Nella vita di Gesù
Nella lettera agli Ebrei il sacerdozio viene definito come mediazione e il sacerdote viene chiamato mediatore dell'alleanza nuova (Eb 9,15). L'Autore cita l'oracolo dell'alleanza nuova (Ger 31,31-34). È la più lunga citazione dell'Antico Testamento nel Nuovo e proclama poi che questo oracolo è stato adempiuto in Cristo. Quando il profeta Geremia annunziava la Nuova Alleanza, ne faceva una descrizione bellissima: la legge di Dio scritta nei cuori nonpiù sulla pietra; una relazione reciproca tra Dio e ciascun membro delpopolo di Dio dal più piccolo al più grande; il perdono religioso dei peccati. Geremia però non descriveva il fondamento della Nuova Alleanza.
Ora, perché si stabilisca un'alleanza nuova, occorre che ci siaun nuovo fondamento. I Vangeli colmano la mancanza di Geremia mostrando che Gesù si è rivelato sacerdote della Nuova Alleanza quando nell'ultima cena prese il calice e disse: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue che viene versato per voi" (Lc 22, 20). San Paolo nella prima lettera ai Corinzi riferisce una formula simile; in Matteo e Marco non c'è l'espressione Nuova Alleanza, ma soltanto: Questo è il mio sangue dell'alleanza, però è chiaro che si tratta di un'alleanza nuova perché l'antica non era stabilita nel sangue di una persona che dava se stessa. L'atto fondamentale della liturgia della Nuova Alleanza consiste nel rendere di nuovo presente questo evento per mezzo della celebrazione eucaristica affinché il popolo cristiano possa entrare sempre meglio nel dinamismo di comunione della Nuova Alleanza.
Eucaristia anticipazione della morte di Gesù
Colpisce il fatto che tutti i racconti dell'ultima cena mettano l'Eucaristia in rapporto con la passione di Gesù, più precisamente con il tradimento di Giuda. Paolo dichiara che Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e poi lo diede; il tradimento era in corso, quando Gesù istituì l'Eucaristia. Marco e Matteo ricordano che Gesù, prima di istituire l'Eucaristia, si è mostrato consapevole del tradimento: "In verità vi dico: uno di voi, che mangia con me, mi tradirà". Luca vi accenna ugualmente e anche Giovanni. Quindi la catena degli avvenimenti che porteranno Gesù alla condanna e alla morte infausta sulla croce aveva già cominciato a mettersi in moto. Il Signore ne è consapevole. Egli sa che il suo ministero di dedizione generosissima a Dio e ai fratelli sta per essere brutalmente interrotto da un tradimento, la colpa più odiosa e più contraria al dinamismo di alleanza. Egli può ancora agire liberamente. Come approfitta di questi ultimi momenti? Qual è la sua reazione davanti a una situazione così ingiusta? Vediamo la reazione del profeta Geremia. Avvisato dal Signore di un complotto tramato contro di lui, Geremia esclama: "Ora, Signore degli eserciti, giusto giudice, che scruti il cuore e la mente, possa io vederela tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa" (Ger 11,20. 21). Questo atteggiamento di Geremia costituisce già un certo progresso riguardo alla reazione umana istintiva, che sarebbe quella di prendere in mano la propria vendetta. Affidare a Dio la vendetta è già una vittoria. Gesù però riporta una vittoria molto più radicale e positiva, supera il suo sconforto e invece di rinunciare, come Geremia, al suo atteggiamento generoso, lo spinge fino all'estremo. "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine", dice il Quarto Vangelo, Gesù anticipa la propria morte, la rende presente nel pane spezzato che diventa il suo corpo, nel vino che diventa il suo sangue versato e trasforma la propria morte in sacrificio di alleanza per il bene di tutti. Non è possibile immaginare una generosità più grande di questa, né una trasformazione più radicale dell'evento stesso.
La morte diventa strumento di comunione
Quando si parla dell'Eucaristia, di solito si insiste sulla trasformazione del pane nel corpo di Cristo e del vino nel suo sangue. Però si dovrebbe pensare anche a sottolineare un'altra trasformazione non meno straordinaria e in un certo senso più importante per la nostra vita spirituale: la trasformazione di un evento di rottura in uno strumento di comunione, la trasformazione del sangue criminalmente versato dai nemici in sangue di alleanza. Una trasformazione veramente straordinaria.
