sabato 15 marzo 2025

Pentimento gioioso

 

Siamo in attesa delle cose ultime, dei doni perfetti del Signore (pienamente immeritati). Ma questi doni li possiamo attendere perché già li conosciamo, li sperimentiamo in parte. Ogni giorno possiamo aprirci ai doni mirabili del Signore o meglio al Signore che viene a donarci se stesso. Da parte nostra, dobbiamo rispondere e corrispondere a Lui. Il salmo 94 esorta: Oggi se ascoltaste la sua voce, non indurite il cuore.

 Il contrario di un cuore duro, è un cuore spezzato e frantumato. Infatti un atteggiamento fondamentale della vita cristiana è costituito dalla contrizione o compunzione (katànyxis). Nel Nuovo Testamento il verbo appare in modo molto significativo in Atti 2,37: mentre alcuni abitanti di Gerusalemme stavano ad ascoltare Pietro, «arrivò loro una fitta al cuore». Katanyssomai indica l’essere colpiti da qualcosa che proviene dall’esterno di noi (quindi un evento traumatico) ma anche il risultato di questo evento, ossia l’aprirsi in noi di una ferita o di una nuova sensibilità; oltre a questo può apparire uno stordimento dovuto al colpo subito. 


Raskolnikov e Sònja 

Per spiegare in modo più chiaro possibile questo concetto, ricorro ad un racconto letterario. Il dono della compunzione è descritto in filigrana in Delitto e castigo di Dostoevskij, anche se l'autore forse non pensava a questo.

Il giovane Raskolnikov uccide una vecchia usuraia ma può contare su molte attenuanti. Dal punto di vista sociale è uno sfruttato e la vecchia è un fastidioso oppressore. Egli si sforza di negare che l’omicidio possa configurarsi davvero come un delitto. In seguito viene arrestato e condotto in carcere. Sonia, la ragazza che lo ama con tenerezza, lo accompagna nella detenzione. Raskolnikov si sente attanagliato dai sensi di colpa e dal rimorso. In preda alla febbre, è ossessionato da tremende allucinazioni. Disperazione e terrore sembrano dominarlo. Questo tormento, però, non ha nulla a che fare con il pentimento perché continua ad alimentare la sua teoria di superiorità e a trattare duramente tutti. Come si conclude la vicenda? Nelle ultime battute del romanzo avviene un fatto decisivo, quasi un miracolo inaspettato. Finalmente il giovane viene toccato in profondità dall’amore di Sonia:

Raskòlnikov, seduto, fissava quel panorama senza distoglierne lo sguardo; non pensava a nulla, eppure una strana angoscia lo agitava tormentandolo. A un tratto, si trovò accanto Sònja. Si era avvicinata pian piano e gli si era seduta accanto… Gli sorrise dolcemente, piena di gioia, ma, come al solito, gli tese la mano quasi con timore. Gliela tendeva sempre così, con timidezza, e a volte non gliela tendeva affatto, come prevedendo che lui l'avrebbe respinta. Lui la prendeva, di solito, quasi con avversione; in genere la accoglieva con una specie di stizza, e spesso non apriva bocca durante tutta la visita. Allora, lei sentiva quasi paura di lui, e se ne andava profondamente addolorata. Questa volta, invece, le loro mani non volevano sciogliersi; egli le lanciò una rapida occhiata, non disse niente e abbassò lo sguardo…Nemmeno lui, poi, avrebbe saputo dire com'era accaduto. A un tratto si sentì come afferrato e gettato ai piedi di lei. Piangeva, e le abbracciava le ginocchia.

Il perturbamento d’amore viene raffigurato da sempre con l’immagine della freccia che ci colpisce ed apre una ferita nel cuore e l’inaspettato irrompere della piena dell’amore è un fenomeno che si esprime in un sentire che supera il linguaggio:

Dapprima Sònja si spaventò a morte, il viso le si fece d'un pallore mortale. Balzò in piedi e lo guardò tremando; ma subito, in quello stesso istante, capì tutto. Nei suoi occhi brillò una felicità infinita; capì, e per lei non ci fu più alcun dubbio: egli l'amava, l'amava immensamente: alla fine, quel momento tanto atteso era arrivato... Avrebbero voluto parlare, ma non potevano. Avevano le lacrime agli occhi. Tutti e due erano pallidi e magri, ma sui loro volti sbiancati dalla malattia splendeva già la luce di un futuro diverso, di una completa rinascita, di una vita nuova. Li aveva risuscitati l'amore: il cuore dell'uno, ormai, racchiudeva un'inesauribile sorgente di vita per il cuore dell'altro.

