domenica 9 marzo 2025

Prima quaresima

 San Paolo rievoca il nostro Battesimo. Il battezzato confessa prima con il cuore e poi con la bocca di credere in Gesù. La fede, concretizzata nel battesimo, è una invocazione rivolta a Colui che ci vuole aiutare. Il cristiano ha trovato uno che lo ama totalmente e per sempre. È l’unico caso. L’amore che altri possono avere per noi non assomiglia neanche lontanamente a questo. 

Se per caso accadesse che una persona ci volesse bene totalmente e per sempre, ciò nonostante non potremmo fidarci perché non saremmo certi che ci potesse capire veramente ed aiutare. 

Se per caso ci capisse ed aiutasse, non potremmo abbandonarci al suo amore perché noi abbiamo bisogno non di essere aiutati ma salvati. 

Che cosa ci dona Gesù Cristo, l’unico che ci ama totalmente e per sempre e può salvarci? Con il Battesimo ci fa morire, ci sepellisce nella sua morte. Gesù è morto per distruggere tutti i peccati, anche i nostri. Non soltanto i peccati, ha distrutto il Peccato, cioè quel meccanismo per il quale non siamo capaci di essere innocenti. Immercersi nella sua morte, significa fare nostro, realizzare per noi il motivo per il quale Egli è morto. Egli non si limita a dire: d’ora in avanti non dovete più commettere peccati ma ci avvisa di una novità, di una possibilità: siete morti al peccato. Non soltanto questa liberazione ma vi ho dato una vita nuova che è così potente perché un giorno potrete partecipare alla mia risurrezione. Riceviamo il DNA del Risorto. Allora la nostra invocazione è questa: realizza in me e nella mia vita ciò che hai fatto per tutti. Fa che la mia vita risplenda della tua vita. Sviluppa quanto mi hai donato. Come non abbiamo fatto niente per nascere a questo mondo ma ci ha capitato questo per iniziativa di altri, così non abbiamo fatto nulla per rinascere alla vita nuova ma cio ci è stato donato dal Signore. Come cerchiamo di vivere la vita naturale che ci è stata data, così dobbiamo anche vivere quella nuova che abbiamo ricevuto da Gesù, senza nostro merito e senza alcun sforzo. 

Il pio ebreo portava al tempio una cesta con le primizie dei frutti della terra. In questo modo affermava: anch’io l’ho ricevuta in possesso, insieme agli altri. È vero allora che anch’io sono stato liberato e che sono in grado di provvedere a me stesso. Questo non accadeva una sola volta ma ogni anno, sempre. Anche noi siamo stati liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nellla luce del Signore. Noi oggi possiamo portare al Signore una cesta ricolma di frutti delle opere della luce, i frutti dello Spirito. Glieli porttiamo non per dirgli: guarda quanto sono stato bravo, e adesso devi aiutarmi ma per dirgli: guarda quanto sei stato grande! Hai salvato anche uno come! Il tempo della Quaresima è quello in cui riempiamo di frutti la nostra cesta per restituire al Signore i doni che ci ha fatto. 

Per poter fare questo, dobbiamo invocare il Signore come ho detto all’inizio:

Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore (S. Agostino)



venerdì 7 marzo 2025

Synkatabasis: l'incontro tra Dio e l'uomo

La Sacra Scrittura racconta e celebra la fedeltà di Dio per gli uomini. La chiesa antica ha coniato un termine che la rievocava in modo appropriato: synkatabasis, amore accondiscendente. 

II termine richiama un movimento di discesa e di accompagnamento.

Gregorio di Nissa vede annunciata la synkatabasis nella parabola del Buon Samaritano, poiché ritiene che il Signore Gesù sia stato il buon samaritano per antonomasia, sceso a cercare l'umanità intera: «Col termine "è disceso" si indica il Signore che e disceso per colui che scendeva da Gerusalemme a Gerico e che incappò nei briganti; e disceso insieme con l'uomo caduto in mano ai nemici, condividendone la sorte. Con questa parabola si allude alla discesa amorosa dell'Immensità immortale nella miseria della nostra natura».

Vediamo, ora, come veniva rievocata dai Padri la discesa amorosa di Dio nel mondo.

La prima "discesa" avviene con la creazione stessa. Isacco di Ninive contempla l’atto creativo ponendolo in relazione con la discesa del Cristo nel mondo, come se insieme costituissero due modi diversi della medesima accondiscendenza: «Una é la causa dell’esistenza del mondo e della venuta del Cristo nel mondo, la rivelazione della grande carità di Dio».

La Trinità Santa non ha voluto trattenere per sé la sua ricchezza ma ha voluto che altri essere godessero della sua bontà. Il Verbo, collaborando col Padre, ha agito nello stesso senso: Egli «é creatore della natura umana, non indotto alla formazione dell'uomo da qualche necessita, ma spinto alla creazione di una tale creatura dalla sovrabbondanza dell'amore. Perché la sua luce non doveva restare invisibile, né la sua gloria senza testimone, né la sua bontà senza chi ne godesse».

Da quando ha avuto inizio l'amore di Dio verso il mondo? In realtà, precisa Isacco il Siro, «anche se v'era tempo in cui la creazione non era venuta alla sua esistenza, pure non v'e un tempo in cui Dio non abbia posseduto la sua carità verso di lei, perché, anche se essa non era, pure per Dio non v'e tempo in cui la creazione non sia nella sua conoscenza».

Come ho ricordato, Dio non e stato indotto a creare spinto da qualche necessita, ma dal suo sentimento di generosità estrema. Questo non era forse stato compreso e sostenuto anche dalla filosofia? Secondo Plotino, l'Uno, il divino trascendente, e l'infinito Bene che non e avaro delle sue ricchezze né invidia chi ne può essere partecipe. La filosofia di Plotino e fondata sopra questa intuizione religiosa della infinita liberalità dello svelarsi di Dio. Gregorio di Nissa conosceva questa grande dottrina filosofica, eppure egli non dice soltanto che Dio e il Bene che irradia bontà, ma, riecheggiando la Scrittura, dichiara che Dio é amore.

«In che cosa si differenzia questa filosofia religiosa da quella cristiana? Per la consapevolezza di questa verità semplice e pro-fonda: che nel donare quel che più conta è l'animo di colui che dona, cioè a dire, che la liberalità ha un autentico pregio soltanto se si interiorizza in dedizione per amore e il Bene, dunque, amando le sue creature non si abbassa, ma celebra il suo sovrano valore. Il Bene, nel suo assoluto concetto, é soltanto il Dio-Amore, perché l'amore vale per se stesso più che ogni altro bene. Ma era una verità che doveva cambiare il volto del mondo, e forse per raggiungerla, non poteva bastare soltanto una filosofia».

Il cuore dell'annuncio della Scrittura sta proprio in questo: Dio è amore. Egli non solo benefica gli uomini ma entra in dialoga con loro: affida loro delle responsabilità, li rende partecipi di un progetto, ascolta la loro voce, attende la loro risposta.

Ho parlato della accondiscendenza di Dio nell'atto creativo ma come è avvenuta la discesa di Dio nel corso della storia? Origene insegna che Dio nutre una «passione d'amore» per noi. Da quando esiste il mondo, Dio Padre partecipa misteriosamente al dolore de-gli uomini e una tale compartecipazione sta all’origine dell'invio compassionevole del Figlio suo nel mondo. «II Salvatore e disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi e disceso e si e mostrato. Quale è questa passione che per noi ha sofferto? E la passione dell'amore. Persino il Padre, il Dio dell'universo, "pietoso e clemente e ricco di benevolenza", non soffre anche lui in certo qual modo? Non sai che quando governa le cose umane, condivide le sofferenze degli uomini? Infatti "il Signore tuo Dio ha sopportato i tuoi costumi, come il Figlio di Dio porta le nostre sofferenze. Nemmeno il Padre e impassibile. Se lo preghiamo, prova pietà e misericordia, soffre di amore e s'immedesima nei sentimenti che non potrebbe avere, data la grandezza della sua natura, e per causa nostra sopporta i dolori degli uomini».

In realtà, parlando di patimento in Dio, Origene ricorre ad un linguaggio estremo e non si preoccupa affatto di precisare la questione in termini filosofici. Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura, diventa capace di sfidare la cultura dell’epoca ed introdurre un elemento di grande novità.

In un'altra circostanza, commentando l'episodio della visione avuta da Giacobbe della scala posta tra cielo e terra, Origene n riesce ad immaginare che Dio rimanga sulla cima ad osservare differente la faticosa ascesa dell'uomo verso di lui e così afferma «Non ha detto: Ho visto il Signore che stava in piedi sul quindicesimo gradino; noi non potremmo giungere al Signore se stesse eretto, in piedi. Ma nota quanto dice: lo vide appoggiato sulla scala Nota quanto dice: dalla posizione eretta si è curvato, si è abbassato affinché noi potessimo salire. II Signore rimane curvo, si è abbassato per te: sali sicuro».

