mercoledì 12 marzo 2025

Beati puri, i pacificatori i perseguitati

 beati i puri di cuore

Beati i puri di cuore perche vedranno Dio.

 Con i discepoli accostiamoci a Cristo beato, venuto dal cielo per rivelarci come si ama nel cielo: con amore puro totale. Cristo ci comunica la sua purezza di cuore se rimaniamo vicini a lui; se lo ascoltiamo, riceviamo il suo Spirito. Tutta la sua vita e la sua morte manifestano la santità di chi dà se stesso totalmente al Padre nel servizio ai fratelli Cristo è l'amore disinteressato, la purezza d'amore incarnata. La sua conoscenza del Padre, il suo modo di veder il Padre, non è astratto, puramente intellettuale. Al contrario, il suo conoscere è un riconoscere pieno di gratitudine e consacrazione totale alla volontà del Padre. Tutta la vita di Gesù proclama: «Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella del Padre; non sono venuto per cercare la mia gloria, ma quella del Padre». 

La promessa offertaci in questa beatitudine è meravigliosa: «Vedere Dio» già quaggiù e poi pienamente dopo la nostra morte. Dio è amore, e soltanto quelli che amano in modo simile possono avere l'esperienza di Dio, quella conoscenza che porta in sé ogni beatitudine. 

Tutti i santi e profeti hanno desiderato la conoscenza di Dio, fatta con il cuore, con l'affetto, con la volontà e con l'intelletto. Ma hanno anche sperimentato che non è possibile giungere a tale conoscenza senza la purificazione totale del cuore. Mosè, dopo aver ricevuto tali segni da Dio che lo chiama con un nome unico, osa chiedere il dono supremo: «Fammi, ti prego, vedere la tua gloria». Dio rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il nome del Signore davanti a te. Farò grazia a chi farò grazia e avrò misericordia di chi avrò misericordia». E poi disse: «Tu non puoi vedere la mia faccia, perché l'uomo non mi può vedere e restare vivo». Il Signore disse ancora: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai in piedi sulla roccia e avverrà che quando passerà la mia gloria, io ti metterò in una cavità della roccia e ti coprirò con la mano finché io sia passato, poi ritirerò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non sarà visto» (Es 33,12-23). Il profeta Isaia fece un'esperienza simile della santità purificante di Dio, esperienza del santo timore e della santa gioia del Signore. Contemplando da lontano la gloria di Dio circondata da Serafini e Cherubini, il profeta esclama: «Ohimè, sono perduto; io che essendo uomo dalle labbra impure, e abitando in mezzo a un popolo di labbra impure, ho veduto con i miei occhi il re, il Signore delle schiere! Allora volò verso di me uno dei Serafini con in mano un carbone acceso che aveva preso con le molle dall'altare, mi toccò la bocca e disse: "Ecco, questo ha toccato le tue labbra: scomparsa è quindi la tua iniquità, espiato il tuo peccato" » (Is 6,4-7). San Giovanni della Croce deduce dalla sacra Scrittura, dalla tradizione profetica e mistica e dalle proprie esperienze che anche la visione mistica di Dio, cioè una visione della gloria di Dio da lontano, sarebbe causa di morte istantanea se l'uomo non fosse purificato prima da ogni inclinazione al peccato, sia pure veniale. 

Dio è amore santo e perciò anche fuoco per chi è peccatore, fuoco purificante per chi si converte, fuoco ispiratore per chi non vuole ancora convertirsi. Per questo Dio si manifesta gradualmente ai suoi amici, all'uomo di labbra impure, per purificarlo. E se l'uomo si lascia purificare, se accetta le esperienze dolorose e si converte a Dio con tutto il cuore, con il dolore profondo dei suoi peccati e la piena fiducia, egli avrà una esperienza sempre più beata dell'amore di Dio, in altre parole vedrà Dio. 

