sabato 16 agosto 2025

1 Corinzi

 Esordio

1Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, 

Definendosi apostolo, richiama la piena autorità della sua missione. «In nome di Cristo siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2 Cor 5,20). «Dio, mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti» (Gal 1,15). 

Non si presenta da solo ma insieme ad un altro fratello, com’era nella prassi di Gesù: «[Gesù] chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due…» (Mc 6,7); «Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due» (Lc 10,1). 

2alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, 

Si rivolge a tutta la comunità, non soltanto a pochi capi; essa è una convocazione di persone strappate dall’iniquità e destinate alla santità: «Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1 Pt 2,9). Ti mando « perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l'eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me» (At 26,17-18). 

insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: 3grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

La Chiesa, ovunque, non si limita ad invocare Dio, al modo di Israele, ma il Dio che si è manifestato in Cristo Gesù. Quelli che invocano il nome del Signore: è il modo primitivo per definire i cristiani (cf At 9,14). «Non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Rm 10,12-13). «Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore» (2 Tm 2,19). «Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro» (2 Tm 2,22). 

4Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, 5perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. 

Ringrazia Dio non per quello che i Corinti hanno compiuto né per quella che sono diventati ma per i doni che ha effuso e continua ad elargire nonostante la loro indegnità. Egli li colma interamente. «Senza difetti e colmi di gioia» (Gd 1,24). «Partecipate alla pienezza di lui» (Col 2,10). «[perché conosciate] l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,19). 

6La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente 7che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. 

«La testimonianza è questa: Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita» (1 Gv 5,11-13). 

In attesa della manifestazione… «La grazia di Dio ci insegna vivere in questo mondo con giustizia e con pietà, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,11-14). «… a voi, che siete afflitti, dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza» (2 Ts 1,7).

8Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. 

Saldi e irreprensibili: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2 Cor 1,21-22). «Il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta» (1 Pt 5,10-11). 

Nel giorno del Signore… Il giorno di Dio, di cui hanno parlato i profeti, è il giorno di Cristo. «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6). «Possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Fil 1,10-11). «Nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato» (Fil 2,16).

9Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!

Degno di fede è Dio: «Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1 Cor 10,13). «Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!» (1 Ts 5,23-24). 

Alla comunione con il Figlio: «E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1 Gv 1,3). «Possa conoscere lui [Cristo], la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10). «Come avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie» (Col 2,6-7).

Difficoltà nell’evangelizzazione

Capitolo 1

Paolo venne a sapere che, a Corinto, era sorto quasi un culto nei confronti dell’una o dell’altra personalità tra quelle che avevano annunciato il Vangelo ed erano comparse delle forti divisioni a causa della preferenza che veniva data all’uno o all’altro. La comunità dava grande importanza agli evangelizzatori dotati di cultura, di abilità retorica e di carismi particolari. Non davano valore al servizio condotto con pazienza, tra le difficoltà. La mediazione di Cristo era messa in ombra, oscurata da quella di altri che venivano messi sullo stesso piano di lui. La necessità di provvedere alla ricomposizione delle divisioni diventa l’occasione per una riflessione più profonda e più articolata, tale da riproporre il nucleo vivo del Vangelo. Paolo, infatti, ripropone con forza la centralità di Cristo nella sua Pasqua 

L’aspetto più critico non consisteva nel fatto che egli, che aveva fondato la comunità con grande fatica, veniva messo da parte ma nel fatto che il messaggio del Vangelo subiva una revisione tale da essere corroso. Molti sognavano una vita cristiana che godesse già da subito dei vantaggi della venuta del Regno di Dio, come se essa consistesse per intero in una prolungata esperienza della beatitudine sperimentata da alcuni apostoli nell’evento della Trasfigurazione di Gesù. Secondo Paolo, invece, il Vangelo consisteva, almeno per il momento, in una vita che ripresentava quella di Gesù in tutti i suoi aspetti ma soprattutto in quelli della sua passione. I carismi particolari (visioni, estasi, prodigi) dovevano portare a partecipare alla Pasqua di Gesù perché quella aveva rappresentato l’elemento decisivo della sua vicenda. 

Egli non aveva soltanto pronunciato discorsi impegnati ma aveva manifestato il Vangelo nella sua stessa esistenza. L’amore esige questa disponibilità al dono di sé nel sottoporsi alla fatica. In questo senso la sua predicazione è «parola della croce». Chi l’accoglie non solo deve liberarsi dalle azioni immorali e criminose ma anche imparare a vincere il male con il bene, ad affrontare la forza della testimonianza in un ambiente ostile, a donare tutto se stesso per amore. 

10Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. 

La divisione (schisma) indica la lacerazione di un elemento che dovrebbe di per sé restare integro. La vita cristiana vuole offrirsi come esperienza di comunione fraterna, nel parlare, nel pensare, nell’agire: «Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi» (Fil 2,2). 

L’unità si ottiene quando ogni membro della comunità imita i sentimenti di Gesù: «Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Rm 15,5-6). L’unità è la vera caratteristica di ogni comunità: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6). 

11Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». 

Paolo venne a sapere da alcuni fratelli, appartenenti alla famiglia di Cloe, che la comunità era lacerata da divisioni. «È una gloria evitare le contese, attaccar briga è proprio degli stolti» (Pr 20,3). «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1). 

Le fazioni si fondano su affetti personali che diventano più importati dei vincoli della carità reciproca  e perfino della relazione con Cristo, mentre il riferimento ultimo di ogni cristiano è Gesù Cristo e lui soltanto: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,15-17). Già il Battista aveva attirato l’attenzione su Gesù non su stesso; parlando ai giudei ricordava loro: «Voi stessi mi siete testimoni che il ho detto: “Non sono io il Cristo” ma “sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,28-30). Nel rimanere intenta a Cristo, la comunità presenta le caratteristiche d’una sposa: «Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta» (2 Cor 11,2). 

13È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 14Ringrazio Dio di non avere battezzato nessuno di voi, eccetto Crispo e Gaio, 15perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. 16Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefanàs, ma degli altri non so se io abbia battezzato qualcuno.

Dividere l’assemblea è come dividere Cristo stesso, perché la comunità è il corpo di Cristo (cf 12,27). Nel momento in cui si crea una fazione per seguire un maestro preferito, si dà più importanza a questi più che a Gesù Cristo. Nell’edificazione della Chiesa, bisogna distinguere il ruolo di Dio (3,6-9) e di Cristo (3,10-11) da quello degli apostoli. L’apostolo sta dettando la lettera con una certa foga e per questo cita velocemente dei fatti particolari sui quali deve tornare per essere più preciso nel ricordo. 

17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

Il compito più importante di un ministro è l’annuncio del Vangelo: «Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio» (At 20,20-21.24). Il ministero della Parola deve essere svolto in ogni occasione e in ogni modo: «Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento… Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tm 4,1-2. 4). 

Qualsiasi battezzato parla di Cristo: gli ebrei di lingua greca «che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore» (At 11,19-21).

L’annuncio non si rende credibile per l’arte retorica o per altri espedienti, ma per uno stile di vita che ricalca quello di Gesù, soprattutto nell’accettazione del rifiuto, dell’umiliazione e della persecuzione. Soltanto la condivisione della “debolezza” di Gesù, rende l’annunciatore un uomo capace di trasmettere vita: «Sempre, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Cristo, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2 Cor 4,11-12). «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,10). 

18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 

La parola della croce è la predicazione che annuncia l’evento della croce come contenuto essenziale e tipico del Vangelo (v.22) ma è anche la parola pronunciata da chi rivive in se stesso la passione del Signore. È la parola definitiva di Dio che opera un cambiamento radicale della storia. 

Nella crocifissione, Gesù profuse l’impegno massimo nella sua missione. Rappresentò l’estremo della sua dedizione a Dio e alla causa degli uomini. La croce, allora, anziché oscurare la sua gloria, la rivela in tutta la sua ampiezza. A motivo di questa dedizione dolorosa e totale, Gesù è stato sovraesaltato dal Padre (Fil 2,9) che ha voluto onorare la sua capacità d’amore, di una misura pari alla sua, e potè costituirlo come Salvatore universale. La sofferenza di Gesù sul Calvario è stato come l’accumulo di un tesoro spirituale inesauribile, che ora Egli distribuisce a tutti. Dio, quindi, ha salvato gli uomini (e continua a salvarli) grazie al sangue di Gesù (Cf 1 Pt 1,1: “per essere aspersi dal suo sangue”; Ap 7,14: “hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello”). Nonostante l’apparente fallimento e tutto l’orrore, la vicenda della passione fa conoscere e sperimentare la potenza di Dio, la forza invincibile del suo amore che dal quel momento si apre una strada tra gli uomini.

19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. 20Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 

Sapienti sono i giudei che si ispirano alla Legge; dotti sono gli scribi che la commentano; sottili ragionatori sono i filosofi. Un progetto di Dio che prevede l’umiliazione del suo Messia, non è amissibile da parte degli uomini, anzi suscita il loro sgomento e rifiuto. 

È un sentimento spontaneo respingere la prospettiva di un Messia/Salvatore sofferente, sollecitati da solidi ragionamenti di ragione. Gli stessi discepoli di Gesù avevano avuto un sentimento di rifiuto: «Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme [verso la morte], Gesù camminava davanti a loro (i discepoli) ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro qiello che stava per accadergli» (Mc 10,32). 

21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 

Gli uomini, attraverso la creazione, sono capaci di cogliere le perfezioni invisibili di Dio, quali la sua eterna potenza e divinità (cf Rm 1,19-20), ma che la sua perfezione possa essere manifestata e contemplata in tutta la sua ampiezza, proprio in una morte in croce, questo era qualcosa di impensabile. La profondità ultima dell’amore di Dio sorprende ma anche sconvolge. 

Che il mondo non sia in grado di conoscere Dio in questa sua verità ultima, Paolo lo sperimenta quando osserva come l’annuncio della croce venga perfino deriso. Tuttavia fa parte del disegno sapiente di Dio che molti lo rifiutino: Egli «rinchiude tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Il Signore non si lascia vincere dal rifiuto di molti né dalla loro indifferenza ma escogita nuove vie di salvezza: «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). 

La debolezza della croce riaffiora anche nella debolezza della predicazione. La predicazione è debole perché l’annunciatore non intende imporsi con la forza, né con qualche forma di spettacolarità abbagliante, né con il plagio o altre forme di cattura. Tuttavia Dio è capace di convertire a sé il cuore di molti: «Non oserei dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo» (Rm 15,18-19). 

22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 

I giudei refrattari alla predicazione esigono segni o miracoli che dimostrino la verità dell’annuncio. Dio offre dei segni a coloro che già confidano in lui per rafforzarli nel loro sentimento di fiducia ma non si consegna mai agli increduli ostinati per piegarli (Mt 16,4). I giudei che assistettero alla crocifissione di Gesù esigevano un segno clamoroso: «È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene» (Mt 27,42-43). Gesù non pretendeva di essere privilegiato, salvaguardato o miracolato. Del resto agli uomini che non si aprono a Dio, i miracoli non sono mai sufficienti per condurli alla fede: «Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessuno altro ha mai compiuto, non avrebbere alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio» (Gv 15,24). 

I greci, invece, vogliono contare su dimostrazioni inconfutabili o almeno essere catturati da esibizioni retoriche. Ragionavano sul Divino, avanzando passo per passo, mediante la confutazione di altre opinioni contrastanti. Nulla di negativo di per sé ma questo metodo non vale in relazione al Vangelo. Gli adepti non devono sforzarsi di elevarsi al divino grazie alla loro abilità dialettica, ma disporsi a ricevere la rivelazione gratuita di Dio. Egli ha già deciso, per pura bontà, d’avvicinarsi a loro. 

