lunedì 11 maggio 2020

ASPETTANDO GODOT



Estratto dal Blog di Anna Napponi ALI DI PENSIERO
22 aprile 2020

"Waiting for Godot", Beckett: significati, connessioni bibliche, storiche e sociali
 "Waiting for Godot" è un dramma in due atti composto da Samuel Beckett e rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1952. 

0. RIASSUNTO DELLA "NON-TRAMA":


Eh sì... è una non-trama: non c'è avventura e soprattutto non c'è la volontà di cambiamento e di movimento. C'è un'infinita e a tratti anche angosciante attesa.

I due personaggi principali sono i due mendicanti Vladimir ed Estragon (in traduzione italiana: Vladimiro ed Estragone). Entrambi aspettano, in un paesaggio in aperta campagna, un certo Godot... non lo hanno mai incontrato prima, non sanno nulla di lui. E, per di più, non sono sicuri né del giorno né dell'ora dell'appuntamento. Ad un tratto arriva Pozzo, un castellano benestante che porta a guinzaglio il suo servitore Lucky. Pozzo di intrattiene con Vladimir ed Estragon e a un certo punto riparte. Il primo atto si conclude con l'ascesa della luna argentata nel cielo e con l'arrivo di un ragazzo che annuncia ai due mendicanti che Godot arriverà certamente domani- le testuali parole del dramma: "Mr. Godot told me to tell you he won’t come this evening but surely tomorrow."
Il secondo atto è praticamente uguale perché è anch'esso scandito da: attesa, arrivo di Pozzo e Lucky, congedo di questi ultimi due e messaggio del ragazzo: "Godot mi ha detto di dirvi che non verrà stasera ma sicuramente domani".  E il sipario cala.

Ma chi è veramente Godot? Dio? La Felicità? Forse entrambi. Ma a noi lettori non è dato saperlo con certezza. 
Per concludere questo "paragrafo zero", riporto prima una piccola parte del commento critico di Carlo Fruttero:

Vedere in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la chiave cristiana, per cui tutto, dall'albero che si trova sulla scena e che dovrebbe rappresentare la croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano.

Qui sotto segue una carrellata di mie impressioni e riflessioni a proposito di alcuni passaggi del dramma, che ho appena terminato di leggere integralmente. E' tutto suddiviso in piccoli paragrafi- per quel che riguarda il primo atto, il numero dei paragrafi è contrassegnato con le lettere, per il secondo invece, ci sono i numeri arabi. "Farò parlare" molto anche il testo.

IMPRESSIONI E RIFLESSIONI SULL'ATTO PRIMO:

A. QUALE VERITA'?

Primo rimando biblico, già alla prima scena del primo atto:

Vladimir: Ah yes, the two thieves. Do you remember the story? Two thieves, crucified at the same time as our Saviour. One is supposed to have been saved and the other… (he searches for the contrary of saved)… damned. 
Estragon: Saved from what? 
Vladimir: Hell. 
Estragon: I’m going. 
Vladimir: And yet... (Pause.)... how is it– all four Evangelists were there. And only one speaks of a thief being saved. Why believe him rather than the others? 
Estragon: Who believes him? 
Vladimir: Everybody. It’s the only version they know. 

(Vladimir: Ah, sì, i due ladroni. Ti ricordi la storia? Due ladri, crocifissi insieme al nostro Salvatore. Si dice che uno fu salvato e l’altro… (cerca il contrario di salvato)… dannato. 
Estragon: Salvato da che cosa?
 Vladimir: Dall’inferno.
 Estragon: Vado.
Vladimir: E tuttavia… (Pausa.)... com’è, c’erano tutti gli Evangelisti. E solo uno parla di un ladro salvato. Perché credere a lui piuttosto che agli altri? 
Estragon: Chi gli crede? 
Vladimir: Tutti. È l’unica versione che conoscono.)

