Inoltre la comunità dava grande importanza agli evangelizzatori dotati di cultura, di abilità retorica, di carismi particolari.
L’aspetto più critico non consisteva nel fatto che Paolo, che aveva fondato la comunità con grande fatica, veniva messo da parte da molti (o perfino disprezzato) ma nel fatto che il messaggio del Vangelo subiva una revisione tale da essere corroso. Molti sognavano una vita cristiana che godesse già da subito dei vantaggi della venuta del Regno di Dio, come se essa consistesse per intero in una prolungata esperienza della beatitudine sperimentata da alcuni apostoli nell’evento della Trasfigurazione di Gesù. Secondo Paolo, invece, il Vangelo consisteva, almeno per il momento, in una vita che ripresentava quella di Gesù in tutti i suoi aspetti ma soprattutto in quelli della sua passione. I carismi particolari (visioni, estasi, prodigi) dovevano indurre ad assumere la Pasqua di Gesù perché quella aveva rappresentato l’elemento decisivo della vicenda di Cristo.
Paolo non aveva soltanto pronunciato discorsi impegnati ma aveva manifestato il Vangelo della Pasqua del Signore nella sua stessa esistenza. La sua persona era stata una regola di vita (nello stesso modo s’erano comportati i suoi collaboratori, in modo particolare Timoteo). L’amore esige questa disponibilità al dono di sé nell’accoglimento della fatica. In questo senso la sua predicazione viene denominata «parola della croce». Chi l’accoglie non solo deve liberarsi dalle azioni immorali e criminose ma anche imparare a vincere il male con il bene, ad affrontare la forza della testimonianza in un ambiente ostile.
L’occasione della ricomposizione delle divisioni diventa l’occasione per una riflessione più profonda e più articolata, tale da riproporre il nucleo incandescente del Vangelo. Paolo ripropone con forza la centralità di Cristo e della sua Pasqua.
10Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. 11Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». 13È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? 14Ringrazio Dio di non avere battezzato nessuno di voi, eccetto Crispo e Gaio, 15perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. 16Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefanàs, ma degli altri non so se io abbia battezzato qualcuno. 17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
v. 10 Vi esorto, fratelli, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi.
La divisione (schisma) indica la lacerazione di un elemento che dovrebbe di per sé restare integro. La vita cristiana vuole offrirsi come esperienza di comunione fraterna: «Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi» (Fil 2,2).
L’unità si ottiene quando ogni membro della comunità imita i sentimenti di Gesù: «Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Rm 15,5-6). L’unità è la vera caratteristica del cristianesimo compiuto: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6).
v.11-13. Mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie.
Paolo è venuto a sapere da alcuni fratelli, appartenenti alla famiglia di Cloe, che la comunità è lacerata da divisioni. «È una gloria evitare le contese, attaccar briga è proprio degli stolti» (Pr 20,3). La prima causa delle divisioni è rappresentata dalle nostre passioni: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1).
Ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa»…
Le fazioni si fondano su affetti personali che diventano più importati dei vincoli della carità reciproca e perfino della relazione con Cristo, mentre il riferimento ultimo di ogni cristiano è Gesù Cristo e lui soltanto: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,15-17). Già il Battista aveva attirato l’attenzione su Gesù non su stesso; parlando ai giudei ricordava loro: «Voi stessi mi siete testimoni che il ho detto: “Non sono io il Cristo” ma “sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,28-30). Nel rimanere intenta a Cristo, la comunità presenta le caratteristiche d’una sposa: «Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta» (2 Cor 11,2).
13È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi?
Dividere l’assemblea è come dividere Cristo stesso, perché la comunità è il corpo di Cristo (cf 12,27). vv.14-16 L’apostolo sta dettando la lettera con una certa foga e per questo cita velocemente dei fatti particolari sui quali deve tornare per essere più preciso nel ricordo.
v. 17 Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
Il compito più importante di un ministro è l’annuncio del Vangelo: «Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio» (At 20,20-21.24). Il ministero della Parola deve essere svolto in ogni occasione e in ogni modo: «Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento… Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tm 4,1-2. 4). Qualsiasi battezzato può annunciare Cristo: gli ebrei di lingua greca «che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore» (At 11,19-21).