L’agape di Dio nella redenzione e nella divinizzazione

La "passione d'amore" divina si manifesta ancora maggiormente nella donazione del Figlio e nella comunicazione a noi della sua stessa vita. Origene pone a confronto creazione e redenzione vede nella seconda l'autentica meraviglia dell'accondiscendenza divina: «I cieli confessano le tue meraviglie, Signore. Quali meraviglie? Perché hai creato il cielo? O perché hai posto le fondamenta alla terra? Ma quale importanza può avere questo per Dio, per quale dire e creare tutte le cose è stato istantaneo? Questo grande per Dio, queste furono le meraviglie di Dio: che Dio si è fatto uomo, che si sia occultato nel grembo della Vergine...., che sia stato ferito dagli uomini lui che guariva le ferite degli uomini, c sia stato schiaffeggiato, crocifisso, che abbia sopportato la morte lui che soffrì tutte queste cose perché gli uomini non dovesse sopportarne la pena».

Cabasilas rimarca questa convinzione. A suo parere, ci sono di modi con cui l'amante può beneficare l'amato; il primo consiste nel procuragli tutto il bene possibile, il secondo nello scegliere di soffrire per lui. Dio Padre, amico degli uomini, aveva sempre cerca di colmarli dei suoi benefici, ma tuttavia Egli era rimasto come lontano da loro, «L'amore era oltre misura, ma mancava il segno che lo rendesse manifesto. Eppure non doveva restare nascosto quanto immensamente Dio ci amasse: quindi, per darci esperienza del suo grande amore e mostrare che ci ama di un amore senza limiti, Dio inventa il suo annientamento, lo realizza e fa in modo di divenire capace di soffrire e di patire cose terribili. Cosi, con tutto quello che sopporta, Dio convince gli uomini del suo straordinario amore per loro e li attira nuovamente a sé, essi che fuggivano il Signore buono credendo di esserne odiati».

Dio inventa il suo annientamento per poter divinizzarci. La deificazione, dono estremo dell'accondiscendenza, e basata sullo scambio e perciò sulla "discesa" del Signore fino a noi. Lo esprimo servendomi di una formulazione classica: «L'opera più perfetta dell'amore consiste nell'effettuare uno scambio relazionale fra coloro che esso unisce in modo che giungano a convenire ad entrambi le rispettive proprietà e denominazioni». L'amore, allora, costringe Dio a farsi uomo per rendere l'uomo dio. II Verbo diventa uomo perché l'uomo possa acquistare la dignità di figlio di Dio; non riceve una figliolanza qualsiasi, ma la possibilità di assimilare quel modo di essere figlio proprio del Verbo stesso, non soltanto sul piano giuridico ma su quello della realtà.

La serie di testi che ho presentato ci offre la possibilità di cogliere le caratteristiche proprie dell'agape, dell'amore che appartiene a Dio. Facendoci aiutare da A. Nygren, possiamo ricapitolarle in questo modo:l’agape e la via di Dio verso l'uomo, il suo abbassamento (o, per richiamare il testo di Cabasilas, l'invenzione del suo annientamento), perciò essa è anche sacrificio. L'agape è amore disinteressato, «non cerca il proprio vantaggio», è dono di sé. Non si rivolge a delle creature belle, attratta dal loro fascino, ma si riversa su una creazione deformata e la rende bella perché l'ama. L’agape ama e crea un valore nel suo oggetto. Di conseguenza essa è anche sovrana rispetto al suo oggetto, vale per i "buoni" come per i cattivi.


La risposta dell'uomo alla rivelazione della bellezza divina

«Nel cuore dell’uomo v'è un impulso molto nobile: ascendere direttamente a ciò che é alto e perfetto. Ma la realtà più alta e più grande, perfetta in senso assoluto è Dio; quindi il cuore umano vuole salire a Lui...».

Il desiderio dell'ascesa era gia stato espresso dalla filosofia greca. I Padri avevano avvertito il valore di questo desiderio, pur percependone nel contempo la precarietà. Apprezzano l’apertura "naturale" dell'uomo a Dio, per la quale egli e «ad immagine» di Lui, ma con questo non intendono affermare che egli sia capace con le sue sole forze di divinizzarsi o di divenire adeguato alla co-munione con Dio e degno di essa. Insegnano, piuttosto, che l'uomo e chiamato a divenire figlio di Dio e che é stato creato per la comunione con Lui. «II desiderio, che si sprigiona da questo "fondo" dell'anima é un desiderio "per privazione" e non per "inizio di possesso"». Come attesta Cabasilas: «Dio ha infuso nelle anime il desiderio di possedere il bene di cui manchiamo, e di conoscere la verità di cui siamo privi».


La rivelazione della bellezza di Dio, anziché situarsi come il risultato dello sforzo della meditazione, é stata concessa in dono e viene contemplata nell'umanità di Gesù, il Verbo incarnato: «Nelle anime umane e deposta evidentemente una grande e mirabile disposizione all’amore e alla gioia, la quale diviene pienamente ope-rante alla presenza di colui che e il vero amabile e diletto. È questa quella gioia piena di cui parla il Salvatore». Il desiderio umano di verità e di bene era rimasto in gran parte inappagato perché da nessuna parte l'uomo aveva trovato una verità e un bene sufficientemente puri. Solo in Cristo si trova una bellezza assoluta e quindi soltanto in questo incontro l'amore si risveglia in tutta la sua forza, «perciò, prima, non era noto quanto fosse grande la nostra potenza di amare e di godere, perché non erano presenti le realtà che bisognava amare e di cui si poteva godere, né era conosciuto il vincolo del desiderio e l'ardore del fuoco».

L'incontro con la bellezza divina

Quando avviene l'incontro con la Bellezza assoluta, il Cristo? I contemporanei di Gesù potevano vederlo, ascoltarlo, dialogare con Lui. Come e possibile oggi trovarsi alla sua presenza? In realtà, ora, da Risorto e più vicino a noi di quanto lo fosse e potesse esserlo da uomo terreno. «II Signore ha promesso ai suoi santi non solo di essere, ma anche di restare accanto a loro e, cosa ancora più grande, di fare dimora in loro... Addirittura sta scritto che il Signore amico degli uomini si unisce ai suoi santi con tale amore da formare un solo spirito con loro».


Dove possiamo esperimentare la sua vicinanza? L'incontro determinante con Cristo avviene nell'evento mirabile dell'iniziazione cristiana, quando il fedele viene battezzato, cresimato e ammesso al banchetto eucaristico.


II battesimo permette una vera esperienza di Dio. E necessario parlare, appunto di esperienza e non solo di conoscenza. Su questo argomento, seguo alcuni temi dell'insegnamento del grande Cabasilas. Una esperienza offre un apprendimento migliore di quello comunicato da un insegnamento perché «conoscere per esperienza, vuol dire raggiungere la cosa stessa». Nel battesimo avviene questo evento o esperienza: il Cristo presente ineffabilmente trasforma e plasma le anime degli uomini incidendo in loro se stesso; lo Spirito santo irrompe nei cuori e li rende nuovi. Cabasilas insiste: nel battesimo viene attinta una conoscenza di Dio che non consiste in ragionamenti, ma per esso «ci e dato di trovare qualcosa di più grande e di più vicino alla realtà». Che cosa accade in una parola? In esso riceviamo «una percezione immediata di Dio, prodotta dal tocco invisibile del suo raggio sull'anima».

In altre parole, possiamo paragonare il battesimo alla guarigione del cieco nato compiuta da Gesù. Il battezzato, al tocco invisibile del Signore, lo vede e così la creatura conosce il Creatore, la mente la verità, il desiderio anela al solo desiderabile.

È possibile avere un segno di riscontro della verità dell'evento? «È frutto di questa percezione la gioia ineffabile e l'amore soprannaturale, dai quali dipendono la grandezza delle opere buone, la manifestazione di imprese mirabili e la capacita di passare da vincitori [sul male]».


Ricapitolando, il credente incontra e "vede" la Bellezza del Verbo di Dio nell'evento dell'iniziazione. Questa bellezza risveglia e potenzia l’erosdell'uomo — ossia il desiderio di ascesa, il bisogno di Dio che lo inquietava da sempre, per lo più inconsapevolmente — e gli imprime una direzione precisa. L'iniziazione, pero, non e solo la presentazione agli occhi del credente della bellezza del Cristo affinché lo attragga. In essa troviamo molto di più: il Signore assume e trasforma il nostro amore nel suo. L'erosumano acquista il valore dell’agape, dell’amore proprio di Dio perché viene coinvolto nello sgorgare dell'agape infusa dall'alto nel nostro intimo. Noi diventiamo quella risposta all'amore del Padre che e stato Gesù stesso.