Soltanto nel Vangelo di Luca si parla delle reazioni dei due ladroni al vedere Cristo in croce e quindi si mettono in luce le loro parole. Soltanto in Luca è presente un dialogo tra Gesù e il ladrone pentito. Ad uno di essi, cioè a quello che si rende conto di aver perseguito uno stile di vita disonesto e che si pente, Gesù dice: "Oggi sarai con me in Paradiso".
Non voglio andare oltre, per quel che riguarda la teologia e i Vangeli sinottici... A me questo punto ha fatto pensare innanzitutto al contesto in cui Beckett ha scritto "Waiting for Godot": inizio anni '50, inizio guerra fredda. Cinque anni dopo aver scoperto sia gli orrori dei campi di sterminio sia le terribili e devastanti potenzialità della bomba atomica. Gli uomini si sono evoluti dal punto di vista scientifico e tecnologico, ma certe loro creazioni sono in grado di distruggere e di danneggiare  altri popoli. Sono appena terminate delle dittature diaboliche, assetate di potere e purtroppo di sangue, dittature che hanno manipolato migliaia di coscienze. In Europa la gente vorrebbe "ricostruire" un clima diverso, un mondo migliore, un tipo di mondo simile a quello che avrebbero voluto tutti quei partigiani morti per la libertà, fedeli fino in fondo ai loro ideali. Ma in Italia e in Germania la gente patisce la fame. Ad est c'è ancora il regime autoritario comunista, contrapposto al capitalismo americano e a quegli Stati Uniti pervasi dall'ottica consumista alienante, quegli Stati Uniti pieni di grattacieli, e di non-luoghi, quegli Stati Uniti che, nella musica e nelle abitudini, iniziano a influenzare molte nazioni europee.
In un contesto del genere, gli intellettuali arrivano a chiedersi: qual'è la verità? E' stata anche la domanda di Pilato a Gesù, giusto per fare un ulteriore richiamo al Vangelo della Passione.
Di fronte a tutto ciò, una parte degli intellettuali europei, tra cui Samuel Beckett e i francesi della scuola del Nouveau Roman (che però ora riesco a comprendere meglio, al di là di ironie e sarcasmi) si sentono impotenti, sperduti... risentono di un passato recentissimo e violentissimo, risentono delle disuguaglianze economico-sociali... e temono l'energia potente di tecnologie molto negative, come la bomba atomica. Dov'è la verità in questo mondo che ha appena avuto 50 milioni di morti a causa del secondo conflitto mondiale? Cosa può darci sicurezza?

B) L'HOMO "DEMENS":


Vladimir: He said Saturday. (Pause.) I think. I must have made a note of it. (He fumbles in his pockets, bursting with miscellaneous rubbish.) 
Estragon: (very insidious). But what Saturday? And is it Saturday? Or Thursday? 
Vladimir: What’ll we do? 
Estragon: If he came yesterday and we weren’t here you may be sure he won’t come again today. Vladimir. But you say we were here yesterday. 
Estragon: I may be mistaken. (Pause.) Let’s stop talking for a minute, do you mind? 
Vladimir: (feebly). All right.

(Vladimir: Ha detto sabato. (Pausa.) Penso. Dovrei averne preso nota. (Armeggia nelle sue tasche, traboccanti di cianfrusaglie varie.) 
Estragon: (molto insidioso). Ma quale sabato? Ed è sabato? O giovedì? 
Vladimir: Cosa faremo? 
Estragon: Se fosse venuto ieri e noi non fossimo stati qui puoi star certo che non verrà ancora oggi. 
Vladimir: Ma tu dici che noi eravamo qui ieri. 
Estragon: Potrei sbagliarmi. (Pausa.) Smettiamo di parlare un minuto, ti dispiace? 
Vladimir: (fiocamente). Va bene.)

Sembrano due dementi che non ricordano assolutamente nulla. Incerti sul presente, sul passato e sul futuro. Questi due sembrano non avere ricordi. E sembrano non avere la percezione del tempo e dello spazio. Lo spazio, tra l'altro, è sempre uguale. Questa è la fine della seconda scena del primo atto. Nella scena terza, Vladimir ed Estragon, per un momento scambieranno Pozzo per Godot. E... qualche istante dopo, addirittura si dimenticheranno di aver scambiato Pozzo per Godot.

Pozzo: I present myself… Pozzo. 
Estragon (timidly, to Pozzo): You’re not Mr. Godot, Sir? 
Pozzo (terrifying voice): I am Pozzo! (Silence.) Pozzo!

(Pozzo: Mi presento... Pozzo. 
Estragone (timidamente, a Pozzo): Lei non è il signor Godot?
Pozzo (con voce terribile): Sono Pozzo! (Silenzio) Pozzo!)

