martedì 28 febbraio 2023

Gregorio di Nissa 4.5.6 Omelie sul cantico dei cantici 4.5.6

Omelia 4


Ecco, sei bella, amica mia, ecco sei bella!

(Ct 1,15). Gli amanti, protagonisti di questo poema, continuano a scambiarsi reciproche espressioni d’amore. Ora è l’amato a celebrare la sua donna. Egli rappresenta il Verbo che si compiace della Chiesa, da Lui redenta. La ragazza viene elogiata due volte per la sua bellezza. Il primo elogio riguarda la bellezza attuale della Chiesa che consiste nella sua vicinanza a Cristo e nell’imitazione di Lui; il secondo, invece, rinvia alla sua bellezza futura, quando apparirà perfetta (Origene B 439)

Il primo argomento rilevante della quarta omelia, è il ripristino della condizione originaria dell’umanità (già trattato nella seconda). G. espone di nuovo l’argomento richiamando l’arte degli orafi. Costoro, nell’intento di rendere l’oro puro da ogni scoria, lo fanno passare più volte al fuoco finché compaia la sua naturale lucentezza. Dio agisce allo stesso modo nei confronti della nostra umanità (Cf B 916 e 918). 

L’elogio rivolto alla Sposa, attesta che il tentativo di recuperare la bellezza originaria ha ottenuto l’esito sperato e questo processo di trasformazione  non può verificarsi senza il concorso della libera scelta della persona. Viene spiegato, inoltre, in che cosa consiste, in pratica, la deturpazione e il ripristino: diventiamo simili a ciò che vogliamo assomigliare. Virtù e vizio non possono essere presenti contemporaneamente ma si escludono nettamente a vicenda (cf. Omelia X, B 1242). Il cambiamento etico, tuttavia, non ha soltanto un significato morale ma riveste un carattere cristologico ed è questo l’elemento più rilevante del passo. È Cristo, presente nel battezzato, a renderlo simile a sé. G. ricorre all’immagine del raggio solare riflesso in uno specchio. È prevista, quindi una collaborazione (sinergia) tra l’opera del Cristo e il cristiano, il quale diventa partecipe della luminosità di Cristo e brilla insieme alla luce che si è manifestata in lui.

«Al principio l’umanità era dorata e risplendeva per la sua somiglianza con il bene immacolato, ma, dopo il peccato, divenne scolorita e nera, per essersi mescolata con il male. Dio, il creatore sapiente dell'universo, ponendo rimedio alla sua deformità, non escogita per l’umanità un nuovo tipo di bellezza diversa da quella di cui era stata dotata, ma la riconduce all'integrità primitiva mediante una fusione, rimuovendo il male da colei [l’Amata] che si era ottenebrata a causa della colpa e restituendole la purezza» (B 918). 

«La natura umana era capace di regolarsi secondo il proprio impulso ma, se la spinta dell'autodeterminazione poteva condurla verso una scelta particolare [quella del bene], da essa avrebbe potuto anche distoglierla. Chi si lascia prendere dall'ira, finisce col diventare un tutt'uno con essa; chi si lascia vincere dal desiderio, si lascia andare al piacere; chi viene preso dalla viltà o dalla paura o da qualche altra passione, si conforma ad esse. È vero anche il contrario: chi acconsente alla pazienza, alla purezza, alla pacificazione, al dominio di sé, alla sopportazione del dolore, al coraggio e all'incorruttibilità, imprime nella sua personalità ognuna di queste virtù e trova la pace nell'assenza da ogni turbamento, grazie alla stabilità della sua persona. 

Accade questo: se la virtù viene separata dal vizio in modo netto, è impossibile che l'una e l'altro dimorino insieme in una persona. Chi non aspira più alla temperanza, finisce col condurre una vita totalmente smodata mentre, chi detesta la sfrenatezza, riesce a conseguire l’integrità, allontanandosi sempre di più dal male. Lo stesso vale negli altri casi. Ad esempio, l'umile detesta la vanagloria mentre, chi si gonfia di boria, disprezza l'umiltà. Noi, dunque, possiamo scegliere, abbiamo la possibilità di renderci simili a cio cui vogliamo assomigliare. Il Verbo dichiara alla sposa che si è resa bella: “Allontanandoti dal contatto col male, ti sei avvicinata a me; avvicinandoti alla Bellezza archetipa, anche tu sei diventata bella perché rifletti la mia immagine come fossi uno specchio”. A ragione ogni uomo può essere paragonato a uno specchio poiché assume l'aspetto delle cose che predilige. L'anima purificata dal Verbo, avendo lasciato alle spalle il male, ha potuto ricevere in se stessa il sole nel suo splendore e ora brilla insieme alla luce che le si è manifestata. Il Verbo può, quindi, dichiararle: “Ormai sei bella perché ti sei esposta alla mia luce; ravvicinandoti ad essa hai conseguito la partecipazione alla mia bellezza”» (B 920,22 e 924). 

I tuoi occhi sono colombe

(Ct 1,15). Sono colombe «forse per il candore disarmante» o perché considerati messaggeri d’amore (Mazzinghi p. 46). 

G., dal momento che la colomba rappresenta lo Spirito, richiama l’importanza decisiva dell’opera dello Spirito Santo nella formazione del battezzato. 

Accogliendo le nozioni scientifiche del tempo, ritiene che il poter vedere dipenda dal fatto che le immagini delle cose viste s’imprimino nelle pupille dell’occhio di chi sta guardando (D 77). Lo stesso fenomeno vale a livello morale e, ciò che attira il nostro interesse e il nostro apprezzamento, finisce col determinarci in profondità. 

Se nelle pupille della sposa appare l’immagine della colomba, significa, che ella ha preferito i beni spirituali ad ogni altro (lo Spirito è simboleggiato dalla colomba). Da questo fatto, deriva una conseguenza rilevante: se lo Spirito determina l’intimo del credente, lo rende capace di volgersi a Cristo e di renderlo conforme a Lui. Nell’omelia XIII, G. affermerà che i ministri della Chiesa devono avere gli occhi della colomba, cioè diventare persone spirituali, trasformati dallo Spirito Santo (B 1406). G. attenua l’affermazione troppo audace di Origene, il quale afferma che gli occhi degli uomini spirituali sono lo Spirito Santo (B 437). Teodoreto collima con l’interpretazione del Nisseno: «Non dice come di colomba ma colombe, cioè spirituali, pieni della grazia divina» (cit. p. 86).

«Si diventa simili a ciò che si guarda con attenzione. Chi distoglie lo sguardo dalla carne e dal sangue e si cura soltanto della vita spirituale, come insegna l'apostolo; chi, vivendo nello spirito e camminando nello spirito (Rm 8,5; Gal 5,16), disprezza nello spirito le opere del corpo e diventando in tal modo un essere spirituale in tutto e per tutto, non ha più nulla di psichico e di carnale, costui lascia a vedere, in base alla sua condotta, che la sua anima, avendo rimosso ogni attaccamento corporale, tiene impressa negli occhi l'immagine della colomba. In altre parole, il contrassegno della vita spirituale risplende nella forza visiva dell'anima. Se il suo occhio limpido è stato capace di accogliere l'immagine della colomba, allora può contemplare anche la bellezza dello sposo. Ora, infatti, la vergine, per la prima volta, può rimanere intenta alla figura dello sposo, perchè tiene impressa negli occhi [l'immagine della] colomba. «Nessuno, infatti, può confessare che Gesù è Signore se non nello Spirito Santo» (1 Cor 12,3)» (B 924 e 926). 

Ecco sei bello, amico mio, e attraente

(Ct 1,16). L’innamorata, a sua volta, celebra il suo amato e lo dichiara molto bello. 

Avendo assimilato il dono dello Spirito Santo, la Sposa/Chiesa diventa capace di glorificare il suo Sposo, il Cristo, e di coglierne la bellezza. «A nessuno è possible vedere e riconoscere quanto sia grande la magnificenza del Verbo se prima non abbia ricevuto occhi di colomba, ossia la conoscenza spirituale… Quanto più sarà osservato con occhi spirituali, tanto più sarà trovato Bello» (Origene, B 441. 443). In un primo tempo, la Sposa ammira il carattere assoluto della natura divina; infatti mentre tutte le cose sono relative (possono essere o non essere), Dio è necessario ed eterno. Plotino afferma che l’anima che ha contemplato la bellezza del divino, non mostra più interesse per le bellezze di quaggiù e le disdegna (Cf. Enneadi VI,7,31, cit. p. 1267.1269). 

In seguito, abbandona questo livello metafisico e lo ammira dal punto di vista della sua bontà, a motivo della quale si è incarnato, divenendo fratello di tutti gli uomini. Il suo nome è filantropia. 

