giovedì 25 gennaio 2018

BASILIO A GREGORIO DI NAZIANZO (lettera 2)


1. Ho riconosciuto la tua lettera come quelli che riconoscono i figli dei propri amici dalla loro rassomiglianza con i genitori. Infatti negare che la posizione del luogo abbia grande importanza per spingere la tua anima alla decisione di condurre la vita insieme con noi, prima di sapere qualcosa del modo della mia esistenza, sarebbe certamente un pensiero tutto tuo e proprio della tua mente, che giudica le cose di questo mondo un nulla, dinanzi alla beatitudine contenuta nelle promesse. Che cosa io faccia in questa terra remota, di notte e di giorno, io mi vergogno a scriverlo. Ho abbandonato infatti le occupazioni della città, come origine di infiniti mali, ma non sono ancora stato capace di abbandonare me stesso. Sono simile a coloro che soccombono e soffrono il mal di mare, durante la navigazione, per inesperienza della navigazione. Essi si adirano contro la grandezza della nave, come se fosse questa la causa dei grandi ondeggiamenti; da questa passano su di un scafo o su di una piccola barca. Tuttavia continuano dovunque a soffrire il mal di mare e sono in difficoltà, poiché sono dovunque seguiti dalle loro contrarietà e dalla loro bile. Simile al loro è anche il mio comportamento. Portiamo infatti dovunque con noi i nostri intimi sentimenti, viviamo dovunque con eguali dispiaceri, così da non trarre alcun vero vantaggio da questa solitudine. Quello che si doveva fare, e per cui ci sarebbe stato possibile seguire le orme di colui che ci ha guidati alla salvezza, consiste in questo precetto: « Se uno infatti — dice — vuole venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16, 24).
2. Bisogna cercare di avere la mente in pace. Come, infatti, non è possibile che l'occhio, se vaga continuamente, e ora si volge di fianco, ora va su e giù incessantemente, veda chiaramente gli oggetti che gli capitano sotto, ma bisogna che fissi lo sguardo su un oggetto per poter rendere chiara la visione: così pure non è possibile che la mente dell'uomo, sospinta dalle infinite preoccupazioni del mondo, guardi chiaramente e fissamente alla verità. Desideri furiosi e impulsi sfrenati e amori pazzi turbano colui che non è ancora aggiogato ai legami del matrimonio; colui poi che è già costretto al giogo coniugale, è travagliato da un altro tumulto di preoccupazioni: se non ha figli, dal desiderio di averne; se ne ha, dalla preoccupazione di allevarli, dalla sorveglianza della moglie, dalla cura della casa, dal governo sulla servitù, dai danni inerenti agli affari, dalle contese con i vicini, dalle lotte dei tribunali, dai rischi del commercio, dalle fatiche dell'agricoltura. Ogni giorno che viene reca con sé la sua particolare melanconia per l'anima, e ogni notte, ereditando le preoccupazioni del giorno, delude l'animo con le medesime visioni. Da questi affanni c'è una sola via di uscita: l'isolamento assoluto da questo mondo. Questa separazione non consiste nell'esserne fuori fisicamente, ma nello staccare l'animo dai legami con il corpo e nel sentirsi slegato dalla patria, dalla casa, dalla proprietà, dagli amici, dai possedimenti, dalla vita, dagli affari, dalle relazioni con gli altri, dalla conoscenza degli insegnamenti umani, e nell'essere pronti a ricevere in cuore le impronte derivanti dall'insegnamento divino. Questa preparazione del cuore si ottiene spogliandolo delle lezioni e degli insegnamenti, che per cattiva e radicata abitudine lo posseggono. Non è infatti possibile scrivere sulla cera se prima non si sono cancellati i caratteri precedenti; e neppure imprimere nell'animo gli insegnamenti divini se prima non si sono cancellate le basi acquisite dalla consuetudine. In vista di questa, la solitudine ci procura un grandissimo vantaggio, poiché addormenta le nostre passioni e da alla ragione la possibilità di sradicarle completamente dall'animo. Come infatti si potrebbero vincere le fiere se non le si domasse? Così i desideri e l'ira e la paura e il dolore, passioni nocive all'anima, solo se sopite dalla pace e non acuite da continuo eccitamento, possono essere più facilmente vinte dalla forza della ragione.
