«Avendo dunque, fratelli, pieno diritto di entrare nel santuario, nel sangue di Gesù, avendo questa via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi, attraverso il velo, cioè la sua carne, avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci...» (10,19-22). L'Autore dice all'inizio fratelli (v. 19). Il termine esprime l'unione dei credenti nella Nuova Alleanza. Siamo fratelli in Cristo, anzi, siamo fratelli di Cristo, perché Cristo si è fatto nostro fratello e ha saldato questa unione con la sua passione e la sua resurrezione. Alla fine del passo l'Autore torna sull'unione fraterna, esortando alla carità, ma nel mezzo insiste soprattutto sulla relazione dei credenti con Dio.
Il diritto di entrare
Nell'antica alleanza questa relazione era ostacolata in vari modi. Nella Nuova Alleanza, invece, tutti i credenti hanno pieno diritto di entrare nel santuario per accostarsi a Dio. Le traduzioni mettono “con piena fiducia”; è una traduzione possibile. Il termine greco però è parrêsían, che non indica semplicemente un sentimento di fiducia, ma un diritto oggettivo. La parola significa il diritto di dire tutto; era un termine caratteristico della città greca democratica. Il termine viene usato più volte nel Nuovo Testamento per caratterizzare la nuova situazione di libertà creata dal mistero pasquale di Gesù. San Paolo insiste molto sulla libertà cristiana, sulla libertà dei figli di Dio. Quella dei figli di Dio è una situazione di diritto di accesso. Abbiamo diritto, pieno diritto di ingresso nel santuario. Vuol dire che sono state abolite tutte le separazioni che esistevano nell'Antico Testamento; ne era pieno. Nell'antica alleanza c'era prima la separazione tra le nazioni pagane e il popolo.
Quest'ultimo era protetto da divieti molteplici per evitare il contatto con le nazioni pagane. C'era poi la separazione tra il popolo e i sacerdoti: il popolo non era mai autorizzato ad entrare nell'edificio del tempio, poteva soltanto stare nei cortili. Soltanto i sacerdoti avevano il diritto di penetrare nell'edificio.
C'era pure una separazione tra semplici sacerdoti e sommo sacerdote. I primi potevano entrare solamente nella parte santa dell'edificio, non nella parte più santa, nel Santo dei Santi. L'Autore ha ricordato che solo il sommo sacerdote aveva il diritto di penetrare nella parte più santa e soltanto una volta all'anno, durante una eccezionale funzione penitenziale di espiazione. C'era inoltre la separazione tra sacerdote e vittima. Come abbiamo visto, il sacerdote non poteva offrire se stesso, non era degno, non era capace, doveva offrire come vittima un animale. Infine la separazione tra vittima e Dio, fin troppo chiara: un animale non può entrare in comunione con Dio. Si aveva quindi una situazione segnata da una serie di separazioni che formavano una specie di piramide con la speranza di raggiungere Dio. In realtà, l'ultimo grado segnava una forte separazione da Dio perché fra un animale e Dio c'è impossibilità di comunione.
Ora, invece, per mezzo dell'offerta di Cristo, tutti abbiamo il diritto di entrare nel santuario e nel vero santuario; non più nel santuario fabbricato dalle mani d'uomo, ma nel santuario che è l'intimità celeste di Dio. Questo diritto di ingresso è fondato, dice l'Autore, sul sangue di Gesù, perché il sangue di Gesù è un sangue di alleanza, versato in una offerta generosissima che ha abolito tutte le separazioni antiche e ha stabilito la piena comunicazione, la piena comunione tra tutti e Dio, cioè fra tutti i credenti.
Con la sua offerta, Cristo ha abolito la separazione tra vittima e Dio. Egli è stato una vittima quanto mai gradita a Dio, una vittima senza macchia, ha detto l'Autore; una vittima che ha adempiuto perfettamente la volontà di Dio e quindi non può che essergli gradita. Cristo, d'altra parte, ha abolito la separazione tra sacerdote e vittima, in quanto, offrendo se stesso, è stato nel contempo sacerdote e vittima. Offrì se stesso come sacerdote e come vittima. Nel momento in cui Dio ha gradito la vittima, ha gradito anche il sacerdote e lo ha innalzato presso di sé nella gloria. Ma Cristo ha abolito anche la separazione tra popolo e sacerdoti, perché la sua offerta è stata un atto di totale solidarietà con noi, un atto nel quale la perfezione consacrazione a lui conferita è stata contemporaneamente comunicata a noi. Abbiamo visto che l'Autore parla più volte della perfezione raggiunta da Cristo e il verbo usato, rendere perfetto, ha pure il significato, nell'Antico Testamento, di consacrare sacerdote. Nel Pentateuco si usa solo tale verbo e viene usato unicamente per la consacrazione del sommo sacerdote. Quindi, quando l'Autore dice che Cristo è stato reso perfetto dice allo stesso tempo che Cristo è stato consacrato sacerdote e la sua perfezione è una perfezione sacerdotale.