«“Ritengo che non ci sia nulla di bello oltre a te; quanto prima mi piaceva, ora lo disprezzo ne mi inganno più nel valutare il pregio così da credere che ci sia un'altra bellezza oltre te. Non vale alcun onore umano, né gloria, né prestanza, né potere terreno. Tutti questi beni vengono ritenuti desiderabili a causa della sopravvalutazione di chi giudica lasciandosi ingannare dai sensi, mentre essi non valgono per quello che sono stimati. Come può essere bello ciò che per sua natura esiste solo relativamente? Le cose che vengono apprezzate in questo mondo hanno consistenza soltanto nella stima delle persone che credono che esse abbiano un vero essere. Tu, invece, sei bello veramente; non soltanto bello, ma la bellezza per essenza; rimani sempre tale, sempre sei quello che sei. Non fiorisci in una stagione per poi sfiorire in un'altra ma prolunghi la tua bellezza in una esistenza senza fine”. 

Il tuo nome è Amore per gli uomini. Sei sorto dalla tribù di Giuda e così il popolo dei giudei è fratello del popolo che si dirige verso di te, provenendo dalle nazioni e tu, giustamente, in seguito alla manifestazione della tua divinità nella carne, venisti chiamato fratello della sposa che ti aspettava”» (B 926 e 928). 

Sei venuto, coperto d'ombra, presso il nostro letto

(Ct 1,16 LXX). La ragazza si rallegra per la vicinanza del suo amato. 

G. prosegue il discorso sulla filantropia del Verbo che lo ha indotto ad incarnarsi. L’assunzione della nostra umanità, operata da Lui, rende possibile la conoscenza di Dio, visibile ora nella sua persona. Nell’Omelia XIII afferma che l’evento dell’incarnazione possiede un carattere pedagogico di estrema importanza, in quanto noi abbiamo la possibilità di conoscere il Verbo, che di per sé sarebbe incomprensibile, proprio grazie alla mediazione della sua umanità (D 212).

Cristo realizza tra Dio e gli uomini un’unione profonda, una relazione sponsale. G. allude ad un tema paolino (Ef 5,32), già sviluppato da Origene (B 443). Secondo Teodoreto, l’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa si rinnova nella lettura della Scrittura, ove la sposa riceve i semi del Verbo per un nuovo parto (cit. p. 86). 

«“Tu fratello buono, meraviglioso”, gli dice, “sei venuto ricoperto d'ombra presso il nostro letto. Se tu non avessi oscurato te stesso, se non avessi nascosto il limpido raggio della divinità nelle sembianze di un servo, chi avrebbe potuto sostenere la tua manifestazione? Nessuno può vedere il volto del Signore e restare vivo (Es 33,20). Sei venuto, o meraviglioso, ma dopo esserti trasformato in modo tale che noi potessimo accoglierti; sei venuto dopo aver ottenebrato i raggi della divinità nel rivestimento del corpo”. Come avrebbe potuto la natura umana, mortale e caduca, unirsi alla divinità in una relazione pura e misteriosa (syzyghia), se l'ombra del corpo non si fosse frapposta fra la luce e noi che viviamo nella tenebra? La sposa denomina letto, in senso spirituale, l'unione della natura umana con quella divina. Analogamente il grande apostolo unisce a Cristo la vergine, ossia noi, e prepara l'anima come fosse una sposa. Inoltre insegna che la relazione di due esseri nell'unità di una sola carne rappresenta il grande mistero dell'unione di Cristo con la Chiesa. Egli, dopo aver ricordato che i due formeranno una carne sola precisa: questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa (Ef 5,32). Per questo mistero l'anima-vergine chiama col nome di letto la partecipazione alla vita divina. Questo evento non sarebbe stato assolutamente possibile se il Signore non si fosse manifestato a noi nell'ombra, ossia mediante un corpo» (B928 e 930). 

Le travi della nostra casa sono i cedri, i cipressi sono i soffitti

(Ct 1,17). La ragazza dichiara che l’ambiente naturale che circonda i due amanti sono preferibili ad un suntuoso palazzo. 

Il Verbo/Cristo da Sposo diventa anche costruttore dell’ambiente destinato alla convivenza degli sposi e costituisce perfino il materiale stesso che permette la sua edificazione, la quale dovrà resistere alle intemperie e risultare attraente per chi la vede (D 79-81). La casa in cui lo Sposo abita è la sposa stessa, formata nelle virtù. 

«Egli non è soltanto lo sposo ma anche il costruttore della casa; è l’architetto della casa ma anche il materiale stesso dell'edifìcio. Stende il tetto sulla casa, adornando l'opera con un materiale non deteriorabile. Si tratta del legno di cedro e di cipresso; questo legname è di tale qualità da resistere a qualsiasi agente patogeno. Non si logora col tempo, non sviluppa tarli, non marcisce per la muffa. […] “Cadde la pioggia, soffiarono i venti, strariparono i fiumi ma la costruzione rimase intatta in queste avversità” (Cf Mt 7,25). A causa di questa pioggia molesta abbiamo bisogno di un tal genere di travi. Esse, probabilmente, rappresentano le virtù le quali, essendo solide e stabili, impediscono alle tentazioni assalitrici di giungere all'interno e nei momenti di prova ci preservano dal cedere al male (B 930 e 932). 

«La sposa osserva le travi, ammirando il soffitto di questa camera nuziale immacolata; posa lo sguardo sull’ornamento di legno di cipresso, reso apprezzabile da una graziosa composizione ben compaginata e ordinata. Mi pare che sia questo il messaggio comunicatoci dal testo: non dobbiamo conseguire le virtù soltanto all'interno dell'anima, nella sfera interiore, nascosta, grazie al nostro impegno, ma dobbiamo aver cura di acquisire un nobile comportamento che sia visibile anche all'esterno. È necessario coltivare il bene agli occhi di Dio e a quelli degli uomini; che esso venga conosciuto da Dio ma anche che gli uomini ricevano una buona impressione; bisogna suscitare la stima dei non credenti, risplendere di opere luminose davanti agli uomini e camminare rettamente di fronte ai pagani» (B 934, 111 e 936). 

Io sono un fiore della pianura, un giglio delle valli. Come un giglio tra le spine così è la mia sorella tra le ragazze 

(Ct 2,1). «Io sono un fiore della pianura, un giglio dei dirupi». È impossibile stabilire se a parlare sia il giovane o la ragazza ma G. ritiene che sia la ragazza. Origine attribuisce l’elogio ad entrambi («Sembra così parlare di sè e della sposa ai suoi amici…», B 447), mentre Teodoreto allo Sposo/Cristo: «Ho assunto un corpo terreno e ho germogliato nella terra… ho annunciato non solo la salvezza ai vivi, ma anche la risurrezione ai morti, scendendo nelle zone inferiori della terra» (cit. 87).  Abitando la casa ideale che li ospita e godendo del riparo loro offerto, i due innamorati si scambiano reciproci elogi. 

La ragazza comincia ad esaltare una sua qualità, acquisita grazie alla cura dello Sposo: il possesso di una bellezza simile al giglio. Questo fiore otterrà avrà un’ampia utilizzazione simbolica nella letteratura e nell’arte cristiana. 

«… così è la mia sorella tra le ragazze»: ben più importante è il titolo che la Sposa/Chiesa riceve ora. Viene chiamata sorella e quindi acquisisce una parentela con il suo Sposo, il Cristo. G. allude alla figliolanza divina del battezzato e alla sua parentela con Dio stesso.

«Quando l'anima è coltivata dal Signore che si prende cura della nostra umanità, essa fa spuntare nel campo del nostro essere un fiore profumato, splendido e puro. Questo campo, sebbene venga considerato un dirupo, a paragone della vita celeste, non è un terreno di scarso valore e nulla impedisce che l'anima, coltivata in esso con cura, diventi un fiore. Dal dirupo il germoglio sale verso l'alto come vediamo accadere al giglio. Lo stelo del giglio, per un certo tratto, s'innalza dritto dalla radice, come la canna, e al vertice apre, infine, un fiore. Lascia però un certo spazio da terra per conservare integra la purezza del fiore, alla sua sommità, evitando che si imbratti a contatto con la terra. Così io credo. Anche l'occhio giusto dello sposo, avendo visto che la sposa è diventata questo fiore o che ella desidera diventarlo, […] avendo notato nella sposa che sta intenta a lui, un desiderio ardente, positivo, acconsente che ella diventi un giglio e impedisce che il fiore venga soffocato dalle spine che spuntano nell'esistenza» (B 938 e 940). 