Il cuore del Vangelo riguarda il Figlio di Dio (Rm 1,3), è una persona vivente non una serie di dottrine. Egli è la Sapienza che si giustifica da sé (Mt 11,19). Il Vangelo non è un insieme di opinioni consolidate, frutto di faticose conquiste, ma un annuncio che risveglia un’ammirazione travolgente verso il Signore Gesù. 

25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Dio Padre senza imporsi con miracoli o con dimostrazioni scientifiche, attrae gli uomini e li riconduce a sé grazie ad una adesione di fede che si attesta più solida di qualsiasi fondazione umana. «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre» (Gv 10,27-29). Ogni cristiano è una Gerusalemme solida e pacifica: «I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa, i suoi paletti non saranno divelti, nessuna delle sue cordicelle sarà strappata» (Is 33,20). 

26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. 27Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. 30Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. 

La vicenda vissuta dalla comunità di Corinto è come una pagina che parla di Dio e della modalità del suo operare. Gesù, aveva già riscontrato che i suoi discepoli erano dei «piccoli» (cf Mt 11,25). Ora la comunità di Corinto, composta per lo più da persone prive di particolari risorse culturali ed economiche, si presenta, a sua volta, come piccola, disistimata dal punto di vista sociale. Dio preferisce i poveri agli occhi del mondo e li rende ricchi per la fede ed eredi del suo Regno (Cf Gc 2,5). «Dei beffardi Egli si fa beffe e agli umili concede la grazia» (Pr 3,34). «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi teme la mia parola» (Is 66,2). «Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia» (Gc 4,6). «A seconda di una diversa disposizione della fede, è vicino o lontano da ognuno di noi; con la sua energia si ferma dove trova una dimora degna di lui. Si allontana invece dall’orgoglioso a motivo della sua indisponibilità» (Ilr 790). 

La «parola della croce», quindi, non si riferisce soltanto al contenuto (cioè all’annuncio della morte di Gesù come mezzo di salvezza); non coinvolge soltanto l’annunciatore (che rivive in sé la passione del Signore quando affronta il ripudio) ma si ripresenta anche nella comunità dei credenti. Il prestigio della comunità dipende dalla condotta di vita santa. Essa deve essere tale da smentire ogni maldicenza: «Nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1 Pt 3,16). Siate irreprensibili e puri «figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo» (Fil 2,15-16). 

27-28 Quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.

«Guardati dal dire nel tuo cuore: “la mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze”. Ricordati invece del Signore, perché egli ti da la forza per acquistare ricchezze» (Dt 8,17-18). «Per grazia siete salvati mediante la fede e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2,8). 

Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.

Dio si è preso cura dei Corinti. Li ha redenti, ossia si è impegnato a riscattarli liberandoli da una pesante situazione di peccato per consentire loro una vita qualificata, come un parente prossimo si prendeva cura di un congiunto caduto in schiavitù. Ha fatto questo per mezzo di Cristo Gesù. Li ha resi santi e giusti. Tutto ciò è dipeso non dalla loro buona volontà ma dalla misericordia di Dio, che ha rivelato in questo modo la sua sapienza. Egli si rivela nella storia degli uomini i quali possono appoggiarsi soltanto su di lui. «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» (Col 1,12-14). 

Capitolo 2

1Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 

Ha parlato della «debolezza» del messaggio e della povertà degli evangelizzati, ora parla soprattutto della sua debolezza di apostolo. 

Nell’intraprendere la missione a Corinto, Paolo si trovava in una condizione di timore e di disagio. Subì un forte contrasto da parte dei giudei che si opponevano a lui con ingiurie (At 18,6) ma venne sorretto da Gesù stesso che gli parlò in una visione: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere perché io sono con te» (At 18,9). 

2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 

L’apostolo annuncia e dona a tutti Gesù e soltanto lui. Più ancora, considera l’annuncio della sua morte come il cuore del Vangelo (cf 1,23), sebbene questo messaggio suoni del tutto sconcertante. Gesù non è prima di tutto o soltanto un maestro ma è colui che ha dato tutto se stesso per gli uomini, attraversando il peggio della situazione umana. Egli ha inaugurato l’unica vera svolta della storia, a motivo della sua obbedienza dolorosa al Padre. Anziché mettere in ombra la passione, l’apostolo, vincendo ogni imbarazzo, la pone in piena evidenza. Nulla infatti manifesta l’amore di Gesù per Dio e per gli uomini come l’aver attraversato la reazione dei malvagi. È questo evento che viene fatto risaltare come l’elemento più paradossale ma, proprio per questo, il più sorprendente ed efficace. Scrive ai Galati: davanti ai vostri occhi rappresentai al vivo Gesù Cristo crocifisso! (cf Gal 3,1). La passione di Gesù ha cambiato la sua vita: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14).

4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Egli non contava sulla sull’abilità retorica o sulla forza persuasiva di dimostrazioni filosofiche ma sulla forza dello Spirito, il solo capace di aprire il cuore (Cf At 16,14). «Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore» (Zc 4,6). «Sono pieno di forza, dello spirito del Signore, di giustizia e di coraggio per annunciare a Giacobbe le sue colpe» (Mi 3,8). Dio, dopo aver ottenuto la loro adesione di fede, sempre grazie alla fede, custodisce i credenti con la sua potenza (v.5) (1 Pt 1,5). 

Il regno di Dio si diffonde grazie all’impegno di chi opera nella fede e nella carità. Il valore rappresentato da altre qualità (come il dono delle lingue e della profezia) non è paragonabile al donare se stessi in spirito di fede e di gratuità, come è rappresentato dall’offerta della vedova povera (Cf Mc 12,41-44). Anzi qualsiasi dono particolare perde ogni consistenza se non viene profuso per fede, in un amore autentico: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un cimbalo che strepita»  (Cf 1 Cor 13,1). 

6Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. 

Paolo si colloca tra i “perfetti della comunità”, ossia tra quelli che si considerno tali ma, al contrario di loro che aderiscono ad una sapienza mondana, egli rivela la sapienza di Dio. I disegni dei potenti, per quanto possano apparire efficaci, sono destinati a svanire nel nulla. Da sempre, invece, Dio ha elaborato un progetto di salvezza sconosciuto a tutti (mistero) che mirava alla nostra glorificazione e proprio questo manifestava in pienezza la sua sapienza. 

8Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 

I dominatori di questo mondo (i diavoli) hanno fatto condannare Gesù. I suoi crocifissori, accecati dal dio di questo mondo, non furono in grado di riconoscere lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo (Cf 2 Cor 4,4). Agirono per ignoranza (At 3,17). Del resto, Paolo stesso erano uno di loro: «Mi è stata usata misericordia perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede» (1 Tm 1,13). 

9Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. 

Al contrario, Dio, per mezzo delle ispirazioni dello Spirito Santo che conosce le sue profondità, rivela i suoi pensieri agli uomini che lo amano (cf Sir 1,10). «Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui» (Is 64,3). Egli desidera la nostra perfezione (Col 1,28), la nostra gloria, vuole che «arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).

10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio.12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. 

Lo Spirito Santo ci guida ad apprezzare, gustare ed amare gli insegnamenti di Gesù e la vita nuova del Vangelo (le cose che Dio ci ha donato). «Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio» (Rm 8,5-8). I Corinti hanno ricevuto l’illuminazione dello Spirito, grazie alla quale possono opporsi al sentire mondano. Spirito mondano è voler dominare piuttosto che restare sottomessi; cercare il plauso anziché la verità; accondiscendere al male anziché respingerlo; darsi ai propri interessi, anziché a quelli del prossimo e, in via più generale, è restare sottomessi alle «opere della carne» (fornicazione, inimicizie, gelosie, dissensi cf. Gal 5,19). 

13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali.

Paolo, sorretto dallo Spirito, vuole insegnare ciò che gli è stato suggerito da lui, una mozione dopo l’altra. Lo Spirito ispira nel momento opportuno ciò che bisogna dire (cf Lc 12,12). «Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» (1 Gv 5,20). 

14Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito.

Spirito del mondo e spirito di Dio sono incompatibili, e perciò la persona mondana non riesce ad apprezzare il Vangelo ma tende piuttosto a disprezzarlo. Mondana non è una persona particolare ma qualsiasi uomo lasciato alle sue forze. Gesù aveva detto a Pietro che se l’aveva dichiarato Figlio di Dio, questo era avvenuto per una rivelazione del Padre (Mt 16,17). Nonostante questa rivelazione, Pietro, nel rifiutare la passione di Gesù, continuava a pensare non secondo Dio ma secondo gli uomini (Mt 16,23). 

15L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. 

L’uomo spirituale sa operare un discernimento sul comportamento da attuare. Giudicare significa discernere in profondità. Se l’uomo che sta seguendo la mozione dello Spirito, viene condannato da un uomo mondano, questa condanna non presenta alcun valore. Infatti chi è privo della prospettiva divina, non può comprendere chi vive secondo Dio. 

«Il re [Davide] è come un angelo di Dio nell’ascoltare il bene e il male… il mio signore ha la saggezza di un angelo di Dio e sa quanto avviene sulla terra» (1 Sam 14,17.20). «Concedi al tuo servo un cuore docile e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3,9). «Avete ricevuto l’unzione del Santo e tutti avete la conoscenza» (1 Gv 2,20). «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). 

16Infatti chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo consigliare? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.

Il pensiero di Dio è troppo elevato rispetto a quello degli uomini: «Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere lo lha istruito?» (Is 40,13). «Chi ha assistito al consiglio del Signore? Chi l’ha visto e udito la sua parola» (Ger 23,18). Noi, tuttavia, siamo venuti a conoscerlo grazie alla persona di Gesù, la quale poi, ci ha resi partecipi del suo modo di pendare e di vivere. Avere il pensiero di Cristo significa saper condividere i suoi sentimenti (cf Fil 2,5). «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Discernere ciò che ci accade alla luce del mistero della croce e della risurrezione e quindi scegliere il volere di Dio nelle vicende della vita in sintonia con quanto fece Gesù. 

Capitolo 3

1Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. 

Gesù, a sua volta, aveva detto ai discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). La Parola del Signore è spirituale ma noi spesso ragioniamo come uomini carnali, cioè chiusi al suo modo di pensare, venduti come schiavi del peccato (cf Rm 7,14). Cio nonostante gli stessi che si mostrano come persone immature, perfino come bambini incapaci di assimilare un cibo robusto, hanno la possibilità di raggiungere la perfezione, «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13). 

2Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, 3perché siete ancora carnali. 

Paolo si comportava verso i suoi interlocutori da evangelizzare al modo di una madre tenera (cf 1 Ts 2,7). Il latte puro e spirituale, in genere, sta a significare il cibo sano, capace di fornire l’alimento necessario nel momento in cui si perviene alla fede (cf 1Pt 2,2) ma in seguito il credente deve saper apprezzare dottrine più impegnative; in pratica diventare una persona sempre più generosa, capace di vincere le tentazioni e superare le prove: «Voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male» (Eb 5,11-14). 

Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana? 4Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? 