Per collegarmi alla questione "tempo" di quest'opera: come in "La gelosie" di Robbe-Grillet e come in "L'anneè derniere a Mariembad", anche qui il tempo sembra cristallizzato. Ad un certo punto, Estragon dice (e stavolta lo riporto soltanto in italiano): "Non succede niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile".

C) POZZO E LUCKY:


Come si diceva nell'introduzione, Pozzo e Lucky sono rispettivamente servo e padrone.

Partiamo dal fatto che Lucky mi sembra un nome antifrastico: "lucky" è "fortunato"... Mi sembra poco fortunato qualcuno che, per servire un padrone cinico e sprezzante come Pozzo, ha perduto completamente la propria dignità umana e la propria libertà di azione e di movimento (è infatti legato ad un guinzaglio).

Pozzo dice (e anche stavolta riporto soltanto il discorso in traduzione italiana) a Vladimir e ad Estragon, inizialmente un po' sconcertati di fronte alla tirannia che Pozzo esercita su Lucky: "Da notarsi che potrei benissimo trovarmi al suo posto e lui al mio. Se il caso avesse deciso altrimenti. A ciascuno il suo".
Che vuol dire? Il destino mi ha fatto nascere padrone. La mia prepotenza e il mio disprezzo sono giustificati dal "caso", dalla sorte (se fossimo nel Medioevo, "dalla Fortuna").

D) I SOPRANNOMI CHE SI DANNO VLADIMIR ED ESTRAGON:


Di tanto in tanto, nel corso dei loro dialoghi vuoti e a volte senza senso, confusi e privi di memorie, Vladimir chiama Estragon "Gogo" ed Estragon chiama Vladimir "Didi".

Estragon= in Gogo c'è il raddoppiamento di "go", una sillaba che fa già parte del suo vero nome.
Vladimir= in Didi c'è il raddoppiamento di "di", una sillaba che già è inclusa nel suo vero nome.

Didi/ Gogo... 
Didi non potrebbe forse richiamare lontanamente il movimento Dada, sorto in Svizzera nel '16, avanguardia che si serviva, nelle sue "creazioni", del non-senso, di richiami al linguaggio infantile, di collages di ritagli di giornale per formare una poesia?
Dada vuol dire tutto e niente. Ha una moltitudine di significati e al contempo nessuno.

A proposito di infanzia... per far addormentare Estragon, ad un certo punto del secondo atto, Vladimir canta una ninna nanna che fa: ni na na na/ ni na na na.

IMPRESSIONI E RIFLESSIONI SUL SECONDO ATTO:

1) INQUIETUDINE E ANGOSCIA:


Eccolo, secondo me, il punto più rappresentativo dell'angoscia di Vladimir. E' inquieto, perché la sua vita si basa su un'attesa noiosa, monotona, estenuante, priva di colori. E per aspettare chi, esattamente?
Sorbitevi tra poco la filastrocca ripetitiva!
Anche Estragon, comunque, è inquieto. Dirà poco dopo, al compagno di avventure: "Ritrovarmi! Dove vuoi che mi ritrovi? Ho trascinato la mia sporca vita attraverso il deserto! E tu vorresti che ci vedessi delle sfumature! Guarda questo schifo! Non ne sono mai uscito!"
Io credo che il deserto sia simbolo di un vuoto di valori e di relazioni. Il deserto psicologico deriva dalla propria infelicità.


Vladimir: THEN ALL THE DOGS CAME RUNNING
                    AND DUG THE DOG A TOMB 
                    AND WROTE UPON THE TOMBSTONE
                    FOR THE EYES OF DOGS TO COME. 


A DOG CAME IN THE KITCHEN 
AND STOLE A CRUST OF BREAD. 
THEN COOK UP WITH A LADLE 
AND BEAT HIM TILL HE WAS DEAD. 

THEN ALL THE DOGS CAME RUNNING 
AND DUG THE DOG A TOMB… 

He stops, broods, resumes. 

THEN ALL THE DOGS CAME RUNNING 
AND DUG THE DOG A TOMB… 

He stops, broods. Softly. 

AND DUG THE DOG A TOMB

… He remains a moment silent and motionless, then begins to move feverishly about the stage. He halts before the tree, comes and goes, before the boots, comes and goes, halts extreme right, gazes into distance, extreme left, gazes into distance.