«Quale progresso è stato realizzato dall'anima nella sua ascesa verso la perfezione! All'inizio del suo cammino era stata paragonata alla cavalla che aveva sbaragliato la potenza dell'Egitto; alla seconda tappa era stata considerata amica e aveva ottenuto occhi di colomba; ma ora, alla terza tappa, non viene più chiamata soltanto amica ma anche sorella del suo Signore: Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cicli, questi è per me fratello, sorella e madre (Mt 12,50). Divenuta un fiore, neppure le tentazioni più spinose le impediscono di trasformarsi in un giglio. Dimentica del suo popolo e della casa di suo padre, si volse verso il suo vero Padre. Può, allora, essere chiamata anche sorella del Figlio, poiché ha ricevuto lo spirito di figliolanza ed è stata adottata in vista di questa “parentela”, dopo essere stata liberata dall'amicizia con le fìglie di colui che si fa chiamare padre falsamente» (B 940). 

Come un melo tra gli alberi della foresta, così è il mio fratello tra i giovani.  Sotto la sua ombra ho sentito il desiderio di lui, mi sono seduta e il suo frutto fu dolce al mio palato

(Ct 2,3-4). Continua la serie d’elogi reciproci tra i due amanti e a parlare ora è la ragazza. Compare un riferimento all’esperienza dei sensi spirituali (Cf. Omelia 1, B 806). La capacità e la disponibilità da parte del Verbo a soddisfare i bisogni diversificati di tutti viene ripresa già nel seguito di questa omelia (B 946) ma più ampiamente nell’Omelia X (B 1250).  

Cf. Teodoreto: «Chiama mela lo Sposo poiché questo frutto è liscio al tatto, dolce al palato, profumato all’olfatto, soavissimo e gradevolissimo alla vista e dolcissimo all’udito» (cit. p. 89). 


«Qual è il senso di questa visione? La Bibbia di solito chiama selva la vita selvatica degli uomini, quella che conserva tanti tipi di passioni, che, quali animali feroci si nascondono e si celano in essa. A causa di questo, il Melo è stato piantato nella selva; [Cristo] come albero è consustanziale alla natura umana (Fu messo alla prova in tutto a somiglianzà degli uomini escluso il peccato Eb 4,15); ma in quanto può portare un frutto capace di procurare piacere ai sensi dell'anima, è totalmente diverso da qualsiasi altro albero, quanto un giglio dal rovo. Il giglio piace solo per la forma e il profumo, ma il melo, nella sua completezza, soddisfa totalmente tre sensi: rallegra la vista per la sua bellezza, si fa gradire all'olfatto per il suo profumo e come cibo, infine procura piacere al gusto. La sposa ha colto molto bene la differenza esistente tra lei e lo sposo poiché egli attrae il nostro sguardo manifestandosi come luce; è un profumo per chi lo aspira e vita per chi se ne nutre (chi ne mangia, vivrà, come dichiara il Vangelo in qualche passo [Gv 6,51-56]). […] La sposa, dotata ormai di sensi ben esercitati, esclama: Il suo frutto è dolce al mio palato! Parlando del frutto si riferisce senz'altro alla dottrina: “Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più che il miele alla mia bocca” (Sal 118,103), esclama il salmista (B 942 e 944). 

Cerca di capire per quale motivo sia stato posto dentro di te un desiderio così ardente! Hai bisogno che ti venga stimolata la fame di questo frutto che sazia un'infìnità di bisogni nelle persone che si accostano ad esso! L'occhio si delizia contemplandone la bellezza, il naso ne aspira il profumo, il corpo si rinfranca, il palato viene appagato dal gusto, la calura si attenua e l'ombra funge da trono sul quale si pone a sedere l'anima che detesta di collocarsi tra i malvagi» (B 946). 

Fatemi entrare nella casa del vino, fate che io ami con ordine

(Ct 2,4 LXX). Accesa di desiderio, grazie all’esperienza dei sensi spirituali, la ragazza vuole entrare nella casa dove si gusta l’ebbrezza dell’amore. Vuole vivere questo sentimento in maniera ordinata in modo da corrispondere in pienezza al suo Amato. L’ordine dell’amore viene illustrato da Origene in modo diffuso (B 467-481). 

«Ella aspira a entrare nella stanza, là dove si compie il mistero del vino e anela a partecipare a eventi sublimi. Una volta entrata dilata la sua brama e chiede di venire assoggettata all'amore. Dio è amore, avverte s. Giovanni, e Davide afferma che l'essere assoggettati a lui equivale a ottenere salvezza. “Dal momento che sono entrata nella casa del vino” supplica la sposa “fate che io ami con ordine, fate che l'ordine dell'amore abbia il dominio su di me”. Qualunque sia la versione che si preferisca usare, il senso rimane identico in ogni caso, sia che ella venga sottoposta all'ordine dell'amore sia che l'ordine dell'amore prevalga su di lei. Da questa richiesta noi possiamo apprendere un insegnamento tra i più elevati: conoscere quale amore si debba dare a Dio e quale al prossimo. Se è necessario che tutto avvenga con ordine e rettitudine, tanto più bisogna attenersi a ciò che è giusto in questa materia. Neppure Caino sarebbe stato condannato per aver giudicato erroneamente, se, nel presentare l'offerta, secondo giustizia, avesse salvaguardato il giusto ordine, se avesse capito bene quali cose poteva conservare per le sue necessità e quali, invece, avrebbe dovuto consacrare a Dio. Innanzitutto avrebbe dovuto offrire a Dio le primizie dei suoi prodotti mentre egli, tenuti in serbo i beni più preziosi, diede a Dio il rimanente. Bisogna sapere, quindi, quale ordine si debba seguire nell'amore, osservando l'indicazione della Legge e come sia necessario dapprima amare Dio, poi il prossimo, la moglie, il nemico, evitando che il compimento del precetto dell'amore avvenga in modo disordinato e quindi errato. Dobbiamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze e con tutti i sensi e il prossimo come noi stessi. Chi è puro nell'anima deve amare la moglie come Cristo ha amato la Chiesa e chi, invece, è preso dalla passione, come ama il suo stesso corpo. (Così comanda Paolo che ha messo ordine in questa materia). Si ama il nemico rinunciando a rendere male per male e col ricambiare l'ingiustizia subita con un benefìcio. Ora ci resta da vedere come l'amore di molti sia confuso e disordinato, poiché si esprime in modo sbagliato a causa di una disarmonia impropria. Parlo di quelli che amano con tutto il cuore, con tutta l'anima. con tutte le forze, i beni, gli onori, le donne, accesi di passione per esse e sono disposti a dare la vita per queste realtà. Dio lo amano quanto pare a loro e per il prossimo a stento mostrano quell'amore che è stato ordinato nei confronti del nemico. Verso il nemico, infine, si comportano in modo tale da ricambiare un danno subito con uno ancora più grave. «Fate che io ami con ordine, affinchè offra a Dio ciò che gli è dovuto e per quanto riguarda la creatura non mi sbagli nel valutare la misura conveniente» (B 948.950.952). 

Rafforzatemi con pomi

(Ct 2,5). «Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con mele». Focacce e mele sono simboli dell’amore: la malattia d’amore si cura con l’amore stesso (Mazzinghi, p. 50)

Le mele o, meglio, il pomo ricorda alla Sposa/Chiesa la figura mirabile del suo Sposo, il Cristo. Riprendendo un suggerimento già esposto, ricorda che Egli soddisfa ogni gusto. Il Signore Gesù per diventare nostro alimento ha voluto affrontare lo svuotamento di se stesso e porsi come modello di ogni virtù. 

Cf Metodio d’Olimpo: «[Il Verbo] prese dapprima la nostra forma macchiata di molti peccati, affinchè noi, per la cui salvezza egli se n'era rivestito, potessimo raggiungere la forma divina. Possiamo infatti essere a perfetta somiglianza di Dio quando, a guisa di esperti pittori, fissiamo in noi stessi quelli che furono i tratti della Sua condizione umana e li conserviamo intatti percorrendo da discepoli la strada da Lui indicata. Egli, che era Dio, scelse così di rivestirsi della carne umana affinché noi pure, come mirando in un quadro una divina raffigurazione di vita, potessimo imitare Colui che l'ha tracciata», La Verginità, Discorso I,4, Città Nuova, Roma 2000, p. 43.

«Ella vuole che questo frutto diventi per lei tutto in ogni occasione: sia bellezza, profumo, dolcezza, nutrimento, refrigerio nella calura, un seggio su cui riposare, un tetto che ricopre. Realmente egli è bellezza ammirata con desiderio, è profumo gradito all'odorato, è cibo che alimenta il corpo e soddisfa il gusto, è ombra refrigerante nella canicola, è seggio riposante nella fatica; come tetto della casa diventa protezione per chi vi abita; come colonna assicura stabilità e come mela è attraente allo sguardo, abbellisce il soffitto» (B 954). 