Chi agisce per invidia e crea discordia si mostra ancora carnale (uomo lontano dal modo di ragionare di Cristo) e si comporta in modo istintivo, come semplice uomo non ancora illuminato dallo Spirito. Paolo affronta in modo più diretto la divisione che lacera la comunità di Corinto e denuncia il sentimento che l’ha provocata. Tutto dipende dal fatto che alcuni parteggiano per un evangelizzatore contrapponendolo ad un altro. In dettaglio, alcuni sostengono Apollo fino a mettere in discredito Paolo. A monte della preferenza ingiusta tra le persone, rimane un dissenso sul metodo dell’evangelizzazione, sullo stile di vita con il quale attuarla. Alcuni fedeli puntano sull’abilità retorica e la preparazione culturale delle quali aveva fatto sfoggio Apollo. Paolo evangelizza imitando Gesù sofferente e partecipando al suo mistero pasquale. Riferendosi ai suoi avversari, egli dice: «Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte» (2 Cor 11,23). 

5Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. 6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

L’apostolo reagisce ricordando che tutti gli evangelizzatori e i maestri della fede sono soltanto dei semplici collaboratori di Dio (v.9). È il Signore che li ha chiamati, che li ha accompagnati nel loro servizio rendendolo efficace. Senza questo intervento del Signore, non avrebbero né intrapreso né concluso nulla. «Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori» (Sal 127,1). 

I Corinti dovrebbero riconoscere un dato di verità: Paolo ha compiuto la fatica di fondare la comunità, mentre Apollo ha dovuto soltanto inaffiare le pianticelle già piantate. L’apostolo, tuttavia, non mette in risalto questa differenza per portare l’attenzione all’opera di Dio. «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo…, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani. Proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2 Cor 3,3.5). Cristo detta la lettera, Paolo la scrive servendosi dello Spirito come inchiostro. 

10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. 14Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. 15Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. 

Il confronto con Apollo, offre a Paolo l’opportunità di dilungare il discorso sugli evangelizzatori. Era normale nella chiesa che alla fase di fondazione, seguisse quella di completamento dell’opera: «Lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta... Questo noi lo faremo, se Dio lo permette» (Eb 6,1.3). 

Egli sembra  ammonire il suo collaboratore/rivale: “Io ho fondato la comunità e tu, in seguito, hai continuato a costruire. Fai attenzione, però, a quale materiale adoperi. Dopo che ho posto come fondamento Gesù e il suo Vangelo, c’è il rischio che tu aggiunga modi di pensare o di fare che contrastano con il Vangelo. L’edificio deve crescere usando lo stesso materiale e rispettando lo stesso stile. Ho cercato di usare materiale prezioso, ma ora sembra che tu costruisca con legno e paglia, ma sarai esaminato dal Signore. Il giudizio di Dio è paragonabile ad un fuoco. Il fuoco consuma il materiale scadente, mentre rende più puro e luminoso quello prezioso”. 

Il fuoco era una metafora del giudizio usata nel Primo Testamento. Malachia annuncia che, nel giudizio, i malvagi saranno bruciati senza salvare radice né germoglio (Ml 3,19) Paolo, pensa che il giudizio consumi le opere cattive, lasciando intatto l’operatore il quale, però, dovrà conoscere una profonda purificazione (Is 43,2). 

16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

L’edificio che si sta innalzando non è una costruzione qualsiasi, ma un tempio. La comunità è un tempio costituito da persone viventi ed abitato dallo Spirito. Permane sempre il rischio che altri sconvolgano la fede di alcuni ma «le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi, e ancora: Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore» (2 Tm 2,19).

Il fondamento o la pietra angolare è Gesù Cristo: «Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,20- 22). «Lo Spirito di verità rimane presso di voi e sarà in voi» (Gv 14,17). 

Dio farà tutto il possibile per salvaguardare la sua casa. «Avvertite gli Israeliti di ciò che potrebbe renderli impuri, perché non muoiano per la loro impurità, qualora rendessero impura la mia Dimora che è in mezzo a loro» (Lv 15,31). «Poiché tu hai profanato il mio santuario con tutte le tue nefandezze, anche io raderò tutto» (Ez 5,11). 

18Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, 19perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. 

Le qualità ammirate dagli uomini, per le quali una persona viene considerata sapiente da loro, ossia una persona riuscita, sono disprezzate dal Signore. Perciò, la «sapienza» di questo mondo, s’intende quella che nasce dall’egoismo per poi consolidarlo, è stoltezza davanti a Dio. Al contrario, Egli onora quelle virtù che vengono in via normale svalutate dall’uomo, dall’uomo «carnale» che non è in sintonia con lui.

20E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. 21Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: 22Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! 23Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Nel futuro la falsa sapienza mostrerà tutta la sua inconsistenza. «Egli esalta gli umilia e solleva a prosperità gli afflitti; è lui che rende vani i pensieri degli scaltri, perché le loro mani non abbiano successo. Egli sorprende i saccenti nella loro astuzia e fa crollare il progetto degli scaltri. Di giorno incappano nel buio, in pieno sole brancolano come di notte. Egli invece salva il povero dalla spada della loro bocca e dalla mano del violento» (Gb 5,11-15)

Non voi siete di Paolo o di Apollo! Non mettetevi al loro servizio come se dovreste dipendere da loro, ma sono loro che devono porsi a vostro servizio. «Non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5). 

Non soltanto questi ministri ma tutto ciò che esiste, il mondo, la vita e perfino la morte viene dato ai credenti come dono. Dio «che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,34). «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Essi possiedono ogni cosa perché tutto concorre al loro vantaggio; la morte e il tempo non sono più forze ostili ma beni messi a disposizione perché Cristo ha reso possibile questa trasformazione. 

Voi siete di Cristo: «Nessuno di noi, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14, 7-9). «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,19). Cristo è di Dio: «Una voce dalla nube diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). 

Capitolo 4

1Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. 

Paolo esalta e circoscrive il ruolo dei ministri della Chiesa. Cristo agisce nella persona dei suoi inviati ma essi rimangono soltanto servi e amministratori. Non sono né i protagonisti nell’evangelizzazione, né i padroni della comunità. I fedeli non devono aggrapparsi in modo eccessivo a nessun ministro ma piuttosto onorare Cristo che agisce in loro. 

Cristo impose a Paolo: «Ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò … perché (le nazioni) si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio» (At 26,15-18). «Il vescovo, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile» (Tt 1,7). 

Il fedele che non ha il ruolo della presidenza della comunità, riceve in ogni caso dei doni da distribuire ai fratelli: «Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio» (1 Pt 4,10-11). 

L’impegno primario di ogni ministro sta nella fedeltà al suo compito. Questa è l’unica qualità sulla quale può essere valutato. «Un inviato fedele porta salute» (Pr 13,17). «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni» (Mt 24,45-47). 

3A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, 4perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 

L’apostolo è rimasto addolorato del mancato riconoscimento da parte della comunità ma sa che il valore del suo ministero non dipende dal giudizio degli uomini ma da quello del Signore. L’uomo vale soltanto secondo la valutazione attribuitagli da Dio. Di conseguenza, non vale neppure la valutazione con l’apostolo potrebbe onorarsi perché anche questa valutazione apparterebbe sempre alle stime umane. Soltanto il Signore che conosce in modo totale il cuore di ognuno è in grado di stabilire il valore di ogni persona. «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). «Le inavvertenze, chi le discerne? Assolvimi dai peccati nascosti» (Sal 19,13). «Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto» (Sal 143,2). 

5Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6,37). Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. «Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male» (2 Cor 5,10). 

6Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto, perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. 

Sta per concludere il suo insegnamento riguardante la contrapposizione tra gli evangelizzatori operata dai fedeli. Essi vogliono vantarsi d’appartenere ad uno rispetto all’altro ma in questo modo, oltre a inorgoglirsi in modo improprio, collocano l’evangelizzatore preferito in contrapposizione a quello meno valorizzato. Da questo sentimento, nasce la divisione. Ragionando in questi termini, essi avrebbero dovuto privilegiare Paolo che non è stato soltanto il loro maestro ma il loro padre, il fondatore. 

7Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?

I fedeli non devono pensare di essere stati ingegnosi o particolarmente meritevoli nell’aver goduto del servizio d’un ministro al posto d’un altro perché l’istruzione offerta da ognuno di loro è stato un dono di Dio del tutto gratuito ed immeritato. Il ragionamento di Paolo vale per qualsiasi altro bene e per qualsiasi altra qualità di cui un cristiano è dotato. «Da te provengono [o Signore] la ricchezza e la gloria, con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere. Ed ora, nostro Dio, noi ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso. E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. Signore, nostro Dio, quanto noi abbiamo preparato per costruire una casa al tuo santo nome proviene da te ed è tutto tuo» (1 Cr 29,12-16). I malvagi, invece, «confidano nella loro forza, si vantano della loro grande ricchezza» (Sal 49,7). 

8Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. 

L’apostolo si serve dell’ironia come mezzo pedagogico. I cristiani di Corinto che hanno ricevuto molti doni carismatici, rischiano di sentirsi superiori a tutti. In realtà, si tratta di una falsa percezione di sé. Si sentono come dei regnanti, cioè uomini potenti dal punto di vista spirituale. Nonostante la persuasione di alcuni, il regno di Dio non si è ancora realizzato in pienezza. Magari ciò fosse avvenuto perché allora anche lui potrebbe beneficiarne. In realtà, egli non gode affatto di una vita privilegiata, tipica dei potenti, ma sperimenta una vita da persone umile e disprezzata, simile a quella vissuta da Gesù. È questa la via normale, per ora, per ogni cristiano. Lo stato di gloria verrà donato in seguito. «Se perseveriamo, con lui (Cristo) anche regneremo» (2 Tm 2,12). «Tu (Chiesa di Laodicea) dici: Sono ricco, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile. Ti consiglio di comperare da me oro…» (Ap 3,17). 

9Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini.10Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 11Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, 12ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. 

La vita di un apostolo, a differenza di quanto pretendono i Corinti, non è soltanto una esperienza di luce, di beatitudine e di gloria ma è un’imitazione dell’esistenza sofferente di Cristo. Senza poter godere di particolari privilegi, i ministri di Cristo si trovano all’ultimo posto della scala sociale e mostrano i loro travagli agli occhi di tutti, come all’epoca accadeva ai gladiatori. Espone in dettaglio le sofferenze fisiche patite ma soprattutto attribuisce grande importanza agli atteggiamenti interiori con cui le ha affrontate rispondendo bene per male. 

Tribolazioni e persecuzioni non impediscono il Signore Gesù a raggiungere il suo ministro con la sua amorevole assistenza (cf Rm 8,35). All’interno stesso del suo travaglio più oneroso, egli scopre l’aiuto e il sollievo: «Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi» (2 Cor 4,8-9). Paolo considera un dono elargito ai suoi fedeli se anche loro partecipassero a queste sofferenze: «A voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma abche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora» (Fil 1,29-30). 

14Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 15Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. 16Vi prego, dunque: diventate miei imitatori! 17Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa. 

Non vuole umiliare ma ammonire: «C’è una vergogna che porta al peccato e c’è una vergogna che porta gloria e grazia» (Sir 4,21). «Se tu avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato» (Ez 3,21). I fedeli dovrebbero dare importanza allo stile di vita presentato dall’apostolo e cercare di imitarlo. È stato loro padre e i figli imitano il comportamento positivo del genitore. Così si è comportato il discepolo Timoteo: «Tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze. Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore!» (2 Tm 3,10-11 Cf Eb 10,33). 

18Come se io non dovessi venire da voi, alcuni hanno preso a gonfiarsi d’orgoglio. 19Ma da voi verrò presto, se piacerà al Signore, e mi renderò conto non già delle parole di quelli che sono gonfi di orgoglio, ma di ciò che veramente sanno fare. 20Il regno di Dio infatti non consiste in parole, ma in potenza. 21Che cosa volete? Debbo venire da voi con il bastone, o con amore e con dolcezza d’animo?