Non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
L’annuncio non si rende credibile per l’arte retorica o per altri espedienti, ma per uno stile di vita che ricalca quello di Gesù, soprattutto nell’accettazione del rifiuto, dell’umiliazione e della persecuzione. Soltanto la condivisione della “debolezza” di Gesù, rende l’annunciatore un uomo capace di trasmettere vita: «Sempre, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Cristo, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2 Cor 4,11-12). «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte… Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli» (2 Cor 12,10.12).
18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. 20Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
18La parola della croce è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio.
La parola della croce è la predicazione che annuncia l’evento della croce come contenuto essenziale e tipico del Vangelo (v.22) ma è anche la parola pronunciata da chi rivive in se stesso la passione del Signore.
Nella crocifissione, Gesù profuse l’impegno massimo nella sua missione. Rappresentò l’estremo della sua dedizione a Dio e alla causa degli uomini. La croce, allora, anziché oscurare la sua gloria, la rivela in tutta la sua ampiezza. A motivo di questa dedizione dolorosa e totale, Gesù è stato sovraesaltato dal Padre (Fil 2,9) che ha voluto onorare la sua capacità d’amore, di una misura pari alla sua, e potè costituirlo come Salvatore universale.
La sofferenza di Gesù sul Calvario è stato come l’accumulo di un tesoro spirituale inesauribile, che ora Egli distribuisce a tutti. Dio, quindi, ha salvato gli uomini (e continua a salvarli) grazie al sangue di Gesù (Cf 1 Pt 1,1: “per essere aspersi dal suo sangue”; Ap 7,14: “hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello”). Nonostante l’apparente fallimento e tutto l’orrore, la vicenda della passione fa conoscere e sperimentare la potenza di Dio, la forza invincibile del suo amore che dal quel momento si apre una strada tra gli uomini.
19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.
Un progetto di Dio che prevede l’umiliazione del suo Messia, non è amissibile da parte degli uomini, anzi suscita il loro sgomento e rifiuto. È un sentimento spontaneo respingere la prospettiva di un Messia/Salvatore sofferente, sospinti da solidi ragionamenti di ragione. «Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme [verso la morte], Gesù camminava davanti a loro (i discepoli) ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro qiello che stava per accadergli» (Mc 10,32).
21Nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio,
Gli uomini, attraverso la creazione, sono capaci di cogliere le perfezioni invisibili di Dio, quali la sua eterna potenza e divinità (cf Rm 1,19-20), ma che la sua perfezione possa essere manifestata e contemplata, in tutta la sua ampiezza, proprio in una morte in croce, questo è qualcosa di impensabile. La profondità ultima dell’amore di Dio sorprende ma anche sconvolge.
Che il mondo non sia in grado di conoscere Dio nella sua verità ultima, Paolo lo sperimenta quando osserva come l’annuncio della croce venga perfino deriso. Tuttavia fa parte del disegno sapiente di Dio che molti lo rifiutino: Egli «rinchiude tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Il Signore non si lascia vincere dal rifiuto di molti né dalla loro indifferenza ma escogita nuove vie di salvezza: «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20).
è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.
La debolezza della croce riaffiora anche nella debolezza della predicazione. La predicazione è debole perché l’annunciatore non intende imporsi con la forza, né con qualche forma di spettacolarità abbagliante, né con il plagio o altre forme di cattura. Tuttavia Dio è capace di convertire a sé il cuore di molti: «Non oserei dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo» (Rm 15,18-19).
22I Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: … per coloro che sono chiamati, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.
I giudei refrattari alla predicazione esigono segni o miracoli che dimostrino la verità dell’annuncio. Dio offre dei segni a coloro che già confidano in lui per rafforzarli nel loro sentimento di fiducia ma non si consegna mai agli increduli ostinati per piegarli (Mt 16,4). I giudei che assistettero alla crocifissione di Gesù esigevano un segno clamoroso: «È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene» (Mt 27,42-43). Gesù non pretendeva di essere privilegiato, salvaguardato o miracolato. Del resto agli uomini che non si aprono veramente a Dio, i miracoli non sono mai sufficienti per condurli alla fede: «Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessuno altro ha mai compiuto, non avrebbere alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio» (Gv 15,24).