Sbagliano totalmente quei giovani che vogliono ampliare con la droga le loro capacità spirituali per avere esperienze religiose senza dover affrontare il cammino paziente della conversione a Dio e al prossimo. La vera esperienza di Dio non si dà se non a quelli che accettano la necessità della purificazione per ottenere con un amore autentico e oblativo l'unione con Dio. E perciò preghiamo con il salmista: «Purificami, o Signore» Preghiamo per ottenere ciò che i profeti chiedevano, un cuore puro e uno spirito nuovo. Nei più antichi manoscritti del Vangelo di san Luca, la seconda invocazione del Padre nostro venga il tuo regno era detta con altra espressione: «Mandaci il tuo Spirito perché ci purifichi». Là dove il cuore è purificato l'uomo si lascia guidare totalmente dalla grazia dello Spirito e là diviene visibile la venuta del regno di Dio. Quella nostra preghiera è schietta se nello stesso tempo siamo vigilanti nei riguardi dei motivi che ci ispirano. Tutto dipende dalla sincerità dell'uomo, nella ricerca di Dio, del bene e del vero. L'uomo di labbra impure che vive in mezzo a un popolo di labbra impure sarà e rimarrà sempre cieco, anche se conosce tutte le norme, principi oggettivi e formulazioni di dogmi. Nella situazione concreta non troverà la soluzione, la più giusta, se non ricerca lealmente con tutti gli uomini di buona volontà e con volontà sincera e ferma, di mettere in pratica quello che in coscienza ha riconosciuto come il bene. 

L'uomo dal cuore puro non si interroga come uno schiavo: «Devo fare quello o questo sotto pena di peccato veniale o mortale? ». La domanda di coloro che, per mezzo dello Spirito santo, sono in via di purificazione, si esprime in un modo molto diverso: «Come posso rendere grazie al Signore per tutto quello che mi ha dato? Come posso trasformare tutta la mia vita in un'unica azione di grazie degna della generosità con cui Dio mi ha amato?». 

Meditando nell'Eucaristia e nella vita quotidiana i grandi doni di Dio, chiederemo sempre prima di ogni decisione: «Signore, posso offrirti questo impegno di una gratitudine degna di quanto hai fatto per me? ». La purità dei nostri motivi troverà la sua manifestazione, la più importante, nella sincerità assoluta, tanto nella ricerca del bene e del vero quanto nel modo di agire e di venire incontro agli altri. Se un religioso si presenta al suo superiore per fare richieste che sembrano subito irragionevoli, forse non vale la pena discutere. Sarà meglio suggerire al confratello o alla consorella di meditare una mezz'ora davanti al Signore sacramentato, di lodarlo e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto, e poi chiedere: «Signore, posso osare di dire davanti a te che desidero quella tal cosa solo per piacerti e offrirti una gratitudine degna di tutto quello che tu hai fatto per me?». Chi con fede umile, viva e riconoscente sta davanti a Dio, acquisterà un cuore puro, che però è sempre dono dello Spirito santo. I cristiani possono guadagnare la terra a Cristo mediante la non violenza, ma solo a condizione d'essere assolutamente sinceri. Non si può proclamare la verità che ci salva se ci si permettono menzogne a causa di un egoismo meschino. Il Signore, infatti, subito dopo aver proclamato le beatitudini, aggiunge: «Avete ancora udito che fu detto agli anziani: non spergiurare, ma mantieni i tuoi giuramenti al Signore; ma io vi dico di non giurare affatto. Il vostro parlare sia: "sì, sì; no, no", il di più viene dal maligno» (Mt 5,33-37). Forse non c'è un altro impegno tanto importante quanto quello per la sincerità assoluta. Possiamo ringraziare il Signore della storia perché ha ispirato alle nuove generazioni una viva passione per la sincerità. Ci fa bene sottostare all'occhio critico che ci chiede sempre se siamo sinceri. Non possono coesistere l'evangelizzazione e un linguaggio storico o falsamente diplomatico. Chi serve il Vangelo e la Chiesa deve preferire la sincerità anche se vulnerabile, ad ogni modo bugiardo o semibugiardo. Chi crede veramente nella beatitudine promessa ai puri di cuore, non avrà bisogno di vie storte e non si fiderà mai della diplomazia che usa mezzi impuri, sia pure per ottenere fini onesti. Anche questa beatitudine ha evidentemente il suo risvolto che purifica il sociale. Chi conosce Dio con cuore puro e suoi scopi e le sue intenzioni, potrà collaborare alla costruzione di un mondo più fraterno, più giusto. Quello che manca al mondo moderno è soprattutto la fiducia reciproca, e questa non si lascia ristabilire senza a sincerità assoluta. La beatitudine dei puri presuppone la prima, che ci fa simili a Cristo servo. Chi cerca il suo comodo (potere, carriera, titoli o promozioni) sarà sempre tentato di strumentalizzare la parola e anche il discorso religioso in suo favore. Il profeta Isaia si lamenta di dover abitare tra gente di labbra impure. Neppure per noi è possibile acquistare un cuore puro e vivere dandoci motivazioni assolutamente sincere se non collaboriamo a creare un clima sociale che ispiri sincerità e perciò anche fiducia reciproca. I discepoli di Cristo si uniscano nella lotta contro la corruzione e l'ipocrisia. Ripensiamo alla nobile vocazione dei pedagoghi, dei giornalisti, insegnanti, magistrati, parlamentari, che possono creare un clima di veracità nel quale la comunicazione sociale e il dialogo formino una vera comunità. Una società diventa civilizzata, umana e redenta se ognuno può facilmente convincersi della sincerità di coloro che esercitano l'autorità. Con il cuore puro, con quella sincerità e veracità che scaturiscono dalle intenzioni rette, si può creare l'ambiente adatto a comunicare la verità evangelica. Chi vive questa beatitudine è per gli altri un incoraggiamento a dimostrare fiducia e ad evitare ogni falso uso del linguaggio, per lottare con ogni energia contro la corruzione della vita pubblica, una lotta che non si limiterà a contestazioni verbali contro ogni forma bugiarda adottata per ottenere privilegi o conservare uno statu quo ingiusto. La contestazione profetica è autentica solo se si dà la testimonianza di sincerità e disinteresse a se ci incoraggiamo gli uni gli altri ad ogni impegno solidale per la verità e per il rinnovamento delle strutture che manifestano questo stesso spirito. I grandi esperti del lavaggio del cervello, Pablof e I. F. Skinnir, asseriscono che l'uomo è completamente manipolabile per mezzo di condizionamenti basati sulla rimunerazione e la paura di sanzioni. Infatti, sembra provato che l'uomo non trascende i motivi di rimunerazione, e la paura della pena è l'oggetto assolutamente indifeso della manipolazione. Chi cerca la lode, le promozioni, le carriere è un manipolatore manipolato senza speranza di poter progredire nella vera libertà e nella conoscenza di Dio amore. I religiosi sono veramente sale della terra e luce del mondo se con la loro testimonianza di altruismo, di amore oblativo e di sincerità assoluta comunicano la verità secondo la quale l'uomo può e deve trascendere i meri motivi di merito e di pena. Questo si rifletterà poi in tutte le strutture della Chiesa a favore di una società più umana, meno manipolabile. 


