lunedì 18 settembre 2023

Il significato di risurrezione

 

In un’ottica storica non è possibile passare direttamente dalla vita e insegnamenti di Gesù alla chiesa delle origini. Gesù  non aveva proclamato se stesso né aveva chiamato a una professione di fede in lui; la sua predicazione era imperniata sull'imminenza del regno di Dio. I primi cristiani proclamarono (l'opera di Dio in) Gesù e invitarono alla fede in lui. Accadde qualcosa che provocò questo passaggio dal Gesù che proclama il regno di Dio al Gesù che viene proclamato. Nel Nuovo Testamento e nella storia cristiana questo «qualcosa» si chiama risurrezione.

Comprensibilmente potrebbero essere stati alcuni seguaci di Gesù che non seppero della notizia della risurrezione o che non vi credettero. Si può immaginare che vi sia stato chi, come i discepoli di Giovanni (o quelli di Martin Luther King Jr.), ispirato semplicemente dalla persona di Gesù, dalla sua causa e/o dalla sua vita, decidesse di continuarle. Se esistettero, seguaci di Gesù di questo tipo non entrarono a far parte della prima chiesa e i loro scritti, se ve ne furono, non ebbero accesso al Nuovo Testamento.

La risurrezione di Gesù è fondamentale per la fede cristiana e il Nuovo Testamento. Che Dio ha risuscitato Gesù dai morti è il presupposto implicito - e spesso esplicito - di tutti gli scritti del Nuovo Testamento. La risurrezione si colloca quindi in una categoria totalmente diversa da quella, per esempio, del suo concepimento miracoloso, del quale non si parla più dopo i racconti della nascita di Matteo e Luca, e del resto l'identità di Gesù o il suo significato salvifico non vengono mai collegati e fondati su questi racconti. La risurrezione non è semplicemente un altro esempio delle storie di miracoli compiuti da Gesù, e nemmeno il suo ultimo e il più grande. La risurrezione è anzitutto un'affermazione riguardo a Dio: «Colui che ha risuscitato Gesù dai morti» diventa la nuova e definitiva natura di Dio (per es. 1 Tess. 1,9-10; Gal. 1,1,2 Cor. 4,14; Rom. 4,2.4; 6,4; 8,11; 10,9; Ef. 1, 2,0; Col. 2,12; I Pt. 1,2,l).


Non è questo il luogo in cui avventurarsi in qualcosa come una disamina esaustiva della risurrezione. Ci si limiterà a elencare alcuni punti importanti, necessari per comprendere quanto il Nuovo Testamento afferma della risurrezione di Gesù, senza documentare tutte le sottigliezze e le alternative alla concezione che viene qui illustrata:

la risurrezione fu un evento. La fede cristiana non inizia con una nuova grande  idea, intuizione, ideale o insegnamento, ma con un fatto che è accaduto. La  formazione e la continuazione della comunità cristiana non fu l'ostinata determinazione da parte dei discepoli di restare fedeli agli ideali di Gesù, bensì la loro risposta nella fede all'azione di Dio di risuscitare Gesù dai morti. Fin dall'inizio la fede cristiana non fu un buon consiglio ma una buona novella;

l'evento fu inteso come atto di Dio, non come ultima impresa di Gesù. La risurrezione è l'atto di Dio per il Gesù che ha sofferto la condizione di vittima in una vera morte umana e che è entrato impotente nel regno della morte come qualsiasi altro essere umano. Alle origini cristiane la fede nella risurrezione riguardava Dio, non qualcosa di straordinario inerente a Gesù;

la risurrezione è stata un evento unico, trascendente. Fu un atto unico di Dio che incise su questo mondo, ma non localizzabile in questo mondo alla modo in cui possono esservi collocati eventi spazio-temporali. Non è quindi in se stessa un evento del tipo di quelli che possono essere studiati dagli storici. La risurrezione è un fatto di azione di Dio percepito mediante la fede. Con eventi del genere gli storici non possono avere a che fare; possono soltanto occuparsi di coloro che in simili eventi hanno creduto e degli effetti della loro fede;

fin dall'inizio l'evento fu un evento interpretato. In quanto atto di Dio potè essere percepito e recepito solo nei termini della struttura mentale di coloro che vi credettero, già formata. Anche se ai fini della trattazione si può separare l'evento dall'interpretazione, nella realtà storica i due aspetti sono strettamente intrecciati. Non è possibile che qualche seguace di Gesù prima sia arrivato a credere che l'evento era accaduto, e poi in un secondo momento l'abbia interpretato in un certo modo. L'interpretazione era intrinseca alla percezione;