Nel passo trascritto troviamo l’essenziale. L’amore premuroso di Sonia batte al cuore del giovane e vi apre la dolce ferita dell’amore. L’evento era desiderato ed atteso ma accade in modo improvviso. Dopo l’evento decisivo, lo scrittore presenta le conseguenze pratiche nella vita dei due protagonisti. Il giovane tenuto accetta la pena inflitta; prova sentimenti di misericordiosa tenerezza non soltanto verso Sonia ma anche verso tutti gli altri compagni di prigionia:

Erano decisi ad attendere, a pazientare. Restavano loro ancora sette anni di quella vita; e prima d'allora, quanto intollerabile dolore e quanta felicità! Ma egli era rinato e lo sapeva, lo sentiva con certezza in tutto il suo essere rinnovato; e lei, lei non viveva che della vita di lui! La sera di quello stesso giorno, quando le baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov, sdraiato sul tavolaccio, pensava a Sònja. 

Quel giorno, gli era sembrato perfino che gli altri forzati, prima suoi nemici, lo guardassero in un modo diverso. Era stato lui a rivolger loro per primo la parola, e loro gli avevano risposto affabilmente. Se ne rendeva conto solo adesso; ma non era giusto, del resto, che fosse così? Ogni cosa, ormai, non doveva forse mutare? Pensava a lei. Ricordò come l'aveva sempre tormentata, come aveva straziato il suo cuore; … ma quei ricordi non lo facevano più soffrire: sapeva con che amore infinito, ormai, avrebbe ripagato tutte le sue sofferenze.

[…] Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad una sola cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva a ragionare su nessun problema: poteva soltanto sentire... Alla dialettica era subentrata la vita, e nella sua coscienza si preparava ormai qualcosa di completamente, oscuramente diverso.

A mio parere, la pagina è un ottimo esempio per comprendere che cosa sia il pentimento. È vero che non si tratta in primo luogo di una conversione religiosa (anche se questa è inclusa) ma il fatto costituisce un modello per cogliere anche il senso di quest’ultima. Raccogliamo alcuni elementi essenziali. Raskolnikov è oppresso dal senso di colpa e sta già espiando, suo malgrado, il delitto commesso. Tuttavia non si è pentito per nulla. Il pentimento nasce in lui quando si sente raggiunto dalla mano amrosa di Sonia. È il sentirsi amato nella sua condizione di criminale ad aprirgli il cuore. È interessante che Raskolnikov, nel momento decisivo, venga afferrato da una forza estranea e benefica: «Nemmeno lui, poi, avrebbe saputo dire com'era accaduto. A un tratto si sentì come afferrato e gettato ai piedi di lei». Egli passa dal ragionare al «sentire». La dialettica viene superata dalla vita. Pure nel pentimento di carattere religioso, il peccatore è trascinato da una forza a cui non può resistere. 

Sonia ama un uomo che potrebbe detestare, un omicida che l’ha sempre respinta. Gli offre la mano benché si aspetti che egli la rifiuti di nuovo. L’amore tenace di Sonia richiama al credente l’amore gratuito, incomprensibile e tenace di Dio per l’uomo peccatore. La riconciliazione tra i due si esprime non a parole ma in lacrime. Anche il pentimento di fede si esprime più nei sentimenti che nelle parole ed acquista un’espressione tipica proprio nelle lacrime. In questo caso il dolore non deprime ma solleva. Dare spazio al pentimento significa aprire l’ingresso all’amore e questa è una forza che non deprime mai:

«Li aveva risuscitati l'amore: il cuore dell'uno, ormai, racchiudeva un'inesauribile sorgente di vita per il cuore dell'altro».

La rinascita di Raskolnikov si esprime in due segni precisi. Diventa affabile con i compagni di pena, verso i quali era sempre stato duro ed accoglie il tempo della prigionia, di espiazione, con serena accettazione. 

«Egli ignorava perfino che quella nuova vita non gli veniva data così, gratuitamente; che avrebbe dovuto pagarla, e a caro prezzo: pagarla compiendo qualcosa di grande negli anni a venire». La riparazione non consiste nella prigionia in se stessa ma nel modo con cui la vivrà. Egli adesso cercherà di essere buono nei confronti di Sonia: «Sapeva con che amore infinito, ormai, avrebbe ripagato tutte le sue [di Sonia] sofferenze».