D'altra parte l'Autore ha detto che Cristo con un'unica oblazione è stato reso perfetto e ci ha resi perfetti, ci ha comunicato la sua consacrazione sacerdotale. Così il sangue di Cristo è diventato veramente un sangue di alleanza, un sangue che stabilisce una situazione nuova che non era mai stata realizzata in precedenza. Lo dice anche Paolo nella lettera agli Efesini: "Ora in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo" (Ef 2,13). In questo passo Paolo aggiunge una cosa che non viene detta nella lettera agli Ebrei, cioè che anche la separazione tra il popolo eletto e le nazioni viene abolita. Il pagano, colui che era lontano, nel sangue di Cristo è diventato vicino e partecipa agli stessi privilegi del popolo eletto. Il sangue di Cristo possiede una straordinaria forza di coesione, stabilisce la comunione con Dio e con i fratelli proprio perché è l'espressione di un amore estremo nella docilità filiale e nella solidarietà fraterna.
La via nuova e vivente
Dopo aver nominato il diritto di entrare, l'Autore aggiunge altri due aspetti. Per entrare nel santuario non basta avere il diritto di accesso, occorre avere anche una via per entrare e una persona autorevole che ci guidi in tale via. Tutto questo lo troviamo in Cristo. In Lui abbiamo la via nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi attraverso il velo del tempio; e l'Autore precisa, cioè la sua carne (10,20). Di nuovo un cambiamento di situazione rispetto al culto dell'Antico Testamento. In precedenza l'Autore ha affermato che nell'Antica Alleanza la via del vero santuario non era stata ancora manifestata. Abbiamo notato questo verbo: manifestata. Non soltanto non era aperta, ma non era nemmeno conosciuta, perciò era impossibile la comunicazione autentica con Dio. Ora, invece, abbiamo la via; la via è stata manifestata e questa via è la carne di Gesù, la natura umana del Figlio di Dio in quanto ha percorso la distanza che ci separava da Dio ed è entrata nell'intimità di Dio. L'Autore dice che questa via è stata inaugurata da Cristo stesso nel suo mistero pasquale: vuol dire che per entrare nell'intimità celeste di Dio, Cristo ha usato la sua umanità glorificata, che è costituita via di accesso a Dio. Nel Quarto Vangelo Gesù presenta se stesso come la Via, la Verità, la Vita. Quando proclamava queste parole non aveva ancora raggiunto la meta. Quindi la via era ancora incompleta, ma adesso è completa perché Gesù è passato dal mondo al Padre per mezzo del suo sacrificio. Ora che è risorto, Cristo è veramente la Via che consente di entrare in comunione con il Padre.
L'Autore dice che questa via è nuova e per affermare ciò usa l'aggettivo raro, prósphaton, lo stesso che il Qohelet utilizza per dire che non c'è niente di nuovo sotto il sole. L'Autore della lettera agli Ebrei dice che c'è qualcosa di nuovo, è la via tracciata da Cristo. L'aggettivo nuovo, richiama questa novità di vita di cui parla Paolo a proposito della Risurrezione. D'altra parte l'Autore dice una via vivente proprio perché si tratta di Cristo risorto; Cristo risorto è il vivente. "Perché cercate il vivente tra i morti?" chiede l'Angelo alle donne. Pietro nella sua lettera dice: "Stringendovi a lui, pietra vivente" (1Pt 2,4). Usare l'espressione la via nuova e vivente è un altro modo di designare ciò che l'Autore aveva chiamato la Tenda più grande e perfetta, per mezzo della quale Cristo è entrato nel santuario divino. Siamo sempre riportati all'umanità glorificata di Gesù, la quale è diventata per tutti noi l'unica via di accesso al Padre. Dovremmo capire meglio la straordinaria novità introdotta nel mondo dal mistero pasquale di Cristo che ci dà la capacità di trasformarci rinnovando continuamente la nostra mente. Non siamo chiamati a rimanere nella condizione del mondo vecchio, ma ad entrare in una creazione nuova, nella condizione del cuore nuovo, dello spirito nuovo. La ricerca della volontà di Dio ci introduce in questa novità, perché questa volontà non è un codice fisso come erano i dieci comandamenti, ma una creazione continua.