beati coloro che operano per la pace

Beati coloro che operano per la pace perché saranno chiamati figli di Dio 

Nella fede avviciniamoci a Gesù riconoscendolo Figlio unigenito del Padre, una dignità unica che il servo di Dio comunica ai suoi discepoli quando con giubilo chiama Dio Abbà, Padre. Gesù non ha bisogno di acquistarsi il diritto di chiamare Dio Padre e di essere chiamato suo Figlio; fin dal primo momento della sua esistenza umana è unito al Verbo eterno e può dirsi il Figlio che viene dal Padre e torna al Padre. Gesù si manifesta al mondo Messia e Figlio del Dio vivente proprio come operatore della pace. Egli non solo proclama e annuncia la pace, egli ne è la sorgente e la comunica ai suoi discepoli per mezzo dello Spirito santo. È venuto dal cielo per stabilirla sulla terra, ed è la pace messianica, somma di salvezza e liberazione. 

Non c'è altra parola così piena di forza e così ricca di promesse nell'Antico Testamento come la parola shalom, pace. Tutti i beni sono contenuti in questa pace messianica. 

E non dimentichiamo che Gesù per comunicarcela ha versato il prezzo più alto: il suo sangue. E il sangue della nuova ed eterna alleanza nel quale il Figlio di Dio ci fa tutti fratelli e sorelle. Ma non siamo degni di accogliere un onore così inaudito, di essere chiamati figli di Dio, se non accogliamo il dono della pace con quella gratitudine dalla quale scaturisce un impegno solidale per la pace di tutti. Proprio perché è dono gratuito dell'unico Padre, e destinato a tutti gli uomini, l'accoglienza riconoscente diventa necessariamente voto per essere messaggeri e operatori di pace. 