Il senso teologico della preghiera (Vita monastica 1974)

 I.

CHE COSA FA LA CHIESA QUANDO PREGA ?

A una tale domanda, si possono dare — credo — le tre seguenti risposte :

1. — Essa esprime la sua identità più profonda.

La Chiesa, quando prega, si manifesta proprio in quanto Chiesa. Essa si riunisce. E nota 1'affermazione della Costituzione conciliare sulla Liturgia ; affermazione, a mio avviso, tra le piu importanti del Concilio Vaticano II: «... tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno alvescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della Chiesa (praecipua manifestatio Ecclesiae) consiste nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, in una sola preghiera (in una oratione), presso il medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri»(2). La manifestazione per eccellenza della Chiesa si verifica quando questa si riunisce per la preghiera comune. È allora che essa realizza se stessa al più alto grado; diviene allora « visibilmente » ciò che è « misteriosamente » : popolo di Dio riunito davanti a Lui; essa trova allora anche la sua struttura fondamentale : popolo riunito, diaconi che riuniscono le preghiere di tutti, e prostamenos che le presenta a Dio Padre, in nome di Gesù Cristo, nella comunione dello Spirito Santo.

Si ricorda che Ignazio d'Antiochia scriveva ai Magnesii: « II Signore, che era tutt’uno con il Padre, non fece nulla senza di Lui (cfr. Gv 5, 18 ; 12, 50), né agendo da solo, né (agendo) per mezzo dei suoi Apostoli; e cosi anche voi nulla dovete fare senza il vescovo e senza i presbiteri. Ed è inutile che cerchiate di far apparire buono ciò che fate voi, privatamente; siate una cosa sola : un'unica speranza nell'amore, un'unica gioia purissima : questo è Gesù Cristo e nulla e meglio di Lui! Accorrete dunque tutti a quell'unico tempio di Dio, intorno a quell'unico altare che è Gesù Cristo : Egli è uno, e procedendo dall'unico Padre, e rimasto a Lui unito, e a Lui è ritornato nell'unità»(3).

Benché, tuttavia, quest’assemblea della Chiesa non possa non essere assemblea locale, essa ha di fatto dimensioni molto più estese, nello spazio e nel tempo : per e attraverso la sua preghiera comune diviene la Chiesa di Dio, tale quale è a X ; e questa localizzazione dev'esser presa sul serio, perché essa è una delle condizioni della sua ecclesialità. Ma l'assemblea della Chiesa diviene ancor di più : il sacramento, cioé, — con e accanto alle altre Chiese locali — della santa Chiesa stessa di Dio, diffusa nel mondo e nei secoli, che si unisce alla compagnia degli angeli per celebrare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Sicché, quando si parla di preghiera comune, bisogna dire che essa è necessariamente comune alla Chiesa in tutta la sua cattolicità : quando 1'assemblea della Chiesa prega, prega, di fatto, con la Chiesa intera. Essa è, nei limiti inevitabili del «qui» e dell' «ora », epifania del popolo di Dio. Ma se la Chiesa acquista nella preghiera comune la sua identità più profonda in quanto popolo, anche ciascuno dei suoi membri trova in essa che cosa egli è nel più profondo di se stesso : innestato sul Figlio unico, egli è divenuto capace, attraverso lo Spirito, di dire a Dio : «Padre » (4). Egli ha raggiunto il suo vero destino ; ha risposto alla sua vocazione : quella di mettersi alla presenza del Signore, per celebrare, coi fratelli, la gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito, e per divenire, attraverso e in questa celebrazione, theias koinonòs physeos (2 Pt. 1, 4) : partecipe della divina natura.

2. — Essa ubbidisce al comando del Signore.

Quando la Chiesa prega, ubbidisce. È la seconda risposta che bisogna dare alla nostra domanda. Certo, la Chiesa tende verso il suo Signore come una giovane verso il suo fidanzato ; ma ciò che motiva la sua pre-ghiera non e necessariamente la necessità o la voglia di pregare : in tempi di aridità spirituale, infatti, può non averne affatto voglia (5).

Essa si riunisce per pregare perchè ha ricevuto il comando di farlo. Il culto religioso non è anzitutto risultato di un bisogno religioso (per questo, la sua forma non è quella di riuscire ben gradito) : è innanzitutto ubbidienza ad un ordine : «... fate questo in memoria di me . . . », «... quando pregate, dite . . . », « pregate sempre . . . ». Ma perchè questo comando ? Credo si debba avere il coraggio di rispondere: perchè la preghiera, a causa dell'esaudimento di Dio, fa avanzare la storia della salvezza del mondo. Ogni autentica preghiera cristiana è portatrice, realizzatrice di storia, essa provoca l'avvicinamento della fine del mondo (e anche qui ve-diamo che non è possibile fare una netta distinzione teologica tra preghiera comune e preghiera privata, preghiera tradizionale e preghiera improvvisata). L'esaudimento della preghiera — sarà necessario ritornarvi sopra — mostra, come osserva K. Barth, che vi e « un influsso della preghiera sull'azione, sull'esistenza di Dio » (6).

In altre parole, quando la Chiesa si riunisce per la preghiera, diviene realizzatrice del disegno di Dio per il mondo ; «essa è allora — come dice J. Ellul — generazione di un futuro . . . , è (lì) . . . per assicurare la possibilità di una storia»(7) : la storia della salvezza. Si rivela qui, di fatto, il carattere politico della preghiera cristiana : essa fa maturare la storia, anche se in modo modesto, nascosto, non demagogico . . . « L'atto di pregare — diceva recentemente 1'arcivescovo Antonio Bloom - è un atto di ribellione contro la schiavitù, più essenziale più efficace della lotta armata»(8)


3 — Essa si presenta a Dio nel nome del mondo.

La Chiesa, quando prega, esprime l’identità più vera i se stessa, e 1'identità più naturale dei suoi membri. Essa ubbidisce a un comando del Signore e in tal modo contribuisce a far venire il Regno (9). In terzo luogo, bisogna dire che la Chiesa, quando prega, si sostituisce al mondo, che non sa più o non sa ancora, pregare. Essa si esercita nell'offrirsi sacrificio regale. II famoso «sacerdozio universale », infatti, e molto più 1'ufficio attraverso il quale la Chiesa intera, in Gesù Cristo, si presenta Dio in nome e al posto del mondo, che il diritto, per ogni uomo, di presentarsi immediatamente a Dio. L'ufficio, cioè, al riparo del quale il mondo può sussistere sotto la pazienza di Dio . . . Primizia delle creature, dice, parlando della Chiesa, la lettera di Giacomo (cf. 1, 18) : ciò in cui il mondo intero può comparire e sussistere dinanzi Dio.  È ciò che pone la Chiesa in preghiera, cosi vicino la Croce di Cristo.

Qui, fin dall'inizio noi troviamo, nella giusta prospettiva, la portata politica della preghiera comune : recitata in nome del mondo, questo sopravvive malgrado ciò che 1'attira verso la morte, e un tal fatto gli permette esser raggiunto ancora dall'Evangelo. Ci si sente colpiti, leggendo il Nuovo Testamento, nel notare che si manifesta in esso cosi poco sentimento di responsabilità politica diretta, II suo tenore, a proposito di questo fatto, e molto diverso da quel che si sente dire ascoltando la teologia contemporanea. Non credo ciò dipenda da una certa indifferenza per i poveri e gli sfruttati, e neppure dal fatto che l' ansia escatologica e 1'attesa dell' imminente parusia distogliesse la Chiesa nascente da un impegno politico concreto ; credo piuttosto sia dovuto al fatto che la Chiesa situava il principale esercizio della sua responsabilità politica nella preghiera : nel suo dovere, cioè, di porsi dinanzi a Dio in nome del mondo, perchè il mondo, protetto dalla di lei preghiera, potesse durare ancora e l'Evangelo vi fosse proclamato come 1'unica possibilità di salvezza. La Chiesa, quando prega, e come 1'apostolo Paolo che spezza il pane sul mare in tempesta e garantisce, mediante la sua presenza, la sopravvivenza di tutti i passeggeri. Sarebbe tanto desiderabile che la Chiesa riprendesse oggi coscienza che e proprio mediante la preghiera ch'essa si rende veramente utile al mondo! sarebbe tanto desiderabile che essa fosse fedele a questa sua vocazione!