quando Gesù fece la sua comparsa, la nozione di risurrezione era già presente nella fede giudaica ed era un luogo comune nella teologia dei farisei (per es Dan. 12,2; Mc. 12,18-27; Gv. 11,17-24). La fede giudaica nella risurrezione non era una teoria dell'immortalità dell'anima umana ma un modo di affermare la fedeltà di Dio quando sembra che non vi sia in questo mondo un modo coi cui Dio possa rendere giustizia al suo popolo fedele. L'affermazione che Dio ha risuscitato Gesù non era quindi semplicemente dichiarare che i discepoli aveva no ritrovato il loro idealismo o che a Gesù era accaduto qualcosa di spettacolare, ma la testimonianza dell'atto di Dio;

la risurrezione fu percepita e interpretata in vari modi (non molti), tutti inquadrabili nella cornice generale del pensiero apocalittico. Alcune correnti del l'Antico Testamento più recente e della prima fede giudaica rappresentavano la risurrezione dei morti come momento della vittoria di Dio al termine della storia, come vittoria finale di Dio sui nemici della vita e come ristabilimento nella giustizia del popolo fedele di Dio (v. sopra, 7.6). È molto importante capire che per i primi cristiani la risurrezione non era semplicemente qualcosa d spettacolare che Dio aveva compiuto per Gesù, ma rappresentava il fronte avanzato dell'evento escatologico, l'inizio della nuova era. Dio ha risuscitato Gesi dai morti come «primizia» del raccolto definitivo che sarebbe presto avvenute (1 Cor. 15,20-23). Fede nella risurrezione non è semplicemente credere che ui corpo che era morto è tornato alla vita o che la mattina di pasqua il sepolcro era vuoto;

poiché la risurrezione afferma l'azione trascendente di Dio, ogni qualvolta s dica qualcosa della risurrezione si è davanti allo stesso problema di qualsias discorso su Dio: parlare dell'ultraterreno in termini terreni, nel senso che ciò comporta l'uso di un linguaggio mitologico. Per premunirsi da malintesi è utili richiamare alcuni punti riguardo a ciò che la fede nella risurrezione non è:

la fede nella risurrezione non è la credenza nell'immortalità, la credenza che l'anima «immortale» di Gesù sia in qualche modo «sopravvissuta alla morte»;

la fede nella risurrezione non è semplicemente l'esperienza soggettiva del ricordo potente di Gesù che continua a vivere nel cuore dei suoi discepoli, oppure la convinzione che Gesù continua a chiamare le persone a impegnarsi per la sua causa. La risurrezione non è solo un'esperienza capitata ai discepoli; è accaduta a Gesù, prima e indipendentemente dall'esperienza dei discepoli, della quale fu la causa generatrice;

la fede nella risurrezione non ha nulla a che vedere con fantasmi, comunicazioni speciali, sedute spiritiche e vari fenomeni parapsicologici;

la fede nella risurrezione non ha a che fare con una rinascita o un ripristino della vita di questo mondo, sul tipo di recuperi sbalorditivi come quelli che accadono sul tavolo operatorio;

la fede nella risurrezione non è nata adattando idee miriche associate al nascere-e-morire delle antiche divinità della fertilità, anche se le immagini associate a questi miti poterono essere usate per esprimere la fede cristiana;

risuscitato da Dio fu Gesù. Il problema non fu «se ci sia una vita dopo la morte», ma la fedeltà di Dio alla vita che Gesù aveva vissuto. A essere risuscitata fu la persona di Gesù,1 non semplicemente i suoi insegnamenti o la sua causa. Gesù aveva incarnato la volontà di Dio, aveva rappresentato che cosa s'intende che sia una vita veramente umana al servizio di Dio. Le istituzioni di questo mondo, secolare e sacro, avevano respinto questa vita nel modo più vergognoso e crudele immaginabile. La risurrezione significava che Dio aveva reintegrato e confermato questa vita, questa persona, e che con questo iniziava a farsi realtà ad opera di Dio la ri-creazione dell'umanità e del mondo.

Si può affermare la risurrezione, come nei credo e nei canti, senza raccontarla o raffigurarla, cioè senza pretendere di concettualizzarla o di dire che cosa si intende per l'atto di Dio che risuscita Gesù. Quando tuttavia la si racconta, come nei racconti del mattino di pasqua che si leggono nei vangeli, le storie che isprimono la fede pasquale narrano la risurrezione con cronologie, luoghi e eruppi di personaggi differenti. 

E. Boring, 234-237

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