Alcuni membri della comunità avevano congetturato che Paolo non sarebbe più andato a Corinto e deliberarono di soppiantarlo nella sua autorità e soprattutto di stravolgere il suo insegnamento, per loro troppo impegnativo. In realtà egli assicura che andrà da loro quanto prima ed esaminerà la vita che conducono, verificherà le loro opere perché il Regno di Dio consiste in opere non in semplici dichiarazioni d’intenti. «Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). 

Dall’atteggiamento e dal comportamento dei suoi oppositori, poi, dipende se egli dovrà essere più severo che misericordioso. «Vi supplico di non costringermi, quando sarò tra voi, ad agire con quell’energia che ritengo di dover adoperare contro alcuni, i quali pensano che noi ci comportiamo secondo criteri umani. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni arroganza che si leva contro la conoscenza di Dio, e sottomettendo ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza. Se qualcuno ha in se stesso la persuasione di appartenere a Cristo, si ricordi che, se lui è di Cristo, lo siamo anche noi. In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò da vergognarmene» (2 Cor 10,2-8). 

Un caso di dissolutezza

Capitolo 5

1Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. 

Un membro della comunità aveva cominciato a convivere con la matrigna, un fatto che era considerato gravemente immorale anche da parte dei pagani. La comunità, anziché esprime una disapprovazione pubblica, in un sentimento comune di dolore per il peccato, era rimasta indifferente, approvando di fatto l’accaduto. 

«Non scoprirai la nudità di una moglie di tuo padre; è la nudità di tuo padre» (Lv 18,8-9). «Eli disse loro: «Perché fate tali cose? Io infatti sento che tutto il popolo parla delle vostre azioni cattive! No, figli, non è bene ciò che io odo di voi, che cioè sviate il popolo del Signore» (1 Sm 2,23-24). «Se la sentinella vede giungere la spada e non suona il corno e il popolo non è avvertito e la spada giunge e porta via qualcuno, questi sarà portato via per la sua iniquità, ma della sua morte domanderò conto alla sentinella. O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 33,6-7). «Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi» (Ef 5,3).

2E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di  mezzo a voi colui che ha compiuto un’azione simile!

«Se vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. Ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte nostra; perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» (2 Cor 7,8-10). «Ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabele, la donna che si dichiara profetessa e seduce i miei servi, insegnando a darsi alla prostituzione e a mangiare carni immolate agli idoli. Io le ho dato tempo per convertirsi, ma lei non vuole convertirsi dalla sua prostituzione. Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si convertiranno dalle opere che ha loro insegnato» (Ap 2,20-22). 

3Ebbene, io, assente con il corpo ma  presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale  azione. 4Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme  alla potenza del Signore nostro Gesù, 5questo individuo venga consegnato a Satana a  rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore. 

Paolo espelle questo peccatore dalla comunità, agendo con l’autorità di Cristo Risorto, durante un’assemblea ecclesiale (di culto). Al suo interno sono presenti fisicamente soltanto i membri della comunità ma, in modo invisibile, è presente Cristo Risorto e Paolo che agisce in suo nome. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Lo scopo ultimo di questa espulsione sta nel convincere il peccatore a ravvedersi prima del giudizio. «Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello» (2 Ts 3,14). Combatti «la buona battaglia, conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede; tra questi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana, perché imparino a non bestemmiare» (1 Tm 1,20). Consegnare a Satana: Il demonio era considerato responsabile di ogni male. Dio permise a Satana di provare Giobbe con ogni tipo di tormento a patto di conservargli la vita. Lo scopo del provvedimento è la conversione: «è volontà del Padre vostro che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18,14). 

6Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta  la pasta? 7Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi 

In seguito alla morte e risurrezione del Signore, i battezzati possono e devono essere puri, liberi da ogni peccato, ad imitazione degli Ebrei che, a Pasqua, magiavano soltanto pane azzimo: «Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievitato, quella persona, sia forestiera sia nativa della terra, sarà eliminata dalla comunità d'Israele. Non mangerete nulla di lievitato; in tutte le vostre abitazioni mangerete azzimi» (Es 12,19-20). «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia» (Lc 12,1). 

«Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità? Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta. Io sono fiducioso per voi, nel Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi turba subirà la condanna, chiunque egli sia» (Gal 5,7-9). La Pasqua di Gesù inaugura la nuova creazione e la pratica di vita come culto.

E  infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 8Celebriamo dunque la festa non con il  lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di  verità.

«Foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1 Pt 1,18). «“Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca…” Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù» (At 8,32.35). «Si prostrarono davanti all'Agnello, e cantavano un canto nuovo: «Tu sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra» (Ap 5,8-10)

9Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con chi vive nell’immoralità. 10Non mi  riferivo però agli immorali di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri: altrimenti  dovreste uscire dal mondo! 11Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è  immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro: con questi tali non dovete  neanche mangiare insieme. 12Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di  dentro che voi giudicate? 13Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo  a voi! 

L’apostolo è tutto intento a formare una comunità santa all’interno di questo mondo che rimane contrassegnato dall’iniquità. «Vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l'insegnamento che vi è stato trasmesso da noi» (2 Ts 3,6). «Vi raccomando, fratelli, di guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro l'insegnamento che avete appreso: tenetevi lontani da loro. Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici» (Rm 16,17-18). «Le armi della nostra battaglia hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni arroganza che si leva contro la conoscenza di Dio, e sottomettendo ogni intelligenza all'obbedienza di Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta» (2 Cor 10,3-6). «Sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio» (Ef 5,5).

Contese e dissolutezza

Capitolo 6

1Quando uno di voi è in lite con un altro, osa forse appellarsi al giudizio degli  ingiusti anziché dei santi? 

Disapprova la consuetudine dei cristiani di ricorrere ai tribunali civili per dirimere le contese. Le comunità giudaiche avevano i propri tribunali e vietavano l’appello alla magistratura civile. Rimprovera il paradosso della loro condotta: come possono accettare che coloro che Dio ha chiamato alla sua amicizia, che ha giustificato per grazia, farsi giudicare da “ingiusti”, ossia da persone che non conoscono il messaggio del perdono? 

2Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a  giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza? 3Non sapete che  giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita!

A sostegno della sua disapprovazione, ricorre a due argomenti noti alla comunità: Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Avendo preso su di sé la nostra condanna, Cristo giudicherà le genti e i cristiani accompagneranno Cristo nel giudicare gli uomini e gli angeli decaduti. «Dio li saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro» (Sap 3,6-8). «Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono» (Ap 3,21). «Siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Lc 22,30). «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio» (2 Pt 2,4). 

Si deduce allora che i cristiani sono degni a maggior ragione di giudicare i casi di vita ordinaria e non c'è spazio per gli ingiusti nelle vertenze alla comunità. Possibile che non vi sia un saggio capace di arbitrare? 

4Se dunque siete in lite per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente che  non ha autorità nella Chiesa? 5Lo dico per vostra vergogna! Sicché non vi sarebbe nessuna  persona saggia tra voi, che possa fare da arbitro tra fratello e fratello? 6Anzi, un fratello  viene chiamato in giudizio dal fratello, e per di più davanti a non credenti!

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano» (Mt 18,15-17).

7È già per voi  una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi  piuttosto privare di ciò che vi appartiene?

«Non dire: “renderò male per male”; confida nel Signore ed egli ti libererà» (Pro 20,22). «Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello» (Mt 5,39-40). «Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina» (Rm 12,17-19). 

8Siete voi invece che commettete ingiustizie e rubate, e questo con i fratelli! 9Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? 

«Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo. Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo» (Lv 19,11-13). «Guai a coloro che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro giacigli;  alla luce dell'alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità» (Mi 2,1-2). 

Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, 10né ladri,  né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. 

«Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio» (Gal 5,19-21). 

11E tali  eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel  nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. 

«Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: “Siate pronti per il terzo giorno”» (Es 19,14). «Eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,1-5). «Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, odiosi e odiandoci a vicenda» (Tt 3,3). 

12«Tutto mi è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi  lascerò dominare da nulla. 13«I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!». Dio però  distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è  per il corpo. 14Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. 

Paolo riprende uno slogan usato da alcuni cristiani per giustificare la loro condotta. Evita di contrastare i suoi oppositori in modo diretto e quindi non contesta il principio in sé, ma lo relativizza: non tutto ciò che è lecito è anche utile, vantaggioso, benefico. Inoltre, aggiunge un criterio ancora più decisivo: non lasciarsi dominare da nulla. La vera libertà cristiana non è licenza assoluta, ma è libertà dal dominio del peccato, delle passioni e degli istinti. 

Alcuni coltivavano l’idea che il cibo e il sesso fossero qualcosa di esclusivamente fisico, irrilevante per la realtà della persona. Il cristianesimo non considera il corpo come qualcosa di avulso dalla vita umana autentica, né come un semplice contenitore o strumento. Il corpo è dato per stabilire relazioni umane profonde e ciò esclude la fornicazione (porneía). Anzi, il corpo è per il Signore, ed Egli si prende cura di esso, tanto da essersi incarnato e da aver inaugurato la risurrezione dei corpi. 

15Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra  di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! 16Non sapete che chi si unisce  alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due – è detto – diventeranno una sola carne.  17Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 18State lontani dall’impurità!  Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca  contro il proprio corpo. 19Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è  in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. 20Infatti siete stati  comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

Per contrastare la prostituzione, non ricorre ad argomenti etici ma teologici. L’unione fisica coinvolge tutta la persona, non è soltanto una unione occasionale dei corpi, ma è l’atto con cui si realizza un’unità vera tra gli amanti, a prescindere dalla loro intenzione. 

Paolo elabora tre temi teologici: 1. Il cristiano, che è una cosa sola con il Signore, ed è membro del corpo di Cristo, non può dissolvere questa unità già raggiunta per realizzare altre forme d’unità. «Come Tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21). 

Il cristiano deve fuggire l’impurità per rispetto verso la sua persona umana integrale, spirito e corpo, unificati in modo profondo: 

«La riflessione ti custodirà per salvarti dalla via del male, per salvarti dalla donna straniera, dalla sconosciuta che ha parole seducenti, che abbandona il compagno della sua giovinezza e dimentica l'alleanza con il suo Dio» (Pr 2,11.16-17). «Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia» (Rm 6,12-13). «Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall'impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito» (1 Ts 4,3-6).

2. La persona umana nella sua interezza è abitata dallo Spirito Santo, come fosse un vero tempio, ed è consacrata a lui. Non dispone di se stesso ma è a servizio di Colui che ha ospitato. «Voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito abita in voi» (Rm 8,9). 

3. Cristo per farci appartenere al suo Spirito ha sofferto la passione di croce ed ora i cristiani devono manifestare la gloria di Dio in tutta la loro esistenza concreta. «Sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1 Pt 1,18-19). «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,15). «Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,7-8). 

Capitolo 7

Matrimonio e virginità

1Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna, 2ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. 3Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. 

I Corinti avevano chiesto a Paolo come dovevamo regolarsi nei confronti del matrimonio. Nella comunità si contrapponevano atteggiamenti rigoristi e sentimenti libertari. La dichiarazione - è cosa buona per l’uomo non toccare donna, cioè evitare il rapporto sessuale – era quanto veniva affermato dai rigoristi. In ogni caso, questa proibizione non corrisponde al modo di pensare dell’apostolo il quale, pur privegiando la verginità, non disprezzava né proibiva il matrimonio. Piuttosto qui è preoccupato che un’ascesi troppo rigorosa, offuschi la serenità della persona. È opportuno attuare un’astinenza concordata (v.5), ma è doveroso aver rispetto delle aspirazioni del coniuge. Marito e moglie hanno la responsabilità di sostenersi a vicenda. 