«Il Signore, che è disceso dall'alto e che si trova al di sopra di tutto, ci la indicato, tramite la sua manifestazione nella carne, tutto ciò che riguarda il progetto di salvezza e ne ha offerto il modello nella sua stessa persona, come attesta lui stesso: Imparate da me poiché sono mite e umile di cuore (Mt 11,29). Il medesimo insegnamento è stato impartito anche dall’apostolo; anch'egli mostra la via dell'umiltà a coloro che guardano verso l’alto. Posso confermarlo con una citazione: “Abbiate gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Egli, pur essendo di natura divina non considerò ma rapina l'essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,5-7). Egli dimorò sulla terra in carne e sangue; rinunciò alla gioia che gli era posta davanti, condivise spontaneamente la nostra miseria e si umiliò fino a esperimentare la nostra morte. Per questo la sposa chiede: “Sostenetemi con profumi affinchè, guardando sempre verso l'alto, possa osservare, con diligenza, gli esempi virtuosi che irradiano dallo poso. Là c'è la mitezza e il dominio dell'ira, là c'è il superamento del rancore verso i nemici, la bontà per gli infelici e il rendere bene per male, là c'è a temperanza, la purezza, la pazienza, là c'è il rifiuto della vanagloria e di gni inganno terreno”» (B 958). 

Ferita d'amore io sono

(Ct 2,5). Il sentirsi amata dal suo diletto, cattura in modo totale l’innamorata. 

Il Verbo, che compendia tutte le virtù menzionate in precedenza e che possono essere racchiuse nella virtù della carità, penetra in lei come freccia. Ella riceve, così, assieme a lui, la sua stessa capacità d’amore e, con esso, una gioia profonda. Nell’Omelia XIII riprende a parlare del motivo della ferita d’amore (equivalente alla fede che opera mediante la carità) che la rende partecipe della natura divina (B 1376). Cf. Origene: «Se mai ci fosse qualcuno che sia stato a tal punto arso da questo fedele amore per il Verbo di Dio da aver ricevuto la dolce ferita della sua freccia scelta, e che è stato trafitto dall’amabile dardo della conoscenza di lui sì da sospirare per il desiderio di lui notte e giorno, sì da non poter dire altro, sì da non poter udire altro, sì da non poter pensare ad altro, sì da non poter desiderare o cercare o sperare altro che lui, ebbene, giustamente quest’anima dice: sono ferita d’amore» (B 489). 

«Dopo aver detto questo, elogia l'arciere esperto che dirige la freccia verso di lei con precisione e soggiunge: Ferita d'amore io sono. Questa dichiarazione attesta che la freccia ha raggiunto il suo cuore in profondità; l'amore stesso ha scagliato la freccia. Abbiamo imparato dalla sacra Scrittura che l'amore è Dio stesso il quale ha diretto la sua Freccia scelta, l'Unigenito Dio, verso quelli che vengono salvati. Tale evento viene attestato dal Signore che assicura: “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). L'anima che si è elevata nell'ascesa spirituale avverte in sé la dolce freccia dell'amore con la quale venne colpita e si vanta di questa lesione esclamando: “Ferita d'amore io sono”. Quanto è gradita questa ferita e dolce questa piaga! Attraverso di essa la vita penetra all'interno dal momento che il lancio della freccia ha aperto in lei, inavvertitamente, una fenditura, equivalente a una porta, a un ingresso. Non appena la sposa riceve il tocco della freccia, subito il colpo le infonde una gioia nuziale» (B 960). 

Vi scongiuro, fìglie di Gerusalemme, per le potenze e le virtù del campo, affinchè svegliate e risvegliate l'amore, finché non lo voglia

(Ct 2,7). Il giuramento viene introdotto per offrire una garanzia della verità di un’attestazione o per consolidare l’impegno di chi lo presta. In questo caso, le figlie di Gerusalemme vengono invitate a giurare, nel secondo senso, ossia perché rimangano sempre intente a servire lo Sposo nel suo progetto di salvezza. (nell’Omelia XIII G. discute sulla leicità del giuramento (B 1366.1368). Il testo ricorda poi i testimoni del giuramento: le potenze e le virtù alludono agli angeli. Impegnandosi davanti a loro, le giovani s’impegnano a imitarli. 

Egli «le conduce alla vita virtuosa attraverso una prestazione di giuramento, affinchè abbiano un amore vigilante e desto, fino a giungere al termine ultimo, a quel bene al quale egli voleva portarle: cioè che tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (B 966). 

«Ordina di volgere lo sguardo a costoro affinchè la fermezza e la solidità della vita secondo virtù sia rafforzata dall'esempio dato da questi esseri. Dal momento che il Signore ha promesso che dopo la risurrezione la vita degli uomini sarà simile a quella degli angeli (fedele è Colui che ha promesso), ne consegue che la vita in questo mondo deve essere una preparazione a ricevere quella che si spera dopo di essa. Perciò mentre viviamo ancora nella carne e dimoriamo nel campo del mondo, non dobbiamo vivere secondo la carne né conformarci a questo mondo, ma, vivendo su questa terra, dobbiamo esercitarci in anticipo nella vita che speriamo. Perciò la sposa, mediante il giuramento, incoraggia le anime delle discepole aftinché la loro vita, condotta rottamente in questo campo, rimanga intenta alle potenze celesti, imitando la purezza degli angeli nella libertà dalle passioni» (B 970). 

Sintesi


G. parla, di nuovo, del ripristino della condizione originaria dell’umanità. Gli orafi, per purificare l’oro da ogni scoria, lo fanno passare al fuoco, più volte, fino a far comparire la sua naturale lucentezza. Dio agisce allo stesso modo nei confronti della nostra umanità (Cf B 916 e 918). L’elogio rivolto alla Sposa/Chiesa da parte dello Sposo/Cristo, attesta che il tentativo di recuperare la bellezza originaria dell’amata, ha ottenuto l’esito sperato. Questo processo di trasformazione non può verificarsi senza il concorso della libera scelta della persona poiché diventiamo simili a ciò che vogliamo assomigliare. 

Il cambiamento etico, tuttavia, non ha soltanto un significato morale ma riveste un carattere cristologico, poiché  il cristiano diventa partecipe della luminosità di Cristo e brilla insieme alla luce che si è acces in lui. 

L’etica presenta anche un carattere pneumatologico: nelle pupille della Sposa appare l’immagine della colomba, simbolo dello Spirito e ciò significa che ella ha preferito i beni spirituali ad ogni altro. Quando lo Spirito prende possesso del credente, lo rende capace di volgersi a Cristo e di conformarsi a Lui. Avendo assimilato il dono dello Spirito Santo, la Sposa/Chiesa diventa capace di glorificare il suo Sposo, il Cristo, e di coglierne la bellezza. In un primo tempo, la ammira il carattere assoluto della natura divina (mentre tutte le cose sono relative, possono essere o non essere, Egli è necessario ed eterno). In seguito, osservando  e lo ammira dal punto di vista della sua bontà, a motivo della quale si è incarnato, divenendo fratello di tutti gli uomini. La considerazione dell’amore mostrato dallo Sposo, cattura in modo totale l’innamorata. 

Il Verbo, che compendia tutte le virtù che possono essere racchiuse nella carità, penetra in lei come freccia. Ella riceve, così, assieme a lui, la sua stessa capacità d’amore. Con l’amore riceve una gioia profonda. 



OMELIA V


L’Omelia si sofferma sull’invito rivolto dal giovane alla sua amata, ad uscire di casa per incontrarlo, per godere insieme della bella stagione che sta per rifiorire. Il Verbo, che con la sua incarnazione ha riportato la primavera nel mondo, invita l’umanità ad accogliere il suo Vangelo e di crescere sempre di più nella perfezione. 

La voce del mio diletto! Egli viene saltando sui monti, balzando sui colli. È simile alla gazzella e al cerbiatto

(Ct 2,8). Il diletto, dopo aver chiamato la ragazza, avanza velocemente, variando di continuo la sua posizione e il suo aspetto. 

In modo simile, la nostra relazione con Dio non è mai statica ma sempre in cambiamento, perché, attraverso le vicende dell’esistenza, crea nuove situazioni salvifiche. Di conseguenza, non possiamo pensare di averlo compreso in modo esaustivo. 

