L'umiltà di Gesù
"Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio come Aronne" (5,4). Viene espressa la necessaria umiltà per diventare sacerdote. È un onore che nessuno può pretendere: Dio decide, Dio nomina.Aronne scelse il sacerdozio e nemmeno Mosè ha scelto Aronne, Dio ordinò a Mosè di prendere Aronne sacerdote. L'episodio di Core e dei leviti manifesta che nessuno può prendere per sé questo onore. Il sacerdozio non poteva essere conquistato dall'uomo per innalzarsi al di sopra degli altri, ma era considersto un dono di Dio da ricevere con umiltà. Cristo Gesù "non glorificò se stesso per diventare sommo sacerdote" (5,5), anzi umiliò se stesso. Dio che gli disse: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato", lo nominò sacerdote: "Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek".
Il sacerdozio di Cristo non è frutto di ambizione, non è stato ottenuto con una autoglorificazione, ma al contrario con una volontaria umiliazione.:
"Nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che lo poteva liberare da morte ed essendo stato esaudito per la sua pietà, pur essendo figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e così, reso perfetto, divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono, proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek" (5,7-10).
L'Autore non assume la prospettiva di quei teologi che fanno cominciare il sacerdozio di Cristo al momento dell'incarnazione. L'incarnazione certamente è la base necessaria e sin dal suo ingresso nel mondo Gesù si manifesta pronto al sacrificio: "Ecco sono venuto per fare, o Dio, la tua volontà" (10,7). Però, per diventare sommo sacerdote, Cristo dovette offrire se stesso nella passione. Soltanto così è diventato veramente mediatore perfetto, perché soltanto così ha reso la sua relazione con il Padre e la relazione con i fratelli perfetta, definitiva, decisiva. Solo per mezzo della sua passione, la sua solidarietà con noi è diventata completa, perfetta e definitiva.
«Nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che lo poteva liberare da morte». Vediamo Gesù nel Getsemani in una situazione di angoscia tremenda e sentiamo anche il grido forte lanciato sul Calvario prima di morire.
Tutta la passione viene messa in questa luce di offerta e di domanda. Offrì domande! È una espressione paradossale perché di solito si distingue tra le due: la domanda non è un'offerta, e l'offerta non è una domanda. Ma in realtà l'Autore ci fa capire che in una preghiera autentica i due atteggiamenti debbono essere insieme. Quando si chiede una grazia a Dio, è necessario offrirGli la propria disponibilità. E d'altra parte, quando offriamo qualcosa a Dio, dobbiamo chiedere umilmente che Egli santifichi la nostra offerta, vi metta la sua grazia, la trasformi, altrimenti la nostra offerta sarebbe priva di valore. Quindi le offerte vanno fatte con atteggiamento di domanda e le domande con atteggiamento di offerta. Gesù nella sua passione ebbe questi due atteggiamenti strettamente uniti: un atteggiamento di offerta al Padre e un atteggiamento di domanda.
Il totale abbandono
L'Autore dice che fu esaudito per la sua pietà e questo sentimento rievoca il racconto dell'agonia di Gesù al Getsemani, dove Egli manifesto' la sua pietà (si dovrebbe piuttosto tradurre il suo profondo rispetto; il suo pieno abbandono). Ha manifestato il suo profondo rispetto nei confronti del Padre dicendo: "Padre, se è possibile, passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi tu". Gesù non ha dato un ultimatum al Padre, ma si rese disponibile in tutto. Possiamo notare nel Vangelo di Matteo che il contenuto della sua preghiera cambia. La seconda volta Gesù non chiede più: "Passi da me questo calice". La sua domanda diventa soltanto: "Sia fatta la tua volontà". «Se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà, o Dio» (Mt 26.39.42). Nella preghiera la domanda stessa viene trasformata dall'interno; perché la cosa più importante è l'unione di amore con Dio nell'unione delle volontà. Ciò che rende possibile l'esaudimento di una preghiera è un atteggiamento di profondo rispetto verso Dio, che rende autentica la preghiera e consente a Dio di agire come lui ritiene meglio.
L'Autore prosegue: «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì». Qui tocchiamo il mistero più profondo della redenzione e anche l'affermazione della solidarietà più completa di Cristo con noi. Imparare l'obbedienza: questo è il nostro grande compito nella vita. Siamo tutti indocili in partenza e dobbiamo imparare l'obbedienza da Gesù. Egli non era indocile in partenza. Era, al contrario, in una disposizione di docilità perfetta, però l'Autore ci fa capire una differenza molto forte fra la disposizione di un essere umano alla docilità e la virtù acquisita dell'obbedienza. Per la nostra natura umana sono veramente due cose diverse, ma solo chi supera ed affronta le prove più dure acquista in tutte le fibre del proprio essere umano la virtù dell'obbedienza.Una cosa è la disposizione all'obbedienza, un’altra la virtù provata. Gesù ha accettato per noi una legge della natura umana. Non ne aveva bisogno per sé ma ne ha avuto bisogno per noi, per poterci comunicare questa sua docilità a Dio. La sua obbedienza è stata sovrabbondante nel senso che Cristo ha accettato una sorte che non meritava per niente; così questa obbedienza può traboccare su di noi, a nostro merito proprio perché sovrabbondante. Qui possiamo cogliere meglio il significato dell'incarnazione e della redenzione.
Gesù ha assunto la nostra natura umana nel suo stato decaduto. È venuto in una carne simile a quella del peccato, cioè ha assunto la nostra natura per trasformarla per mezzo della sofferenza accettata nella docilità filiale al Padre e nella solidarietà con i fratelli. È questa forse la spiegazione più profonda del mistero della redenzione. Cristo ha accettato di subire al posto nostro e in nostro favore l'educazione dolorosa che ci era indispensabile per entrare nell'intimità di Dio.
Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek. È la conclusione trionfale della passione di Cristo, il punto decisivo e la trasformazione di Cristo stesso che è stato reso perfetto. L'Autore ha l'audacia di dire questo. Noi lo dobbiamo accettare e capire profondamente. C'è stata una trasformazione in Cristo, nella sua natura umana, un rinnovamento radicale che l'ha resa atta alla perfetta comunione con Dio nella gloria celeste.
Conferenza di A. Vanhoye, ripresa da una registrazione ed elaborata dal curatore del Blog
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