4La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. 

Anche il marito appartiene alla moglie, non soltanto, la donna appartiene all’uomo, come si pensava nella mentalità patriarcale; qui introduce una novità nel pensiero antico. Questo significa che entrambi hanno pari dignità e responsabilità nel donarsi reciprocamente. Il corpo del coniuge non è un possesso ma un dono da richiedere. Tuttavia, l’intimità sessuale è uno scambio normale, esigito dalla comunione affettiva della coppia. Non è, quindi, un atto soltanto tollerato ma una componente positiva, ordinata in vista della comunione e della fedeltà. La spiritualità cristiana assume le esigenze molto concrete dell’affettività e della corporeità. È paritaria e relazionale. 

5Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra incontinenza. 6Questo lo dico per condiscendenza, non per comando.

Dal momento che l’intimità non è soltanto lecita ma anche auspicabile, l’astensione prolungata può diventare dannosa per la salvaguardia della relazione. I coniugi possono decidere di astenersi ma tale decisione deve essere consensuale, non imposta da uno solo; limitata nel tempo e attuata per realizzare un vantaggio spirituale reale. Paolo, molto realistico, è attento alle difficoltà concrete della persona. Un’astensione vissuta per costrizione può indurre a compiere azioni sbagliate (come il ricorso all’adulterio, alla prostituzione). 

v. 6 Paolo parla per “condiscendenza” (katà syngnomen), non per dare ordini. Il termine fu tradotto in modo errato come “perdono”. Si pensò che l’apostolo concedesse un perdono facile ad un atto considerato, di per sé, come un peccato veniale. L’atto sessuale venne compreso, perciò, come colpa leggera, permesso soltanto in vista della procreazione, non come espressione normale dell’affettività. 

7Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro. 8Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; 9ma se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare. 

Il Risorto, tramite lo Spirito, dona a tutti un carisma particolare: chi vive la verginità, chi vive il matrimonio. Paolo preferisce la verginità come sua esperienza personale ma, ora, non ne spiega il motivo. Il suggerimento “meglio sposarsi che ardere” non è introdotto per dare un fondamento al matrimonio cristiano. Se fosse così, questo modo di pensare sarebbe in contrasto con quanto detto in precedenza, dove il matrimonio era considerato come la modalità normale per realizzare la carità. Paolo, con questo discorso, vuole piuttosto persuadere i rigoristi. Si può parafrasare così il consiglio dell’apostolo: Non bisogna costringere nessun all’astinenza perché questo rigore potrebbe diventare deleterio per l’equilibrio della persona. È meglio che un credente viva con serenità la sessualità piuttosto che, proponendosi un ideale astratto e troppo impegnativo, finisca per compiere azioni improprie. 

10Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – 11e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie. 

Paolo ripropone il messaggio di Gesù. Di solito è più interessato alla presenza e ai suggerimenti nello spitito del Risorto ma non dimentica affatto le parole del Maestro. 

Con l’impegno matrimoniale, Gesù chiede al coniuge di non abbandonare l’altro. Nel caso la convivenza sia impossibile, permette la separazione ma non l’abbandono totale. 

12Agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha la moglie non credente e questa acconsente a rimanere con lui, non la ripudi; 13e una donna che abbia il marito non credente, se questi acconsente a rimanere con lei, non lo ripudi. 14Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ora invece sono santi. 15Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace! 16E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?

Paolo distingue tra l’insegnamento esplicito di Gesù e la sua visione personale. L’ispirazione evangelica può espandersi anche là dove non c’è un supporto letterale esplicito. È un modo di pensare e di essere piuttosto che una mera aderenza ad una norma. 

A suo parere, il matrimonio ha un grande valore già di per se stesso, anche quando non è vissuto come sacramento della fede, cioè «nel Signore». Di conseguenza il matrimonio tra un cristiano e una donna non-credente (e viceversa) non deve essere annullato come fosse una cosa da nulla. Un coniuge credente santifica l’altro e i figli; in altre parole ha l’opportunità di condurlo alla fede i familiari e quindi, di favorire la loro santificazione. Nel cristianesimo antico erano possibili i matrimoni misti, tra persone di orientamento religioso diverso. Questo non era consentito nell’ebraismo a causa delle norme di purità legale. Per un cristiano, un pagano non era impuro ma un semplice peccatore. 

Nel caso, però, che la disparità di valori culturali di riferimento tra un pagano e un credente, sia troppo profonda e susciti contrapposizioni insanabili, il coniuge pagano può separarsi. Il coniuge credente non deve opporsi nella speranza di riuscire a convertire l’altro perché la conversione non è mai un esito sicuro, programmabile da parte di qualche volonteroso. Nel caso che, in seguito, decida di sposare un altro, deve risposarsi nel Signore (v.39). Questo significa che si fa aiutare da Cristo stesso a vivere da coniugato/a i beni del Vangelo. 

17Fuori di questi casi, ciascuno – come il Signore gli ha assegnato – continui a vivere come era quando Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le Chiese. 18Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era circonciso? Non si faccia circoncidere! 19La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. 

L’apostolo chiede ai suoi fedeli di rinunciare a cercare di cambiare il loro stato di vita. È un pricipio generale al quale darà una spiegazione più avanti. Intanto lo applica al caso dei battezzati che provenivano dal paganesimo. I giudeo-cristiani, opponendosi alla decisione della Chiesa e di Paolo, obbligavano i pagani convertiti al Vangelo a sottoporsi al rito della circoncisione e a diventare ebrei altrimenti non avrebbero potuto far parte del popolo di Dio. Secondo l’insegnamento dell’apostolo, l’ebreo battezzato non deve vergognarsi della sua provenienza e il pagano non deve cercare, al contrario, di farsi circoncidere e diventare ebreo, considerando questo passaggio una tappa indispensabile per poter diventare un vero cristiano. I pagani vengono a far parte del nuovo popolo di Dio grazie alla fede in Gesù e all’inserimento in lui. Non devono, come primo passo, aggregarsi all’antico popolo di Dio facendosi circoncidere, perché ormai sono giunti i tempi messianici, ossia i tempi della nuova creazione. In essa la circoncisione fisica non è più richiesta ma soltanto quella del cuore. 

20Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. 21Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! 22Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. 23Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! 24Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.

Riprende il suggerimento di evitare a cambiare lo stato di vita. La liberazione dalla schiavitù non era perseguita come bene assoluto perché si pensava che fosse imminente la venuta del Regno di Dio, grazie al quale sarebbero cessate, in modo automatico, tuttte le discriminazioni, tra le quali anche quella tra schiavi e liberi.

Un battezzato, anche se si trova svantaggiato dal punto di vista sociale, com’era la situazione di uno schiavo, dal momento che è diventato partecipe di Cristo ha acquisito una nuova grande dignità e può traformare in bene le circostanze ingiuste o dolorose a cui è sottoposto. Altrove l’apostolo invita un padrone cristiano ad affrancare il suo schiavo divenuto anch’esso credente. In via normale gli schiavi cristiani non godevano di questo vantaggio e rimanevano tali. Ogni condizione sociale, anche la più gravosa, non è un impedimento per praticare il Vangelo, anzi il credente può gloriarsi perfino delle tribolazioni. Forse questo è il significato dell’invito ad approfittare della propria condizione. Il vantaggio massimo per un cristiano consiste nell’imparare a vivere nell’amore e questo può essere facilitato dall’accogliere e dal rendere volontaria una condizione imposta. Gesù insegnò, con il suo esempio, a rendere volontaria perfino la vicenda della sua passione. 

25Riguardo alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. 26Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com’è. 27Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele. 29Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; 30quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

Riprende il consiglio (non il comando), di evitare un cambiamento di stato di vita, applicandolo questa volta al cristiano coniugato e a quello vergine, entrambi dovrebbero restare tali. Per ora, l’apostolo non sembra suggerire in modo esplicito una preferenza per la scelta verginale rispetto a quella matrimoniale. Piuttosto, qui, espone con chiarezza il motivo per il quale preferisce che ognuno rimanga nella propria condizione. Il cristiano, infatti, crede che, a partire dalla risurrezione di Cristo, sia cominciata la nuova era promessa da Dio. Questa novità non ha ancora travolto le strutture di questo mondo di peccato ma può già essere sperimentata all’interno della comunità cristiana poiché in essa ogni membro è rivestito di Cristo: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26). Rispetto alla nuova dignità acquisita, tutti i vantaggi della vita propri di questo mondo transente, sono poca cosa. Il vecchio mondo, caratterizzato dal peccato, sta passando. Paolo non azzarda scadenze precise, ma è certo che Gesù, con la sua missione, ha rovesciato il vecchio mondo. «La prospettiva è quella di chi vive nella precarietà o in una situazione di emergenza (cfr. anche 1 Gv 2,17: «il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno»). È come se tutto si fosse relativizzato» (Penna 113). 

Che significa che gli sposati «avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele»? Certamente non approva chi rifiuta il matrimonio per non prendersi responsabilità fastidiose. Paolo celibe non fuggì di certo le tribolazioni né si astenne dal combattimento. Tutta la sua vita da evangelizzatore fu una tribolazione. Egli è convinto che ci sia una battaglia in corso tra Satana, che ha già perso, e il Cristo vincitore che deve soltanto raccogliere i frutti della sua vittoria. Nel paragrafo succesivo chiarisce il significato delle tribolazioni da evitare preferibilmente ed espone la motivazione per la quale al battezzato converrebbe scegliere la verginità. Siamo ancora nell’ambito dei consigli, non dei comandi.

32Io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; 33chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, 34e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. 35Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni. 

La persona sposata, a suo parere, facilmente si trova divisa (memeristai). Una parte collabora con il suo compito di evangelizzatore e con un’altra parte di sé si prende cura in modo preferenziale della famiglia. Non si divide tra un bene e male ma tra un bene ed un altro bene. Paolo aveva tra i collaboratori delle coppie sposate (senza figli?). Non pensava affatto, quindi, che lo stato di coniugato fosse incompatibile con il compito missionario. Tuttavia rileva come il missionario sposato deve sobbarcarsi due generi di preoccupazioni: quello del servizio delle chiese e quello del servizio alla famiglia. Non vuole abbandonare né l’uno né l’altro. È possibile paragonarlo ad un soldato che porta due zaini. Non rischia di pretendere troppo da sé? 

Pio XII osserva: «Si deve tuttavia notare che l'apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l'amore del coniuge e l'amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine… Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell'ammirabile predicatore dell'evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de' Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile “madre degli emigranti”, se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli?» (Sacra Virginitas,1). 

Qui si parla della convenienza preminente della scelta verginale, non della superiorità morale di una persona rispetto all’altra. Sul piano di fatto, la persona più grande è quella chi vive un amore più grande, vergine o coniugato che sia. 

36Se però qualcuno ritiene di non comportarsi in modo conveniente verso la sua vergine, qualora essa abbia passato il fiore dell’età – e conviene che accada così – faccia ciò che vuole: non pecca; si sposino pure! 37Chi invece è fermamente deciso in cuor suo – pur non avendo nessuna necessità, ma essendo arbitro della propria volontà – chi, dunque, ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. 38In conclusione, colui che dà in sposa la sua vergine fa bene, e chi non la dà in sposa fa meglio. 39La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore. 40Ma se rimane così com’è, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio. 