Sia dunque questo luogo tale quale il nostro, libero dal commercio con gli uomini, in modo che la continuità dell'ascesi non sia interrotta da alcun elemento esterno. L'esercizio della pietà nutre l'anima con pensieri divini. Che cosa c'è di più beato che l'imitazione, in terra, del coro degli angeli? Al primo apparire del giorno muoversi per le preghiere, e in inni e canti rendere onore al Creatore; più tardi, quando il sole splende alto e luminoso, volgersi al lavoro, mentre la preghiera ci accompagna dovunque, e condire l'opera, per così dire, con il sale degli inni. Infatti le consolazioni contenute negli inni danno la grazia di avere lo animo disposto a ilarità e serenità. La tranquillità è dunque il principio della purificazione dell'anima, poiché né la lingua va blaterando parole umane, ne gli occhi si soffermano a contemplare i bei colori e le armonie dei corpi, ne l'udito distrae l'attenzione dell'anima per ascoltare i canti composti per il piacere, o parole di uomini arguti e faceti, cosa questa che più di ogni altra suole distrarre l'attenzione dell'anima. La mente infatti non si disperde verso l'esterno, e se non è tratta dai sensi a riversarsi sul mondo, si ritira in sé stessa e da sé stessa sale al pensiero di Dio. Illuminata e resa splendente da quella bellezza, è presa dall'oblio verso la natura stessa, senza che l'anima sia trascinata verso preoccupazioni per il cibo o per il vestito; allora, libera da preoccupazioni terrene, trasferisce tutto il suo zelo all'acquisto dei beni eterni. Come si potrebbero ottenere la saggezza e il valore, come la giustizia, la prudenza e tutte le altre virtù, che suddivise in altrettanti generi, consigliano all'uomo di buona volontà di portare a compimento in modo conveniente ciascun atto della vita?
3. La via maestra verso la scoperta del dovere è la frequentazione delle Scritture ispirate da Dio. In esse infatti si trovano tutte le norme di condotta. Inoltre la descrizione della vita degli uomini beati, tramandataci come immagine vivente del modo di vivere secondo Dio, ci è posta dinanzi affinché imitiamo le loro buone azioni. E così ciascuno, meditando su quel lato del suo carattere in cui si accorge di essere manchevole, trova la medicina capace di sanare la sua malattia, come in un ospedale aperto a tutti. Colui che è amante della continenza medita a lungo la storia di Giuseppe e impara da lui azioni temperanti, poiché trova che egli non solo mantenne la continenza dinanzi ai piaceri, ma che fu disposto alla virtù anche per abitudine radicata.
Si impara il coraggio da Giobbe: egli, quando le sorti della sua vita si capovolsero e divenne per un solo tocco della sorte povero da ricco, privo di figli da genitore di bella prole, non solo rimase immutato mantenendo sempre alta l'elevatezza della sua mente, ma neppure si adirò contro gli amici che, venuti per consolarlo, lo insultavano e rendevano più intenso il suo dolore. Inoltre, quando qualcuno cerca il modo di divenire mite e nello stesso tempo magnanimo, in modo da potersi servire del coraggio contro i peccati, e della mitezza verso gli uomini, troverà che David era valoroso nelle nobili imprese di guerra, ma era mite e dolce nelle relazioni con i nemici.
Tale era anche Mosé, che era mosso a grande collera da coloro che peccavano contro Dio, ma sopportava serenamente le calunnie rivolte a lui stesso.
In ogni modo, come i pittori, quando dipingono una immagine tenendone un'altra per modello, guardano frequentemente all'originale e cercano di riprodurre il carattere di quello nella propria opera d'arte; così occorre che anche colui che si sforza di raggiungere la perfezione in tutte le parti della virtù, guardi alla vita dei santi come a statue viventi e operose, e che, attraverso l'imitazione, faccia proprio il bene di quelli.
4. Le preghiere poi, intercalate alle letture, trovano l'animo più giovane e più maturo, in quanto mosso dal desiderio di raggiungere Dio. Bella è la preghiera che rende più chiara all'anima l'idea di Dio. Proprio in questo consiste la presenza di Dio: nell'avere in sé Dio, rafforzato dalla memoria. E' in questo modo che noi diventiamo tempio di Dio, cioè quando la continuità del ricordo non è interrotta da preoccupazioni terrene, quando la mente non è turbata da sentimenti improvvisi, ma quando colui che ama Dio si è allontanato da ogni cosa, e si rifugia in Dio, quando respinge tutto ciò che ci richiama al male, e passa la sua vita nelle opere che conducono alla virtù.