Se nella fede abbiamo un'idea giusta dell'onore di essere chiamati figli di Dio santo pregheremo con tutto il core come san Francesco: «Fammi strumento della pace». Nello stesso tempo pregheremo per avere le condizioni in dispensabili per esserne operatori: amore oblativo, fame e sete di giustizia e la prontezza ad essere semplicemente servi di Dio e servi della pace a favore di tutti gli uomini. 

Chi accoglie la pace di Dio con cuore riconoscente gioisce e la sua gioia diventa diffusiva. Non si può gioire di un dono così grande, dono dell'unico Padre, senza sentirsi intimamente spinti a comunicare questo dono, questa pace, questa gioia al prossimo. 

Ma non dimenticheremo come sia altrettanto vero che non si può comunicare la pace se non la conserviamo nel cuore. Pensiamo all'assurdità di lasciarsi disturbare, di perdere addirittura la serenità dell'animo e la gioia della mente a causa di inconvenienti, talora anche piccoli. 

Al termine di un corso sulla pace e sul sacramento della riconciliazione, un caro sacerdote mi accompagnò all'aeroporto. Egli aveva confermato e riconfermato il biglietto per maggior sicurezza, ma inaspettatamente in quel volo non c'era posto per me. Il caro sacerdote era talmente disgustato e adirato per questo contrattempo che proferì alcune parole dure. Io gli dissi: «Ma, mio caro, abbiamo celebrato per una settimana intera la gioia del Signore e ci siamo rallegrati nella sua pace; com'è possibile questo tuo comportamento?». Mi rispose: «Difatti è assurdo; ma già è perduta la pace, già è perduta la gioia». Dobbiamo meravigliarci che sia possibile lasciarci disturbare da inconvenienti, da piccoli malintesi o da attacchi di cui siamo fatti oggetto, se abbiamo intuito l'altezza, la profondità e tutte le dimensioni di questo dono supremo della pace, destinato a tutti. Shalom, pace: è dono di una totalità stupenda. Pace e riconciliazione significano nuovi rapporti: nuovo rapporto con Dio Padre, con Cristo nostro Signore e fratello, con il prossimo, con il mondo circostante e con se stesso. Pace e riconciliazione ci dicono che siamo accettati da Dio come figli e amici. Dio ci viene incontro come Padre e ci cerca là dove ci troviamo, per condurci alla piena statura di figli. E così vediamo tutta la vita in una nuova luce. Dopo esserci resi conto di quest'accettazione gratuita da parte di Dio, possiamo accettare anche le nostre ombre, le difficoltà, la pochezza della nostra persona, i nostri limiti; e tutto entra nella nuova dimensione di poter crescere sino alla statura matura di figli di Dio. 

Chi si sa afferrato e accolto da Dio stesso, accoglierà il prossimo tale quale è, e si troverà insieme a lui sul cammino che conduce alla pienezza di vita in Cristo. Gesù ha accolto Maria Maddalena, la donna samaritana, Pietro che lo aveva rinnegato; la sua accoglienza, che è nello stesso tempo atto di riconciliazione, permette loro di divenire una nuova creatura, persone adatte a comunicare la lieta novella della pace e della riconciliazione anche agli altri. Giustamente si sottolinea l'aspetto personale, la pace del cuore, i rapporti nuovi con Dio e un nuovo modo di accettare se stessi; non si può però dimenticare l'aspetto sociale della pace per la quale Cristo è venuto. Dio in Gesù Cristo ha riconciliato a sé il genere umano, e se gli uomini sono riconciliati con il Padre onnipotente di tutti, saranno riconciliati anche tra di loro, anche a livello sociale e internazionale. Un certo verticalismo ha spesso dimenticato la totalità individuale della pace e così non ha potuto nemmeno approfondire la pace dell'animo. Non si può accogliere una sola parte di questo dono; chi si apre con profonda gratitudine ne scoprirà pian piano tutte le dimensioni. Chi vuole pace con Dio e nell'animo, chi desidera la pace eterna nei cieli nuovi e nella nuova terra, s'impegnerà per la pace tra gli uomini nella vita privata e sociale. Pensiamo innanzi tutto alla pace nelle famiglie. Si può vivere il sacramento del matrimonio e della riconciliazione solo se le persone si rispettano, si vogliono bene, sono sempre disposte a perdonare e a riconciliarsi, senza volee imporre una resa incondizionata agli altri. 

