martedì 23 gennaio 2018

Gregorio, Basilio e Macrina




L'esperienza cristiana valorizza i beni umani più autentici: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41). In modo particolare, vivendo la carità di Cristo, la famiglia si rafforza: fratelli e sorelle riescono a fondare meglio la loro relazione fraterna.
Una delle testimonianze più vive della realizzazione di questo ideale, la troviamo nei figli di due sposi, Basilio ed Emmelia, vissuti nel Ponto e in Cappadocia, nel secolo IV: Macrina, la primogenita, che divenne la guida spirituale per i componenti della famiglia; Basilio, divenuto vescovo di Cesarea di Cappadocia, grande teologo e animatore della vita monastica; Gregorio (detto Nisseno perché scelto come vescovo di Nissa), riconosciuto come valente teologo ed omileta. Per completare la presentazione ricordo gli altri due figli, Naucrazio e Pietro rimasti più in ombra. Naucrazio perì in un evento tragico ancora giovane; Pietro divenne vescovo di Sebaste, in Armenia[1]. Infine rimane Teosebia, denominata compagna del Nisseno in una lettera inviata a lui da Gregorio di Nazianzo; alcuni la considerano una sorella, altri la moglie[2]. La questione rimane irrisolta.
La famiglia proveniva dal Ponto ma Basilio e Gregorio operarono soprattutto in Cappadocia, un'ampio altipiano, a clima continentale, nel cuore dell'Asia Minore (attuale Turchia). La regione era rimasta isolata e in stato di arretratezza in epoca classica, ma, in epoca imperiale, si era aperta alla cultura greco-romana. La popolazione, stretta attorno alle città più importanti (quali Cesarea e Tiana), conduceva una vita piuttosto stentata: il territorio era occupato in gran parte da latifondi, lavorati da coloni sparsi in piccoli villaggi. Questa regione, evangelizzata da san Gregorio Taumaturgo, si era strutturata dal punto di vista religioso in modo che l'autorità ecclesiastica più rilevante era tenuta dal vescovo di Cesarea, coadiuvato da chorepiscopi, sparsi nei centri rurali minori.
Entriamo ora nella vicenda dei fratelli, esposta nella Vita di Macrina[3], scritta da Gregorio di Nissa.
Provenivano da una famiglia cristiana benestante e fervente. Macrina, la primogenita, fu educata nel cristianesimo dalla madre (Emmelia), che la spinse ad apprendere la Sacra Scrittura[4]; la sua formazione umana venne completata dall'apprendimento dell'arte della tessitura e del ricamo, un vanto per le donne nobili dell'epoca.
Basilio, invece, fu inviato fino ad Atene per attendere ad un corso superiore di studi retorici[5]. Atene era rimasta la capitale culturale dell’impero romano, la sede più ambita per chi voleva prepararsi, dal punto di vista accademico, alla vita sociale e politica. Basilio si proponeva di intraprendere la carriera di retore, necessaria per ottenere cariche politiche. Intendeva proseguire la tradizione di famiglia, incoraggiato, senza dubbio, dal padre.
Dopo la morte del padre (Basilio senior), Macrina divenne la figura più rilevante all’interno del gruppo familiare. Aderì con sempre maggiore convinzione al Vangelo e, a motivo di questa conversione religiosa, cominciò ad interessarsi dell'amministrazione del patrimonio e della formazione dei fratelli più giovani, coadiuvando la madre[6].
Gregorio ricevette la formazione basilare, culturale e religiosa, in casa; soltanto i seguito la completò frequentando altre scuole di cultura profana. A motivo di questa felice convivenza, rimase molto legato alla sorella, della qual nutrì sempre grande stima. Egli non ci riferisce in che modo la ella si fosse presa cura di lui. Lo possiamo intuire, osservando il comportamento materno di Macrina verso il fratello più giovane, Pietro, che fu il suo vero discepolo. Scrive Gregorio: «Subito lo allontanò dalla nutrice e lo allevò lei stessa. Lo spinse verso la forma più alta di educazione, facendolo esercitare fin da bambino nelle discipline sacre. Divenuta tutto per il piccolo, padre, maestro, pedagogo, madre, consigliera d’ogni bene…»[7]. Benché solo con Pietro, Macrina abbia potuto dispiegare in totalità il suo progetto pedagogico, senza alcuna limitazione, anche Gregorio fu oggetto di una attenzione particolare da parte sua.