I greci, invece, vogliono contare su dimostrazioni inconfutabili o almeno essere catturati da esibizioni retoriche. Ragionavano sul Divino, avanzando passo per passo, mediante la confutazione di altre opinioni contrastanti. Nulla di negativo di per sé ma questo metodo non vale in relazione al Vangelo. Gli adepti non devono sforzarsi di elevarsi al divino grazie alla loro abilità dialettica, ma disporsi a ricevere la rivelazione gratuita di Dio. Egli ha già deciso, per pura bontà, d’avvicinarsi a loro. L’oggetto del Vangelo riguarda il Figlio di Dio (Rm 1,3), è una persona vivente non una serie di dottrine. Egli è la Sapienza che si giustifica da sé (Mt 11,19). Il Vangelo non è un insieme di opinioni consolidate, frutto di faticose conquiste, ma prende avvio dall’ammirazione verso il Signore Gesù.
25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Dio Padre senza imporsi con miracoli o con dimostrazioni scientifiche, attrae gli uomini e li riconduce a sé grazie ad una adesione di fede che si attesta più solida di qualsiasi fondazione umana. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre» (Gv 10,27-29). Ogni cristiano è una Gerusalemme solida e pacifica: «I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa, i suoi paletti non saranno divelti, nessuna delle sue cordicelle sarà strappata» (Is 33,20).
26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dalpunto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. 27Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. 30Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
26 non ci sono fra voi molti sapienti dalpunto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
La vicenda vissuta dalla comunità di Corinto è come una pagina che parla di Dio e della modalità del suo operare. Gesù, aveva già riscontrato che i suoi discepoli erano dei «piccoli» (cf Mt 11,25). Ora la comunità di Corinto, composta per lo più da persone prive di particolari risorse culturali ed economiche, si presenta, a sua volta, come piccola. Dio preferisce i poveri agli occhi del mondo e li rende ricchi per la fede ed eredi del suo Regno (Cf Gc 2,5). «Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza» (1 Gv 2,20). La comunità non era un club che attaeva chi intendeva consolidare il proprio prestigio, ottenere appoggi, costituire reti di protezione o vantaggi economici.
La «parola della croce», quindi, non si riferisce soltanto al contenuto (cioè all’annuncio della morte di Gesù come mezzo di salvezza); non coinvolge soltanto l’annunciatore (che rivive in sé la passione del Signore quando affronta il ripudio) ma si ripresenta anche nei credenti. In via normale, costoro non fanno parte della cerchia delle persone più ragguardevoli nella società, tali da imporsi alla considerazione grazie al loro prestigio. Il prestigio della comunità, piuttosto, dipende dalla sua condotta di vita santa tale da smentire ogni maldicenza: «Nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1 Pt 3,16). Siate irreprensibili e puri «figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo» (Fil 2,15-16).
27-28 Quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
«Guardati dal dire nel tuo cuore: “la mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze”. Ricordati invece del Signore, perché egli ti da la forza per acquistare ricchezze» (Dt 8,17-18). «Per grazia siete salvati mediante la fede e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2,8).
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
Dio si è preso cura dei Corinti. Li ha redenti, ossia si è impegnato a riscattarli liberandoli da una situazione dolorosa di peccato per consentire loro una vita qualificata, come un parente prossimo si prendeva cura di un congiunto caduto in schiavitù. Ha fatto questo per mezzo di Cristo Gesù. Li ha resi santi e giusti. Non possono pensare che tutto ciò sia dipeso dalla loro buona volontà ma dalla misericordia di Dio, che ha rivelato in questo modo la sua sapienza. Egli si rivela nella storia degli uomini i quali possono appoggiarsi soltanto su di lui. «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» (Col 1,12-14).
2 1Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Dopo aver parlato della «debolezza» del messaggio e della povertà degli evangelizzati, espone in modo più esteso la «debolezza degli annunciatori».
Nell’intraprendere la missione a Corinto, Paolo si trovava in una condizione di timore e di disagio. Subì un forte contrasto da parte dei giudei che si opponevano a lui con ingiurie (At 18,6) ma venne sorretto da Gesù stesso che gli parlò in una visione: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere perché io sono con te» (At 18,9). Egli non contava sulla sull’abilità retorica o sulla forza persuasiva di dimostrazioni filosofiche ma sulla forza dello Spirito, il solo capace di aprire il cuore (Cf At 16,14). «Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore» (Zc 4,6). «Sono pieno di forza, dello spirito del Signore, di giustizia e di coraggio per annunciare a Giacobbe le sue colpe» (Mi 3,8). Dio, dopo aver ottenuto la loro adesione di fede, sempre grazie alla fede, custodisce i credenti con la sua potenza (v.5) (1 Pt 1,5).