Ogni famiglia religiosa è chiamata a essere un modello per le famiglie proprio per il modo con cui si vive la continua riconciliazione. Chi vuol cercare e promuovere la pace per la quale Cristo è morto, non si permetterà mai un approccio rigido. I farisei, proprio a causa della loro rigida inflessibilità, non hanno potuto e non hanno voluto aprirsi al dono della pace messianica e hanno anche impedito agli altri di accedere a Cristo. Gesù ci viene incontro per camminare con noi e comunicarci sempre più la sua pace. Allo stesso modo nelle nostre comunità dobbiamo accompagnarci gli uni gli altri per fare insieme il cammino della pace e compiere la nostra missione promotrice di sani rapporti tra gli uomini. 

La pace messianica include necessariamente la giustizia e l'ordine sociale. Chi accoglie con riconoscenza il dono divino della pace e della riconciliazione, non si permetterà più rivendicazioni economiche, sociali, politiche ingiuste e non darà il suo voto a un partito fondato su tali motivi ingiusti. Per poter essere messaggeri e operatori della pace messianica, lottiamo continuamente non solo contro l'egoismo individuale, ma anche contro quello collettivo. 

Negli ultimi anni mi sono incontrato spesso in Africa con profughi del Burundi, che con estremo pericolo sono riusciti a sottrarsi al terribile massacro in cui oltre duecentocinquantamila persone della tribù Hutu sono state uccise. In questi incontri di dialogo e preghiera con i profughi più qualificati per rappresentare la tribù maggioritaria, abbiamo meditato molto sul dono e il compito della della pace. Il loro motto è: «giustizia senza vendetta», ossia: «Pace nella giustizia e nel perdono». Solo così possono liberare l'altra tribù (i Tutsi) dall'angoscia, dalla quale scaturiscono sempre nuovi atti riconciliazione e di violenza. Nello stesso tempo questi profughi generosi hanno deciso fermamente di non generalizzare mai e non accusare mai la tribù minoritaria dei Tutsi, come tale, dei crimini commessi, poiché in realtà soltanto pochi Tutsi prepotenti hanno manipolato l'intera tribù. 

Mi sembra importante per tutti gli operatori di pace accettare un tale proposito radicale, cioè l'impegno per la giustizia, escludendo totalmente ogni pensiero di vendetta; l'impegno contro ogni forma di egoismo collettivo che vorrebbe una pace ingiusta conservando privilegi o prerogative ingiuste. Cristo non è venuto per approvare una pace bugiarda né per gli ingiusti, né per gli inerti. Chi vuole la pace e vuol esserne apostolo deve unirsi a tutti gli altri uomini di buona volontà. Tra gli operatori beati della pace sono coloro che hanno fame e sete della giustizia divina che vuole stabilirsi sulla terra: giustizia per tutti, che però perdona e guarisce le ferite. Per difendersi dal fanatismo degli estremisti che fanno guerra alla nostra società non basta invocare la pena di morte. Certo, abbiamo bisogno anche delle forze dell'ordine, ma ancora più di un nuovo clima di comprensione, di rispetto reciproco. Questo clima può essere creato solo da chi si è consacrato come testimone della pace e della giustizia nella gioia che Cristo ci ha portato. Non possiamo nemmeno fermarci ai confini della nostra nazione o del nostro continente. Chi rende grazie sempre e dovunque a Cristo, s'interesserà appassionatamente della pace di tutti i popoli. C'impegneremo quindi come animatori per una politica della distensione, del dialogo, dell'aiuto generoso alle parti meno sviluppate del nostro popolo, ma anche dell'aiuto ai popoli più poveri. Viviamo tutti nella stessa nave che si salva o affonda con tutti noi. Non possiamo sperare la nostra salvezza se non ci impegniamo per la giustizia e per la pace, che Dio Padre vuole per tutti i suoi figli e tutte le nazioni. 