All'età di circa trent'anni, Macrina diede una svolta decisa alla sua esistenza. Intraprese una vita di tipo monastico[8] e spingerla a questa decisione, con ogni probabilità, fu Eustazio di Sebaste[9], figura di grande fascino, animatore di un movimento religioso di tipo monastico, che proponeva una vita cristiana più aderente al Vangelo (con risvolti radicali). Macrina convinse la madre, rimasta vedova, a condividere la sua nuova esistenza[10]. Si stabilirono ad Annisi, nel Ponto, in un podere di loro proprietà. La loro vita era caratterizzata dalla preghiera, dalla lettura della Sacra Scrittura, dal lavoro. A questo proposito, le due donne decisero si svolgere anche i lavori manuali più umili, quelli riservati alla servitù, in modo da evidenziare l'uguaglianza che deve regnare tra le sorelle che condividevano la medesima fede. Il segno del cambiamento di vita, oltre l’impegno in una preghiera intensa, fu proprio nella scelta di impegnarsi nei lavori manuali, propri dei servi[11].
Ritornato in patria, Basilio, ben attrezzato dal punto di vista culturale, suscitò l’inquietudine di Macrina. Desideroso di fare carriera, si mostrava sprezzante nei confronti di colleghi, meno preparati di lui ed era ben distante dall’ideale evangelico, a cui lei s’era votata con Emmelia. «Lo trovò insuperbito oltre misura per le sue capacità nell’oratoria…»[12]. Del resto anche il Nazianzeno lamenterà che Basilio tendeva a trattare gli altri con una certa supponenza[13]. Vinto dall’assedio della sorella, ma anche dalla testimonianza evangelica di Eustazio, Basilio accettò il battesimo e divenne lettore nella Chiesa. «Rinunciando alla notorietà mondana e disdegnando il fatto di essere oggetto d’ammirazione per il suo talento oratorio, disertò, per passare ad una vita di lavoro»[14].
Basilio volle iniziare anch’egli una sorte di vita monastica, situandosi nelle vicinanze di Annisi. Tentò di coinvolgere l’amico conosciuto ad Atene, Gregorio (di Nazianzo), il quale si lasciò convincere, superando la sua riluttanza iniziale. I due, aperti alla cultura, studiavano insieme le opere di Origene, del quale avevano sentito parlare già in famiglia, e compilarono un’antologia dei suoi scritti (Filocalia) ma dovettero faticare anche in un duro lavoro manuale. Invitò anche il fratello più giovane, Gregorio (Nisseno) ad associarsi a loro. Quali parole usò per persuadere quest’ultimo, di per sé poco propenso ad una vita ecclesiastica? Conosciamo la lettera inviata da Basilio al Nazianzeno per persuaderlo a raggiungerlo[15]. Possiamo pensare che esortazioni analoghe le abbia rivolte anche al fratello. La lettera, colma di entusiasmo per quel tipo di vita appena scelto, presenta un tono programmatico (con aspetti di regola di vita), con accenti pubblicitari.
Ciò nonostante quel tipo di vita non li soddisface del tutto, molto fervente ma anche improvvisata. Il primo a lasciare il gruppo fu il Nisseno perché desiderava intraprendere una normale carriera, come insegnante, avvocato o uomo politico. Intendeva anche sposarsi, come fece. In questo modo, abbandonava il ministero ecclesiale che aveva accettato, facendosi ordinare lettore. Il cambiamento dispiacque molto a Basilio ma l’interprete del suo rammarico fu l’amico Gregorio, che indirizzò al transfuga uno scritto piuttosto risentito. Gregorio lo tratta molto duramente; è chiaro che può permetterselo perché suffragato da Basilio (e forse anche da Macrina stessa): «La tua brama d’onori è infausta più d’ogni altro demonio… Ricusasti i libri sacri che estinguono la sete, libri che leggevi ad alta voce ai fedeli, prendendo al loro posto nelle tue mani libri pieni di sale che non placano per nulla la sete. Hai voluto aver fama di retore più che di cristiano»[16].