II. CHE COSA DICE LA CHIESA QUANDO PREGA ?

Cominciamo con 1'osservare che non ogni preghiera e buona per esser recitata, in Chiesa. Bisogna pregare « secondo la volontà di Dio » (cf. 1 Gv 5, 14), o pregare «in nome di Gesù Cristo ». K. Barth chiama la preghiera cristiana «1'atto che consiste nel dare la nostra adesione all'opera di Dio»(10). Egli rileva, dunque, dal senso teologico della preghiera comune, che questa e regolata da ciò che noi sappiamo della volontà di Dio rivelata in Gesù Cristo. Questa volontà, vaglia — se cosi posso dire — tutto ciò che ci potrebbe venire in mente di dire a Dio. E’ ciò che fa anche in modo che la preghiera comune non possa non tener conto della tradizione liturgica della Chiesa: non necessariamente per ripetere preghiere di un tempo — come si ripeterebbero delle formule che essendo gia state esaudite garantirebbero di esser esaudite di nuovo — ma per pregare come un tempo, secondo gli stessi grandi schemi. Ora mi sembra possibile affermare che pregare « secondo la volontà di Dio » implichi essenzialmente tre cose : 1° - la celebrazione di Dio, che intende ed esaudisce; 2° - la domanda perchè venga il suo Regno ; 3° - 1'intercessione perchè la sua volontà di salvezza si diffonda, si realizzi, si consolidi. Tutte le altre preghiere non sono, per essere cristiane, che delle ramificazioni di questa triplice preghiera fondamentale. Vediamo la cosa un pò più da vicino.

1. — Essa celebra le grandi opere di Dio.

La preghiera comune e innanzitutto celebrazione delle grandi opere di Dio. « Santo è il suo nome : di generazione in generazione la sua misericordia stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore ; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ». (Lc 1, 50 ss).

«Benedetto il Signore Dio d'Israele, perchè ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una

salvezza potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo : salvezza dai nostri nemici e dalle mani di quanti ci odiano. Cosi Egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si e ricordato della sua santa alleanza, del giura-mento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dai nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni» (Lc 1, 68 ss).

« Signore, tu sei Colui che hai fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi, tu, mediante lo Spirito Santo, per bocca del padre nostro e tuo servo David, hai detto : 'Perchè fremettero le genti, e i popoli hanno meditate cose vane? I re della terra si presentarono, e i principi si sono radunati insieme contro il Signore e contro il suo Cristo. E veramente, in questa città si sono radunati Erode e Ponzio Pilato, insieme coi Gentili e con tutto il popolo d'Israele, contro il santo tuo Figliolo Gesù, che tu hai consacrato! Essi han fatto quel che la tua mano e il tuo consiglio decreto si facesse» (At 4, 24 ss).

A queste tre preghiere si dovrebbe aggiungere anche la citazione delle innumerevoli formule dossologiche contenute nelle lettere di Paolo, nell'Apocalisse, ed in altri testi. Si dovrebbero aggiungere ancora le formule di confessione di fede mediante le quali la Chiesa riunita si pone di fronte a Dio per celebrarlo, per enumerare tutto quello che Egli ha fatto in Gesù Cristo, dando in Lui, al mondo, un riferimento e una speranza. E questa celebrazione di Dio — primo contenuto della preghiera comune — si basa su una convinzione talmente salda che in Gesu di Nazareth Dio ha fatto biforcare la sorte del mondo intero che, come ad esempio nel magnificat o nel Cantico di Zaccaria, ciò che e ancora tutt’al più solo iniziato — la sconfitta degli orgogliosi, cioè, e il rovesciamento della situazione degli umili e degli affamati — è cantato come irreversibilmente stabilito e realizzato. Proprio come nell'espressione detta da Cristo sulla Croce : « Tutto e compiuto » (Gv 19, 30).

Nella sua preghiera, dunque, la Chiesa comincia col celebrare Dio, la sua misericordia, la sua storia, la sua vittoria. Si pensi al catechismo di Heidelberg, che tanto insiste sul fatto che la preghiera « e la principale parte della riconoscenza che Dio reclama da noi»(ll).

2. — Essa esprime la sua attesa del rinnovamento di tutte le realtà, in Gesù Cristo.

Ciò che la Chiesa esprime, in secondo luogo, nella preghiera comune, e il suo ardente desiderio di vedere incontestabilmente realizzato il rinnovamento di tutte le cose ottenuto dalla morte e resurrezione di Gesù Cristo. «Venga la (tua) grazia e passi questo mondo ! » (12). È la preghiera medesima che chiude lo stesso Nuovo Testamento : «Lo Spirito e la Sposa dicono : Vieni! Vieni, Signore Gesu ! » (Ap 22, 17.20) (13).

Ed e in questa prospettiva — credo — che bisogna interpretare anche 1'insieme dell'orazione domenicale. Essa e la preghiera di coloro per i quali niente conta altrettanto quanto la conferma pubblica, universale, della loro confessione di fede : la dimostrazione che la resurrezione di Gesù nel mattino di Pasqua non può non portare come conseguenza il rinnovamento dell'intera creazione, attraverso lo stabilirsi del Regno di Dio e il godimento dei beni escatologici. Per questo — mi sembra — anche il tenore delle ultime richieste dell'orazione domenicale implora la parusia : il pane epiousios, « soprasostanziale », la cancellazione di tutto ciò che porrebbe 1'uomo in conflitto con Dio, la capacita di resistere al maligno nel giorno dell'ultimo giudizio. E il semeron della quarta richiesta mi sembra allora voglia dire che, nell'ansiosa attesa della parusia, fin d'oggi noi possiamo vivere della vittoria del Cristo e della venuta dello Spirito Santo, come attesta la variante della versione lucana della preghiera del Si-gnore : «venga su di noi il tuo Santo Spirito e ci purifichi» (Lc 11,2).

3. — Essa attesta l'evangelizzazione del mondo,

II terzo elemento veramente importante della preghiera comune, e che non ostante gli ostacoli posti dal1'avversario, il disegno di Dio avanza nel mondo ; coloro, perciò, che sono incaricati di essere i portatori dell'Evangelo del Signore, lo siano senza affievolirsi. Si potrebbe anche dire che il terzo elemento veramente importante della preghiera comune, e 1'evangelizzazione del mondo. « E adesso, Signore, tieni presenti» le minacce di Erode, di Pilato, delle nazioni, del popolo d'Israele «e concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola con tutta fran-chezza, mentre tu stendi la mano a risanare e a operar segni e prodigi per mezzo del nome del santo tuo Figlio Gesù», dicono i fedeli di Gerusalemme al ritorno di Pietro e Giovanni dopo che avevano essi dovuto comparire dinanzi al Sinedrio (At 4, 29 ss). Sono stato colpito nel notare la regolarità di questo tipo di preghiera nei testi neotestamentari: la richiesta che 1'Evangelo si radichi, si fortifichi la dove e gia piantato, che arrivi a nuovi luoghi d'impiantazione. Non è possibile farne 1'enumerazione completa ; pochi esempi saranno sufficienti.

Si potrebbero anzitutto rilevare i rendimenti di grazie con cui Paolo inizia le sue lettere, e che sono dominati dalla preoccupazione dell'avanzamento dell'Evangelo nel mondo. «Ringraziamo Iddio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ogni volta che preghiamo per voi, sentendo la fede che avete in Cristo Gesu e 1'amore che portate a tutti i santi, per via della speranza che e riposta per voi nei cieli; speranza che avete gia da tempo concepito nella parola di verità del Vangelo pervenuto a voi, come in tutto il mondo sta producendo i suoi frutti e facendo progressi quali fa tra voi, dal di che 1'avete udito, e avete conosciuto la grazia di Dio nella sua verità . . . Perciò anche noi. . . non cessiamo dal pregare per voi e dal chiedere che siate ben compenetrati della conoscenza di quel che e la sua volontà in tutto il campo della sapienza e intelligenza spirituale, si da procedere in modo degno del Signore, con pieno suo gradimento, in ogni opera buona, fruttificando e progredendo nella cognizione di Dio, in ogni virtù fortificati secondo la sua gloriosa potenza a sopportare ogni cosa con pazienza e longanimità, con gioia ringraziando Dio Padre dell'avervi resi atti ad aver parte nell'eredita dei santi nella luce ; quel Dio, che ci ha sottratti all'impero delle tenebre, e ci ha trasportati nel regno del Figlio dell'amor suo, in cui abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati » (Cl 1, 3-14). O ancora : « Io ringrazio il mio Dio ad ogni ricordo di voi, sempre, in ogni orazione mia, pregando con gioia per tutti voi, a motivo della vostra partecipazione al Vangelo, dal primo giorno fino ad ora, persuaso di questo appunto che chi ha cominciato in voi 1'opera buona, la compirà fino al giorno di Gesu Cristo. Ed e giusto per me il pensar questo di tutti voi, perchè vi ho nel cuore, come quelli che, e nelle mie catene, e nella difesa e nella confermazione del Vangelo, siete tutti compagni a me nella grazia. Poiché Dio mi e testimone che io voglio bene a tutti voi nelle viscere di Gesù Cristo ; e questa e la mia preghiera che la vostra carità cresca sempre più e più, in cognizione e in ogni finezza di senso, si da riconoscere voi le cose migliori, affinché siate schietti e irreprensibili fino al giorno di Cristo, ripieni del frutto della giustizia per via di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio » (Fl 1, 3-11).