Il fuoco che divampa

Vediamo alcune analogie tra la vicenda dei due amanti e il concetto spirituale di "compunzione". Nella letteratura ascetica, il sentimento di compunzione corrisponde al manifestarsi e al dilatarsi in noi di una grande energia d’amore e solo questa ci rende capaci di superare il male: 

«Quando in verità il bene prende dimora in loro [nei penitenti], mostra una [grande] forza come quella che [sviluppa] un fuoco tra le spine. Per quanto li trovi oppressi da una miriade di mali, avvolti dai legami del peccato e consumati dal fuoco delle passioni, [per quanto] siano scossi dal turbinio degli interessi mondani, [la volontà di bene] subito domina tutto» (G. Crisostomo, A Demetrio sulla compunzione, 7). 

Un fuoco che divampa tra le spine! Non può esserci compunzione se non all’interno dell’esperienza d’essere amati e accolti nella nostra povertà né può aver luogo alcun pentimento finché la persona che si è sentita amata non intende rispondere all’amore ricevuto. Il nucleo della katanixis è in stretta relazione con un’esperienza d’innamoramento. Il cuore frantumato è anche un cuore innamorato. Crisostomo mette a confronto l’innamoramento per una donna con l’innamoramento per Cristo e si basa sulla vicenda di Paolo. Nella misura in cui si è catturati o feriti dall’amore di Cristo, si sviluppa in noi la forza di superare la forza tenace dell’egoismo, onnipresente dei nostri pensieri, parole ed azioni. 

Il sentimento della katànyxis, è un evento liminare: fine del rimpianto e del dolore per il passato e inizio di una comunione. Bonaventura ci fa conoscere l’esperienza di compunzione vissuta da san Francesco, ai primordi della sua nuova vita.

«In seguito alla chiamata di Dio, il numero dei frati era ormai salito a sei. Il loro padre e pastore, trovato un luogo solitario, in molta amarezza di cuore, piangeva sulla sua vita di adolescente, trascorsa non senza colpa: mentre chiedeva perdono e grazie, per sé e per la prole, che in Cristo aveva generato, si sentì invadere da una singolare, esuberante letizia e si sentì garantire che tutte le colpe gli erano state rimesse pienamente: fino all’ultimo quadrante. Rapito al di fuori di sé, [fu] totalmente assorbito in una luce vivificante…» (Leggenda Minor Lez. III)

Il dolore del santo d’Assisi non corrisponde ad un pentimento di chi si trova all’inizio della conversione. Anzi egli ha già vissuto un impegno talmente forte di fede e d’amore al punto da ricevere la completa remissione delle colpe. Ciò che è caratteristico della vicenda delle lacrime di Francesco è il passaggio quasi repentino dal dolore acuto alla gioia intensa, fino ad un’esperienza di rapimento estatico. La compunzione è un momento culminante, un evento di passaggio che chiude il passato ed apre alla comunione profonda con Dio.

Tale passaggio viene testimoniato anche dai Padri e dai mistici orientali. Esaminiamo la breve sintesi fornitaci da Niceta Stethatos, un mistico bizantino. Questi, dopo aver detto che i credenti devono in un primo tempo sperimentare la fatica di raddrizzare la loro esistenza (una fatica, però, mescolata al sollievo e al piacere della vita virtuosa), in un secondo tempo ricevono la visita dello Spirito, ossia ricevono dei beni spirituali. Niceta dichiara che questi uomini visitati dallo Spirito «sono riempiti di gioia e di allegrezza, perché si è aperta per loro la pura fonte delle lacrime» (I, 24; p. 399). Le lacrime, di per sé, nascono dalla tristezza e provocano dolore ma proprio questo dolore apre la porta ad un sentire gioioso. Il dono delle lacrime acutizza il dolore ma infonde poi gioia ineffabile. Le due esperienze sono legate tra loro in modo così stretto da sembrare inscindibili: 

69. Quando ci purifichiamo dal peccato con il pentimento, le lacrime, accese dal fuoco divino, sono ardenti; per i gemiti che ci salgono dal profondo del cuore siamo colpiti nel pensiero come da pesanti martelli. Allora sentiamo amarezza e pena. Ma quando, purificati sufficientemente da tali lacrime, giungiamo alla liberazione dalle passioni, allora, consolati dal divino Spirito, come chi ha acquistato serenità e cuore puro, dalle lacrime della compunzione che danno gioia siamo riempiti di piacere e di dolcezza indicibile.