In seguito anche il Nazianzeno, si staccò da Basilio. A differenza del Nisseno, non s’allontanò per darsi ad una carriera mondana, ma per impegnarsi meglio nella Chiesa; non detestava affatto una vita filosofica (come veniva chiamata) ma voleva dedicarsi anche alle necessità della Chiesa e prestare aiuto al padre che era vescovo[17]. Lontano da Basilio, Gregorio gli scrisse per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Voleva replicare ai rimproveri che riceveva. È vero che vita vissuta con l’amico era stata colma di fervore, ma era anche molto grama e limitata. Gregorio gli ricorda alcuni aspetti del godimento spirituale ottenuto ma anche tanti altri gravi inconvenienti. Nella Epistola VI, Gregorio comincia a ricordare la dolcezza della devozione religiosa: «Chi mi recherà ancora in dono quelle salmodie, le veglie, i pellegrinaggi a Dio attraverso la preghiera? Il fervente studio degli oracoli divini e la luce che trovammo in essi, scortati dallo Spirito Santo?». Detto questo, comincia, ironicamente, anche a richiamare i disagi: «Chi mi recherà in dono il quotidiano servizio e il lavoro, frutto delle nostre fatiche? Il trasporto della legna e il taglio delle pietre». Nell’Epistola V, Gregorio, tra i disagi, richiama l’imperizia culinaria di entrambi, al punto che «se non ci avesse prontamente tratto in salvo quella donna davvero grande e nutrice dei poveri, che è tua madre… saremmo già morti da tempo»[18]. In questo modo veniamo a conoscere i disagi sperimentati anche dal Nisseno, che, insieme alle altre motivazioni, contribuirono anch’essi al distacco dal fratello.
Come ho detto, la scelta operata da Gregorio (Nisseno) non dovette piacere né a Macrina, né a Basilio. Abbandonare un ufficio ecclesiastico era un fatto disdicevole, anche per la folla dei fedeli. Tutta la famiglia era pervasa dall’ideale monastico suggerito con ardore da Eustazio. Tra tutti i fratelli, Naucrazio fu quello che scelse la vita più austera. Si mise a vivere in solitudine, da vero eremita, accompagnato soltanto da un servo. Oltre alla vita ritirata, egli, però, voleva impegnarsi nelle opere di solidarietà, prendendosi cura di alcuni anziani poveri, incapaci di provvedere a se stessi. Per procurare loro il cibo necessario, si recava spesso a caccia, mettendo così a disposizione ad un ideale di solidarietà, un passatempo appreso da giovane aristocratico. Fu in una circostanza del genere, che morì nei boschi, aggredito da una fiera. Fu un colpo durissimo per tutti i fratelli, soprattutto per la madre e per la sorella: «In questa occasione si rivelò la virtù della grande Macrina quando, opponendo al dolore la ragione, si mantenne salda e, divenuta sostegno della debolezza della madre, la fece riemergere dall’abisso della disperazione. Di conseguenza anche la madre non fu trascinata nel dolore e non si lasciò andare a niente di disdicevole, come gridare contro il male, strapparsi il mantello, o lamentarsi per la sofferenza, o intonare i canti funebri con melodie piene di gemiti. Invece in silenzio sopportava pazientemente, respingendo gli assalti della natura, grazie ai suoi ragionamenti e alle ragioni portate dalla figlia per curarla dal suo male. Allora soprattutto si manifestò relevata e grandissima anima della vergine, perché anche in lei la natura sopportava il medesimo strazio: era suo fratello e, fra i fratelli, il più caro, il giovane che in questo modo le era stato strappato dalla morte»[19].
Basilio infine rinunciò anch’egli alla vita ritirata che aveva abbracciato in un primo tempo. Infatti lo vediamo prima esercitare il ministero presbiterale e, poi, impegnarsi per favorire la sua elezione a vescovo di Cesarea di Cappadocia[20].
Ottenuto l’incarico auspicato, ebbe bisogno, allora, di contare su chorepiscopi fedeli. Fece quanto possibile perché l’amico Gregorio accettasse la sede di Sasima, mentre desiderava che il fratello divenisse vescovo di Nissa. Questi, nel frattempo, aveva modificato le sue prospettive di vita. Le esortazioni di Macrina, del fratello e dell’amico stavano per conseguire il risultato da loro sperato. Gregorio aveva rinunciato alla carriera per interessarsi dei problemi della Chiesa, divenendo un suo ministro. Così accolse la proposta di Basilio e divenne vescovo di Nissa.