Il regno di Dio si diffonde grazie all’impegno di chi opera nella fede e nella carità. Il valore rappresentato da altre qualità (come il dono delle lingue e della profezia) non è paragonabile al donare se stessi in spirito di fede e di gratuità, come è rappresentato dall’offerta della vedova povera (Cf Mc 12,41-44). Anzi qualsiasi dono particolare perde ogni consistenza se non viene profuso per fede, in un amore autentico: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un cimbalo che strepita» (Cf 1 Cor 13,1).
2. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
L’apostolo annuncia e dona a tutti Gesù e soltanto lui. Più ancora, considera l’annuncio della sua morte come il cuore del Vangelo (cf 1,23), sebbene questo messaggio suoni del tutto sconcertante. Per Paolo, Gesù non è prima di tutto o soltanto un maestro profondo ma è colui che ha dato tutto se stesso per gli uomini, attraversando il peggio della situazione umana. Egli ha inaugurato l’unica vera svolta della storia, a motivo della sua obbedienza dolorosa al Padre. Anziché mettere in ombra la passione, l’apostolo, vincendo ogni imbarazzo, la pone in piena evidenza. Nulla infatti manifesta l’amore di Gesù per Dio e per gli uomini come l’aver attraversato la reazione dei malvagi. È questo evento che viene fatto risaltare come l’elemento più paradossale ma, proprio per questo, il più sorprendente ed efficace. Scrive ai Galati: davanti ai vostri occhi rappresentai al vivo Gesù Cristo crocifisso! (cf Gal 3,1). La passione di Gesù ha cambiato la sua vita: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14).
6Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. 8Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. 10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio.
Sapienti non sono tanto i retori, i filosofi, i dominatori dell’opinione pubblica ma piuttosto gli uomini che attingono la sapienza di Dio. I disegni dei potenti, per quanto possano apparire brillanti, sono destinati a svanire nel nulla. Da sempre, Dio ha elaborato un progetto di salvezza sconosciuto a tutti che mirava alla nostra glorificazione e proprio questo manifestava in pienezza la sua sapienza. I potenti di questo mondo, però, erano soliti a ragionare all’opposto del Signore e la loro opposizione si è resa manifesta quando hanno condannato Gesù, il Signore. Accecati dal dio di questo mondo, non furono in grado di riconoscere lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo (Cf 2 Cor 4,4). Agirono per ignoranza (At 3,17). Del resto, Paolo stesso erano uno di loro: «Mi è stata usata misericordia perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede» (1 Tm 1,13).
Al contrario, Dio, per mezzo delle ispirazioni dello Spirito Santo che conosce le sue profondità, rivela i suoi pensieri agli uomini che lo amano (cf Sir 1,10). «Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui» (Is 64,3). Egli desidera la nostra perfezione (Col 1,28), la nostra gloria, vuole che «arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. 13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. 15L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. 16Infatti chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo consigliare? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.
12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.
I Corinti hanno ricevuto l’illuminazione dello Spirito, grazie alla quale possono opporsi al sentire mondano. Lo spirito del mondo detesta lo stile umile di Gesù e ad assume quello dei dominatori di questo mondo. Spirito mondano è voler dominare piuttosto che restare sottomessi; cercare il plauso anziché la verità; accondiscendere al male anziché respingerlo; darsi ai propri interessi, anziché a quelli del prossimo e, in via più generale, è restare sottomessi alle «opere della carne» (fornicazione, inimicizie, gelosie, dissensi cf. Gal 5,19).
Lo Spirito Santo, al contrario, ci guida ad apprezzare, gustare ed amare gli insegnamenti di Gesù e la vita nuova del Vangelo (le cose che Dio ci ha donato). «Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio» (Rm 8,5-8).
13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali.