Per l'Antico Testamento la morte era un evento di rottura radicale e definitiva con gli uomini e con Dio. Non la possiamo più vedere così perché Gesù ha trasformato la morte nell'Eucaristia. È chiaro ancora adesso che la morte spezza i legami con le persone. Non è più possibile comunicare con un morto, parlargli; questo provoca tristezza e dolore. Tuttavia nell'Antico Testamento c'era la consapevolezza di unarottura anche con Dio e questo era l'aspetto più tremendo per le persone religiose. È la morte, castigo del peccato, ultima conseguenza del peccato, estremo grado di rottura tra la persona umana e Dio. Quando nell'Antico Testamento si pensava alla morte, veniva richiamata questa rottura orrenda. Ad esempio, il re Ezechia, colpito da una malattia mortale, esclama: "Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi!". Il Signore si vede sulla terra dei viventi, non nello scheòl dei morti. E poi: "Non vedrò più nessuno tra gli abitanti di questo mondo", cioè rottura da ambedue le parti (Cf Isaia XXXVIII). Nell'Antico Testamento si percepiva il contrasto violento tra l'uomo morto e il Dio vivente e non si vedeva la possibilità di una relazione positiva tra loro. I morti andavano a finire nello scheòl, un luogo sotterraneo dove vivevano una vita da larve, una vita indegna dell'uomo e ancora più indegna di Dio stesso.
Questa duplice rottura, provocata dalla morte, diventava ancorapiù tragica quando si trattava della morte di un condannato. Di solito la morte di una persona cara causa negli altri dolore e afflizione ma non distrugge un legame affettivo. Invece il condannato è rigettato dalla società, che non lo vuole più e lo condanna a morte proprio per rompere con lui in modo definitivo. Nel popolo eletto la condanna veniva fatta secondo la legge di Dio, quindi il condannato era considerato maledetto da Dio. San Paolo non esita a dire che Cristo è diventato maledizione per noi, perché è stato appeso al legno e la Scrittura dice: "Maledetto chi pende dal legno". Quindi tale doveva essere la situazione tragica di Gesù, una situazione di rottura completa. Ma Egli l'affronta e ne fa l'occasione di un amore estremo, ne fa uno strumento di comunione con Dio e con i fratelli, un mezzo per fondare l'alleanza. Circostanze più contrarie alla fondazione di una alleanza non sipotevano immaginare! Gesù sa che sarà tradito, che sta per essere abbandonato da tutti gli apostoli, tradito da Pietro, accusato falsamente, condannato ingiustamente, schernito, ucciso. E proprio questieventi crudeli e ingiusti Egli li anticipa nel momento dell'ultima cena e li trasforma in dono di amore, in offerta di alleanza. Non ci rendiamo mai abbastanza conto della straordinaria trasformazione operata da Gesù in quel momento e della generosità di cuore con cui Egli l'ha concepita e attuata.
Le due dimensioni dell'alleanza
Un'alleanza deve avere due dimensioni, dal momento che si tratta dell'alleanza con Dio: quella verticale di relazione con Dio e quella orizzontale di relazione con i fratelli. Sono le due dimensioni della croce, che sono molto significative, con al centro il cuore di Gesù che le unisce. Nella fondazione dell'alleanza del Sinai, la dimensione più appariscente è stata quella verticale. Si legge nell'Esodo che Mosè prese il libro dell'alleanza, lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato lo faremo, lo eseguiremo!». Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (Es 24,78).
Nell'ultima cena, invece, la dimensione più appariscente è quella orizzontale: il dono ai fratelli. Il contesto è quello di un pasto preso insieme, un contesto di fratellanza umana. Ogni banchetto ha questo significato di unione tra le persone, di accoglienza reciproca, di relazioni amichevoli e fraterne. Nell'Antico Testamento diverse volte un banchetto sigilla la conclusione di un'alleanza tra persone umane. Ad esempio tra Isacco e Abimelech (Gen cap. XXVI) o tra Giacobbe e Labano (cap. XXXI). Nell'ultima cena, in questo contesto di pasto preso insieme, Gesù fa un dono molto più radicale di quello che si fa abitualmente: offre in cibo il proprio corpo e in bevanda il proprio sangue, dono ai fratelli. "Questo è il mio corpo che è dato per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,19-20). Si tratta quindi di una comunione fraterna espressa nel modo più intimo e più perfetto possibile. Il sangue dell'Alleanza Nuova è dato per essere bevuto e non soltanto asperso come era avvenuto nella prima alleanza del Sinai.