Questi esempi potrebbero esser moltiplicati. Ad essi bisogna aggiungere, nello stesso senso, 1'esortazione rivolta ai Tessalonicesi o ai Colossesi, di pregare per lui « perchè la parola del Signore abbia corso e sia glorificata ovunque . . . e affinché noi siamo liberati dagli uomini protervi e malvagi, poiché non e di tutti la fede » (2 Tss 3, 1 ss); o di pregare sempre per lui «affinché Iddio gli apra la porta della parola, e gli sia dato annunziare il mistero di Cristo, per il quale anche ora e in catene, affinché lo manifesti come conviene che ne parli» (cfr. Cl 4, 3 ss). Si ritrova qui come un'eco della preghiera sacerdotale di Gesù che chiede a Dio non di togliere dal mondo coloro a cui Egli da 1'incarico di rappresentarlo in esso, ma di preservarli dal male, santificarli attraverso la verità e unirli incrollabilmente « affinché il mondo riconosca che tu mi hai mandato e che li hai amati, come hai amato me » (Gv 17, 9 ss).

Questa stessa preoccupazione dell'avanzamento del1'Evangelo e del consolidamento della fede di coloro che hanno creduto, si ritrova ancora, di frequente, nelle benedizioni dossologiche riportate dal nuovo Testamento:

«A Colui che può consolidarvi secondo il mio Vangelo e la predicazione di Gesù Cristo, conforme alla rivelazione di un mistero per lunghi secoli taciuto, (ma ora rivelato, per mezzo delle Scritture profetiche, giusta 1'ordine dell'eterno Dio e conosciuto fra tutte le genti per trarle all'obbedienza della fede), a Dio unico Sapiente, per via di Gesù Cristo, sia gloria per i secoli dei secoli. Amen ! » (Rm 16, 25 ss: cf. Giud. 24 ss).

Riassumendo : se, mediante la preghiera comune, la Chiesa esprime la sua più profonda identità, fa avanzare la storia della salvezza, tiene il suo ruolo di popolo sacerdotale, mediatore tra Dio e il mondo, tra il mondo e Dio, quello che essa celebra in questa preghiera e innanzitutto Dio e la storia che Egli concretizza per salvare il mondo; e poi 1' implorazione perchè venga la parusia e con essa sia (definitivamente) stabilito il Regno di Dio; e infine la richiesta che essa, la Chiesa, e coloro che ne sono i responsabili, possano fedelmente assolvere il com-pito che solo loro sono capaci di assolvere, e che e indispensabile al mondo e alla sua salvezza : far in modo, cioè, che nell'attesa della parusia, 1'Evangelo si diffonda, s'impianti, si consolidi e porti il suo frutto. Non credo esagerato dire che tutte le altre preghiere non sono cri-stiane che nella misura in cui scaturiscono da queste tre preghiere fondamentali e preparano ad esse.




III.

A CHE COSA, LA PREGHIERA COMUNE, IMPEGNA LA CHIESA, CHE LA RIVOLGE A DIO?

Mi domando spesso se l'attuale crisi della preghiera e della vita di preghiera non sia dovuta in gran parte ad un riflesso d'onesta : in coloro, evidentemente, che non dubitano (dell’esistenza) di un Dio, vivente e personale. Si prega male, si prega poco, perchè s'insiste sulla serietà della preghiera, s'insiste nel dire che la preghiera impegna. Si tende allora a rifugiarsi nella preghiera della Chiesa. Ma anche questa impegna, impegna altrettanto. A che cosa pero ?

1. — Volere ciò che si chiede a Dio.

La preghiera impegna la Chiesa a volere essa stessa ciò che domanda a Dio. Se la preghiera — per riprendere la citazione di K. Barth riportata poco fa — è «l'atto che consiste nel dare la nostra adesione all'opera di Dio » (14), questa adesione impegna. La Chiesa stessa diventa responsabile di ciò che domanda. Si, liberamente responsabile : senza alcun timore, cioè, per tutto ciò che si dovrà fare. A questo proposito, 1'assenza di frenesia che caratterizza la politica missionaria di Paolo : di lui, che, pure — se 1' esegesi di 2 Tm 2 proposta da O. Cullmann è corretta (15) — era incaricato in modo più particolare degli altri del compimento del terzo momento del contenuto della preghiera, e che sapeva di essere un elemento chiave dell'avanzamento della storia della salvezza, e esemplare.

Se Paolo fosse stato veramente convinto della parusia, avrebbe egli organizzato si saggiamente la sua strategia missionaria, da impiantare 1'Evangelo soltanto nelle città, per poi arrivare a poco a poco, alle campagne ? Avrebbe egli pazientemente atteso tre anni nelle prigioni di Cesarea, prima di appellare a Cesare ? La preghiera impegna la Chiesa a mettersi innanzitutto al servizio dell'esaudimento di ciò che essa domanda a Dio. Essa stessa diviene allora collaboratrice di Dio nell'avanzamento del piano di salvezza, qualunque sia 1'esegesi di Theou sunergoi che si adotta per spiegare il testo di 1 Cr 3, 9 (16).

E di tutta la vita della Chiesa che bisognerebbe qui parlare, perchè essa non e altro che un volontariato per e nell'opera della salvezza che Dio persegue nel mondo.

Riguardo a ciò che abbiamo rilevato parlando del contenuto della preghiera cristiana, impegnarsi nel servizio dell'esaudimento di quel che si domanda a Dio, significa — ricondotto all'essenziale — : sapere che quel che conta veramente, nel mondo, e la venuta, 1'insegnamento, la passione, la vittoria e la glorificazione di Gesù Cristo e 1'agire m conseguenza (di queste stesse realtà) ;

esser tesi verso la manifestazione di ciò che e avvenuto nel momento dell'incarnazione e sottomettere alla speranza di questa manifestazione 1'insieme della propria vita, dare all'impiantazione e alla crescita dell'Evangelo la preferenza su ogni altra attività ; compiere ciò che è specificamente cristiano, ciò che nessuna cosa e nessun altro che la Chiesa può compiere qui in terra.

2. — Pregare in modo unanime.

Parlando della preghiera comune, il Nuovo Testamento utilizza frequentemente due espressioni che fanno riflettere: la comunità cristiana, per la sua preghiera si riunisce epi to auto, «in uno stesso luogo » (17), e questa preghiera e pronunziata «in maniera unanime », «in comune», homothymadon (18). La Chiesa, che la preghiera costituisce in assemblea di Dio, e una Chiesa una. Come non si va a presentare a Dio la propria offerta in stato di inimicizia col fratello, ma si va prima a riconciliarsi con lui (cfr. Mt 5, 23 ss), cosi la Chiesa non deve presentarsi a Dio divisa. La sua divisione sarebbe infatti una smentita — per cosi dire — di ciò che essa e, un sabotaggio della propria preghiera (cfr. Mt 18, 19). E’ qui anche il senso del bacio di pace che precede il momento più importante della preghiera comune : 1'Eucaristia (19).

Se la preghiera comune impegna a mettersi al servizio di ciò che si domanda a Dio e ad accettare di divenire noi stessi operatori di esaudimento, bisogna ora dire, in secondo luogo, che la preghiera comune impegna la Chiesa — che la rivolge a Dio — a far questo in modo unanime, nell'unita ; che 1'impegna, di conseguenza, ad una particolare cura per impedire le divisioni e, se queste si sono prodotte, a guarirle.

Commentando 1'interpretazione data dai grandi catechismi della Riforma — quello di Calvino, il cate-chismo di Heidelberg e i due catechismi di Lutero — K. Barth osserva : «essendo i Riformatori unanimi in ciò che concerne la preghiera, sono essi d'accordo sul fondo delle cose. E se si può pregare insieme, si dovrebbe anche poter comunicarsi insieme; giacche le differenze dottrinali non possono essere allora che differenze secondarie»(20).