Cf. Origene: Cristo, a volte appare presente, a volte, invece, sembra assente. La Chiesa lo percepisce come assente nelle difficoltà e nelle persecuzioni. Lo stesso avviene per la singola persona, la quale deve sopportare il suo giudizio finchè diventerà tale da ricevere di frequente le sue visite (B 511). Ad udire la voce dello Sposo, che parlava mediante i profeti, era la Chiesa «radunata sin dall’inizio del tempo» (Origene B 507). 

Il Verbo, una volta giunto presso di noi, crea una nuova situazione di salvezza, calpestando il demonio. 

«Dalle parole [della ragazza], possiamo capire quanto sia difficile poter vedere lo Sposo cercato! Non parla di una figura, di un volto, di un'immagine che renda l'idea della personalità dello sposo cercato, ma di una voce che può tracciare solo un abbozzo e una descrizione imprecisa della persona di cui si parla. Ciò che ella afferma somiglia di più a una congettura che a una cognizione chiara e completa; lo si può dedurre dal fatto che il suo discorso non nasce da una sola visione né adopera un'unica immagine ma si muove in molte direzioni, sulla scorta di più visioni poiché a lei sembra di vederlo ora in un modo, ora in un altro, né rimane sempre intenta allo stesso aspetto dello sposo che sta cercando di comprendere. Tutto questo lo possiamo cogliere dalle sue stesse parole: Ecco, egli viene! Così esclama. Non se ne sta fermo, né rimane immobile in modo da poter essere fissato da chi lo scruta con paziente attenzione; al contrario si sottrae allo sguardo, prima di essere ravvisato perfettamente (B 978). 

[Egli viene!] Che cosa apprendiamo da queste parole? Probabilmente preannunziano il dono della salvezza procurataci dalla parola divina, manifestata a noi nella predicazione del Vangelo. Vaticinata dai profeti, ci è stata rivelata nella manifestazione di Dio nella nostra carne. L'avveramento comprova il preannunzio divino e il compimento della promessa conferma la sua veridicità, come dichiara il salmista: “Come avevamo udito, così abbiamo visto” (Sal 47,9)» (B 980). 

«La voce dello sposo si fece percepire negli insegnamenti dei profeti, con i quali venimmo ammaestrati da Dio ma dopo la voce si fece udire la Parola stessa, calcando i monti eretti contro di noi e balzando sui colli, sottomettendo al suo dominio ogni forza nemica. Tra le folle che lo seguivano, nelle sinagoghe, nel territorio dei Geraseni e in altri luoghi, c'erano dei monti, ossia dei demoni, che si ergevano e si sollevavano contro il genere umano. Tra questi c'erano anche altri monti e colli, più alti o più bassi. Quel Cerbiatto che elimina i serpenti e che dispone i discepoli a far proprie le qualità dei cervi dicendo loro: “Io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni” (Lc 10,19) imprime in tutti la sua orma, la quale mette in fuga questi animali» (B 984 e 986).

Alzati, vieni amica mia, mia bella, colomba mia; poiché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata

(Ct 2,10). Dopo la corsa, l’amato giunge presso la casa della sua ragazza e la invita ad uscire per godere della bella stagione che sta per sbocciare. 

Il Verbo, grazie alla sua incarnazione, può stare vicino ad ognuno; come il giovane, parla stando alla finestra, «dialogando attraverso le inferriate delle finestre». La venuta del Signore Gesù annuncia la primavera per tutta l’umanità e gli uomini pietrificati dall’idolatria ritornano ad essere persone viventi. G. ha l’occasione di celebrare l’efficacia della parola salvifica, che è veramente potente. Ritorna il tema dell’ottenimento della bellezza mediante l’esposizione alla Luce divina: l’uomo si conforma a ciò che contempla con attenzione, con amore. 

Cf. Teodoreto: Il Verbo parla ad ognuno mediante la Scrittura o la predicazione; le inferriate richiamano le situazioni dolorose della vita, nelle quali Egli si rende solidale. «Quando ci deliziamo delle parole divine e quando ci accostiamo alle Scritture con compunzione, apriamo le nostre finestre e accogliamo la persona dello sposo. Quando ascoltiamo con attenzione altri che leggono le parole divine e parlano di Dio, di nuovo lo sposo spia attraverso altre finestre e ci mostra la bellezza che gli è propria» (Teodoreto, cit. p. 97). «Quando Giuseppe fu venduto, Egli fu vicino nella casa del suo padrone e dovunque, osservando attraverso le reti, continuava a confortarlo. Allo stesso modo infuse coraggio al beato Paolo…» (Teodoreto, cit. p. 98-99). 

«Un tempo il genere umano si era cristallizzato nel gelo dell'idolatria. Gli uomini, che sono sempre in fase di trasformazione, si erano rivolti verso dei immobili e così avvenne per loro come leggiamo nella Bibbia: “Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida (Sal 113,16”). Pietrificati a causa dell'idolatria, gli uomini si erano come paralizzati, resi incapaci di dirigersi verso la perfezione, irrigiditi nel gelo del culto idolatrico» (B 992). 

«Allora il Verbo, che raddrizza i paralitici, si accosta alle finestre e grida alla Chiesa, grazie ai portatori di luce: “Alzati (ovviamente dalla tua caduta) tu che sei caduta nel vischio del peccato, catturata nei lacci del serpente, stesa a terra, prostrata dalla disubbidienza. Alzati! Rimettiti in piedi dalla tua caduta ma fa' anche molto di più, avanza crescendo nel bene impegnandoti nella gara della virtù”. È quanto impariamo dall'episodio della guarigione del paralitico: il Signore non solo gli fece sollevare quel lettuccio pesante, ma gli ordinò anche di camminare (Mt 9,5). Mi sembra che [il Verbo] suggerisca di procedere verso la perfezione e di avanzare superando di continuo nuove tappe. Gli dice: Alzati e vieni! Con quanta energia egli comanda! Veramente la parola di Dio è asserzione efficace, come attestano i salmi: «Ecco tuona con voce potente (Sal 68,34)», oppure: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 33,9). Anche in questa circostanza egli ordina alla sposa prostrata: Alzati, vieni! Il comando si realizza immediatamente. Non appena ha accolto la forza di quella parola, si alza, avanza, si avvicina, diventa bella (B 994 e 996). 

[…] Come potrebbe uno specchio rinviare una bella immagine se prima non avesse accolto una graziosa figura? Lo specchio della natura umana non potrebbe immediatamente rifulgere di grazia, se non si fosse esposto alla bellezza e se non si fosse conformato al prototipo, al fulgore di Dio. Come aveva preso la sembianza del serpente mentre giaceva a terra e si intratteneva con esso, allo stesso modo non appena si rialzò e si gettò il male alle spalle, apparve come una copia del bene, poiché ci si conforma a ciò a cui si da importanza. Ora ella contempla la bellezza archetipa. Esponendosi alla luce, diventa luce e rimanendo in questa luminosità, si sviluppa dentro di lei la figura della colomba, mi riferisco a quella colomba la cui apparizione ci rivela la venuta dello Spirito Santo» (B 996 e 998). 

Dopo aver fatto rialzare la Sposa ed averla resa bella conformandola alla sua luce, l’Amato decanta la bellezza della primavera, contrapponendola allo squallore invernale (B 1002.1008). Entrambe le stagioni hanno un significato simbolico. 

Espone la condizione dell’uomo in paradiso, prima del peccato: immortalità e dominio delle passioni (cf Omelia II B 848). 

«Ogni essere vivente, provvisto di volontà, viene a far parte dell'immagine simbolica dì questo inverno. Sebbene non sia possibile chiarire ogni particolare, il significato di ogni immagine rappresentativa è sufficientemente comprensibile. Alle origini l'uomo fiorì finché si trovò nel paradiso, irrigato e reso fecondo dall'acqua di quelle sorgenti. A quel tempo non eravamo adorni di fogliame ma piuttosto del germoglio dell'immortalità. Inaridita la radice a causa dell'inverno della disubbidienza, il germoglio illanguidì e cadde a terra. L'uomo rimase privo dell'ornamento dell'immortalità, l'erba delle virtù si seccò mentre intanto il moltiplicarsi dell'iniquità raffreddava l'amore per Dio. A partire da qui, spinte da venti contrari, si sollevano in noi molteplici passioni, che provocano drammatici naufragi all'anima. Tuttavia viene il Signore e crea in noi la primavera delle anime. Egli, quando un vento pericoloso sollevò il mare, minacciò i venti e comandò al mare: “Taci, calmati!” (Mc 4,39) e ricondusse tutto alla calma e alla bonaccia» (B 100.1002).

Alzati e vieni, amica mia, mia bella, colomba mia

L’Amata riceve di nuovo l’invito ad avvicinarsi sempre di più al giovane che la sta desiderando. Siamo di fronte ad uno dei passi più impegnativo dell’omelia dove viene esposta la dottrina dell’avanzamento e della crescita perenne nel bene da parte del credente che aderisce a Dio. Seguiamo passo per passo la sua riflessione. 