Un'alleanza fondata sul rendimento di grazie
Il risultato è una interiorità reciproca: noi dimoriamo in Gesù e Gesù dimora in noi. Non è possibile attuare un'alleanza più stretta. Si può notare questo aspetto di comunione profonda tra Gesù e i discepoli presenti nell'ultima cena. Non lo si ritrova più sul Calvario, dove invece si manifesta soltanto l'aspetto di completa rottura. Sulla croce Gesù muore solo. Muore per la moltitudine, ma respinto dalla moltitudine. La dimensione verticale nell'ultima cena è meno evidente, però è essenziale, condiziona quella orizzontale. Dove si manifesta? Si manifesta in una sola parola greca: avendo reso grazie. Gesù due volte ringrazia il Padre: prima sul pane, poi sul calice. Si tratta di una preghiera di estrema importanza. La Chiesa lo ha capito e ha chiamato il sacramento Eucaristia; ha scelto questo termine, non un altro. Eucaristia, che significa rendimento di grazie. Durante la sua vita, Gesù spesso assumeva spontaneamente l'atteggiamento filiale di amore riconoscente, atteggiamento che meglio corrisponde alla sua condizione di Figlio. Il Figlio riceve tutto dal Padre e la sua reazione normale è quella di rispondere a quest'amore con gratitudine filiale.
Questa gratitudine si manifesta in parecchi punti dei Vangeli. Essi riferiscono diversi casi in cui Gesù ringrazia pubblicamente il Padre. Qui ne vogliamo prendere in considerazione due, che appaiono particolarmente significativi in rapporto con l'Eucaristia. Si tratta di due situazioni nelle quali noi non avremmo pensato affatto di rendere grazie a Dio. Una situazione di carestia e una di lutto. In un luogo deserto ci sono cinquemila uomini da sfamare e Gesù ha a disposizione soltanto cinque miserabili pani. Non sarebbe proprio il caso di rallegrarsi, di rendere grazie. Nell'Esodo una situazione simile provocava da parte del popolo mormorazioni e ribellione. Gesù, invece, ringrazia il Padre e così apre la via al suo amore sovrabbondante e dà inizio alla moltiplicazione dei pani. La situazione di lutto è quella della morte di Lazzaro. Gesù si fa condurre presso la tomba del suo amico, la fa aprire e di fronte al sepolcro aperto si rivolge al Padre con questa preghiera, assolutamente inaspettata date le circostanze: "Padre, ti ringrazio"!
Il ringraziamento di Gesù
Nell'ultima cena Gesù rende grazie come aveva fatto nel momento della moltiplicazione dei pani. A prima vista la situazione era più normale: non c'erano molti commensali, il cibo bastava. Quindi la preghiera di ringraziamentodi Gesù si presenta come un fatto ordinario della vita quotidiana, come una semplice preghiera all'inizio dei pasti, con la quale anche noi chiediamo la benedizione di Dio. Gli Ebrei, prima dei pasti, benedicevano Dio, cioè Lo ringraziavano Questa è una benedizione nel senso di ringraziamento: è l'Eucaristia. All'ultima cena quindi non era necessaria una moltiplicazione del pane. I discepoli, sentendo il ringraziamento di Gesù, hanno percepito un significato ordinario: "Padre ti rendo grazie per questo pane che mi dai, tu che sei il creatore di ogni cosa, la sorgente di ogni vita, tu che nutri generosamente tutte le tue creature; ti rendo grazie per questo vino simbolo del tuo amore con il quale rallegri il cuore degli uomini". Gesù però non interpreta questo rendimento di grazie come i discepoli, perché sa benissimo che questo non sarà un pasto ordinario, sa che questo pane e questo vino non resteranno pane e vino materiali. Mentre rende grazie, sa ciò che sta per fare e vede che il Padre gli offre la possibilità di un dono incomparabilmente più grande, piùsostanzioso, più generoso: il dono di se stesso per comunicare agli uomini la vita divina, l'amore divino.