Noi non siamo qui per abbordare, ancor meno per trattare le relazioni tra preghiera comune e ricerca ecumenica, ma sarebbe cosa estremamente importante il porci almeno le domande: sono le nostre divisioni talmente profonde, da impedirci di pregare insieme, perché convinti di non rivolgerci allo stesso Dio, attra-verso lo stesso Cristo e nello stesso Spirito ? E se esse non sono tali, se esse non c'impediscono di pregare insieme, che cosa attendiamo per misurarne non la profondità ma la piccolezza e per svelarla ed eliminarla, onde la Chiesa locale possa riunirsi epi to auto, per rivolgersi a Dio homoihymadon ?

3. — Una preghiera già esaudita.

Un ultimo punto in questo breve esame da noi fatto, per conoscere a che cosa la preghiera impegna. Esso ci ha condotto all'esaudimento della preghiera. « Questa è la fiducia che noi abbiamo in Lui — dice la prima lettera di Giovanni — che qualunque cosa chiederemo secondo la sua volontà, Egli ci esaudisce. E sappiamo che ci esaudisce, qualunque cosa gli chiediamo ; lo sappiamo perchè abbiamo 1'effetto delle richieste a Lui fatte» (5, 14-15). Ciò significa — credo — che la preghiera cristiana e una preghiera gia esaudita in Gesù Cristo, una preghiera di cui noi domandiamo a Dio di confermare 1'esaudimento. « Perciò vi dico — afferma Gesù — tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle e le otterrete » (Mc 11, 24). La preghiera comune dei cristiani si appoggia, in qualche modo, a ciò che Dio ha compiuto in Gesù Cristo e che e «infinitamente al di la di quel che noi domandiamo, o pensiamo » (Ef 3, 20); ed è in questa situazione ch'essa è pronunziata. Noi non possiamo domandare di più di quello che Dio ci ha donato, possiamo nondimeno domandare 1'apocalisse, lo svelamento, la manifestazione incontestabile di tutto questo. Ciò che mi sembra significare, in modo assai concreto, tre cose :

1° - la pazienza nell'attesa dell'esaudimento, o piuttosto dell'esaudimento manifesto. Può sembrare talvolta— o anche spesso — che Dio risponda al contrario di ciò che gli domandiamo anche con fede; come indica la preghiera stessa, non esaudita, di Gesù nel Getsemani

— prima che Egli si piegasse alla volontà di Dio (Mc 14, 36) — o come Paolo apprende dopo aver chiesto per tre volte (anche lui 1 Cfr. Mc 14, 36.39.41) di esser oberato da quel misterioso stimolo della carne (cf. 2 Cr 12, 7). Apprende cioè che gli è sufficiente la grazia di Dio, poiché la forza di Dio si compie nella debolezza. Si, può sembrare che Dio risponda al contrario, come appresero anche quelle persone — di cui il mondo era indegno — che furono lapidate, segate, perirono di spada, andarono raminghe, furono denudate, oppresse, maltrattate perchè non dovevano giungere alla perfezione senza di noi (cf. Ebr 11, 37).

L'esaudimento segreto preliminare, e garante dell'esaudimento ultimo manifesto. La preghiera comune o privata impegna dunque alla fiducia nella virtù, nella validità, e sufficienza dell'esaudimento preliminare di ogni preghiera cristiana, impegna alla fede in Gesù Cristo, incarnato, crocifisso, risuscitato e glorificato.

In secondo luogo, se la preghiera impegna alla pazienza, nell'attesa dell'esaudimento finale della preghiera gia fin d'ora esaudita, essa non impegna di meno a ricercare tutti quei segni in cui 1'esaudimento preliminare e finale trovano la propria attestazione, ed a gioirne. E specie a ricercare ed a gioire di quel momento più importante, in cui si attesta, per eco ed anticipazione, l'esaudimento della preghiera : l'Eucaristia della domenica.

Infine, se l'esaudimento che attendiamo, è la manifestazione e la conferma di ciò che è passato nella vita, morte e resurrezione di Gesù di Nazareth, se esso è 1'esaurimento dell'esaudimento, allora noi sappiamo che cosa domandare per pregare secondo Dio: è infatti l'orazione domenicale quella preghiera totalmente differente dalla preghiera spontanea, che sale dal cuore dell'uomo (21) e provoca e segna l'avanzamento della storia della salvezza.


Jean-Jacques von Allmen  da Vita monastica 118-119 (1974) 137-155   Camaldoli 1974

mercoledì 5 marzo 2025

Eucaristia

 Nella vita di Gesù 

Nella lettera agli Ebrei il sacerdozio viene definito come mediazione e il sacerdote viene chiamato mediatore dell'alleanza nuova (Eb 9,15). L'Autore cita l'oracolo dell'alleanza nuova (Ger 31,31-34). È la più lunga citazione dell'Antico Testamento nel Nuovo e proclama poi che questo oracolo è stato adempiuto in Cristo. Quando il profeta Geremia annunziava la Nuova Alleanza, ne faceva una descrizione bellissima: la legge di Dio scritta nei cuori nonpiù sulla pietra; una relazione reciproca tra Dio e ciascun membro delpopolo di Dio dal più piccolo al più grande; il perdono religioso dei peccati. Geremia però non descriveva il fondamento della Nuova Alleanza. 

Ora, perché si stabilisca un'alleanza nuova, occorre che ci siaun nuovo fondamento. I Vangeli colmano la mancanza di Geremia mostrando che Gesù si è rivelato sacerdote della Nuova Alleanza quando nell'ultima cena prese il calice e disse: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue che viene versato per voi" (Lc 22, 20). San Paolo nella prima lettera ai Corinzi riferisce una formula simile; in Matteo e Marco non c'è l'espressione Nuova Alleanza, ma soltanto: Questo è il mio sangue dell'alleanza, però è chiaro che si tratta di un'alleanza nuova perché l'antica non era stabilita nel sangue di una persona che dava se stessa. L'atto fondamentale della liturgia della Nuova Alleanza consiste nel rendere di nuovo presente questo evento per mezzo della celebrazione eucaristica affinché il popolo cristiano possa entrare sempre meglio nel dinamismo di comunione della Nuova Alleanza. 

Eucaristia anticipazione della morte di Gesù

Colpisce il fatto che tutti i racconti dell'ultima cena mettano l'Eucaristia in rapporto con la passione di Gesù, più precisamente con il tradimento di Giuda. Paolo dichiara che Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e poi lo diede; il tradimento era in corso, quando Gesù istituì l'Eucaristia. Marco e Matteo ricordano che Gesù, prima di istituire l'Eucaristia, si è mostrato consapevole del tradimento: "In verità vi dico: uno di voi, che mangia con me, mi tradirà". Luca vi accenna ugualmente e anche Giovanni. Quindi la catena degli avvenimenti che porteranno Gesù alla condanna e alla morte infausta sulla croce aveva già cominciato a mettersi in moto. Il Signore ne è consapevole. Egli sa che il suo ministero di dedizione generosissima a Dio e ai fratelli sta per essere brutalmente interrotto da un tradimento, la colpa più odiosa e più contraria al dinamismo di alleanza. Egli può ancora agire liberamente. Come approfitta di questi ultimi momenti? Qual è la sua reazione davanti a una situazione così ingiusta? Vediamo la reazione del profeta Geremia. Avvisato dal Signore di un complotto tramato contro di lui, Geremia esclama: "Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice, che scruti il cuore e la mente, possa io vederela tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa" (Ger 11,20. 21). Questo atteggiamento di Geremia costituisce già un certo progresso riguardo alla reazione umana istintiva, che sarebbe quella di prendere in mano la propria vendetta. Affidare a Dio la vendetta è già una vittoria. Gesù però riporta una vittoria molto più radicale e positiva, supera il suo sconforto e invece di rinunciare, come Geremia, al suo atteggiamento generoso, lo spinge fino all'estremo. "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine", dice il Quarto Vangelo, Gesù anticipa la propria morte, la rende presente nel pane spezzato che diventa il suo corpo, nel vino che diventa il suo sangue versato e trasforma la propria morte in sacrificio di alleanza per il bene di tutti. Non è possibile immaginare una generosità più grande di questa, né una trasformazione più radicale dell'evento stesso. 

La morte diventa strumento di comunione

Quando si parla dell'Eucaristia, di solito si insiste sulla trasformazione del pane nel corpo di Cristo e del vino nel suo sangue. Però si dovrebbe pensare anche a sottolineare un'altra trasformazione non meno straordinaria e in un certo senso più importante per la nostra vita spirituale: la trasformazione di un evento di rottura in uno strumento di comunione, la trasformazione del sangue criminalmente versato dai nemici in sangue di alleanza. Una trasformazione veramente straordinaria. 