( Vladimiro: ALLORA TUTTI I CANI ACCORSERO
E SCAVARONO UNA FOSSA AL CANE
E SCRISSERO SULLA PIETRA TOMBALE
AFFINCHE' TUTTI I CANI LEGGESSERO.

UN CANE ANDO' IN CUCINA
E RUBO' UNA CROSTA DI PANE
ALLORA CON UN MESTOLO
IL CUOCO LO COLPI' A MORTE.

ALLORA TUTTI I CANI ACCORSERO
E SCAVARONO UNA FOSSA AL CANE.

Si interrompe, medita, riprende.

ALLORA TUTTI I CANI ACCORSERO
E SCAVARONO UNA FOSSA AL CANE...

Si interrompe, medita. Dolcemente.

E SCAVARONO UNA FOSSA AL CANE.

Rimane un momento immobile, poi inizia a camminare febbrilmente sulla scena. Si ferma di nuovo davanti all'albero, andirivieni,  davanti alle scarpe, andirivieni, si ferma alla quinta destra, guarda lontano, alla quinta sinistra, guarda lontano.)

2) PERCHE' NEL SECONDO ATTO POZZO E' CIECO E LUCKY MUTO?

Nel primo atto non lo erano. Faccio presto a spiegarlo: stando a ciò che dice Fruttero, cioè, alla contrapposizione capitalismo/proletariato, la cecità di Pozzo forse è anche una cecità morale, oltre che fisica. Si trova in quella posizione, disprezza e insulta continuamente Lucky e non è in grado di farsi un esame di coscienza. E' forse il padrone, il padrone capitalista avido di guadagni e di ricchezza interessato a sfruttare le vite dei dipendenti.

Lucky diventa muto... Se prima dicevo che ha perso la propria dignità, il mutismo rappresenta proprio questo: è muto, inerme e succube dello sfruttamento a cui è sottoposto. E' un sottomesso, punto.

3) CONCEZIONE NEGATIVA SULLA RAZZA UMANA:

Anche qui, basta l'italiano:

Vladimiro: (...) Ma qui, in questo momento, l'umanità siamo noi, ci piaccia o non ci piaccia. Approfittiamone, prima che sia troppo tardi. Rappresentiamo degnamente una volta tanto una sporca razza in cui ci ha lasciati la sfortuna! (...)

La "sporca razza" che sfrutta il prossimo, che non sa amare, che si fa condizionare da ideologie politiche pericolose, che fa le guerre... 

4) LA FELICITA' E DIO LI SI ASPETTANO O LI SI CERCANO?

Più volte Vladimir ed Estragon vorrebbero andarsene da quel luogo, sempre uguale ad ogni ora del giorno. Ma ogni volta l'uno dice all'altro che non si può fare perché si sta aspettando Godot.



Al di là di cosa Godot rappresenti (la felicità o Dio)... io credo che entrambi debbano essere cercati dagli uomini, non attesi. L'attesa di questi "traguardi" è frustrante e non permette di crescere, di mettersi in gioco. Per crescere, cambiare e maturare bisogna evitare la monotonia. In effetti, in questo dramma, tutto è statico. Anche quando i due protagonisti dicono "Andiamo", non si muovono. 

Anna Napponi

giovedì 7 maggio 2020

API E MIELE NELLA BIBBIA


Sollecitato dai post di un amico che ci ha mostrato il lavoro nel suo apiario, mi sono venuti alla mente alcuni passi della Scrittura che parlano delle api. Con ogni evidenza, si tratta nel caso mio di ossessione professionale. Dobbiamo distinguere tra i passi in cui si parl del miele (numerosissimi) e quelli che parlano, invece, delle api. Quest'ultime non si sentono affatto offese per essere state così trascurate, perché sono insetti pieni d'umiltà. Così suppongono gli autori sacri. È umile anche se offre il prodotto migliore tra le cose dolci. Io sto già citando un passo e sto appropriandomi di un pensiero di altri. Ecco allora il passo da cui ho attinto questo messaggio: «Non lodare un uomo per la sua bellezza e non detestare un uomo per il suo aspetto. L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore fra le cose dolci. Non ti vantare per le vesti che indossi e non insuperbirti nel giorno della gloria, perché stupende sono le opere del Signore, eppure esse sono nascoste agli uomini» (Sir 11,2-4). 
Le api sono poco belle (ho chiuso la finestra per paura che qualcuna venga a pungermi). Non sono appariscenti, non vestono Prada. Non si curano dell'apperenza ma dell'operato concreto. S'impegnano, perché amano il loro lavoro e lo amano perché produce un lavoro eccellente a vantaggio di tutti. Sono simili a tante persone umili che vivono una vita intensa d'amore, nella fabbrica o in famiglia, senza aspettarsi alcun riconoscimento. 