L'eucaristia dono del Padre
Il primo aspetto dell'Eucaristia per Gesù non è quello di un dono suo, ma di un dono del Padre. Nel discorso del pane di vita Gesù aveva detto: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà ilpane dal cielo, quello vero". L'origine del dono si trova nel Padre. Gesù è pienamente consapevole che il dono che Egli farà, proviene dal Padre, non pretende di avere l'iniziativa, ma rende grazie al Padre perché il Padre gli dà la capacità di donare: "Ti ringrazio, Padre, perché per mezzo di questo pane che ho nelle mie mani, io stesso diventerò pane per la vita del mondo. Ti ringrazio per avermi dato un corpo che posso trasformare in cibo spirituale; per avermi dato il sangue che posso versare e trasformare in bevanda spirituale; per avermi dato soprattutto un cuore pieno di amore per poter effettuare questa offerta di me stesso, che desidero ardentemente fare. Ti ringrazio perché così posso stabilire l'alleanza nuova fra te e tutti i miei fratelli". L'Eucaristia è dono del Padre che passa attraverso Gesù. E la Chiesa lo riceve come tale proprio dalle sue mani. Questo aspetto viene ribadito regolarmente nelle orazioni liturgiche dopo la comunione. La Chiesa allora di solito, non ci fa ringraziare Gesù. Ci sono naturalmente delle eccezioni, ma abitualmente la Chiesa ci fa ringraziare il Padre che ci ha accolto alla sua mensa, il Padre che ci ha nutrito con il corpo e il sangue del suo Figlio, come dicono le orazioni. Il rendimento di grazie di Gesù ha questo senso.
L'eucaristia dono per il mondo
Nel discorso del pane di vita Gesù aveva detto: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". L'Eucaristia è dono per la vita del mondo. All'ultima cena Gesù non limita il suo sguardo al piccolo gruppo che gli sta intorno, ma dice ai discepoli: "Fate questo in memoria di me", pensando a tanta altra gente. Il suo ringraziamento viene così a trovarsi all'origine di una nuova moltiplicazione del pane, dell'unico pane; unamoltiplicazioneancora più meravigliosa e più importante di quella avvenuta nel deserto. le migliaia di persone, quanto quello di prefigurare la moltiplicazio In effetti, lo scopo di quest'ultima non era tanto quello di sfamarene del pane eucaristico. graViene qui sottolineato il legame tra questi episodi usando nei due casi le stesse espressioni. Quando, nell'ultima cena, Gesù rende grazie al Padre, Egli pensa a questa distribuzione infinita: "Padre, io miunisco a te con immensa gratitudine perché tu fai di me il pane vivo dato per la vita del mondo, moltiplicabile all'infinito per tutti gli uomini".
Padre, ti ringrazio
Se ora mettiamo a confronto il ringraziamento pronunciato da Gesù nell'ultima cena con quello pronunciato davanti alla tomba di Lazzaro, in un primo momento ci colpisce la differenza. Da una parte una preghiera fatta all'aperto di fronte a un sepolcro, dall'altra un pasto preso insieme nell'intimità del cenacolo. Eppure possiamo percepire una profonda somiglianza fra queste due preghiere. In entrambi i casi Gesù deve affrontare la morte e vincerla. Nel primo caso affronta la morte del suo amico Lazzaro, nel secondo affronta la propria morte. Nei due casi Gesù ringrazia prima di riportare la vittoria. Questo è impressionante. Davanti alla tomba di Lazzaro Gesù dice: "Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato". L'esaudimento non appariva per niente, sembrava impossibile. Ma Gesù era sicuro di essere ascoltato dal Padre e di riportare la vittoria sulla morte dell'amico. Nell'ultima cena Gesù similmente ringrazia il Padre in anticipo perla vittoria che riporterà sulla morte: "Padre, ti rendo grazie perché so in anticipo che mi dai la vittoria sulla morte per me e per tutti. Ti rendo grazie perché hai messo nel mio cuore tutta la forza del tuo amore capace di vincere la morte, di capovolgere il senso della morte, di fare di un evento di rottura un evento di alleanza". Questa vittoria sulla morte ha come conseguenza la risurrezione. La risurrezione è il frutto dell'Eucaristia, è il frutto del Calvario: "Grazie alla forza del tuo amore il mio corpo diventerà, attraverso la mia morte il pane della vita; il mio sangue versato diventerà sorgente di comunione, sangue di alleanza. Tutti potranno ricevere questo dono. Padre, ti rendo grazie per questa possibilità meravigliosa che mi dai". Proprio in quanto ringraziamento anticipato che viene prima della vittoria, questa preghiera costituisce una rivelazione eccezionale della vita interiore di Gesù, della sua unione filiale con il Padre, della sua fiducia assoluta in Lui e nello stesso tempo costituisce un'azione estremamente efficace in quanto quel ringraziamento determina l'orientamento di tutti gli eventi successivi. L'istituzione dell'Eucaristia dipende da questo ringraziamento evidentemente, ma è così anche la passione, la resurrezione, la fondazione della Nuova Alleanza. Tutto dipende da questo rendimento di grazie iniziale e fondamentale che apre all'amore che viene dal Padre, come del resto tuttigli eventi e tutta la persona di Gesù.