Per l'Antico Testamento la morte era un evento di rottura radicale e definitiva con gli uomini e con Dio. Non la possiamo più vedere così perché Gesù ha trasformato la morte nell'Eucaristia. È chiaro ancora adesso che la morte spezza i legami con le persone. Non è più possibile comunicare con un morto, parlargli; questo provoca tristezza e dolore. Tuttavia nell'Antico Testamento c'era la consapevolezza di unarottura anche con Dio e questo era l'aspetto più tremendo per le persone religiose. È la morte, castigo del peccato, ultima conseguenza del peccato, estremo grado di rottura tra la persona umana e Dio. Quando nell'Antico Testamento si pensava alla morte, veniva richiamata questa rottura orrenda. Ad esempio, il re Ezechia, colpito da una malattia mortale, esclama: "Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi!". Il Signore si vede sulla terra dei viventi, non nello scheòl dei morti. E poi: "Non vedrò più nessuno tra gli abitanti di questo mondo", cioè rottura da ambedue le parti (Cf Isaia XXXVIII). Nell'Antico Testamento si percepiva il contrasto violento tra l'uomo morto e il Dio vivente e non si vedeva la possibilità di una relazione positiva tra loro. I morti andavano a finire nello scheòl, un luogo sotterraneo dove vivevano una vita da larve, una vita indegna dell'uomo e ancora più indegna di Dio stesso. 

Questa duplice rottura, provocata dalla morte, diventava ancorapiù tragica quando si trattava della morte di un condannato. Di solito la morte di una persona cara causa negli altri dolore e afflizione ma non distrugge un legame affettivo. Invece il condannato è rigettato dalla società, che non lo vuole più e lo condanna a morte proprio per rompere con lui in modo definitivo. Nel popolo eletto la condanna veniva fatta secondo la legge di Dio, quindi il condannato era considerato maledetto da Dio. San Paolo non esita a dire che Cristo è diventato maledizione per noi, perché è stato appeso al legno e la Scrittura dice: "Maledetto chi pende dal legno". Quindi tale doveva essere la situazione tragica di Gesù, una situazione di rottura completa. Ma Egli l'affronta e ne fa l'occasione di un amore estremo, ne fa uno strumento di comunione con Dio e con i fratelli, un mezzo per fondare l'alleanza. Circostanze più contrarie alla fondazione di una alleanza non sipotevano immaginare! Gesù sa che sarà tradito, che sta per essere abbandonato da tutti gli apostoli, tradito da Pietro, accusato falsamente, condannato ingiustamente, schernito, ucciso. E proprio questieventi crudeli e ingiusti Egli li anticipa nel momento dell'ultima cena e li trasforma in dono di amore, in offerta di alleanza. Non ci rendiamo mai abbastanza conto della straordinaria trasformazione operata da Gesù in quel momento e della generosità di cuore con cui Egli l'ha concepita e attuata. 

Le due dimensioni dell'alleanza

Un'alleanza deve avere due dimensioni, dal momento che si tratta dell'alleanza con Dio: quella verticale di relazione con Dio e quella orizzontale di relazione con i fratelli. Sono le due dimensioni della croce, che sono molto significative, con al centro il cuore di Gesù che le unisce. Nella fondazione dell'alleanza del Sinai, la dimensione più appariscente è stata quella verticale. Si legge nell'Esodo che Mosè prese il libro dell'alleanza, lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato lo faremo, lo eseguiremo!». Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (Es 24,78). 

Nell'ultima cena, invece, la dimensione più appariscente è quella orizzontale: il dono ai fratelli. Il contesto è quello di un pasto preso insieme, un contesto di fratellanza umana. Ogni banchetto ha questo significato di unione tra le persone, di accoglienza reciproca, di relazioni amichevoli e fraterne. Nell'Antico Testamento diverse volte un banchetto sigilla la conclusione di un'alleanza tra persone umane. Ad esempio tra Isacco e Abimelech (Gen cap. XXVI) o tra Giacobbe e Labano (cap. XXXI). Nell'ultima cena, in questo contesto di pasto preso insieme, Gesù fa un dono molto più radicale di quello che si fa abitualmente: offre in cibo il proprio corpo e in bevanda il proprio sangue, dono ai fratelli. "Questo è il mio corpo che è dato per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,19-20). Si tratta quindi di una comunione fraterna espressa nel modo più intimo e più perfetto possibile. Il sangue dell'Alleanza Nuova è dato per essere bevuto e non soltanto asperso come era avvenuto nella prima alleanza del Sinai. 

Un'alleanza fondata sul rendimento di grazie

Il risultato è una interiorità reciproca: noi dimoriamo in Gesù e Gesù dimora in noi. Non è possibile attuare un'alleanza più stretta. Si può notare questo aspetto di comunione profonda tra Gesù e i discepoli presenti nell'ultima cena. Non lo si ritrova più sul Calvario, dove invece si manifesta soltanto l'aspetto di completa rottura. Sulla croce Gesù muore solo. Muore per la moltitudine, ma respinto dalla moltitudine. La dimensione verticale nell'ultima cena è meno evidente, però è essenziale, condiziona quella orizzontale. Dove si manifesta? Si manifesta in una sola parola greca: avendo reso grazie. Gesù due volte ringrazia il Padre: prima sul pane, poi sul calice. Si tratta di una preghiera di estrema importanza. La Chiesa lo ha capito e ha chiamato il sacramento Eucaristia; ha scelto questo termine, non un altro. Eucaristia, che significa rendimento di grazie. Durante la sua vita, Gesù spesso assumeva spontaneamente l'atteggiamento filiale di amore riconoscente, atteggiamento che meglio corrisponde alla sua condizione di Figlio. Il Figlio riceve tutto dal Padre e la sua reazione normale è quella di rispondere a quest'amore con gratitudine filiale. 

Questa gratitudine si manifesta in parecchi punti dei Vangeli. Essi riferiscono diversi casi in cui Gesù ringrazia pubblicamente il Padre. Qui ne vogliamo prendere in considerazione due, che appaiono particolarmente significativi in rapporto con l'Eucaristia. Si tratta di due situazioni nelle quali noi non avremmo pensato affatto di rendere grazie a Dio. Una situazione di carestia e una di lutto. In un luogo deserto ci sono cinquemila uomini da sfamare e Gesù ha a disposizione soltanto cinque miserabili pani. Non sarebbe proprio il caso di rallegrarsi, di rendere grazie. Nell'Esodo una situazione simile provocava da parte del popolo mormorazioni e ribellione. Gesù, invece, ringrazia il Padre e così apre la via al suo amore sovrabbondante e dà inizio alla moltiplicazione dei pani. La situazione di lutto è quella della morte di Lazzaro. Gesù si fa condurre presso la tomba del suo amico, la fa aprire e di fronte al sepolcro aperto si rivolge al Padre con questa preghiera, assolutamente inaspettata date le circostanze: "Padre, ti ringrazio"!

Il ringraziamento di Gesù

Nell'ultima cena Gesù rende grazie come aveva fatto nel momento della moltiplicazione dei pani. A prima vista la situazione era più normale: non c'erano molti commensali, il cibo bastava. Quindi la preghiera di ringraziamentodi Gesù si presenta come un fatto ordinario della vita quotidiana, come una semplice preghiera all'inizio dei pasti, con la quale anche noi chiediamo la benedizione di Dio. Gli Ebrei, prima dei pasti, benedicevano Dio, cioè Lo ringraziavano Questa è una benedizione nel senso di ringraziamento: è l'Eucaristia. All'ultima cena quindi non era necessaria una moltiplicazione del pane. I discepoli, sentendo il ringraziamento di Gesù, hanno percepito un significato ordinario: "Padre ti rendo grazie per questo pane che mi dai, tu che sei il creatore di ogni cosa, la sorgente di ogni vita, tu che nutri generosamente tutte le tue creature; ti rendo grazie per questo vino simbolo del tuo amore con il quale rallegri il cuore degli uomini". Gesù però non interpreta questo rendimento di grazie come i discepoli, perché sa benissimo che questo non sarà un pasto ordinario, sa che questo pane e questo vino non resteranno pane e vino materiali. Mentre rende grazie, sa ciò che sta per fare e vede che il Padre gli offre la possibilità di un dono incomparabilmente più grande, piùsostanzioso, più generoso: il dono di se stesso per comunicare agli uomini la vita divina, l'amore divino. 