Paolo, sorretto dallo Spirito, vuole insegnare ciò che gli è stato suggerito da lui, una mozione dopo l’altra. Lo Spirito ispira nel momento opportuno ciò che bisogna dire (cf Lc 12,12). «Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» (1 Gv 5,20).
14Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito.
Spirito del mondo e spirito di Dio sono incompatibili, e perciò la persona mondana non riesce ad apprezzare il Vangelo ma tende piuttosto a disprezzarlo. Mondana non è una persona particolare ma qualsiasi uomo lasciato alle sue forze. Gesù aveva detto a Pietro che se l’aveva dichiarato Figlio di Dio, questo era avvenuto per una rivelazione del Padre (Mt 16,17). Nonostante questa rivelazione, Pietro, nel rifiutare la passione di Gesù, continuava a pensare non secondo Dio ma secondo gli uomini (Mt 16,23).
15L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.
L’uomo spirituale sa operare un discernimento sul comportamento da attuare. Giudicare significa discernere in profondità. «Avete ricevuto l’unzione del Santo e tutti avete la conoscenza» (1 Gv 2,20). «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). «Il re [Davide] è come un angelo di Dio nell’ascoltare il bene e il male… il mio signore ha la saggezza di un angelo di Dio e sa quanto avviene sulla terra» (1 Sam 14,17.20). «Concedi al tuo servo un cuore docile e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3,9).
Se l’uomo che sta seguendo la mozione dello Spirito, viene condannato da un uomo carnale, questa condanna non presenta alcun valore. Infatti chi è privo della prospettiva divina, non può comprendere chi vive secondo Dio.
16Infatti chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo consigliare? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.
Il pensiero di Dio è troppo elevato rispetto a quello degli uomini: «Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere lo lha istruito?» (Is 40,13). «Chi ha assistito al consiglio del Signore? Chi l’ha visto e udito la sua parola» (Ger 23,18). Noi siamo venuti a conoscerlo grazie alla persona di Gesù, la quale poi, ci ha resi partecipi del suo modo di pendare e di vivere. «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Avere il pensiero di Cristo significa saper condividere i suoi sentimenti (cf Fil 2,5). Discernere ciò che ci accade alla luce del mistero della croce e della risurrezione e quindi scegliere il volere di Dio nelle vicende della vita in sintonia con quanto fece Gesù.
3 1Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. 2Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, 3perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana? 4Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini?
1Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali
Gesù aveva detto ai discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). La Parola del Signore è spirituale ma noi spesso ragioniamo come uomini carnali, cioè chiusi al suo modo di pensare, venduti come schiavi del peccato (cf Rm 7,14). Cio nonostante gli stessi che si mostrano come persone immature, perfino come bambini incapaci di assimilare un cibo robusto, hanno la possibilità di raggiungere la perfezione, «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
2Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci.
Paolo si comportava verso i suoi interlocutori da evangelizzare al modo di una madre tenera (cf 1 Ts 2,7). Il latte puro e spirituale, in genere, sta a significare il cibo sano, capace di fornire l’alimento necessario nel momento in cui si perviene alla fede (cf 1Pt 2,2) ma in seguito il credente deve saper apprezzare dottrine più impegnative; in pratica diventare una persona sempre più generosa, capace di vincere le tentazioni e superare le prove: «Voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male» (Eb 5,11-14).
Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?
Chi agisce per invidia e crea discordia si mostra ancora carnale (uomo lontano dal modo di ragionare di Cristo) e si comporta in modo istintivo, come semplice uomo non ancora illuminato dallo Spirito.
5Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. 6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
5Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo?
Paolo affronta in modo più diretto la divisione che lacera la comunità di Corinto e denuncia il sentimento che l’ha provocata. Tutto dipende dal fatto che alcuni parteggiano per un evangelizzatore contrapponendolo ad un altro. In dettaglio, alcuni sostengono Apollo fino a mettere in discredito Paolo. A monte della preferenza ingiusta tra le persone, appare, a mio parere, un dissenso sul metodo dell’evangelizzazione, sullo stile di vita con il quale attuarla. Alcuni fedeli puntano sull’abilità retorica e la preparazione culturale delle quali aveva fatto sfoggio Apollo. Paolo evangelizza imitando Gesù sofferente e partecipando al suo mistero pasquale. Riferendosi ai suoi avversari, egli dice: «Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte» (2 Cor 11,23).
Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso.
L’apostolo reagisce ricordando che tutti gli evangelizzatori e i maestri della fede sono soltanto dei semplici collaboratori di Dio (v.9). È il Signore che li ha chiamati, che li ha accompagnati nel loro servizio rendendolo efficace. Senza questo intervento del Signore, non avrebbero né intrapreso né concluso nulla. «Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori» (Sal 127,1).
6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere.
I Corinti dovrebbero riconoscere un dato di verità: Paolo ha compiuto la fatica di fondare la comunità, mentre Apollo ha dovuto soltanto inaffiare le pianticelle già piantate. L’apostolo, tuttavia, non mette in risalto questa differenza per portare l’attenzione all’opera di Dio. «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo…, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11).
Altre volte cerca di coordinare meglio l’opera del Signore con la sua: «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani. Proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2 Cor 3,3.5). Cristo detta la lettera, Paolo la scrive servendosi dello Spirito come inchiostro.
10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. 14Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. 15Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. 16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
10…come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra.
Il confronto con Apollo, offre a Paolo l’opportunità di dilungare il discorso sugli evangelizzatori. Era normale nella chiesa che alla fase di fondazione, seguisse quella di completamento dell’opera: «Lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta... Questo noi lo faremo, se Dio lo permette» (Eb 6,1.3).
Egli sembra ammonire il suo collaboratore/rivale: “Io ho fondato la comunità e tu, in seguito, hai continuato a costruire. Fai attenzione, però, a quale materiale adoperi. Dopo che ho posto come fondamento Gesù e il suo Vangelo, c’è il rischio che tu aggiunga modi di pensare o di fare che contrastano con il Vangelo. L’edificio deve crescere usando lo stesso materiale e rispettando lo stesso stile. Ho cercato di usare materiale prezioso, ma ora sembra che tu costruisca con legno e paglia, ma sarai esaminato dal Signore. Il giudizio di Dio è paragonabile ad un fuoco. Il fuoco consuma il materiale scadente, mentre rende più puro e luminoso quello prezioso”.
Il fuoco era una metafora del giudizio usata nel Primo Testamento. Malachia annuncia che, nel giudizio, i malvagi saranno bruciati senza salvare radice né germoglio (Ml 3,19) Paolo, pensa che il giudizio consumi le opere cattive, lasciando intatto l’operatore il quale, però, dovrà conoscere una profonda purificazione (Is 43,2).
16. siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi
L’edificio che si sta innalzando non è una costruzione qualsiasi, ma un tempio. La comunità è un tempio costituito da persone viventi ed abitato dallo Spirito. Permane sempre il rischio che altri sconvolgano la fede di alcuni ma «le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi, e ancora: Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore» (2 Tm 2,19).
Il fondamento o la pietra angolare è Gesù Cristo: «Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,20- 22). «Lo Spirito di verità rimane presso di voi e sarà in voi» (Gv 14,17).
v.17 Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui
Dio farà tutto il possibile per salvaguardare la sua casa. «Avvertite gli Israeliti di ciò che potrebbe renderli impuri, perché non muoiano per la loro impurità, qualora rendessero impura la mia Dimora che è in mezzo a loro» (Lv 15,31). «Poiché tu hai profanato il mio santuario con tutte le tue nefandezze, anche io raderò tutto» (Ez 5,11).
18Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, 19perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. 20E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. 21Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: 22Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! 23Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
18… la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio
Le qualità ammirate dagli uomini, per le quali una persona viene considerata sapiente da loro, ossia una persona riuscita, sono disprezzate dal Signore. Perciò, la «sapienza» di questo mondo, s’intende quella che nasce dall’egoismo per poi consolidarlo, è stoltezza davanti a Dio. Al contrario, Egli onora quelle virtù che vengono in via normale svalutate dall’uomo, dall’uomo «carnale» che non è in sintonia con lui.