La novità dell'eucaristia come sacrificio di ringraziamento
Ora possiamo fare un confronto con l'Antico Testamento per renderci meglio conto della novità dell'Eucaristia in quanto sacrificio diringraziamento. L'Eucaristia è sacrificio di alleanza, è sacrificio di ringraziamento. Qual è lo schema abituale dei sacrifici di ringraziamento? È uno schema molto naturale. Per esempio, una persona si trovain pericolo di vita, invoca Dio con intensa preghiera e promette di offrire un sacrificio di ringraziamento se scamperà alla morte. Questa condizione si verifica: la persona si reca al tempio per offrire, in mezzo all'assemblea festosa, il sacrificio promesso. Questo si concludecon un pasto sacrificale, nel quale tutti mangiano delle vittime immolate. A tale banchetto sono invitati specialmente i poveri. Questo schema è ancora vigente ai nostri giorni; una persona che è in difficoltà fa una richiesta a Dio e l'accompagna con un voto. Se viene esaudita, assolve il suo voto. Il salmo 21, il salmo della passione ("Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?") descrive il pericolo, la situazione disperata del giusto perseguitato: "Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce". Poi viene la supplica: "Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto". Nei salmi questo schema si presenta frequentemente. Quindi la promessa del sacrificio di ringraziamento. "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea". I versetti successivi riferiscono ciò che l'orante dirà dopo essere stato salvato, quando scioglierà i suoi voti. Alla fine viene anche annunziato il pasto di comunione: "I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano". Ci sono tanti altri salmi che esprimono il rendimento di grazie o invitano al rendimento di grazie. Ad esempio il salmo 106 elenca diversi casi di pericolo di vita e ogni volta invita il fedele liberato a ringraziare e ad offrire il sacrificio di lode. Quindi, secondo lo schema normale, il sacrificio di ringraziamento viene alla fine come felice conclusione di un'avventura che minacciava di finire molto male.
L'aspetto straordinario del caso di Gesù è che Egli ha anticipato il ringraziamento mettendolo all'inizio assieme al pasto di comunione. Nell'ultima cena sappiamo bene che Gesù ha anticipato la sua morte, l'ha resa presente, ma non riflettiamo abbastanza forse sul fatto che Gesù ha anticipato il ringraziamento finale per la vittoria sulla morte, ottenuta attraverso la morte stessa. Ha messo così per primo l'elemento che di solito viene messo per ultimo, perché è l'elemento fondamentale. Il ringraziamento è il modo di aprirsi alla corrente di amore che viene da Dio per rendere possibile la vittoria.
La novità della morte vittoriosa
Possiamo fare brevemente un'ultima osservazione. Di solito si distinguono chiaramente tre momenti successivi: la situazione di pericolo, la liberazione miracolosa, il rendimento di grazie. Nel caso di Gesù questi tre momenti sono uniti in modo sorprendente, si compenetrano a vicenda. Il pericolo non è stato soppresso dall'esterno con un intervento miracoloso. Gesù non è stato preservato dalla morte; la morte non è stata miracolosamente evitata, ma è stata trasformata dall'interno instrumento di vittoria proprio sulla morte, in strumento di liberazione e di alleanza. E così la morte stessa suscita il rendimento di grazie perché è una morte vittoriosa della morte. Nell'Eucaristia annunciamo la morte diGesù come una morte vittoriosa, altrimenti non sarebbe il caso di proclamarla. Tutte queste osservazioni ci aiutano a comprendere la profonditàdel mistero e soprattutto la forza dell'amore che ha realizzato una tale trasformazione, l'amore che proviene dal Padre e che passa attraverso il cuore di Cristo e trasforma un avvenimento tragico e scandaloso in sorgente di grazie infinite. Quando celebriamo l'Eucaristia e ci comunichiamo, riceviamo in noi questo intenso dinamismo di amore capace di trasformare tuttigli eventi in occasione di progresso e di vittoria. Ne dobbiamo prendere meglio coscienza per diventare effettivamente capaci di superare ogni difficoltà con la forza dell'amore, in un continuo ringraziamento a Dio. Possiamo imparare anche a ringraziare in anticipo quando prevediamo una situazione difficile, sapendo che Lui ci darà la vittoria.
Albert Vanhoye
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