G. dapprima afferma l’infinità di Dio. Ogni concetto positivo che vienne assegnato a Lui si protende verso l’infito e l’illimitato (B 1010). Dio è un Bene inesauribile, perché non è limitato mai da alcun male. Al contrario, mentre Dio non ha bisogno d’esercitare il libero arbitrio (che oscilla tra bene e male) poiché è sempre orientato verso il bene, l’umanità non gode di per sé della stabilità perenne nel bene, ma può muoversi in direzioni opposte. Il Signore, allora, cerca di rendere l’uomo, quanto più possibile, partecipe della sua stabilità e questo dono si trasforma in lui in una crescita senza posa verso il bene, che rimarrà sempre superiore a lui:

«Il senso della frase è questo: la natura divina, beata, eterna, trascendente ogni concetto, abbraccia in sé ogni essere e non viene circoscritta da alcun limite. Nulla può essere attribuito ad essa: né tempo, né luogo, né colore, né figura, né forma, né immagine, né peso, né quantità, né intervallo, nessuna definizione, nessuna realtà e nessun pensiero sono adeguati ad essa poiché ogni attributo che gli viene assegnato si estende all'infìnito, in misura sconfinata. Dove il male non ha più spazio, il bene avanza senza limiti» (B 1008 e 1010). 

«La natura umana, soggetta al cambiamento, in base alla facoltà del libero arbitrio ha la possibilità, in eguale misura, di orientassi verso due direzioni contrarie. Il bene o il male, che si trovano in noi, cessa nel momento in cui l'uno lascia posto all'altro. Il male che sopraggiunge pone un limite al bene e tutte le attività della nostra anima, quelle che si oppongono tra loro fino ad essere l'una il contrario dell'altra, si limitano a vicenda cosicché là dove l'una termina, di là l'altra comincia» (B 1010). 

«[Dio] quando attrae a sé l'anima dell'uomo per comunicarle la sua vita, si mostra sempre superiore a colei che riceve tale dono e la distanza tra loro rimane continuamente invariata poiché egli la sovrasta sempre nel bene. L'anima tuttavia diventa sempre migliore di quello che è, grazie alla partecipazione a Colui che trascende ogni misura, e non smette mai di dilatarsi. Il bene al quale ella partecipa rimane sempre uguale a se stesso; viene trovato in continuazione come insuperabile [dall'anima] che ne partecipa in misura sempre più abbondante (B1010 2 1012). 

In seguito, [il Verbo] attira di nuovo, come dal principio, l'anima che ha già partecipato al bene nella misura che le era possibile, come se non l'avesse ancora fatto. [La spinge] a diventare partecipe della bellezza di Chi è superiore a tutto. A misura del suo progresso nel possedere di ciò che di volta in volta sperimenta, ne prova un vivo desiderio ma, per la sovrabbondanza dei beni trovati, in misura sempre eccedente, le sembra di aver appena cominciato a muoversi. Per questo il Verbo, rivolgendosi a colei che si è destata, le suggerisce: Alzati! A colei che già si muove verso di lui, dice: Vieni! Chi già si è alzato, non potrà mai smettere di rialzarsi e chi corre verso il Signore, non potrà mai esaurire l'ampiezza del cammino verso il divino. Bisogna che quelli che si stanno avvicinando si ridestino sempre, senza fermarsi mai nella corsa. Ogni volta che egli ordinerà Alzati e Vieni infonderà sempre la forza di riprendere l'ascesa verso un igliore traguardo. […] [Il Signore] che le ordina di passare di bellezza in bellezza, le suggerisce chiaramente [di adempiere] il comando dell'apostolo: egli chiede l'immagine si trasformi passando di gloria in gloria (cf 2 Cor 3,18), affinchè sia gloria lo stato che riceve e in cui sempre viene a trovarsi. Sebbene il grado raggiunto sia assai grande ed elevato, ritengo, comunque che sia di gran lunga inferiore a quello cui sperava pervenire» (B 1012 e1014). 

Vieni qui, colomba mia, nella fenditura della roccia, presso il baluardo

(Ct 2,14). Il ragazzo invita l’amata a recarsi con lui in luoghi segreti e sicuri da intrusioni indiscrete. 

Ecco una regola generale del cammino verso la perfezione: avere nella propria brama una guida verso una situazione migliore (B 1014). La scelta del bene non può essere che libera e volontaria. Per scegliere il meglio e slanciarsi in un miglioramento senza posa, bisogna passare dal muro dell’antica Legge alla Roccia del Vangelo. Già Metodio d’Olimpo aveva affermato: «Le Scritture presentano un duplice volto: sono figura delle cose passate e di quelle future. La Legge è figura e ombra dell’immagine, cioè del Vangelo, e questa immagine che rappresenta il Vangelo, è simbolo della verità che avrà il suo compimento nella seconda venuta del Signore», La Verginità, IX, 2, cit. pp. 142-143.

«In che cosa consiste il cammino alla perfezione così come appare in questa fase? Non lasciarsi prendere dall'attaccamento verso ciò che attrae ma scegliere come guida alla perfezione il proprio stesso desiderio. “Vieni qui le dice non malvolentieri né forzatamente ma spontaneamente, rafforzata nel tuo proposito di assecondare il tuo desiderio di bellezza, senza farti trascinare a forza”. La virtù non tollera padroni ed è spontanea e libera da ogni costrizione. Anche tu, allora, mostra di avere la disposizione più conveniente, di essere presa spontaneamente dalla brama della perfezione» (B 1014). 

«Molti passi della Scrittura insegnano che l’unica difesa dell’anima umana è il Vangelo. […] Mi spiego meglio: se tu, anima, ti sei esercitata nell'osservanza della legge, se dentro di te hai accolto i raggi del sole filtrati attraverso gli scritti profetici, non devi più stare sotto l'ombra del muro della Legge (il muro può solo proiettare l'ombra dei beni futuri, non dare l'immagine della realtà), devi allontanarti dall'area circostante a questo muro e passare sulla roccia. Quest'ultima è circondata da un muro protettivo, in quanto la Legge fu come un recinto protettivo della fede evangelica; l'una e l'altra si rimandano a vicenda per l'affinità del contenuto salvifico. La proibizione evangelica: Non desiderare è simile al precetto non commettere adulterio; che cosa potrebbe assomigliargli di più? Così pure l'obbligo di essere puri da qualsiasi omicidio, non si trova in relazione col precetto evangelico che proibisce di insudiciare il cuore con l'ira? Se la fenditura della roccia è circondata da un antemurale, il passaggio dal muro alla roccia diventa facile per te. C'è una circoncisione per chi sta all'ombra del muro e una circoncisione per chi si trova sulla roccia; c'è un agnello e ancora un altro agnello, sangue e sangue, pasqua e pasqua. Lo stesso vale per tutte le altre istituzioni che si richiamano tra loro» (B 1016.1018). 

Mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso leggiadro. Il mio diletto è per me e io per lui Egli pascola il gregge tra i gigli

(Ct 2,14.16) Il giovane invita la ragazza a mostrarsi a lui ed ella dichiara di appartenergli. 

Il Cristiano non è istruito da una Legge ma da una Persona e, al presente, ascoltiamo lo stesso Verbo. La Sinagoga è considerata sorella della Chiesa, poiché entrambe provengono dallo stesso Dio e le due esperienze religiose sono contigue avendo molte convinzioni comuni. Infine, l’uomo diventa ciò di cui si nutre: gli uomini o si nutrono della verità, o immiseriscono (è una variante dell’insegnamento che abbiamo trovato più volte nelle Omelie: si diventa ciò che si contempla)

«Non parlarmi più per bocca dei profeti e neppure mediante gli enigmi della legge; mostrati a me chiaramente, almeno quanto sono capace di vederti, affinchè possa entrare dentro la roccia del Vangelo dopo aver abbandonato il muro della Legge. Allo stesso modo concedi ai miei orecchi di ascoltare la tua voce secondo la capacità del mio udito. Se la voce che ho avvertito attraverso le finestre è tanto dolce, quanto più mi sembrerà attraente tutta la persona dopo che avrò potuto incontrarla! 

Ella ormai desidera la sua manifestazione nella carne, vuole che il Verbo diventi carne e che Dio si manifesti nella natura umana e faccia pervenire ai nostri orecchi il messaggio divino che promette la felicità eterna a coloro che ne sono degni. Come corrispondono al desiderio della sposa le parole di Simeone quando esclama: “Ora lascia che il tuo servo, Signore, vada in pace secondo la tua parola poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2, 29-30). Egli vide come lei anelò vedere» (B 1020). 