Era in grado di svolgere la funzione pastorale che gli veniva affidata? Per un certo verso, sì. Egli era molto abile nella predicazione, nel commentare i testi biblici, l’ufficio principale di un vescovo. Inoltre sapeva intrattenere buoni rapporti con i suoi fedeli. Gli mancava però una qualità che gli sarebbe stata assai utile, tenendo conto di tutti gli affari nei quali veniva coinvolto un vescovo dell’epoca: la precisione amministrativa e l’abilità a districarsi nelle contese. Basilio se n’accorse e se ne lamentò: lo definisce «assolutamente inesperto degli affari della chiesa… troppo assorto, siede troppo in alto per poter udire quanti gli dicono la verità parlando da terra»[21]. Infatti il vicario (civile) del Ponto, Demostene, per suggerimento dell’imperatore Valente che voleva favorire gli ariani, trovò il modo di accusarlo di cattiva amministrazione. Fu destituito dalla carica e costretto all’esilio. Invano Basilio accorse in difesa del fratello chiedendo a Demostene, per lettera, di fissare una nuova udienza in tribunale in modo da riesaminare l’accusa che gli era stata rivolta: «Se si fa questione di denaro, pensando che sia stato sciupato, qui ci sono gli amministratori del denaro della chiesa pronti a rendere conto a chiunque lo desideri e a scoprire la calunnia di coloro che non hanno avuto timore del tuo orecchio attento»[22]. Dalla stessa lettera, veniamo a sapere che Gregorio aveva dovuto interrompere il viaggio verso la località a cui era stato destinato, perché «tormentato dalla pleurite e dalla malattia di reni, in seguito al freddo preso». In questo caso Basilio si mostra preoccupato della situazione del fratello.
Più tardi, in seguito all’elevazione del nuovo imperatore, Teodosio, Gregorio fu scagionato e poté riprendere il suo ministero episcopale a Nissa.
Sofferenze più gravi lo attendevano. In questo periodo della vita, dovette affrontare due lutti, la morte di Basilio e quella, ancora più dolorosa, della sorella Macrina. Se ci atteniamo ai documenti, Basilio sembra aver mantenuto un rapporto piuttosto distaccato con i due fratelli; non parla mai di Macrina e nei confronti di Gregorio appare piuttosto una guida, un padre più che un fratello. Quest’ultimo, a sua volta, mostra verso di lui, grande ammirazione ma non lascia trasparire, in qualche scritto, un particolare legame. In realtà i due fratelli erano legati reciprocamente da affetto molto di più di quanto volevano far credere.
Il momento rivelatore lo troviamo nel racconto dell’addio a Macrina, poco prima che ella morisse. È chiaro che tra lei e Gregorio s’era creato un legame molto intenso. Concluso il Sinodo d’Antiochia, più libero da assillanti impegni pastorali, poté finalmente incontrare la sorella. Non la vedeva ormai da otto anni, dall’epoca del suo esilio forzato. Avvicinandosi ad Annisi, dove lei abitava con tutta la comunità, venne a sapere che era gravemente ammalata. Temendo che fosse prossima alla morte, si precipitò al capezzale.
Ascoltiamo ora in modo diretto le parole del Nisseno: «Protendendosi fuori dal giaciglio, cercava di farmi l’onore di venirmi incontro. Anch’io mi affrettai verso di lei e sollevandole il viso, la raddrizzai. Ella, tendendo la mano verso Dio, disse: “Anche di questa grazia mi hai colmata, Signore, e non mi hai privata di quello che desideravo, perché hai spinto il tuo servo a visitare la tua ancella”»[23]. Macrina cerca di contenere le manifestazioni del suo male per non rattristare il fratello e instaura una conversazione fraterna. «Poiché nel proseguimento della conversazione si inserì il ricordo del grande Basilio, l’anima si piegava: inclinavo il volto per l’abbattimento e le lacrime correvano già dalle palpebre»[24]. Ora Gregorio svela l’intensità del suo dolore per la scomparsa del fratello maggiore. Macrina, per consolarlo, richiama i disegni della Provvidenza. L’affetto profondo di Gregorio verso il fratello maggiore, ci viene testimoniato anche dal Nazianzeno nella lettera che gli inviò appena appresa la morte di Basilio: «Anche questo era in serbo per la mia vita grama, apprendere la notizia della morte di Basilio… Penso che tu, che disponi di molti amici e di parole per trovare conforto, da nessuno di loro possa riceverne così tanto come da te stesso e dal ricordo che hai di lui»[25].