Questo è un aspetto. Mai leggere la Scrittura soffermandosi sopra un solo passo. Uno sciame di api agitate è piuttosto pericoloso. Isaia parogona i soldati dell'Assiria, la super potenza dell'epoca, che invasero la terra d'Israele ad api piuttosto irritate: il Signore chiamerà «le api che si trovano in Assiria. Esse verranno e si poseranno tutte nelle valli scoscese, nelle fessure delle rocce, su ogni cespuglio e su ogni pascolo» (Is 7,18-19). Le api sono anche un'immagine dei nemici più pericolosi di una singola persona: «Mi hanno circondato come api, come fuoco che divampa tra i rovi,ma nel nome del Signore le ho distrutte (Sal 118,12)». Tuttavia, ecco di nuovo un cambiamento.
L’ostilità stessa può trasformasi in un’occasione per diventare, ancora di più, persone d’amore: «Lo stesso Signore è stato circondato dai persecutori, come le api circondano il favo. Gli empi, non sapendo che cosa facevano, coi tormenti hanno reso più dolce il Signore, affinché vediamo e gustiamo quanto è soave il Signore» (Prospero d'Aquitania). Insomma le avversità della vita e perfino l'ostilità altrui, possono finire con darci giovamento. 
A volte quando postiamo qualche cosa su Facebook, veniamo aggrediti da qualche sciame di passaggio. È il momento, con pazienza, di produrre il miele della carità. L'ira combatte il male, ma soltanto la pazienza lo vince. 

Abbiamo parlato delle api in pochi passi ma significativi. Che cosa si dice del miele nella Bibbia? Le api saranno molto orgogliose perché si parla molto bene del loro prodotto. Ricordate che cosa mangiava Giovanni Battista mentre si trovava nel deserto? Non potendo recarsi alla mensa della Caritas, si accontentava di ciò che trovava ma si dichiarava molto fortunato quando trovava del miele lasciato là da api, selvatiche sì, ma molto gentili (cf Mc 1,6). Avevano simpatia per questo profeta, anche se non si fecero mai battezzare. Il miele, infatti, era considerato da sempre un alimento molto calorico. Secoli prima, Gionata, figlio del re Saul, s'era ridotto allo sfinimento durante una battaglia. Trovato per caso un favo, cominciò a cogliere del miele con la punta di un bastone e si sentì subito rinvigorire: «i suoi occhi si rischiararono» (1 Sm 14,27). 
Era un cibo molto apprezzato. Giobbe parla di uno che «se lo teneva nascosto sotto la sua lingua, assaporandolo senza inghiottirlo, se lo tratteneva in mezzo al suo palato» (Gb 20,12-13). Infatti mi sembra questo il modo più intelligente di mangiarlo: lasciarselo sciogliere in bocca. Secoli dopo (scusate se passo così facilmente da un secolo all'altro ma questo è l'unico modo che ho per farvi capire che sono molto istruito), il vescovo Fenelon dirà che questo è il metodo migliore per fare meditazione: trattenere a lungo qualche espressione per cogliere il senso, per apprezzarla. Purtroppo, invece, ancora adesso si prega ingoiando in fretta, senza capire, senza apprezzare. Così tutto finisce come peso sullo stomaco. Volete escogitare il medo migliore per stufare i fedeli a Messa? Fatela di corsa!
Sto depistando. Ho detto che era un prodotto molto apprezzato. Infatti Giacobbe per ingraziarsi il viceré d'Egitto (che era suo figlio ma non lo sapeva) così consiglia gli altri figli: «Mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti della terra e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e làudano, pistacchi e mandorle» (Gen 43,11). Insomma: frutta secca, profumi, medicinali ma anche miele. Non c'è allora da stupirsi se Dio volendo reclamizzare la terra che voleva donare al suo popolo, dicesse: «La terra dove scorre latte e miele». Primo tentativo di pubblicità turistica. Tenete conto che la Striscia di Gaza c'era già, ma allora non era una striscia. La terra dove il miele scorre come fosse un torrente (non dimenticate che siamo nell'ambito pubblicitario) diventa un segno della grazia sorprendente di Dio. Dal punto di vista cristiano è un'immagine dei doni ricevuti con la conversione e il Battesimo: Introduxit nos Dominus in terram fluentem lac et mel (Introito del lunedì di pasqua). Cioè? Parla più chiaro, mi direte. Ecco una versione un po' libera: «Già qui, per mezzo dello Spirito Santo, veniamo riammessi in paradiso, ritorniamo allo stato di adozione a figli, ci viene dato di compartecipare alla grazia di Cristo... di vivere nella pienezza della benedizione. Tutto questo già da ora e poi nel tempo futuro» (Basilio).