Cristo sacerdote e guida
Dopo aver parlato della via, l'Autore parla della guida in questa via. "Abbiamo un sacerdote grande sopra la casa di Dio" (10,21), letteralmente: stabilito sopra la casa di Dio. Vediamo che l'Autore fa cenno alla prima qualità sacerdotale di Cristo, cioè alla sua autorevolezza. Nel III capitolo aveva già usato questa espressione "sopra la casa": "Cristo è degno di fede in qualità di Figlio stabilito sopra la sua casa e la sua casa siamo noi" (3,6). Pertanto la Nuova Alleanza non è come l'antica, una istituzione impersonale, una legge scritta sulla pietra. La Nuova Alleanza è in realtà una persona, una realtà viva: Cristo risorto. Il valore di tale Alleanza non proviene soltanto dall'evento passato che l'ha fondata, ma dalla presenza attuale del mediatore, il quale ne è anche il garante nella propria persona, come ci ricorda l'Autore nel VII capitolo. La Nuova Alleanza esiste nella persona, nell'umanità di Cristo risorto. Questa dunque è la nostra situazione, veramente privilegiata. L'Autore ne parla con un entusiasmo segreto. Abbiamo pieno diritto nel sangue di Gesù, abbiamo la via, la carne di Gesù, abbiamo Gesù stesso per guidarci, non ci manca niente. Avendo tutto questo, siamo invitati a procedere con sollecitudine. L'Autore rivolge questo invito: "Accostiamoci con cuore sincero".
Dobbiamo progredire nel nostro rapporto con Dio. Qui possiamo di nuovo notare un forte contrasto con l'Antico Testamento che vietava di accostarsi. Era severamente proibito ai fedeli di accostarsi al Santuario. Chi lo faceva meritava la pena di morte. Solo il Sommo Sacerdote poteva farlo, ma in circostanze molto determinate e limitate. Nel libro dei Numeri per ben tre volte si dice che chi si accosta sarà punito di morte: "Nessun estraneo che non sia della discendenza di Aronne si accosti, l'estraneo che si accosterà sarà messo a morte". Anche per i sacerdoti c'era il pericolo di morte.
All'inizio del XVI capitolo del Levitico, prima di descrivere la liturgia del giorno di Kippur, il Signore dice a Mosè: "Parla ad Aronne tuo fratello, digli di non entrare in qualunque tempo nel Santuario oltre il velo davanti al coperchio che è sull'arca, altrimenti potrebbe morire". Ora, invece, tutti siamo invitati ad avvicinarci a Dio senza nessuna limitazione, siamo invitati ad entrare in contatto intimo con Dio per mezzo di Cristo risorto. Ci sono buone ragioni per pensare che l'Autore abbia composto la sua predica in vista di assemblee cristiane eucaristiche.
Fede speranza carità
Per definire gli orientamenti fondamentali della Nuova Alleanza, l'Autore nomina tre virtù teologali: la "pienezza di fede", la "professione della nostra speranza", la volontà di "stimolarci a vicenda nella carità".
Non fa esortazioni morali, ma teologali. Avrebbe potuto invitare i fedeli a praticare le virtù morali o anche le virtù cardinali. Non l'ha fatto perché queste virtù non hanno un rapporto diretto con la Nuova Alleanza, nella quale invece le virtù teologali sono essenziali perché riguardano tutte la relazione con Dio e con i fratelli.
Già nell'Antico Testamento si insisteva molto sulla fede, sulla fiducia in Dio. Ad esempio, nel salmo 78, che ricorda tutta la storia di Israele, leggiamo: «Dio comandò ai nostri Padri di farlo sapere ai loro figli perché ponessero in Dio la loro speranza». Il salmista poi si lamenta perché il popolo non ha corrisposto a questa esigenza di fede e di fiducia: Non si fidavano di Dio, non confidavano nel suo aiuto. L'Antico Testamento insisteva molto sulla necessità della fede, sulla sua importanza. Nel corso della storia d'Israele, questa prospettiva teologale è stata oscurata dalla preoccupazione sempre più forte delle osservanze. Gli Ebrei erano preoccupati soprattutto di osservare bene le prescrizioni, delle opere di legge da compiere per essere in regola con Dio.
Il Nuovo Testamento non insiste tanto sulla legge da osservare, quanto sulla fede, la speranza, la carità. La prima condizione che la lettera agli Ebrei pone per accostarsi a Dio non è l'adempimento della legge, ma l'adesione di fede a Dio per mezzo della mediazione sacerdotale di Cristo. Ritroviamo qui la dottrina paolina che respinge le pretese della legge e pone a fondamento di tutto la fede. La sfumatura è diversa. Paolo critica la legge perché non era in grado di giustificare gli uomini, tutti peccatori. Invece l'Autore della lettera agli Ebrei critica la legge perché non era in grado di stabilire una vera mediazione, non poteva istituire un sacrificio efficace, un sacerdozio valido, un'alleanza irreprensibile.