5. Prima di tutto occorre badare a non ignorare il modo di usare la parola, ma a interrogare senza animosità, a rispondere senza ambizione, senza interrompere l'interlocutore quando dice qualcosa di utile, senza desiderare di mettere avanti il proprio discorso per mettersi in mostra; a porre discrezione nel parlare e nell'ascoltare, a imparare senza vergognarsi, a insegnare senza invidia; e se si è imparato qualcosa da un altro, a non nasconderlo (come invece accade alle donne stolte che fanno passare per figli propri gli illegittimi), ma a proclamare equamente l'autore di quel tale discorso. Il tono di voce da preferire è quello medio, in modo che l'ascolto non sfugga per troppa fievolezza né sia troppo faticoso per eccessiva intensità. Solo dopo avere esaminato in precedenza il contenuto del discorso, bisogna esporlo in pubblico. Bisogna essere affabili negli incontri, dolci nelle conversazioni; non andare alla ricerca della piacevolezza attraverso le arguzie, ma accattivarsi simpatia con benevolo incoraggiamento. Bisogna comunque evitare l'acredine, anche se si deve rimproverare. Abbassando, infatti, te stesso con umiltà, diverrai bene accetto a colui che ha bisogno del tuo rimprovero. Spesso infatti ci è utile anche il tipo di rimprovero usato dal profeta, il quale, quando David aveva peccato, non propose il tipo di punizione lui stesso, ma introdusse in modo fittizio un'altra persona e rese David giudice del suo proprio peccato, in modo che quello, dopo aver pronunciato spontaneamente la condanna, non poté più rimproverare nulla al suo accusatore (Re 12, 1-14).
6. L'uomo umile, e che ha abbassato la sua superbia, è caratterizzato da un occhio grave e fisso a terra, ha l'aspetto trascurato, la chioma incolta, la veste dimessa, cosicché ci sembra connaturato in lui l'atteggia-mento che coloro che sono addolorati ostentano per usanza.
La tunica sia legata al corpo da una cintura. Questa cintura non sia sopra i fianchi (sarebbe infatti indice di effeminatezza), e neppure molle in modo da lasciar scorrere la tunica (sarebbe infatti indice di mollezza). L'incedere non sia pigro, in modo da indicare rilassatezza dell'anima; ma non sia neppure veemente e agitato, così da suggerire sentimenti incostanti dell'animo. Il fine degli abiti è uno solo, coprire il corpo in modo sufficiente per l'inverno e per l'estate. Non si curi la leggiadria del colore, e neppure la mollezza o la delicatezza della stoffa. Infatti la ricerca, nelle vesti, della bellezza dei colori, è un atteggiamento simile a quello delle donne che usano belletti, tingendosi guance e capelli con unguenti di fiori venuti da lontano. La tunica deve anche avere uno spessore tale che colui che la indossa non abbia bisogno di altro aiuto per scaldarsi. La calzatura sia modesta di valore, ma capace di adempiere al suo compito a sufficienza.
Riassumendo, come nella scelta delle vesti bisogna lasciarsi guidare dalla funzionalità, così anche per il cibo, il pane soddisferà la fame, e l'acqua lenirà la sete dell'uomo sano, con quelle pietanze vegetali che possono conservare al corpo la forza bastante alle necessità usuali. Bisogna mangiare senza mostrare una gola sfrenata, ma conservare comunque calma, dolcezza e continenza dinanzi ai piaceri; e neppur allora avere la mente inerte e distratta dal pensiero di Dio, ma trarre motivo di lode a Dio dalla natura stessa dei cibi e dalla struttura dell'uomo che li riceve. Si pensi come le varie specie di nutrimento si adattino alla peculiarità dei corpi, per opera di colui che tutto amministra.
Nelle preghiere prima dei pasti, chiediamo di divenire degni dei doni di Dio, alcuni dei quali egli dispensa subito, altri ci pone in serbo per l'avvenire. Dopo i pasti, le preghiere conterranno un rendimento di grazie per ciò che ci è stato dato, e una richiesta di ciò che è stato promesso. Vi sia un'ora sola stabilita per la refezione, e sempre la stessa, che ritorni periodicamente, in modo che, delle ventiquattro ore del giorno, questa sola sia spesa per il corpo. Le altre devono essere spese dall'asceta nell'esercizio dell'operosità spirituale. Il sonno deve essere leggero e da esso ci si deve poter facilmente svegliare e deve essere commisurato naturalmente al genere di vita: deve essere interrotto quando occorra per le preoccupazioni riguardanti argomenti importanti. Infatti l'essere dominati da un sonno profondo, con le membra rilassate in modo da offrire il destro a strane immaginazioni, rende coloro che così dormono preda di una morte quotidiana. Quello poi che per gli altri uomini è il sorgere del giorno, sia la mezzanotte per coloro che esercitano la pietà, poiché soprattutto la quiete notturna offre in dono tranquillità all'anima: durante questa infatti ne gli occhi ne le orecchie inviano al cuore visioni o suoni dannosi, ma l'anima abita sola con Dio, si corregge al ricordo dei suoi peccati, pone a sé stessa dei limiti contro l'inclinazione al male, e cerca l'aiuto di Dio per compiere il fine che si è proposto. 

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