L'eucaristia dono del Padre

Il primo aspetto dell'Eucaristia per Gesù non è quello di un dono suo, ma di un dono del Padre. Nel discorso del pane di vita Gesù aveva detto: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà ilpane dal cielo, quello vero". L'origine del dono si trova nel Padre. Gesù è pienamente consapevole che il dono che Egli farà, proviene dal Padre, non pretende di avere l'iniziativa, ma rende grazie al Padre perché il Padre gli dà la capacità di donare: "Ti ringrazio, Padre, perché per mezzo di questo pane che ho nelle mie mani, io stesso diventerò pane per la vita del mondo. Ti ringrazio per avermi dato un corpo che posso trasformare in cibo spirituale; per avermi dato il sangue che posso versare e trasformare in bevanda spirituale; per avermi dato soprattutto un cuore pieno di amore per poter effettuare questa offerta di me stesso, che desidero ardentemente fare. Ti ringrazio perché così posso stabilire l'alleanza nuova fra te e tutti i miei fratelli". L'Eucaristia è dono del Padre che passa attraverso Gesù. E la Chiesa lo riceve come tale proprio dalle sue mani. Questo aspetto viene ribadito regolarmente nelle orazioni liturgiche dopo la comunione. La Chiesa allora di solito, non ci fa ringraziare Gesù. Ci sono naturalmente delle eccezioni, ma abitualmente la Chiesa ci fa ringraziare il Padre che ci ha accolto alla sua mensa, il Padre che ci ha nutrito con il corpo e il sangue del suo Figlio, come dicono le orazioni. Il rendimento di grazie di Gesù ha questo senso. 

L'eucaristia dono per il mondo

Nel discorso del pane di vita Gesù aveva detto: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". L'Eucaristia è dono per la vita del mondo. All'ultima cena Gesù non limita il suo sguardo al piccolo gruppo che gli sta intorno, ma dice ai discepoli: "Fate questo in memoria di me", pensando a tanta altra gente. Il suo ringraziamento viene così a trovarsi all'origine di una nuova moltiplicazione del pane, dell'unico pane; unamoltiplicazioneancora più meravigliosa e più importante di quella avvenuta nel deserto. le migliaia di persone, quanto quello di prefigurare la moltiplicazio In effetti, lo scopo di quest'ultima non era tanto quello di sfamarene del pane eucaristico. graViene qui sottolineato il legame tra questi episodi usando nei due casi le stesse espressioni. Quando, nell'ultima cena, Gesù rende grazie al Padre, Egli pensa a questa distribuzione infinita: "Padre, io miunisco a te con immensa gratitudine perché tu fai di me il pane vivo dato per la vita del mondo, moltiplicabile all'infinito per tutti gli uomini". 

Padre, ti ringrazio

Se ora mettiamo a confronto il ringraziamento pronunciato da Gesù nell'ultima cena con quello pronunciato davanti alla tomba di Lazzaro, in un primo momento ci colpisce la differenza. Da una parte una preghiera fatta all'aperto di fronte a un sepolcro, dall'altra un pasto preso insieme nell'intimità del cenacolo. Eppure possiamo percepire una profonda somiglianza fra queste due preghiere. In entrambi i casi Gesù deve affrontare la morte e vincerla. Nel primo caso affronta la morte del suo amico Lazzaro, nel secondo affronta la propria morte. Nei due casi Gesù ringrazia prima di riportare la vittoria. Questo è impressionante. Davanti alla tomba di Lazzaro Gesù dice: "Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato". L'esaudimento non appariva per niente, sembrava impossibile. Ma Gesù era sicuro di essere ascoltato dal Padre e di riportare la vittoria sulla morte dell'amico. Nell'ultima cena Gesù similmente ringrazia il Padre in anticipo perla vittoria che riporterà sulla morte: "Padre, ti rendo grazie perché so in anticipo che mi dai la vittoria sulla morte per me e per tutti. Ti rendo grazie perché hai messo nel mio cuore tutta la forza del tuo amore capace di vincere la morte, di capovolgere il senso della morte, di fare di un evento di rottura un evento di alleanza". Questa vittoria sulla morte ha come conseguenza la risurrezione. La risurrezione è il frutto dell'Eucaristia, è il frutto del Calvario: "Grazie alla forza del tuo amore il mio corpo diventerà, attraverso la mia morte il pane della vita; il mio sangue versato diventerà sorgente di comunione, sangue di alleanza. Tutti potranno ricevere questo dono. Padre, ti rendo grazie per questa possibilità meravigliosa che mi dai". Proprio in quanto ringraziamento anticipato che viene prima della vittoria, questa preghiera costituisce una rivelazione eccezionale della vita interiore di Gesù, della sua unione filiale con il Padre, della sua fiducia assoluta in Lui e nello stesso tempo costituisce un'azione estremamente efficace in quanto quel ringraziamento determina l'orientamento di tutti gli eventi successivi. L'istituzione dell'Eucaristia dipende da questo ringraziamento evidentemente, ma è così anche la passione, la resurrezione, la fondazione della Nuova Alleanza. Tutto dipende da questo rendimento di grazie iniziale e fondamentale che apre all'amore che viene dal Padre, come del resto tuttigli eventi e tutta la persona di Gesù. 

La novità dell'eucaristia come sacrificio di ringraziamento

Ora possiamo fare un confronto con l'Antico Testamento per renderci meglio conto della novità dell'Eucaristia in quanto sacrificio diringraziamento. L'Eucaristia è sacrificio di alleanza, è sacrificio di ringraziamento. Qual è lo schema abituale dei sacrifici di ringraziamento? È uno schema molto naturale. Per esempio, una persona si trovain pericolo di vita, invoca Dio con intensa preghiera e promette di offrire un sacrificio di ringraziamento se scamperà alla morte. Questa condizione si verifica: la persona si reca al tempio per offrire, in mezzo all'assemblea festosa, il sacrificio promesso. Questo si concludecon un pasto sacrificale, nel quale tutti mangiano delle vittime immolate. A tale banchetto sono invitati specialmente i poveri. Questo schema è ancora vigente ai nostri giorni; una persona che è in difficoltà fa una richiesta a Dio e l'accompagna con un voto. Se viene esaudita, assolve il suo voto. Il salmo 21, il salmo della passione ("Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?") descrive il pericolo, la situazione disperata del giusto perseguitato: "Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce". Poi viene la supplica: "Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto". Nei salmi questo schema si presenta frequentemente. Quindi la promessa del sacrificio di ringraziamento. "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea". I versetti successivi riferiscono ciò che l'orante dirà dopo essere stato salvato, quando scioglierà i suoi voti. Alla fine viene anche annunziato il pasto di comunione: "I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano". Ci sono tanti altri salmi che esprimono il rendimento di grazie o invitano al rendimento di grazie. Ad esempio il salmo 106 elenca diversi casi di pericolo di vita e ogni volta invita il fedele liberato a ringraziare e ad offrire il sacrificio di lode. Quindi, secondo lo schema normale, il sacrificio di ringraziamento viene alla fine come felice conclusione di un'avventura che minacciava di finire molto male.

L'aspetto straordinario del caso di Gesù è che Egli ha anticipato il ringraziamento mettendolo all'inizio assieme al pasto di comunione. Nell'ultima cena sappiamo bene che Gesù ha anticipato la sua morte, l'ha resa presente, ma non riflettiamo abbastanza forse sul fatto che Gesù ha anticipato il ringraziamento finale per la vittoria sulla morte, ottenuta attraverso la morte stessa. Ha messo così per primo l'elemento che di solito viene messo per ultimo, perché è l'elemento fondamentale. Il ringraziamento è il modo di aprirsi alla corrente di amore che viene da Dio per rendere possibile la vittoria. 

La novità della morte vittoriosa

Possiamo fare brevemente un'ultima osservazione. Di solito si distinguono chiaramente tre momenti successivi: la situazione di pericolo, la liberazione miracolosa, il rendimento di grazie. Nel caso di Gesù questi tre momenti sono uniti in modo sorprendente, si compenetrano a vicenda. Il pericolo non è stato soppresso dall'esterno con un intervento miracoloso. Gesù non è stato preservato dalla morte; la morte non è stata miracolosamente evitata, ma è stata trasformata dall'interno instrumento di vittoria proprio sulla morte, in strumento di liberazione e di alleanza. E così la morte stessa suscita il rendimento di grazie perché è una morte vittoriosa della morte. Nell'Eucaristia annunciamo la morte diGesù come una morte vittoriosa, altrimenti non sarebbe il caso di proclamarla. Tutte queste osservazioni ci aiutano a comprendere la profonditàdel mistero e soprattutto la forza dell'amore che ha realizzato una tale trasformazione, l'amore che proviene dal Padre e che passa attraverso il cuore di Cristo e trasforma un avvenimento tragico e scandaloso in sorgente di grazie infinite. Quando celebriamo l'Eucaristia e ci comunichiamo, riceviamo in noi questo intenso dinamismo di amore capace di trasformare tuttigli eventi in occasione di progresso e di vittoria. Ne dobbiamo prendere meglio coscienza per diventare effettivamente capaci di superare ogni difficoltà con la forza dell'amore, in un continuo ringraziamento a Dio. Possiamo imparare anche a ringraziare in anticipo quando prevediamo una situazione difficile, sapendo che Lui ci darà la vittoria. 

Albert Vanhoye