20. I progetti dei sapienti sono vani
Nel futuro la falsa sapienza mostrerà tutta la sua inconsistenza. «Egli esalta gli umilia e solleva a prosperità gli afflitti; è lui che rende vani i pensieri degli scaltri, perché le loro mani non abbiano successo. Egli sorprende i saccenti nella loro astuzia e fa crollare il progetto degli scaltri. Di giorno incappano nel buio, in pieno sole brancolano come di notte. Egli invece salva il povero dalla spada della loro bocca e dalla mano del violento» (Gb 5,11-15)
22. Tutto è vostro. Voi siete di Cristo e Cristo è di Dio
Non voi siete di Paolo o di Apollo! Non mettetevi al loro servizio come se dovreste dipendere da loro, ma sono loro che devono porsi a vostro servizio. «Non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5).
Non soltanto questi ministri ma tutto ciò che esiste, il mondo, la vita e perfino la morte viene dato ai credenti come dono. Dio «che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,34). «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Essi possiedono ogni cosa perché tutto concorre al loro vantaggio; la morte e il tempo non sono più forze ostili ma beni messi a disposizione perché Cristo ha reso possibile questa trasformazione.
Voi siete di Cristo: «Nessuno di noi, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14, 7-9). «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,19). Cristo è di Dio: «Una voce dalla nube diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5).
4 1Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. 3A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, 4perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 5Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
4 1Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.
Paolo esalta e circoscrive il ruolo dei ministri della Chiesa. Cristo agisce nella persona dei suoi inviati ma essi rimangono soltanto servi e amministratori. Non sono né i protagonisti nell’evangelizzazione, né i padroni della comunità. I fedeli non devono aggrapparsi in modo eccessivo a nessun ministro ma piuttosto onorare Cristo che agisce in loro.
Cristo impose a Paolo: «Ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò … perché (le nazioni) si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio» (At 26,15-18). «Il vescovo, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile» (Tt 1,7).
Il fedele che non ha il ruolo della presidenza della comunità, riceve in ogni caso dei doni da distribuire ai fratelli: «Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio» (1 Pt 4,10-11).
L’impegno primario di ogni ministro sta nella fedeltà al suo compito. Questa è l’unica qualità sulla quale può essere valutato. «Un inviato fedele porta salute» (Pr 13,17). «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni» (Mt 24,45-47).
3A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano
L’apostolo è rimasto addolorato del mancato riconoscimento da parte della comunità ma sa che il valore del suo ministero non dipende dal giudizio degli uomini ma da quello del Signore. L’uomo vale soltanto secondo la valutazione attribuitagli da Dio. Di conseguenza, non vale neppure la valutazione con l’apostolo potrebbe onorarsi perché anche questa valutazione apparterebbe sempre alle stime umane. Soltanto il Signore che conosce in modo totale il cuore di ognuno è in grado di stabilire il valore di ogni persona. «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). «Le inavvertenze, chi le discerne? Assolvimi dai peccati nascosti» (Sal 19,13). «Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto» (Sal 143,2).
5Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà.
«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6,37). 2Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto.
«Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5,10).
6Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto, perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. 7Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? 8Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. 9Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.
6… non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro.
Sta per concludere il suo insegnamento riguardante la contrapposizione tra gli evangelizzatori operata dai fedeli. Essi vogliono vantarsi d’appartenere ad uno rispetto all’altro ma in questo modo, oltre a inorgoglirsi in modo improprio, collocano l’evangelizzatore preferito in contrapposizione a quello meno valorizzato. Da questo sentimento, nasce la divisione. Ragionando in questi termini, essi avrebbero dovuto privilegiare Paolo che non è stato soltanto il loro maestro ma il loro padre, il fondatore.
7Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?
I fedeli non devono pensare di essere stati ingegnosi o particolarmente meritevoli nell’aver goduto del servizio d’un ministro al posto d’un altro perché l’istruzione offerta da ognuno di loro è stato un dono di Dio del tutto gratuito ed immeritato. Il ragionamento di Paolo vale per qualsiasi altro bene e per qualsiasi altra qualità di cui un cristiano è dotato. «Da te provengono [o Signore] la ricchezza e la gloria, con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere. Ed ora, nostro Dio, noi ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso. E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. 16Signore, nostro Dio, quanto noi abbiamo preparato per costruire una casa al tuo santo nome proviene da te ed è tutto tuo» 1 Cr 29,12-16). I malvagi, invece, «confidano nella loro forza, si vantano della loro grande ricchezza» (Sal 49,7).
8Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi.