«Ho visto faccia a faccia il volto di colui che è sempre quello che è; per me è sorto, come uomo, provenendo da mia sorella, la Sinagoga. In lui mi riposo e divento la sua abitazione. Egli è il buon Pastore che nutre le pecore con gigli candidi. Davvero egli non nutre più l'uomo, che è erba, con l'erba. L'erba è un cibo adatto per gli animali ma l'uomo, essendo un essere ragionevole, si nutre della verità. Tuttavia, se si pasce di fieno, anch'egli diventa fieno. Se, invece, diventa spirito, generata dallo spirito, non si ciberà più di sostanze erbose ma anche il suo cibo sarà spirituale, simboleggiato dal candore e dal profumo del giglio. Avendo assimilato la sostanza di quel cibo, anch'egli sarà un giglio puro e profumato» (B 1028). 


SINTESI


Al ritorno della primavera, il giovane invita la ragazza ad uscire con lui nella campagna fiorente. Ella lo vede avanzare velocemente mentre varia di continuo la sua posizione e il suo aspetto. In modo simile, la nostra relazione con Dio non è mai statica ma sempre in cambiamento, perché, attraverso le vicende dell’esistenza, crea nuove situazioni salvifiche. Di conseguenza, non possiamo pensare di averlo compreso in modo esaustivo. 

La venuta del Verbo, nella nostra carne umana, annuncia la primavera per tutta l’umanità e gli uomini pietrificati dall’idolatria ritornano ad essere persone viventi. 

L’Amata riceve l’invito ad accostarsi sempre di più al giovane che la sta desiderando. Avvicinrsi al Signore presuppone la disponibilità a percorrere un cammino che avanza all’infinito. Dio è un Bene inesauribile, perché non è limitato mai da alcun male. Ogni concetto positivo che vienne assegnato a Lui si protende nell’infito e nell’illimitato. Mentre Egli non ha bisogno d’esercitare il libero arbitrio (che oscilla tra bene e male) poiché è sempre orientato verso ciò che è ottimo, l’umanità rimane stabile nel bene, ma può muoversi in direzioni opposte. Il Signore, allora, cerca di rendere l’uomo, quanto più possibile, partecipe della sua stabilità e, a questo scopo, lo stimola ad crescita senza posa nel bene, una scelta che non può che essere libera e volontaria. Per scegliere il meglio e slanciarsi in un miglioramento senza posa, bisogna passare dal muro dell’antica Legge alla Roccia del Vangelo: il cristiano non è istruito da una Legge ma da una Persona. 



OMELIA VI


G. espone la dottrina dell’infinità divina e distingue, con estrema chiarezza, tra essere creato ed Increato (Dio). L’uomo partecipa all’infinità divina per grazia in quanto, sostenuto da Dio, avanza verso il bene in un movimento inesauribile. 

Sul mio giaciglio, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato 

(Ct 3,1). La donna si sveglia e non trovando più accanto a sé il giovane amato, si pone alla sua ricerca. A sua volta, la Sposa/Chiesa si rivolge «agli innamorati della bellezza celeste» per insegnare loro come pensare ed agire nei confronti del mistero divino. 

G., allora, traccia una classificazione generale degli esseri: essi si dividono in materiali e spirituali (o intellegibili). A loro volta, gli essere spirituali si distinguono in questo modo: da una parte troviamo la natura increata e creatrice di tutto ciò che esiste (Dio); dall’altra l’essere creato che esiste per partecipazione all’essere eterno e che non potrebbe esistere se non venisse creata di continuo. G. è il primo teologo a distinguere tra creato ed increato, distinzione che diverrà fondamentale in campo cristologico: il Verbo, generato dal Padre, è increato e non può essere considerato alla stregua di una creatura. 

Gli essere spirituali creati, che aderiscono a Dio, godono di una perenne crescita nel bene. Riafferma, quindi, quanto aveva insegnato nell’omelia precedente. L’uomo che è partecipe di Dio, Bontà infinita ed inesauribile, sperimenta un continuo superamento di ogni limite (cf epektasis Omelia VIII B 1154). 

«Al di fuori della divisione generale dell'essere che qui Gregorio ci presenta e che è del tutto originale, il punto importante da notare è quello di creazione continua, ...l'essere creato passa sempre dal non-essere all'essere, sia nel senso dell'esistenza, sia della crescita nell'esistenza. In questo senso, il movimento primo e naturale dell'essere creato è il progresso... Il fine dell'azione creatrice di Dio sarà dunque quello di dilatare sempre di più la capacità della creatura, per renderla capace di una maggiore partecipazione ai beni divini», cf. J. Daniélou, L'Essere e il Tempo in Gregario di Nissa, Roma 1991, 153-154). 

«Secondo la classificazione più generale, gli esseri si dividono in due specie: da una parte stanno quelli sensibili e materiali, dall'altra quelli spirituali e privi di materia. Considero realtà sensibile ciò che viene colto dai nostri sensi e spirituale quanto trascende la percezione fìsica. Questi sono illimitati e infiniti, mentre quelli materiali sono racchiusi del tutto in confini ben determinati. Ogni realtà materiale viene determinata da quantità, qualità, peso, forma, superficie e misura, e quanto può essere esaminato in relazione ad essa segna anche il limite della nostra conoscenza della materia. Nessuno studioso può oltrepassare tali limitazioni. Al contrario l'essere spirituale, immateriale, essendo esente da ogni categorizzazione, trascende ogni limite e sfugge a qualsiasi delimitazione. 

Gli esseri spirituali, a loro volta, si distinguono in due modi d'esistenza, tra l'increato e il creato. L'uno è sempre ciò che è, permane invariabilmente allo stesso modo, non può subire alcun incremento o alcuna diminuzione nel bene. L'altro, invece, giunto all'esistenza in seguito all'atto creativo, deve volgersi sempre alla Causa prima; conserva la sua bontà partecipando all'Essere trascendente e in un certo senso viene ricreato senza sosta poiché si trasforma; avanza verso il bene e dilata la sua bontà. Di conseguenza, neppure in questo caso si può verifìcare un limite; la sua crescita verso la pienezza non può essere circoscritta ma imita incessantemente quel Bene che sussiste dall'eternità e sebbene gli sembri d'aver raggiunto il livello massimo di grandezza e di perfezione si trova di continuo all'inizio di un'altra ascesa ancora più elevata. Nuovamente viene confermata la veridicità del detto dell'apostolo: “dimentichi del passato, ci slanciamo verso la meta che ci sta davanti” (Fil 3,13). Colui che viene considerato sempre più grande e che viene riscoperto come bene sovrabbondante, quando attrae a sé gli uomini che partecipano di lui, non permette loro di rivolgersi al passato ma fa svanire il ricordo di beni inferiori, offrendo il godimento di doni più preziosi» (B 1036).

Nei versetti precedenti abbiamo visto l'anima ascendere; si trasformava e non rimaneva mai al livello raggiunto, a motivo della sua spinta continua verso la perfezione (B 1038) […] Non ha forse vissuto quest'anima l'esperienza più magnifica? Si è trasferita nello sposo desiderato e lo sposo tanto cercato è andato ad abitare in lei! Pur trovandosi a questo livello, torna a supplicare come se ancora fosse del tutto priva di ogni bene. Come se non avesse ancora raggiunto lo sposo che da tanto tempo perseguiva nel suo desiderio, si inquieta, si affligge, rivela il tormento della sua anima e si chiede come possa trovare l'amato che sta cercando (B 1044). 

La natura divina, nella sua immensità, non è racchiusa da alcun limite. Chi cerca Dio non trova alcuna restrizione nella sua indagine tale da costringerlo a porre dei limiti precisi alla sua conoscenza oppure da obbligarlo a rallentare la sua ascesa mentre è slanciato verso il cielo. Al contrario, l'ardore che spinge verso l'alto nella conoscenza delle realtà più nobili, rimane sempre vivo in questa ricerca sconfinata e tutte le conoscenze più profonde che possono essere raggiunte dalla natura umana diventano il primo passo nella ricerca di beni più eccelsi (B 1046).

In conseguenza, ritenendo di aver raggiunto il vertice estremo della sua ascesa, là dove aveva sperato di pervenire, pensando di potersi unire ormai allo sposo bramato, da il nome di letto alla perfetta unione col bene e chiama notte il periodo in cui questa si compie. Col nome di notte indica anche la visione delle cose invisibili, a somiglianzà di Mosè, il quale entrò nella tenebra nella quale era presente Dio, il quale “s’avvolge di tenebre come di un velo” (Sal 17,12), come leggiamo nel salmo. Venutosi però a trovare in questa situazione, avverte che è ancora ben distante dall'aver raggiunto la perfezione quanto lo sono quelli che si trovano al principio… Per questo dichiara: Lo chiamai ma non mi rispose. Allora compresi che la sua grandezza, la sua gloria e la sua santità non hanno limiti» (B 1046 e 1048). 