Gregorio ha altre sofferenze da confidare alla sorella morente. Si sente ancora oppresso per le umiliazioni e la solitudine patite a motivo della sua deposizione dal seggio episcopale e del suo esilio: «Io le raccontavo gli affanni nei quali mi trovavo, in primo luogo allorché l’imperatore Valente mi fece esiliare a motivo della fede, poi perché la confusione fra le Chiese ci chiamava a lotte e a pene»[26]. Di nuovo viene interrotto da Macrina e invitato a risollevarsi riconoscendo le grazie che aveva ricevuto e di cui ancora godeva: «Non vedi la grazia di cui sei oggetto? Non riconosci la causa di beni tanto grandi, cioè le preghiere dei nostri genitori?»[27]. Sarebbe interessante proseguire la lettura del racconto delle ultime ore di Macrina ma questo ci allontanerebbe dall’intento di questo studio. Tentiamo piuttosto una sintesi.
Tra i fratelli, soltanto Gregorio ci tramanda notizie sulla famiglia e sui rapporti che intercorrevano tra loro, in modo un po’ più ampio.
È chiaro che Macrina ha avuto un ruolo nella formazione spirituale di Basilio e di Gregorio; pur non avendo cariche ecclesiali e neppure una formazione teologica adeguata, influì su di loro grazie alla sua testimonianza di vita. Preferisco riportare un breve elogio che Gregorio traccia della sorella: «Avevamo una sorella, per noi maestra di vita e seconda madre: essa aveva tanta confidenza con Dio che era per noi torre munita e scudo di grazia... Abitava in una remota solitudine del Ponto da quando si era esiliata dalla umana convivenza; intorno a lei c'era un numeroso coro di vergini. …Il suo domicilio era melodioso sempre perché notte e giorno risonava di salmodie… una bocca che in ogni momento meditava la Legge divina, un orecchio attento alle cose divine, una mano in continuo movimento per eseguire le prescrizioni divine»[28].
Tornando al rapporto tra Basilio e Gregorio, la storia ci suggerisce un vicinanza più stretta di quello che appare dai loro scritti. Questi ha collaborato da vicino con il fratello nell’affrontare i problemi ecclesiali dell’epoca. Sulle questioni teologiche primarie teologiche avevano una visione comune: entrambi difendevano le deliberazioni del concilio di Nicea; combattevano l’arianesimo radicale (di Eunomio), difendevano la divinità dello Spirito Santo (accettando, su questo punto, di interrompere l’amicizia con Eustazio di Sabaste). Gregorio sarà in grado di assumere l’eredità del fratello e proseguire la sua opera. Dopo la scomparsa di Basilio si imporrà come uno dei teologi più validi del fronte ortodosso. Questo dimostra che il giudizio dato dal fratello maggiore, non era del tutto corrispondente alla verità (oppure che in seguito operò un cambiamento notevole).
Per quanto riguarda la conduzione pastorale della Chiesa, entrambi si mostrarono molto attenti alla condizione miserevole dei poveri, per suscitare la solidarietà dei fedeli nei loro confronti. Entrambi si opposero alle pretese dell’autorità politica; sulle prima Gregorio fu quello che pagò il prezzo più caro alla sua opposizione ma, alla fine, venne ripagato dalla stima manifestata nei suoi confronti dall’imperatore Teodosio e dalla moglie, l’imperatrice santa Flacilla.