Il dono della compunzione fa parte delle cose buone (ta agatà) promesse dal Vangelo. Unitamente al dono dello Spirito, la compunzione fa parte dei doni primari concessi al credente. La dove Matteo dice che Dio darà cose buone a coloro che gliele chiedono (Mt 7,11), Luca dichiara che Dio darà lo Spirito Santo a coloro che invocano (11,13). Ma lo Spirito Santo attiva in noi come primo movimento la frattura del cuore. Nel giorno di Pentecoste i primi ascoltatori sentono aprirsi questa ferita al loro interno. La ferita della compunzione apre il cuore ad accogliere i doni escatologici del Signore.

 

II PARTE. DISPONIBILITÀ

L'uomo che ha ottenuto la compunzione accetta tutto ciò che gli capita e in tutto coglie la mano di Dio. 

Ricordo la preghiera di Bonhoffer nel carcere di Flossenburg: 

io non comprendo le tue vie, ma la mia via tu la conosci: E’ buio dentro di me, ma presso di te c'è la luce; sono solo, ma tu non mi abbandoni; sono impaurito, ma presso di te c'è l’aiuto; sono inquieto, ma presso di te c'è la pace; in me c'è amarezza, ma presso di te c'è la pazienza; io non comprendo le tue vie, ma la mia via tu la conosci. 

Gli avvenimenti negativi sono causati dall’uomo e sono un prodotto della sua malizia. Tuttavia la persona di Spirito non si attarda a cercare le motivazioni o le responsabilità (indagini utili in altri ambiti), poiché sa che anche l’avvenimento che non è causato in modo diretto da Dio, rimane comunque nell’ambito della sua provvidenza. L’uomo santo non pensa mai male né di Dio né del prossimo. La formulazione più chiara e sintetica di questa doppia disponibilità ossia verso tutto ciò che ci viene da parte di Dio e del prossimo appare in una mistica italiana del sec. XV, ma questa opinione, di origine biblica, presenta una lunga storia.

«Pensare bene di Dio consiste nel ricevere con gratitudine tanto le cose prospere come le avverse, credendo, senza dubitare, che procedono dalla sua somma bontà e misericordia, poiché dice egli stesso nella sacra Scrittura: Io quelli che amo li correggo e li educo (Ap 3,19)» Varano 45

Circa la disponibilità nei confronti del prossimo, la stessa scrive:

«La seconda purità è verso il prossimo, a proposito della quale ci viene comandato: Ama il prossimo tuo come te stesso (Mt 19,19). In che cosa consiste la purità della mente verso il nostro prossimo? In questo: che non lo giudichiamo mai, ma che sempre l'onoriamo e lo reputiamo pietoso e onesto, perché la vera purità verso il prossimo è nell'amarlo con Dio e per Dio e non dirne male, ne nuocergli con la bocca o con il cuore. Questa è la vera osservanza dei comandamenti divini». (Varano 51)

Non pensare male né di Dio, né del prossimo. La massima può essere volta al positivo: confida in Dio sempre e pazienta in tutto ciò che ti viene dal prossimo. Accettare qualsiasi cosa da parte del prossimo è l’atteggiamento che si assume quando tutti i tentativi di dialogo sono falliti o quando è possibile intuire che essi non sono assolutamente possibili. 

Sull’abbandono in Dio, particolarmente interessante appare il discorso di Giuditta ai capi della città di Betulia, assediata dagli Assiri (Gdt 8,11-17.25-27). Costoro avevano deciso di arrendersi ai nemici se nell’arco di un tempo prestabilito (cinque giorni), Dio non avesse inviato un aiuto. Apparentemente avevano espresso un atteggiamento religioso poiché sembravano piegarsi alla volontà divina ma in realtà lo mettevano alla prova. Giuditta, invece, consiglia di accettare qualsiasi decisione di Dio: 

Vennero da lei ed essa disse loro: 

«[…] Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui, mentre non siete che uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scorgere il fondo del cuore dell'uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri o comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non vogliate irritare il Signore nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere da parte dei nostri nemici. E voi non pretendete di impegnare i piani del Signore Dio nostro, perché Dio non è come un uomo che gli si possan fare minacce e pressioni come ad uno degli uomini. Perciò attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nostro grido se a lui piacerà (Gdt 8,11-17).