L'invito alla fede si fonda sull'efficacia perfetta del sacrificio e del sacerdozio di Cristo per una mediazione perfetta. La fede è un atteggiamento del cuore, secondo la Scrittura. Paolo afferma che si crede con il cuore. L'Autore esorta quindi: accostiamoci con cuore sincero, in pienezza di fede. Come un peccatore può procurarsi un cuore sincero se il suo è un cuore duplice, traviato? L'Autore ricorda il rimedio che è stato già adoperato dai cristiani, perché si tratta di cose già fatte secondo il testo greco. Dice: "il cuore purificato dalla cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua, con acqua pura". A ragione i commentatori vedono in questa frase un riferimento al battesimo sotto il duplice aspetto: rito esterno (lavati con acqua pura) ed effetto interno: il cuore purificato dalla cattiva coscienza. L'Autore però non dice cuore purificato. Questa è una traduzione approssimativa perché l'espressione dell'Autore è sorprendente. Egli dice: cuore asperso; al plurale anzi, con i cuori aspersi e questo è significativo perché il verbo aspergere si riferisce all'istituzione dell'alleanza del Sinai.
Nel IX capitolo l'Autore ha ricordato che Mosè ha asperso il popolo con il sangue dell'alleanza, ha asperso anche il libro, tutti i corredi del culto. Il verbo torna due volte. Qui c'è una novità: l'aspersione riguarda i cuori. Avere i cuori aspersi suona strano, perché un'aspersione normalmente non raggiunge il cuore. Nell'Antica Alleanza l'aspersione era esterna, nella Nuova Alleanza è interna. Il sangue di Cristo raggiunge l'uomo nella sua profondità, nella sua interiorità, nel suo cuore e lo libera dalle cattive disposizioni di coscienza, dalla cattiva situazione di coscienza. Così si realizza la promessa che Dio aveva fatto per bocca dei profeti Geremia ed Ezechiele sulla Nuova Alleanza che portava il perdono delle colpe. Assieme alla trasformazione interiore viene indicato anche il rito esterno. Nella descrizione del rito viene usata un'espressione che ci sembra molto naturale, ma che è rarissima nella Bibbia: con acqua pura. La si trova soltanto due volte in tutto l'Antico Testamento, una volta nel libro di Giobbe e una volta, è significativo, nel brano di Ezechiele in cui compare unito il verbo aspergere e che fa riferimento al la Nuova Alleanza. Conosciamo benissimo questo testo. Dio dice per bocca di Ezechiele: "Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo." È l'oracolo della Nuova Alleanza. Si vede che l'Autore era consapevole che il battesimo introduceva nella Nuova Alleanza con l'aspersione del cuore e con l'acqua pura.
La professione della nostra speranza
Poi l'Autore parla della speranza. «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso». In tutta la lettera la speranza è sempre strettamente unita alla fede; anzi, quando l'Autore vuole definire la fede la definisce in primo luogo per mezzo della speranza. Che cos'è la fede? «La fede è un modo di possedere le cose che si sperano» (Eb 11,1). La speranza esprime l'aspetto dinamico della fede, in quanto il messaggio che riceviamo non è una rivelazione astratta, ma la rivelazione di una persona che è via e causa di salvezza. Perciò la Nuova Alleanza è piena di migliori promesse e la nostra fede produce la speranza. Nella Nuova Alleanza ci sono già comunicati molti doni che non sono più oggetto di speranza, però altri doni sono di una portata più grande e sono sperati. Abbiamo la speranza di ricevere l'eredità eterna, di entrare per sempre nel riposo di Dio, nella patria celeste e la nostra speranza è sicura. «Nella speranza noi abbiamo come un'ancora della nostra anima sicura e salda», la quale penetra nell'interno del velo del santuario dove Gesù è entrato per noi come precursore; la nostra speranza penetra già dove Gesù si trova.
Infine troviamo un'esortazione all'amore cristiano: «Cerchiamo di stimolarci a vicenda nell'amore e nelle opere buone». Il rapporto tra alleanza e carità è quanto mai stretto, è troppo chiaro. La carità presenta le due dimensioni dell'alleanza: l'unione con Dio nell’amore, l'unione con i fratelli nella carità operosa. Sono le due dimensioni inseparabili della Nuova Alleanza. L'Autore, alla fine, rende ancora più pressante la sua esortazione facendo riferimento al giorno (10,25) cioè al giorno del Signore di cui parlavano i profeti che annunciavano quel giorno: "Tanto più che potete vedere come si avvicina il giorno". Giorno in greco (tên hêméran) è l'ultima parola della frase; si tratta dell'intervento decisivo del Signore.