Gregorio, pur dipendendo dal fratello, non appare dominato da lui. Non solo quando, da giovane, scelse una strada diversa, staccandosi da Basilio, ma anche perché sviluppò delle tematiche teologiche diverse dal fratello. Meno abile di lui nella conduzione pastorale e amministrativa della Chiesa, gli fu superiore sul piano del pensiero teologico. Appare tra loro una differenza, nella concezione della vita monastica. Furono entrambi grandi estimatori di essa e, certamente l’apporto di Basilio fu più decisivo. Il Nisseno, avvicinandosi ai movimenti radicali, si aprì all’idea che potesse valere un’esperienza monastica incentrata in modo esclusivo sulla preghiera[29]. Secondo Macrina, pur dando grande spazio alla preghiera, il passaggio fondamentale alla vita cristiana radicale avviene quando il penitente accettava il lavoro manuale. Gregorio, pur trovandosi d’accordo in questo, riteneva che in seguito l’asceta avrebbe fatto meglio (o almeno avrebbe potuto legittimamente) diventare, una persona di preghiera, in modo quasi esclusivo.


[1] Cf. Claudio Moreschini, I Padri Cappadoci, Storia, letteratura, teologia, Città Nuova, Roma 2008, pp. 30-31[Moreschini]. Basilio il Grande (Introduzione a), Morcelliana, Brescia 2005. Jean Bernardi, Gregorio di Nazianzo. Teologo e poeta nell’età d’oro della Patristica, Città Nuova, Roma 1995.
[2] Gregorio Nazianzeno, Epistole, CXCVII, a cura di Antonella Conte, Città Nuova, Roma 2017, p. 262 [Conte].
[3] Gregorio di Nissa, La vita di S. Macrina, introduzione, traduzione e note di Elena Giannarelli, Edizioni Paoline, Milano 1988 [VM].
[4] Conobbe anche gli autori classici pagani? Gregorio fornisce, a proposito, dati contrastanti. Nella Vita preferisce mostrarla come una donna nutrita soltanto alle fonti della fede ma, nell'opera L'anima e la risurrezione, la mostra come esperta di filosofia. Certamente la fede cristiana ebbe la parte primaria.
[5]In precedenza aveva ricevuto una formazione primaria dal padre; poi era stato mandato a Cesarea e a Costantinopoli. Basilio frequentò le lezioni del celebre retore dell’epoca, Libanio. Ebbe come compagno di studi Giuliano (definito poi l’apostata), che, asceso in seguito al trono imperiale, cercò di opporsi all’influsso crescente del cristianesimo. Conobbe e strinse un forte legame d’amicizia con Gregorio (il futuro vescovo di Nazianzo e di Costantinopoli).
[6] VM 5, p. 92.
[7] VM 11, p. 103.
[8] Il nuovo decorso le fu possibile anche poiché era rimasta nubile; da adolescente non aveva sposato il fidanzato, un coraggioso avvocato, difensore dei poveri, in quanto morì prima del matrimonio.
[9] Cf. Moreschini, pp. 23-26.
[10] VM 7, p. 95.
[11] VM 7 e 10, p. 95 e 100-103.
[12] VM 6, p. 93.
[13] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, II, Conte p. 30.
[14] VM 6, p. 94.
[15] Basilio, Epistolario, 2, a cura di Adriana Regaldo Raccone, Edizioni Paline, Alba 1968, pp. 44-52 [Raccone].
[16] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, XI, Conte pp. 52-55.
[17] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, I, Conte p. 29.
[18] Cf. Gregorio Nazianzeno, Epistole, V e VI, Conte pp. 37-42.
[19] VM 9, pp. 99-100.
[20] Gregorio Nazianzeno, Epistole, XL, Conte pp. 89-90
[21] Basilio, Epistolario, CCXV, Raccone, pp. 596-597. Altra severa critica nell’epistola C, p. 316.
[22] Basilio, Epistolario, CCXXV, Raccone, pp. 636-638.
[23] VM 16, p. 113.
[24] VM 16, p. 114.
[25] Gregorio Nazianzeno, Epistole, LXXVI, Conte pp. 136-137.
[26] VM 20, p. 121.
[27] VM 20, p. 122.
[28] Gregorio di Nissa, Epistolario, a cura di Renato Criscuolo, D’Auria Editore, Napoli 1981, pp. 135-136.
[29] Gregorio di Nissa, Fine, Professione e Perfezione del cristiano, a cura di Salvatore Lilla, Città Nuova 1979, p. 57. 

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