La Sposa ricosce la sua incapacità a conoscere il mistero di Dio in modo adeguato. La mente dell’uomo non può giungere fino a tanto. Per conoscere Dio è più opportuno sperimentare di continuo la sua grazia, elargita dalla sua azione nel credente. Grazie alla pratica della fede, l’uomo può divenire partecipe di Dio molto meglio del ricorso a qualsiasi altro espediente: 

«Dopo aver percorso tutta quella città celeste con l'analisi attenta della sua mente e non avendo scorto la persona desiderata neppure fra quegli esseri spirituali e incorporei, proprio allora ritrovò lo sposo cercato, quando si decise ad abbandonare tutto ciò che aveva trovato, poiché egli viene riconosciuto nella sua essenza solo quando si ammette che è impossibile comprenderlo. Ogni concetto razionale diventa un ostacolo per quelli che si propongono di trovarlo. Per questo così conclude: Non appena mi allontanai da essi, abbandonata ogni creatura, oltrepassando ogni concetto creaturale, deposto ogni metodo empirico di ricerca, nella fede trovai il Diletto e non lo lascerò più - dopo aver finalmente afferrato con la presa della fede lo sposo cercato - finché non l'abbia condotto dentro la mia camera. Questa camera rappresenta il cuore. Esso ha la possibilità di trasformarsi in una abitazione della divinità se ritorna allo stato m cui si trovava all'inizio quando venne plasmato dalla madre che lo concepì. Per madre puoi intendere, senza sbagliarti, la Causa Prima della nostra esistenza» (B 1050 e 1052).

Chi è costei che sale dal deserto?

(Ct 3,6). In un intermezzo, appare la ragazza che sale dal deserto, in corteo, tra incensi ed aromi profumati. 

Il deserto e la presenza degli aromi, in modo particolare della mirra,  un unguento usato per la sepoltura, suggeriscono questa interpretazione allegorica: la crescita nel bene, con la comitante esperienza di Dio, avviene grazie alla nostra partecipazione alla Pasqua del Signore: dobbiamo morire con Cristo per poter risorgere con Lui. 

«La domanda che si fanno l'un l'altro indica stupore per la forma insolita, presuppone meraviglia per la figura sbocciata davanti a loro: La sposa che sale dal deserto è la stessa ragazza che prima avevamo vista tutta nera? Come ha fatto a togliersi quell'aspetto tenebroso? Come mai il suo volto biancheggia come neve? Può essere il deserto la causa di questi eventi? Ossia che ella, a somiglianza di un virgulto si slanci in alto, diventando bella a tal segno? Questa ascesa non è avvenuta per caso, senza un deliberato proposito, anzi ella ha conquistato la sua bellezza in seguito alle sue fatiche, grazie all'impegno e alla diligenza. Lo stesso accadde anche al salmista: la sua anima ebbe sete della fonte divina e solo dopo che la sua carne era diventata come un deserto, come una landa impraticabile e inaridita, provò dentro di sé la sete per il divino. Il fatto che ella salga dal deserto, significa che la sua ascesa fino a un'altezza così elevata è stata resa possibile dalla sua vigilanza e dal suo impegno (B 1058). 

La stessa composizione di questi due aromi diventa un motivo per elogiare la sposa: la mirra è adatta per la sepoltura mentre l'incenso è usato per il culto divino. Chi vuole dedicarsi al servizio divino non potrà essere un incenso offerto a Dio se prima non sarà diventato una mirra, vale a dire, se non avrà fatto morire le sue membra terrene, seppellendole insieme al Cristo che accettò la morte per noi e non si sia fatto ungere con quella mirra usata per la sepoltura del Signore facendo morire le membra della sua carne» (B 1060).

I sessanta prodi di scorta

(Ct 3,7) Sessanta guardiani scortano la lettiga ed incutono timore a rivoltosi malintenzionati. 

La bellezza divina attrae per il suo carattere di forza tremenda: è virilità che spaventa e sgomenta (foberà te kai kataplektos andreia). Affascina mentre sembra respingere. In greco, il termine kataplexis indica per lo più spavento ma può significare anche un’ammirazione tanto profonda per la bellezza vista al punto da paralizzare il contemplante. 

Il Nuovo testamento si oppone al fatto che si provi paura nei confronti di Dio, condiderando questo un atteggiamento proprio dell’Antica alleanza (Cf Eb 12,18-21), sebbene già allora il Signore invitasse gli uomini, sgomenti per la sua vicinanza, a superare il terrore (Cf Gs 1,6.7.9; 2 Sm 2,7). Nell’Omelia III, G.aveva detto: «Oggi il Verbo stesso, che è Dio, si manifesterà a noi che ci siamo purificati. Non apparirà nella nube o nella tempesta, né col suono della tromba o con un fuoco terribile. Al contrario, il Signore ci apparirà soave ed affabile, cambierà il suo aspetto terribile per assumerne uno più consono ad una festa nuziale» (B 870). Ora, al contrario, quasi contraddicendosi, parla della forza che crea sgomento. Lo scopo è quello di segnalare che la comunione con Dio esige la totale purificazione. Nella prima Omelia aveva precisato che la paura è un sentimento da schiavi, mentre la confidenza è dei figli. Nella crescita spirituale, il credente passa dal timore all’amore (cf. B 774 ss). 

«Sembra che la bellezza divina, proprio nel provocare terrore, eserciti una mirabile attrazione, mentre avviene l’opposto per quanto riguarda la bellezza fìsica. In questo secondo caso a suscitare la passione è ciò che appare piacevole alla vista ed è grazioso e quindi privo di ogni elemento che possa provocare paura o sbigottimento, mentre; al contrario, quella Bellezza pura appare come una forza tremenda e inesorabile. L'attrazione per il corpo, che risiede nelle membra della carne, tende agguati alla nostra ragione, come farebbe una banda di predoni e dopo averla costretta a fare il suo volere, la trascina via prigioniera. A causa di questo, allora, essa diventa nemica di Dio, come insegna l'apostolo: “I desideri della carne sono in rivolta contro Dio” (Rm 8,7). Ecco quale conseguenza ne deriva: l'amore verso Dio si attua praticando le opere contrarie alla passione della carne. Se il dominio di questa tirannia si attenua, la forza d'animo, indomabile e inesorabile la trasforma in un'occasione per accendere l'amore verso Dio. Dopo che il coraggio virile ha fermato e messo in fuga l'assalto del piacere, brilla la bellezza dell'anima. Necessariamente allora il letto nuziale del re viene circondato da sentinelle armate. È veramente conveniente, finché sarà necessario combattere contro la carne e il sangue, tenere la spada al fianco» (B 1064). 


Sintesi


L’uomo partecipa all’infinità divina per grazia in quanto, sostenuto da Dio, avanza verso il bene in un movimento inarrestabile. G. espone la dottrina dell’infinità divina e distingue, con estrema chiarezza, tra essere creato ed Increato (Dio). Traccia una classificazione generale degli esseri: essi si dividono in materiali e spirituali (o intellegibili). A loro volta, gli essere spirituali si distinguono in questo modo: da una parte troviamo la natura increata e creatrice di tutto ciò che esiste (Dio); dall’altra l’essere creato che esiste per partecipazione all’essere eterno e che non potrebbe esistere se non venisse creata di continuo. 

Gli essere spirituali creati, che aderiscono a Dio, godono di una perenne crescita nel bene. Riafferma, quindi, quanto aveva insegnato nell’omelia precedente. L’uomo che è partecipe di Dio, Bontà infinita ed inesauribile, sperimenta un continuo superamento di ogni limite. La ragazza che, risvegliatasi, non trova più accanto a sé il giovane amato, si pone alla sua ricerca ed, infine, ricosce la sua incapacità a conoscere il mistero di Dio in modo adeguato. La mente dell’uomo non può giungere fino a tanto. Per conoscere Dio è più opportuno sperimentare di continuo la sua grazia, elargita dalla sua azione nel credente. Grazie alla pratica della fede, l’uomo può divenire partecipe di Dio. La crescita nel bene, con la comitante esperienza di Dio, avviene grazie alla nostra partecipazione alla Pasqua del Signore: dobbiamo morire con Cristo per poter risorgere con Lui. 

La bellezza divina attrae per il suo carattere di forza tremenda, affascina mentre sembra respingere. In altri termini, la comunione con Dio esige la totale purificazione.