Paolo, andando contro i rigoristi,  consente il matrimonio ma suggerisce di scegliere la verginità. Tenta la via della provocazione, per imprimere quasi una scossa a quella comunità cristiana intorpidita. In un mondo che si trascinava stancamente secondo i canoni sociali dominanti suggerisce la verginità come segno di libertà e di donazione radicale e assoluta. Non è l’esaltazione di una mera situazione fisiologica, bensì di un atteggiamento interiore profondo. È il dedicarsi in modo pieno e totale al Regno di Dio e all’amore del prossimo. In un certo senso, anche il matrimonio cristiano dovrebbe avere al suo interno un germe di verginità e non tanto per un’eventuale astinenza sessuale, quanto piuttosto come desiderio di donazione pura e assoluta anche fuori della propria famiglia, in una dedizione libera e gioiosa per un orizzonte più vasto. Altrimenti la stessa esistenza familiare si raggrinzisce in se stessa; le preoccupazioni, come scrive Paolo, assorbono ogni anelito interiore. Si noti, infatti, la reiterazione che l’Apostolo fa del termine “preoccuparsi” (in greco merimnan), proprio come aveva fatto Gesù nel Discorso della montagna, ove in un brano (Matteo 6,25-34) aveva per ben sei volte usato lo stesso verbo per combattere l’“affannarsi” frenetico attorno alle cose e agli interessi esteriori. Il risultato di un simile stile di vita è suggestivamente descritto da san Paolo con un solo verbo: ci si trova “divisi”, cioè tesi tra l’ideale alto con le sue aspirazioni e i suoi grandi valori e il piccolo cabotaggio senza respiro spirituale. Ecco, allora, il senso profondo della “verginità”. La vera vergine cristiana non è, come scriveva il poeta inglese secentesco John Milton, «colei che va tutta vestita d’acciaio», fredda e distaccata, ma è la persona celibe o coniugata che non è rinchiusa nel suo piccolo orizzonte familiare o sociale, ma allarga il suo cuore e la sua azione a tutto il prossimo e agli appelli forti e radicali del suo Dio.

Esercizio della libertà cristiana

Capitoli 8-11

Premessa: la libertà nella Sacra Scrittura

Nell’antichità, la società si divideva in liberi e schiavi: Il Levitico proibiva che un fratello israelita divenisse schiavo d’un altro: «Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Essi sono infatti miei servi, che io ho fatto uscire dalla terra d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi. Non lo tratterai con durezza, ma temerai il tuo Dio. …Quanto allo schiavo e alla schiava che avrai in proprietà, potrete prenderli dalle nazioni che vi circondano. Potrete anche comprarne tra i figli degli stranieri stabiliti presso di voi e tra le loro famiglie che sono presso di voi. Li potrete lasciare in eredità ai vostri figli dopo di voi, come loro proprietà; vi potrete servire sempre di loro come di schiavi. Ma quanto ai vostri fratelli, gli Israeliti, nessuno dòmini sull’altro con durezza» (Lv 25, 39-46). 

Nel Nuovo Testamento il Signore ha affrancato tutti gli uomini e tutti sono stati resi di uguale dignità, partecipi dello Spirito: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1 Cor 12,13).

Dio si è rivelato liberando il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto: «Di’ agli Israeliti: “Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai lavori forzati degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscatterò con braccio teso. Vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio. Saprete che io sono il Signore, il vostro Dio, che vi sottrae ai lavori forzati degli Egiziani» (Es 6,6). «Ietro [suocero di Mosè] si rallegrò di tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele, quando lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani. Disse Ietro: «Benedetto il Signore, che vi ha liberato dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha liberato questo popolo dalla mano dell’Egitto!» (Es 18,9-10). 

Libera il popolo affinché possa servirlo: «Perciò va’! Io ti [Mosè] mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”. Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte”» (Es 3,7-12). 

Secondo la promessa dei profeti, lo libera dai nemici (2), dalla paura (3), da ogni male (4), dal peccato (5) e dalla morte (6). 

Secondo la promessa ai profeti: «Tu non temere, Giacobbe, mio servo– oracolo del Signore –, non abbatterti, Israele, perché io libererò te dalla terra lontana, la tua discendenza dalla terra del suo esilio. Giacobbe ritornerà e avrà riposo, vivrà tranquillo e nessuno lo molesterà, perché io sono con te per salvarti» (Ger 30,10-11). 

2. dai nemici: «Se è proprio di tutto cuore che voi tornate al Signore, eliminate da voi tutti gli dèi stranieri; indirizzate il vostro cuore al Signore e servite lui, lui solo, ed egli vi libererà dalla mano dei Filistei» (1 Sam 7,3). «Coraggio, figli miei, gridate a Dio, ed egli vi libererà dall’oppressione e dalle mani dei nemici. Una grande gioia mi è venuta dal Santo, per la misericordia che presto vi giungerà» (Bar 4,21.22).

Ciò che il Signore compie per tutto il popolo, lo compie anche per le singole persone: «Mi assalivano da ogni parte e nessuno mi aiutava; mi rivolsi al soccorso degli uomini, e non c’era. Allora mi ricordai della tua misericordia, Signore, e dei tuoi benefici da sempre, perché tu liberi quelli che sperano in te e li salvi dalla mano dei nemici» (Sir 51,8). Nemici del profeta possono essere gli Israeliti stessi: «Di fronte a questo popolo io ti renderò come un muro durissimo di bronzo; combatteranno contro di te, ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti» (Ger 15,20). 

3. dalla paura: «Invocami nel giorno dell’angoscia. Ti libererò e tu mi darai gloria» (Sal 50,15). «Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso» (Sal 91,14). 

4. da ogni male: «Non dire: “Renderò male per male”; confida nel Signore ed egli ti libererà» (Pr 20,22). «Infatti chi si volgeva a guardarlo (il Serpente di bronzo) era salvato non per mezzo dell’oggetto che vedeva, ma da te, salvatore di tutti. Anche in tal modo hai persuaso i nostri nemici che sei tu colui che libera da ogni male» (Sap 16,7-8). 

5. dal peccato: «[La Sapienza] non abbandonò il giusto venduto, ma lo liberò dal peccato. Scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene» (Sap 10,13-14). 

6. dalla morte: «I tesori male acquistati non giovano, ma la giustizia libera dalla morte» (Pr 10,2). «Non giova la ricchezza nel giorno della collera ma la giustizia libera dalla morte» (Pr 11,4). 

Gesù rompe con l’idea del liberatore politico atteso per operare una liberazione più profonda. Distruggendo l’unico e reale oppressore dell’uomo, il diavolo. 

«Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo» (Eb 2,14). 

Gesù libera dal peccato e dalla morte: 

Dal peccato: «Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Gli risposero: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”» (Gv 8,31-36). «Io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (Rm 7,21-25). 

Dalla morte: «Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, e per la speranza che abbiamo in lui ancora ci libererà, grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi» (2 Cor 1,9-11). 

Stabilisce i salvati nell’autentica libertà:

«Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è la libertà» (2 Cor 3,17). ). «Anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). «Abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui [Cristo]» (Ef 3,12; Cf Eb 10,19). 

«Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell’errore. Promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina. Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima» (2 Pt 2, 18-20). 

Il popolo può servire il suo Creatore realizzando se stesso pienamente nella carità:

«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13). «Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell’obbedienza che conduce alla giustizia? Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati. Così, liberati dal peccato, siete stati resi schiavi della giustizia» (Rm 6,16-18). «Questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio» (1 Pt 2,15-16). 

In sintesi, la libertà è una liberazione dai mali che afliggono l’uomo ma soprattutto è partecipazione alla carità di Dio. 

Capitolo 8

La libertà intesa come partecipazione alla carità stessa che è Dio compare soprattutto nei capitoli 8-11 della prima lettera ai Corinti. L’occasione gli viene offerta dalla necessità intervenire nel dibattito sorto nella comunità circa la leicità del consumo delle carni che erano state offerte alle divinità (eidolothyton) nei sacrifici pagani. Tutti i membri della comunità avevano abbandonato il culto degli Dei e credevano nell’esistenza d’un unico Dio. Sul piano pratico, alcuni, non avevano esitazione alcuna a «stare a tavola in un tempio di idoli» (v.10) senza voler venerare alcuna divinità, ma soltanto per nutrirsi di carne a buon prezzo. Altri, tuttavia, rimanevano turbati nel vedere dei compagni di fede banchettare nei templi. Questi fedeli più scrupolosi vengono denominati deboli (1 Cor 8,11).

1Riguardo alle carni sacrificate agli idoli, so che tutti ne abbiamo conoscenza. Ma la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. 2Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. 

Paolo proibisce la partecipazione ai sacrifici idolatrici ma consente di mangiare la carne avanzata dai banchetti e messa sul mercato. I cristiani più colti ed avveduti deridevano le esitazioni di quelli che erano bloccati nell’incertezza e li disprezzavano. La loro convinzione li rendeva sicuri di sé, forse troppo sicuri, mentre avrebbero dovuto usare nei confronti dei “deboli” un sentimento di comprensione. La loro sicurezza si trasformava in orgoglio mentre soltanto la carità edifica la comunità. Non basta coltivare buone idee ma bisogna diventare persone sensibili nei confronti delle difficoltà o debolezze altrui. Questa attenzione misericordiosa costituisce la vera conoscenza. «Hai visto un uomo che è saggio ai suoi occhi? C’è più da sperare da uno stolto che da lui» (Pr 26,12). 

3Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto.

È necessario, prima di tutto, conoscere (ossia amare) il Signore e costruire su questo amore relazioni serene con gli altri. In realtà, quando lo amiamo, siamo già stati riconosciuti ed amati da Lui: «Ora avete conosciuto Dio, anzi è Dio che vi conosce» (Gal 4,9). «Disse il Signore a Mosè: hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome”» (Es 33,17). Vale a dire: tu hai la mia piena fiducia, perché Io [il Signore] ti conosco bene!

«Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10,14). «Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29). «Le solide fondamenta gettate da Dio resistono e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi, e ancora: Si allontani dall'iniquità chiunque invoca il nome del Signore» (2 Tm 2,19). 

4Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che non c’è alcun dio, se non uno solo. 

Nel suo intervento, Paolo comincia col ribadire la comune convinzione di fede circa l’inesistenza delle divinità. Gli Ebrei da lungo tempo erano radicati nel monoteismo: «Il Signore (YHWH) è il nostro Dio, unico è il Signore» (Dt 6,4). Voi siete miei testimoni: c’è forse un dio fuori di me o una roccia che io non conosca?» (Is 44,8). «Quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore» (Gio 2,9). I profeti, ripetutamente, avevano contestato il culto delle divinità: «Quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l’esercito del cielo, tu non lasciarti indurre a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che il Signore, tuo Dio, ha dato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli. Voi, invece, il Signore vi ha presi, vi ha fatti uscire dal crogiuolo di ferro, dall’Egitto, perché foste per lui come popolo di sua proprietà, quale oggi siete» (Dt 4,19-20). 

Gli apostoli ripresero il loro annuncio veritiero:  «Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano» (At 17,29-30). 

5In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo che sulla terra – e difatti ci sono molti dèi e molti signori –, 6per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui. 