Anche a questo riguardo è importante formare un'opinione pubblica sana e forte. Non parleremo mai con disprezzo degli altri, al contrario esprimeremo la massima comprensione e il massimo rispetto per chi non la pensa come noi; cominceremo con il nostro prossimo più vicino, con quei membri della nostra comunità che, a causa di un'altra educazione o di un diverso temperamento, non vanno sempre d'accordo con noi. Mai ci permetteremo giudizi generalizzanti e poco favorevoli a gruppi ecclesiastici e sociali diversi o a nazioni estere. Ad esempio, pur essendo contrari al marxismo, si può e si deve parlare con rispetto delle persone che votano per il partito comunista. Spesso essi non sono atei e nemmeno marxisti nel senso ideologico; votano per quel partito perché non vedono un impegno sociale del tutto convincente in partiti dal nome cristiano. Se sono atei dobbiomo chiederci se non ne siamo in parte responsabili; forse non abbiamo dato una testimonianza luminosa. Non parleremo male del popolo russo perché è dominato da un partito comunista duro e oppressore. La stragrande maggioranza di quel popolo è buona e desiderosa di pace e libertà. Mai generalizzeremo perché tale atteggiamento non è soltanto una ingiustizia, ma anche un peccato contro la pace; crea infatti un clima poco favorevole alla riconciliazione sociale e politica. Se vogliamo essere operatori di pace nella società secolare, dobbiamo unirci nella Chiesa e nelle nostre comunità, affinché esse siano segno visibile ed efficace della pace che viene da Dio e segno di speranza per il mondo seco- lare. Incominciamo questa missione di pace nelle nostre comunità religiose, nelle nostre parrocchie, nelle diocesi, insomma nella comunità ecclesiale, e impareremo a rispettarci gli uni gli altri, a comporre le nostre difficoltà mediante un dialogo rispettoso, sempre disposti ad ascoltare, accettare, apprezzare tutto ciò che è giusto e vero, e a esprimere le nostre convinzioni in modo umile e sincero. E là dove non siamo del tutto sicuri delle nostre opinioni, non proponiamole come tesi, ma piuttosto come interrogativi. Il dialogo non basta però se mancano le azioni a favore della giustizia, del rispetto e della pace. Le comunità religiose ed ecclesiali uniscono uomini e donne delle diverse classi sociali. L'Eucaristia unisce persone inserite nei diversissimi ambienti culturali, economici e sociali. Se ci accettiamo pienamente all'interno delle nostre comunità religiose ed ecclesiali, disposti a cooperare con animo sereno e con comprensione, possiamo anche divenire, come comunità, un modello di pace economica, sociale e politica per il nostro paese e per il mondo intero. Grande è l'onore e la beatitudine di essere chiamati da Dio stesso suoi figli e di avere il privilegio di essere fratelli di Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio. Vale quindi la pena di essere riconoscenti per tale vocazione e di impegnarci fino in fondo per la pace come realtà indivisibile. Essere operatori di pace non è un compito imposto dall'esterno, esso scaturisce dalla stessa fede nel Vangelo. Paolo VI molte volte ha fatto appello alla pace fondandolo chiaramente sulla lieta novella, e ha detto: «La pace è possibile». Chi crede in Gesù Cristo, che è la pace, crede anche nella possibilità di vivere in pace e di promuovere la pace tra gli uomini. 


beati i perseguitati

Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli. 

L'ottava beatitudine riprende la promessa della prima: «di questi è il regno dei cieli». Il regno dei cieli, o regno di Dio, significa non solo la beatitudine eterna, ma anche la vita dei redenti che quaggiù si lasciano totalmente guidare dallo Spirito santo e vivono sotto l'ispirazione della grazia la propria vita come azione di ringraziamento e di lode. 

Il regno dei cieli è visibile là dove gli uomini sono uniti nella fede, nell'amore e nella lode di Dio. La morale delle beatitudini è la morale pasquale. Il primo impegno è sempre quello di accostarci a Cristo morto e risorto per noi e che in noi vuol vivere, continuando per mezzo nostro la sua proclamazione delle beatitudini. 