Vi siete chiesti per quale motivo il Battista amava il deserto roccioso di Giuda, predicava e battezzava vicino a Gerico, con tutto il calda che faceva e fa in questo posto? Non poteva andare in un luogo più fresco e nutrirsi un po' meglio? È vero che succhiava anche un po' di miele, del resto necessario per un predicatore privo di microfoni, ma perché voler starsene proprio lì? Il Vangelo non ce lo dice in modo diretto ma possiamo intuirlo. Formulo un'ipotesi verosimile perché, dal momento, che non sono un esegeta diplomato, non posso inventarmene troppo grosse. Il popolo di Dio, quando passò nella terra promessa, provenendo dall'Egitto, era passato proprio da quelle parti. Lì era cominciata la storia del popolo. Secondo il Battista, bisognava ritornare alle sorgenti e ricominciare. Tanto più che incombeva un pericolo. Dio non aveva dato la terra ad Israele in possesso ma, per spiegarci, soltanto in comodato gratuito. Israele doveva abitarla senza guastare l'appartamento, altrimenti il legittimo proprietario si sarebbe fatto vivo per rompere l'accordo. 
Ma il miele che c'entra? Quella era la terra in cui scorreva latte e miele. Tra i doni di Dio c'era anche la sessualità: «Le tue labbra stillano nettare, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua» (Ct 4,11). [Non strabuzzate gli occhi: qui si parla, chiaramente, del bacio di pace, prima della Comunione] 
E quello non era ancora niente: «In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque» (Giole 4,18). La terra sarebbe stata così generosa, se il popolo l'avesse abitante in modo conforme allo stile e al progetto di Dio. «Ascolta, o Israele, e bada di mettere in pratica i miei comandi, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele,come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto» (Dt 6,3). Un invito molto promettente, ma, adesso, sentite anche questa, ve la devo dire per onestà professionale: «Osserverete dunque tutte le mie leggi e tutte le mie prescrizioni e le metterete in pratica, perché la terra dove io vi conduco per abitarla non vi vomiti. Non seguirete le usanze delle nazioni che io sto per scacciare dinanzi a voi» (Dt 20,21-22). Si potrebbe dire la stessa cosa così: il posto è bello, basta cavare quelli l'abitano. 
Il vero miele, allora, consiste nell'obbedienza al volere santo di Dio: «I giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante» (Sal 19,10-11). 
Se si fa il contrario che cosa succede? Un amico terribile di Giobbe così pensa a proposito di quelli che rovivano la terra con le loro prepotenze e violenze: «Il cibo gli si trasformerà in veleno di vipere. I beni che ha divorato, dovrà vomitarli, Dio glieli caccerà fuori dal ventre. Veleno di vipere ha succhiato,una lingua di aspide lo ucciderà. Non vedrà più ruscelli d’olio, fiumi di miele e fior di panna; darà ad altri il frutto della sua fatica senza mangiarne, come non godrà del frutto del suo commercio, perché ha oppresso e abbandonato i miseri, ha rubato case invece di costruirle; perché non ha saputo calmare il suo ventre, con i suoi tesori non si salverà. Nulla è sfuggito alla sua voracità, per questo non durerà il suo benessere. Nel colmo della sua abbondanza si troverà in miseria; ogni sorta di sciagura piomberà su di lui» (Gb 20,14-22).
Oggi si direbbe: bisogna aspirare ad uno sviluppo sostenibile. Ho sviluppato tanti spunti senza spiegarne bene neppure uno. Mi scuso col dire: non basta una testa sola a spiegare la Bibbia. 