L’apostolo si serve dell’ironia come mezzo pedagogico. I cristiani di Corinto che hanno ricevuto molti doni carismatici, rischiano di sentirsi superiori a tutti. In realtà, si tratta di una falsa percezione di sé. Si sentono come dei regnanti, cioè uomini potenti dal punto di vista spirituale. Nonostante la persuasione di alcuni, il regno di Dio non si è ancora realizzato in pienezza. Magari ciò fosse avvenuto perché allora anche lui potrebbe beneficiarne. In realtà, egli non gode affatto di una vita privilegiata, tipica dei potenti, ma sperimenta una vita da persone umile e disprezzata, simile a quella vissuta da Gesù. È questa la via normale, per ora, per ogni cristiano. Lo stato di gloria verrà donato in seguito. «Se perseveriamo, con lui (Cristo) anche regneremo» (2 Tm 2,12). «Tu (Chiesa di Laodicea) dici: Sono ricco, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile. Ti consiglio di comperare da me oro…» (Ap 3,17).
9Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.10Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 11Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, 12ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.
La vita di un apostolo, a differenza di quanto pretendono i Corinti, non è soltanto una partecipazione (a titolo d’esempio) al momento della Trasfigurazione di Gesù, cioè una esperienza di luce, di beatitudine e di gloria ma è un’imitazione dell’esistenza sofferente di Cristo. Senza poter godere di particolari privilegi, i ministri di Cristo si trovano all’ultimo posto della scala sociale e mostrano i loro travagli agli occhi di tutti, come all’epoca accadeva ai gladiatori. Espone in dettaglio le sofferenze fisiche patite ma soprattutto attribuisce grande importanza agli atteggiamenti interiori con cui le ha affrontate rispondendo bene per male.
Tribolazioni e persecuzioni non impediscono il Signore Gesù a raggiungere il suo ministro con la sua amorevole assistenza (cf Rm 8,35). All’interno stesso del suo travaglio più oneroso, egli scopre l’aiuto e il sollievo: «Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi» (2 Cor 4,8-9). Paolo considera un dono elargito ai suoi fedeli se anche loro partecipassero a queste sofferenze: «A voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma abche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora» (Fil 1,29-30).
14Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 15Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. 16Vi prego, dunque: diventate miei imitatori! 17Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa.
Non vuole umiliare ma ammonire: «C’è una vergogna che porta al peccato e c’è una vergogna che porta gloria e grazia» (Sir 4,21). I fedeli dovrebbero dare importanza allo stile di vita presentato dall’apostolo e cercare di imitarlo. È stato loro padre e i figli imitano il comportamento positivo del genitore. Così si è comportato il discepolo Timoteo: «Tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze. Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore!» (2 Tm 3,10-11 Cf Eb 10,33). «Se tu avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato» (Ez 3,21).
18Come se io non dovessi venire da voi, alcuni hanno preso a gonfiarsi d’orgoglio. 19Ma da voi verrò presto, se piacerà al Signore, e mi renderò conto non già delle parole di quelli che sono gonfi di orgoglio, ma di ciò che veramente sanno fare. 20Il regno di Dio infatti non consiste in parole, ma in potenza. 21Che cosa volete? Debbo venire da voi con il bastone, o con amore e con dolcezza d’animo?
Alcuni membri della comunità avevano congetturato che Paolo non sarebbe più andato a Corinto e deliberarono di soppiantarlo nella sua autorità e soprattutto di stravolgere il suo insegnamento, per loro troppo impegnativo. In realtà egli assicura che andrà da loro quanto prima ed esaminerà la vita che conducono, verificherà le loro opere perché il Regno di Dio consiste in opere non in semplici dichiarazioni d’intenti. «Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16).
Dall’atteggiamento e dal comportamento dei suoi oppositori, poi, dipende se egli dovrà essere più severo che misericordioso. «Vi supplico di non costringermi, quando sarò tra voi, ad agire con quell’energia che ritengo di dover adoperare contro alcuni, i quali pensano che noi ci comportiamo secondo criteri umani. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni arroganza che si leva contro la conoscenza di Dio, e sottomettendo ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza. Se qualcuno ha in se stesso la persuasione di appartenere a Cristo, si ricordi che, se lui è di Cristo, lo siamo anche noi. In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò da vergognarmene» (2 Cor 10,2-8).