Giuditta chiede di non mettere scadenze a Dio ma soprattutto di accettare qualsiasi evento («egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere»). A motivo della situazione di sofferenza, gli uomini possono invocare l’aiuto senza pretendere d’essere soccorsi nel modo da essi desiderato («ascolterà il nostro grido se a lui piacerà»). Inoltre è opportuno cogliere il dono nascosto nelle situazioni che richiedono abbandono fiducioso e capacità di sopportazione:

«Oltre tutto ringraziamo il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri. Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava i greggi di Làbano suo zio materno. Certo, come ha passato al crogiuolo costoro non altrimenti che per saggiare il loro cuore, così ora non vuol far vendetta di noi, ma è a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino» (Gdt 8,25-27).

La fiducia di Giuditta è davvero illimitata; rinuncia a capire il senso nascosto degli avvenimenti ma è certa che essi abbiano comunque un significato agli occhi di Dio. Gesù è stato colui che ha vissuto al massimo questo atteggiamento di Fiducia e abbandono in Dio. 

Uno dei traguardi della vita spirituale e dello spirito di compunzione sta appunto nel giungere a questo sentimento di abbandono. Solo coltivandolo in noi, contrastando lo spirito di sfiducia e di recriminazione, troveremo pace. 

«Accetta gli avvenimenti che ti capitano come un bene, sapendo che nulla avviene senza Dio»(Lettera di Barnaba, XIX, 6).

Doroteo di Gaza richiama il comportamento tenuto dal re Davide durante la fuga da Gerusalemme, nella circostanza del colpo di stato suscitato contro di lui dallo stesso figlio Assalonne. Mentre il re, esule e fuggiasco, s’inerpicava faticosamente per l’erta del monte degli Ulivi, fu aggredito e insultato da Simei, un parente del re Saul, deposto e già defunto. Questi, male informato, riteneva Davide responsabile dell’uccisione di Saul. Un soldato della guardia del corpo chiede al re il permesso di avventarsi sull’offensore ed eliminarlo. Davide, invece, opponendosi a questa decisione d’impeto e rimettendosi a Dio, dichiara: «Lasciate che maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi» (2 Sm 16, 11-12). Doroteo così commenta:

Ad un assassino Dio diceva di maledire David? Come poteva Dio ordinargli una cosa simile? In realtà il profeta, nella sua sapienza, sapeva che nulla attira la misericordia di Dio sull'anima quanto le tentazioni, specialmente quando crescono nel momento dell'afflizione e della tristezza. (VII, 88)

Ricorre ad un’immagine efficace. Il cagnolino corre dietro ad un sasso che rotola e gli abbaia contro, senza badare per nulla a chi l’ha gettato. Il cristiano che si adira contro il fratello, anch’egli agisce come se prestasse attenzione ad un sasso in movimento dimenticando di volgersi al Signore che ha permesso, a scopo educativo e medicinale, che quel fratello gli procurasse quella sofferenza. 

Ci succede quello che accade al cane. Uno gli butta un sasso e lui lascia stare quello che lo ha tirato e corre a mordere il sasso: così facciamo anche noi: lasciamo perdere Dio, che permette che ci assalgano le prove per purificazione dei nostri peccati, e corriamo contro il prossimo (VII, 88).

Anche in questo caso la relazione corretta con Dio, vissuta in spirito di compunzione, si tramuta in una relazione pacificata con il prossimo. La comunione con Dio genera la fraternità. 

Silvio Pellico racconta l'episodio dell'amputazione della gamba a cui fu costretto un compagno di prigionia. La scena è narrata nello spirito di pacificazione ormai guadagnato dal Pellico. La brutalità dell’operazione è descritta senza ombra di rancore e senza indulgere ai particolari raccapriccianti, in analogia ai racconti della passione di Gesù. La rosa offerta al chirurgo dal malato che aveva subito l’amputazione, è segno di questo guadagno interiore. Si può perdere un arto, ma non la dignità umana. Non bisogna temere chi uccide il corpo, ma piuttosto temere di chi può spegnere l’anima. Per un cristiano la rosa è simbolo dei beni del mondo nuovo, inaugurato dalla visita del Signore. Ogni credente può lasciarla fiorire nella sua vita. 

Lo ricorda anche Dante:  ch’io ho veduto tutto il verno pria, lo prun mostrarsi rigido e feroce; poscia portar la rosa in su la cima (XIII).

S'io fossi predicatore, insisterei spesso sulla necessità di bandire l'inquietudine: non si può esser buono ad altro patto. Com'era pacifico con sé e cogli altri Colui che dobbiamo tutti imitare! Non v'è grandezza d'animo, non v'è giustizia senza idee moderate, senza uno spirito tendente più a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita (XVII).

Lo sugerisce il Pellico ai ministri della Parola. 


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