È lui il beato che è stato perseguitato a causa della sua fame e sete di giustizia. Egli è il profeta che scuote la coscienza dei ricchi, dei potenti, dei privilegiati, degli ipocriti che sfruttano anche la religione a favore dell'egoismo individuale e collettivo. Se Cristo avesse predicato soltanto la pace interiore dell'animo senza toccare i gravi problemi della convivenza, della giustizia sociale, della sincerità, della religione e del culto sincero, non sarebbe stato perseguitato dai potenti. Cristo ha messo tutto in atto per unire gli uomini nella giustizia e nella pace che riflettono la fede in un solo Dio. A questo scopo doveva usare talora parole anche forti, franche. Ogni volta si è confrontato con uomini di coscienza dura, con ipocriti che mediante pie parole volevano ingannare gli altri e conservare il loro statu quo ingiusto. Cristo non è solo un profeta, ma il Profeta, l'apice e il movimento di tutta la storia profetica. Tutti i profeti mandati da Dio hanno unito nella loro vita l'esperienza Dio santo e misericordioso con la misericordia verso i poveri, con la fame e sete di quella giustizia che esprime a fede in un solo Dio, Padre onnipotente di tutti gli omini. Purtroppo gli uomini di cervice dura non hanno accettato il messaggio e la contestazione dei profeti e li hanno perseguitati. Cristo il Profeta ha pagato come tutti i profeti, ha pagato di persona e ha dovuto soffrire più di tutti gli altri mandati dal Padre, prima di lui e dopo di lui. Se ci accostiamo con fede viva e profonda a Cristo risorto, non perderemo più la pace a causa dei malintesi e delle diffamazioni, perché vedremo la vittoria di Colui che è venuto a ristabilire la vera giustizia. Se Cristo è morto per noi e ha dovuto soffrire tanta opposizione, sarà normale, anche per i suoi discepoli, i più autentici, aver parte alla sua sofferenza. Chi decide di vivere secondo l'alta vocazione alla santità, dovrà soffrire anche nella sua comunità religiosa, nella sua diocesi, ovunque, perché mai mancherà l'opposizione di coloro che si sentono accusati da una vita cristiana radicale. Chi ama la Chiesa avrà talora anche il dovere di contestare atteggiamenti o parole che potrebbero diminuire grandemente la credibilità della Chiesa. 

La stampa cattolica ha recentemente attribuito a un vescovo queste parole: «Un cattolico fedele ubbidirà sempre al suo vescovo anche se sbaglia, perché è un onore sbagliare con la Chiesa». Dobbiamo francamente contestare la identificazione che si fa del vescovo con la Chiesa come tale. Se sbaglia un vescovo che non si comporta come un discepolo umile di Cristo, non sbaglia la Chiesa, ma un uomo della Chiesa che ha bisogno di essere corretto. E se la correzionefraterna porta reazioni spiacevoli, dobbiamo ricordarci della beatitudine promessa a coloro che soffrono a causa della giustizia. Spesso però le nostre sofferenze non sono causate dalla fame e sete di santità, ma sono almeno parzialmente conseguenza dei nostri peccati: del nostro orgoglio, del nostro egoismo personale e collettivo. Ma anche queste sofferenze possono entrare umilmente nella prospettiva delle beatitudini se ci convertiamo totalmente alla nuova giustizia e accettiamo con un nuovo senso di giustizia tutte le sofferenze necessarie al cammino della salvezza. Talora dobbiamo soffrire là dove abbiamo cercato esclusivamente il bene della Chiesa o del proprio istituto e la gloria di Dio. In questi momenti sarà utile ricordarci di aver meritato sofferenze più grandi a causa dei nostri peccati. Questo umile ricordo ci renderà più facile accogliere la sofferenza che ci unisce più intimamente alla missione di Cristo, di soffrire per il regno del Padre. 

Gesù ripropone l'ottava beatitudine indirizzandosi in modo particolare ai suoi discepoli, con tutto il fascino della sua personalità, e ciascuno di noi dovrebbe sentire queste parole come un invito personale: «Beati sarete voi quando vi biasimeranno e perseguiteranno e diranno falsamente ogni male contro di voi, mentendo, per causa mia. Gioite ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti prima di voi» (Mt 5,11-12). Con questo modo diretto Cristo non solo riassume l'ottava beatitudine, ma ogni sua parola, e ci fa consapevoli della sua presenza. Cristo non è un filosofo, non ci chiama a un discorso astratto. Egli comunica la sua beatitudine con una parola diretta a ciascuno di noi e alla comunità dei discepoli. Le sue parole sono la legge pasquale scritta nei nostri cuori per mezzo dei misteri pasquali in cui opera lo Spirito inviatoci da Cristo. 