Precisa ancora meglio il contenuto della fede comune. Secondo lui esiste un unico vero Dio, ma, in sintonia con alcune credenze giudaiche del tempo, egli è convinto dell’esistenza di esseri superiori angelici o demoniaci, situati tra Dio e il mondo. Questi esseri, tuttavia, non sono paragonabili a Dio, in quanto sue creature, e ad essi non doveva essere attribuito alcun culto. 

I fedeli fondano la loro esistenza sulla fede nell’unico Dio che si è rivelato come Padre. «Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?» (Ml 2,10). Sanno che tutti provenivano da lui e che sarebbero tornati a lui. «Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6).

Questo sentimento era già presente presso gli Ebrei ma i cristiani avevano un altro riferimento importante: Gesù, proclamato come Messia (Cristo). «[I profeti], quei santi uomini soffrirono anche persecuzioni, sostenuti dalla sua grazia, per convincere gli increduli che c’è un solo Dio e che egli si sarebbe manifestato per mezzo del Messia, cioè di Gesù Cristo, suo Figlio, che è il suo Verbo uscito dal silenzio. Questi piacque in ogni cosa a colui che l’aveva mandato» (Ignazio di Antiochia, Magnesii 6,1-9). Il Padre ha fatto conoscere se stesso per mezzo del Figlio. Paolo lo colloca al di sopra di ogni creatura in quanto è collaboratore di Dio nella creazione e noi esistiamo grazie a lui. «Tutto è stato fatto per mezzo di lui [il Verbo] e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,11). Egli riceve il titolo di Signore, un titolo che lo accomuna al Padre e, come tale, è anche il nostro Salvatore: «È il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano» (Rm 10,12). Ormai Dio entra in comunione con noi mediante Gesù Signore: «in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (cf Col 2,9) e perciò i battezzati non vivono più per se stessi ma per Colui che è morto e risorto per loro (cf 2 Cor 5,15). 

7Ma non tutti hanno la conoscenza; alcuni, fino ad ora abituati agli idoli, mangiano le carni come se fossero sacrificate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com’è, resta contaminata. 

Dopo aver ribadito il nucleo della fede, torna a considerare la pratica di vita. Secondo alcuni cristiani più scrupolosi che avevano abbandonato da poco i culti idolatrici, mangiare le carni dei sacrifici era compiere un atto idolatrico e quindi nessuno doveva indurli a fare questo con le parole o con il comportamento. 

Paolo aveva scorto un problema simile a proposito dell’alimentazione in generale. Alcuni consideravano impuri determinati alimenti, mentre altri non tenevano più conto di queste distinzioni e si nutrivano di qualsiasi genere di cibo, ma, così facendo, ferivano la coscienza dei primi. Seguendo le loro convinzioni, di per sé realmente più mature, non badavano a far soffrire gli altri meno evoluti. Paolo dichiara: «Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto!» (Rm 14,14-15). 

8Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio: se non ne mangiamo, non veniamo a mancare di qualcosa; se ne mangiamo, non ne abbiamo un vantaggio. 

Non attribuisce alcuna importanza alle regole alimentari, seguendo l’insegnamento di Gesù che dichiarava puro ogni alimento «“Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?”. Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7,20-23). «Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14.17). «Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: “Non prendere, non gustare, non toccare”? Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne» (Col 2,20-23). 

9Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. 10Se uno infatti vede te, che hai la conoscenza, stare a tavola in un tempio di idoli, la coscienza di quest’uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni sacrificate agli idoli? 

Non basta essere certi in coscienza della bontà del proprio agire e sostenere opinioni liberanti ma è necessario che questa mentalità non ferisca la coscienza di un fratello che non ha ancora maturato le stesse convinzioni. «Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato» (Rm 14,19-23). 

«Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2 Cor 11,29). «Siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13). «Questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio» (1 Pt 2,15-16). 

11Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! 12Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. 13Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello. 

La conoscenza (il sapere che l’idolo non è nulla) non deve diventare motivo di rovina spirituale per il fratello più debole. La libertà, se esercitata con orgoglio e senza amore, può compromettere la fede di chi è più fragile. È un paradosso tragico: Cristo è morto per lui, e tu lo rovini per il tuo sapere. Ferire un fratello nella sua coscienza equivale a peccare contro Cristo stesso. L'identificazione tra Cristo e il fratello debole richiama il Vangelo (cf. Mt 25,40). 

Questo ci ricorda che la comunione ecclesiale non è solo teorica: ciò che facciamo al fratello, lo facciamo a Cristo. «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 10,40). L’amore per il fratello viene prima della libertà personale; occorre rinunciare per sempre ad un diritto, pur di non scandalizzare. Questo è l’esempio di una libertà che si fa servizio, tipica del Vangelo. «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44). La coscienza altrui va rispettata, e la libertà non è mai assoluta, ma relazionale e responsabile. L’amore cristiano consiste in scelte concrete a favore degli altri, anche se costose. È necessario evitare comportamenti che, pur essendo in sé leciti, possano indebolire la fede altrui. Non usare la libertà come un’arma. 

Capitolo 9

Paolo spiega ai fedeli in che modo esercitare la libertà cristiana. Pur essendo libero, si è fatto servo di tutti. Non ha cercato il suo vantaggio ma quello degli altri e, di conseguenza, si è sempre adattato alla mentalità delle persone che incontra per non ferirle (purché questo adattamento non fosse un consenso al male). Soprattutto ha rinunciato perfino ai propri diritti e ai propri legittimi vantaggi, se questa rinuncia avesse favorito l’annuncio del Vangelo. 

9 1Non sono forse libero, io? Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? 2Anche se non sono apostolo per altri, almeno per voi lo sono; voi siete nel Signore il sigillo del mio apostolato. 

Compare una serie di domande retoriche attraverso le quali evidenzia il suo stile di vita. È un uomo libero ma si fa servo. «Il cristiano non è padrone di se stesso, ma è al servizio di Dio» (Sant’Ignazio a Policarpo, Cap 5,1-8,1)

Rivendica, poi, il mandato di apostolo anche se non apparteneva al gruppo dei Dodici e degli altri discepoli che avevano conosciuto Gesù. Egli infatti ha visto il Risorto ed è stato accredidato da lui: «Il Vangelo da me annunciato non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,12; cf. At 9,3-5; 22,17-21). 

L’esistenza della comunità di Corinto è una prova tangile che egli è un vero missionario, in grado di suscitare dei credenti. «Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo forse bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani. Proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio» (2 Cor 3,1-4).

3La mia difesa contro quelli che mi accusano è questa: 4non abbiamo forse il diritto di mangiare e di bere? 

I missionari erano mantenuti dalle comunità che li ospitavano. Gesù aveva detto ai discepoli inviati da lui: «Restate in quella casa [che vi ospita], mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto» (Lc 10,7.8). Paolo sostiene questa prassi: «Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce» (Gal 6,6). 

Egli, però, talora, non ha voluto servirsi di questo diritto suscitando ammirazione ma anche delle critiche pretestuose (v. 15). «Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci» (At 18,1-4). Il fatto di dover lavorare, lo considera una tribolazione aggiuntiva (cf 1 Cor 4,12). 

In altri casi, pur restando fedele alla sua decisione di lavorare con le sue mani, si è fatto aiutare da altri: «Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi… So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Lo sapete anche voi, Filippesi, che all’inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù» (Fil 4,10-19).

5Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? 

Nel corso della sua predicazione, alcune donne accompagnavano il gruppo di Gesù con i Dodici «e li servivano con i loro beni» (Lc 8,3). 

6Oppure soltanto io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? 7E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? 

Paolo e il collaboratore Barnaba avrebbero avuto il diritto di farsi mantenere dalle comunità perché la predicazione rappresentava il lavoro per mezzo del quale avrebbero potuto sostentarsi. Gli apostoli hanno gli stessi diritti di altri lavoratori, come i soldati, i viticoltori o i pastori che si guadagnano da vivere con il loro lavoro. Paolo e Barnaba, tuttavia, hanno rinunciato a questo diritto per sembrare più credibili ai loro interlocutori e favorire così l’evangelizzazione. Anche i fedeli dovrebbero rinunciare al diritto di mangiare carni sacrificate agli idoli per venire incontro a quelli che, turbati e scandalizzati di questa consumazione, potrebbe ricadere nell’idatria pagana.

8Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. 9Nella legge di Mosè infatti sta scritto: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si prende cura dei buoi? 10Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte. 

Cita Deuteronomio 25,4 ("Non metterai la museruola al bue che trebbia") e lo interpreta in senso allegorico. Non nega il senso letterale del versetto, ma ne trae un principio più profondo: se anche agli animali che lavorano va riconosciuto un sostentamento, quanto più ciò vale per chi lavora per il Vangelo. 

11Se noi abbiamo seminato in voi beni spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? 12Se altri hanno tale diritto su di voi, noi non l’abbiamo di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al vangelo di Cristo. 13Non sapete che quelli che celebrano il culto, dal culto traggono il vitto, e quelli che servono all’altare, dall’altare ricevono la loro parte? 14Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo. 15Io invece non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché si faccia in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto!

Con l’espressione "abbiamo seminato in voi beni spirituali", Paolo fa riferimento alla predicazione del Vangelo, che è un bene immateriale. Ricevere in cambio un compenso materiale è lecito e giusto. Sorprende il fatto che, pur avendone pieno diritto, rinunci volontariamente al sostegno economico per non creare intralcio al Vangelo di Cristo. Teme che questa richiesta possa essere fraintesa finendo con l’ostacolare il cammino di qualcuno verso la fede. È un modello di gratuità radicale. Non rifiuta la prassi che i ministri debbano essere sostenuti, ma, da parte sua, preferisce un annuncio del Vangelo che sia libero da ogni sospetto di interesse. Mostra l’aspetto paradossale della libertà cristiana: non è soltanto difesa ed esercizio dei propri diritti o affermazione dei propri bisogni, ma anche capacità di rinunciare ad essi favorire gli altri. Infine, non bisogna sottovalutare il valore del ministero, ma chi lavora per il Vangelo merita rispetto e sostegno, anche materiale.

16Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! 17Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. 

Egli esprime il significato più profondo della sua missione, la quale non è derivata da una scelta personale, ma da un incarico ricevuto dal Signore stesso, a sua sorpresa. Il termine “ananke” indica un destino, una risposta ad una superiore azione di Dio. 

Guai a me! È un modo di parlare dei profeti: se si rifiutasse, agirebbe in modo contrario al volere di Dio e incontrerebbe la sua opposizione. 

Se evangelizzasse per sua iniziativa, avrebbe diritto ad essere ricompensato ma, poiché è stato come costretto dal Signore che lo ha chiamato, può desiderare soltanto di eseguire quanto gli è stato richiesto. In altre parole, non cerca né riconoscimenti né guadagni ma soltanto di dare compimento al mandato che gli è stato affidato. 

Nel vivere con estrema generosità, trova una grande ricompensa. L’amore è ricompensa a se stesso. Si mostra una persona totalmente libera perché è libero anche da se stesso. 

19Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: 20mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. 21Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. 

La libertà cristiana è così paradossale che può tramutarsi in schiavitù pur di rendere libero il fratello. Quando si trova insieme ai fratelli ebrei, osserva tutte le prescrizioni che essi osservano, anche quelle che, di per sé, considera non più necessarie, pur di eliminare ogni occasione di scandalo ed aiutarli, così, ad accogliere Cristo. Quando si trova con i pagani, non li obbliga ad assumere certe norme cultuali che vigono tra gli ebrei, per non imporre loro un giogo troppo pesante che li distoglierebbe dall’aderire a Cristo. Questo non significa che trascuri di adempiere i comandamenti di Dio, così come li ha interpretati Gesù. 