domenica 3 maggio 2020


Anna Napponi, nel suo interessantissimo blog (Ali di pensiero. Riflessioni di Anna Blogspot.com) ha presentato il celebre racconto di Dino Buzzati «Il colombre».
Ecco come lo ha riassunto:

«Nel giorno del suo dodicesimo compleanno, Stefano Roi, il protagonista del racconto, chiede al padre, capitano di mare e proprietario di un elegante veliero, di accompagnarlo in uno dei suoi viaggi. Il padre esaudisce volentieri la richiesta del figlio. Durante il viaggio, però, Stefano intravede dalla poppa della nave uno strano pesce che sembra inseguire la nave.
Poco dopo, il padre gli rivela con angoscia che quel pesce è un colombre, animale molto temuto dai marinai, divoratore di uomini, visibile soltanto dalla vittima e dai suoi più stretti familiari.
Il capitano decide dunque di far sbarcare subito il figlio e di fargli proseguire gli studi in una città lontana dal mare.
Ma, con il passare degli anni, Stefano diviene sempre più ossessionato dal pensiero del colombre e, dopo la morte del padre, lascia l'ambiente cittadino e decide di intraprendere la vita dei marinai.

"... navigare, navigare era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l'impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c'era il colombre ad aspettarlo e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo attraeva senza requie(senza pace), da un oceano all'altro."

Divenuto anziano, si accorge di essere molto infelice e di aver consumato la sua esistenza nella fuga dal colombre attraverso i mari. Così una sera, sale su un barchino, si fa calare in mare e rema verso il colombre per colpirlo con un arpione. Ma il colombre, stanco e affaticato, gli dice: "Quanto mi hai fatto nuotare! E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente. Non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal Re del mare avevo avuto soltanto l'incarico di consegnarti questo." Prima di scomparire tra le onde, l'animale trae fuori la lingua e porge al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente, ovvero, la Perla del Mare, conosciuta dai marinai come la perla che dà agli uomini amore, fortuna e pace nell'animo.
Stefano, amareggiato, riconosce di aver vissuto una non-vita e di aver rovinato la propria esistenza con una fuga inutile».

Fin qui il racconto di Buzzati. In sguito Anna aggiunge la sua interpretazione:
«Potrei provare a dare una mia interpretazione del racconto.
Credo che il misterioso animale rappresenti il futuro. Stefano si sente attratto dal futuro, ma, dal momento che prova anche un incontrollabile timore verso di esso, continua a viaggiare per fuggire dal proprio destino, in preda ad un assurdo pregiudizio trasmessogli dal padre.
Stefano desidera la felicità, l'amore e la pace, ma non è in grado di coglierle laddove sono presenti, dal momento che è succube dei propri timori infondati. Fuggendo nega a se stesso la gioia di vivere.
Certo, egli riesce a realizzarsi dal punto di vista professionale, ma muore solo e infelice, consapevole della propria irrequietudine. Egli diviene ricco materialmente ma povero spiritualmente perché non é abbastanza coraggioso e tenace per poter affrontare le proprie paure e i propri conflitti interiori, anzi, continua a scappare, sia dal colombre che da se stesso.
Io penso che Stefano rappresenti tutte quelle persone che non sanno vivere e che quindi sono incapaci anche di approfittare delle buone opportunità, delle "occasioni d'oro" che la vita potrebbe offrire».

Aggiungo ora, non una nuova interpretazione ma una rilettura del racconto, esponendo ciò che esso mi ha suggerito. Il Signore ci insegue tutta la vita per donarci la sua perla. Nel Vangelo parla de il suo Regno come una perla di grande valore (Mt 13,46). Il colombre si è sobbarcato a grandi fatiche per raggiungere il giovane che voleva suffirgli, Gesù ha sofferto per noi molto più ancora. Anzi ci ha donato la sua stessa vita. Diceva un antico scrittore cristiano: chiunque è veramente consapevole che la Pasqua venne immolata per la sua salvezza, consideri inizio della sua vita il momento in cui Cristo si è sacrificato per lui.
Ma che cosa significa la perla fuori metafora? É il dono della carità, l'amore per Dio e per il prossimo, la capacità di vivere in comunione con Dio, nella sua grazia.
Se uno non vive di questo, non potrà trovare una vera pacificazione nonostante possa ottenere grandi successi in ogni ambito della vita. Perciò accogliamo l'offerta del Colombe, il Cristo:
«Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra» (Melitone di Sardi)