Se siamo uniti a Cristo servo mite, misericordioso, che ha fame e sete di stabilire la vera giustizia tra gli uomini e di unire tutti nella sua pace, ci sentiremo invitati a seguirlo anche lungo la via della croce. 

Platone scrisse già parecchi secoli prima della venuta di Cristo: «Se venisse l'uomo giusto e perfetto, questo mondo cattivo lo crocifiggerebbe». Cristo è il Giusto, il Santo venuto dal cielo. La sua santità è un'accusa contro chi non vuol convertirsi, e perciò suscita spesso reazioni violente, Cristo è venuto per annunciarci la vera pace e la giustizia e al tempo stesso è il richiamo più forte alla conversione e all'impegno a favore della giustizia. Chi non vuol accogliere questo richiamo, lo perseguita. Se c'impegniamo fino in fondo per la santità, la giustizia e la vera pace, ne pagheremo anche noi il prezzo, come i profeti e Cristo, il grande profeta. Tale prospettiva, però, non sarà causa di prostrazione per chi si accosta a Cristo. Al contrario, seguiamo Cristo con tutto il cuore e sperimenteremo la vera liberazione della gioia pasquale, della pace divina. Chi crede nel mistero pasquale e dice un sì fermo alla croce, potrà rendere una testimonianza gioiosa anche in mezzo alle difficoltà. Liberati dalle frustrazioni inutili che vengono dall'egoismo, possiamo affrontare le difficoltà e le lotte inevitabili, che ci attendono quando resistiamo con parole e azioni sincere alle ingiustizie e alle ipocrisie che, purtroppo, regnano talora anche nei nostri ambienti. Ci ricorderemo sempre dei nostri ambienti. Ci ricorderemo sempre più che questa morale non è una imposizione, non è un imperativo duro, ma la nobile chiamata scritta nei nostri cuori, in quanto siamo configurati a Cristo che ci offre la gioia, la pace, un cuore purificato, uno spirito nuovo, l'esperienza della sua presenza. Possiamo dunque affrontare senza angoscia le difficoltà della vita. È normale per i discepoli di Cristo essere contraddetti proprio quando cominciano a vivere seriamente il Vangelo delle beatitudini. E guai ai religiosi se gli uomini della cultura consumistica e superficiale non li considerano una sfida! La vita di ogni cristiano, ma soprattutto quella delle comunità religiose, dovrebbe sempre essere un richiamo alla conversione per coloro che alla conversione non sono disposti. Non dobbiamo però provocare opposizione con un modo strano di vivere, con alienazioni. Solo una vita autenticamente evangelica può continuare la missione profetica di Cristo, di cui Simeone dice: «Ecco, egli è posto a rovina e risurrezione di molti in Israele e quale segno di contraddizione. Così saranno svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). 

I cristiani vogliono vivere in amicizia con tutti gli uomini; perciò accolgono tutto quello che è buono e si adattano a tutte le cose indifferenti. Ma non dovranno avere paura di essere contraddetti perché vivono il Vangelo in modo esemplare. «Chi potrà farci del male se voi siete zelanti per il bene? Ma se anche doveste soffrire a causa dell'ingiustizia, beati voi. Non abbiate timore di loro, non lasciatevi turbare, ma adorate Cristo quale Signore nei vostri cuori, sempre pronti a rendere conto della speranza che è in voi» (1Pt 3,13-14). 

A questo riguardo si rivela efficace venerare i santi, leggere le loro vite, per considerare come essi in mezzo alle contraddizioni hanno potuto comunicare la gioia del Vangelo a tanti uomini. Anche i santi erano molto sensibili e hanno sofferto nell'intimo del loro spirito, ma mai con frustrazione degradante, mai con rancore o risentimento. Uniti a Cristo morto e risorto, nella gioia del Signore trovarono la forza di essere testimoni sinceri, di unirsi a tutti gli uomini di buona volontà per la giustizia e la pace, ma anche di rendere una testimonianza scottante con la loro vita e dire una parola profetica nella resistenza contro un mondo tenebroso, bugiardo e ingiusto. 



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