio nell'amore del Figlio. Questa gloria va oltre il momento e pervade la storia. Questa gloria è vita. Sulla croce stessa appare, in modo velato e pure insistente, la gloria di Dio, la trasformazione della morte in vita. Dalla Croce viene incontro agli uomini una vita nuova. Sulla croce, la morte viene vinta. L'esaurimento di Gesù riguarda l'umanità nel suo insieme: la sua obbedienza diventa vita per tutti. E così questo passo della Lettera agli Ebrei in modo coerente conclude con le parole: «Egli divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek».
Benedetto XVI Gesu di Nazaret 2, 165 ss.
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