Vediamo un caso in cui Paolo adempie delle osservanze ebraiche pur di non sconvolgere la comunità giudeo-cristiana. Giacomo, responsabile della comunità giudeo cristiana di Gerusalemme gli suggerisce: «Tu vedi, fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e sono tutti osservanti della Legge. Ora, hanno sentito dire di te che insegni a tutti i Giudei sparsi tra i pagani di abbandonare Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le usanze tradizionali. Che facciamo? Fa’ dunque quanto ti diciamo. Vi sono fra noi quattro uomini che hanno fatto un voto. Prendili con te, compi la purificazione insieme a loro e paga tu per loro perché si facciano radere il capo. Così tutti verranno a sapere che non c’è nulla di vero in quello che hanno sentito dire, ma che invece anche tu ti comporti bene, osservando la Legge» (At 21,20-24). 

22Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. 23Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io. 

«Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me» (Rm 15,1). «Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2 Cor 11,28). «Io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna» (2 Tm 2,10). 

24Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 

Ricorre spesso ad immagini attinte dall’atletica, considerando l’attenzione che essa godeva nell’antichità: «So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14). «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno» (2 Tm 4,2-8). «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,1-2). 

25Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. 

Il cristiano, come ogni valido atleta, è disciplinato in tutto (panta enkrateuetai). L’uomo peccatore distoglie da Dio il suo desiderio e lo volge alle cose, alle persone, avendo per dio il proprio ventre. Lo attesta la parabola del ricco che indossa vestiti di porpora e ogni giorno banchetta lautamente (cf Lc 16,19). 

Cerca sempre la gratificazione. Lo attesta il comportamento della «gente raccogliticcia» che accompagnava Israele e lo coinvolge nella cupidigia: «fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: “Chi ci darà carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna» (Nm 11,4-6). Il governatore pagano Felice, che si mostrava ben disposto verso l’apostolo, non appena sentì Paolo parlare «di giustizia, di continenza e del giudizio futuro «si spaventò» (At 24,25) e preferisce continuare ad accumulare denaro. 

Con la conversione al Vangelo, finisce «il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nelle orge…» (1 Pt 4,3), perché «tutto quello che è nel mondo [malvagio], non viene dal Padre» (1 Gv 2,16). 

Il credente promette: sebbene tutto possa essere lecito, «non mi lascerò dominare da nulla» (1 Cor 6,12). Si propone questo proprio perché s’accorge che anche in lui è presente la bramosia del ricco (Cf 11 Cor 11,21). Soprattutto sa di essere stato liberato dalla grazia: «tutti noi un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi… Ma Dio, ricco di misericordia, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,3-5).

La temperanza rende equilibrato l’uso dei beni creati,e garantisce anche la salute: «Figlio, per tutta la tua vita esamina te stesso, vedi quello che ti nuoce e non concedertelo. Difatti non tutto conviene a tutti… Non essere ingordo per qualsiasi ghiottoneria e non ti gettare sulle vivande, perché l’abuso dei cibi causa malattie e l’ingordigia provoca le coliche. Molti sono morti per ingordigia, chi invece si controlla vivrà a lungo» (Sir 37,27-31). 

Il saggio non asseconda le passioni perché accoglie l’avvertimento: «se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,13). «Vi esorto ad astenervi dai cattivi desideri della carne, che fanno guerra all’anima» (1 Pt 2,11). «Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro. Un servo del Signore non deve essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare quelli che gli si mettono contro, nella speranza che Dio conceda loro di convertirsi, perché riconoscano la verità e rientrino in se stessi, liberandosi dal laccio del diavolo, che li tiene prigionieri perché facciano la sua volontà» (2 Tm 2,22-26). 

Il sapiente cerca di raggiungere il dominio di sé (enkrateia), una virtù denominata anche sobrietà, contando sull’aiuto dello Spirito Santo: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, benevolenza, mitezza e dominio di sé» (Gal 5,22; cf Tt 1,8). 

Per conservare il dominio di sé, l’apostolo tratta duramente il suo corpo e lo riduce in schiavitù (1 Cor 9,27). Usa una terminologia attinta dal pugilato: colpisco il mio corpo sotto gli occhi (ypopiazo). Il pugile vincitore trascinava il vinto davanti al pubblico e, in modo simile, egli riduce in suo potere il suo corpo per non perdere se stesso. 

La sobrietà favorisce la vita interiore dello Spirito perché rende ben armati: «Noi siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità. E avendo come elmo la speranza della salvezza» (1 Ts 5,8). Facilita la perseveranza nella preghiera: «Siate moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera» (1 Pt 4,7). 

Il credente, tuttavia, non è una persona tesa solamente alla repressione dei desideri, ma è orientata al Signore, sommo bene che fornisce un appagamento oportuno. «Gustate e vedete com’è buono il Signore!» (Sal 34,9) «Egli appagò il loro desiderio» (Sal 78,29). «Il Signore ti circonda di bontà e misericordia, sazia di beni la tua vecchiaia, si rinnova come aquila la tua giovinezza» (Sal 103,4-5). 

26Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; 27anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 

«È Cristo che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1,28-29). 

Capitolo 10

1Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, 2tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, 3tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. 

Il rischio più grave in cui possono incorrere i cristiani di Corinto è la ricaduta nell’idolatria e per questo, imitando l’agire dell’apostolo, tutti dovrebbero rinunciare a consumare nei templi le carni offerte nei sacrifici. Essi sono già stati salvati ma questa salvezza non è sicura e definitiva perché è possibile per loro ricadere nella schiavitù dalla quale erano stati liberati. È ciò che accadde agli Israeliti durante il cammino nel deserto verso la terra: pur essendo stati amati dal Signore e liberati da lui, non furono graditi a lui. Non riuscirono a raggiungere la meta, come avevano sperato. «Hai aperto il mare davanti a loro… Li hai guidati di giorno con una colonna di nube  e di notte con una colonna di fuoco,  per rischiarare loro la strada su cui camminare. Sei sceso sul monte Sinai  e hai parlato con loro dal cielo, e hai dato loro norme giuste e leggi sicure… Hai dato loro  pane del cielo per la loro fame e hai fatto scaturire  acqua dalla rupe per la loro sete,  e hai detto loro di andare  a prendere in possesso la terra  che avevi giurato di dare loro. Ma essi, i nostri padri,  si sono rifiutati di obbedire e non si sono ricordati dei tuoi prodigi, che tu avevi operato in loro favore; hanno indurito la loro cervice e nella loro ribellione si sono dati un capo per tornare alla loro schiavitù. Oggi eccoci schiavi; e quanto alla terra, ecco in essa siamo schiavi» (Ne 9,11-21.36).

6Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.

«Arsero di desiderio nel deserto e tentarono Dio nella steppa» (Sal 106,14-15). «Affrettiamoci a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza» (Eb 4,11). «Tutti pensano di essere Cristiani per la loro professione di fede in Cristo o per qualche rara virtù, ma pochi sono i veri cristiani, quelli ricchi di Spirito Santo, che posseggono il cristianesimo non in forza di una professione a parole o di semplice fede, ma per la potenza e attività dello Spirito» (Pseudo Macario III, 7,6,2-3 Campone 166).


7Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. 8Non abbandoniamoci all’impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. 9Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. 10Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. 

«Guardai ed ecco, avevate peccato contro il Signore, vostro Dio. Avevate fatto per voi un vitello di metallo fuso: avevate ben presto lasciato la via che il Signore vi aveva prescritto. Allora afferrai le due tavole, le gettai con le mie mani, le spezzai sotto i vostri occhi e mi prostrai davanti al Signore» (Dt 9,16-18). «Per ciascuno è dio quello che egli venera al di sopra di tutto, quello che più di ogni altra cosa ammira e ama» (Or 954). «Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo sta in potere del Maligno. Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna. Figlioli, guardatevi dai falsi dèi!» (1 Gv 5,19-21). 

Abbandono all’impurità: cf Nm 25,5ss.; Mettere alla prova: Nm 21,5-6; mormorazione: Es 16,2 Nm 11,1. 

11Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi.

«Poiché quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!» (Eb 4,6-7). Spesso Paolo evidenzia l’opportunità di conoscere la Sacra Scrittura: «Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza» (Rm 15,4). «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, 17perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tm 3,16-17). 

Riguardo la fine dei tempi (ta tele ton aionon), Paolo è consapevole che la venuta di Gesù e l’evento della sua Pasqua ha segnato il cambiamento radicale della soria: «Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto”» (Mc 1,15). «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,7). «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio» (Gal 4,4). «Ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso» (Eb 9,26). 

12Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. 

Il cristiano che pensa di aver rotto in modo definitivo con l’idolatria, deve vigilare per non ricadere in essa. Più in generale, è un monito conto ogni forma di presunzione. Anche chi si sente saldo, può cadere se si illude di essere al sicuro da ogni pericolo. La fede non è un traguardo già raggiunto, ma un cammino che richiede attenzione costante. «Beato l’uomo che sempre teme» (Pro 28,14). 

13Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere. 

Le tentazioni non sono prove estreme ma esperienze della nostra umanità. Chi viene tentato, deve contare sulla fedeltà di Dio che offre delle vie d’uscita. «Subito lo Spirito sospinse [Gesù] nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1,12-13). «Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni» (Gc 1,13-14). «Pregate per noi, perché veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno» (2 Ts 3,1). 

«Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su di te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). «Se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Tm 2,13). 

14Perciò, miei cari, state lontani dall’idolatria.15Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: 16il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. 

Paolo porta un argomento decisivo per distogliere i cristiani dai banchetti offerti alle divinità. Nel culto cristiano, il battezzato si unisce al Cristo Risorto e ciò esclude che possa, poi, unirsi con i demoni nei banchetti idolatrici. I riti pagani non consentono ai partecipanti di entrare in comunione con le divinità da loro onorate, poiché non esistono neppure, ma, invece, li fanno entrare in contatto con i demoni che si nascondono dietro le divinità nei riti malefici. 

Il calice del ringraziamento della celebrazione eucaristica opera una comunione reale con il Cristo Risorto che ha versato il suo sangue sulla croce per tutti i commensali. I comunicandi, perciò, partecipano a tutti i benefici della sua morte salvifica. Lo stesso vale per la frazione del pane: i comunicandi  si uniscono al Cristo Risorto, diventano una cosa sola con Lui e godono di tutti i benefici della sua Pasqua. Il Cristo Risorto configura a se stesso in tutti i partecipanti e perciò, nutrendosi di lui, nella specie dell’unico pane, diventano un solo organismo, membra vive del suo Corpo. La comunità cristiana diventa il corpo del Signore in primo luogo mediante la celebrazione eucaristica. «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12,4-5). «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28; cf Col 3,11).

18Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? 19Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? 20No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; 21non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. 22O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui? 

Per spiegarsi meglio l'apostolo fa l'esempio dei banchetti sacrificali ebraici. Era scontato che in tali pasti sacri si rinvigorisse la comunione tra Dio, presentato simbolicamente dall'altare, e i fedeli che, dopo avergli offerto il sacrificio un animale, ne consumavano insieme resto della carne. Nei banchetti sacri del popolo d'Israele si stabiliva una comunione profonda degli offerenti tra loro e con Dio, e così avviene anche tra i cristiani e Cristo nella celebrazione memoriale della sua ultima cena. Ma allora come può un cristiano partecipare ai banchetti idolatrici dei pagani?

v. 18 Chiama il popolo ebraico «Israele secondo la carne», mentre la Chiesa rappresenta il popolo messianico (escatologico) di Dio che, non sostituisce il primo, ma ne rappresenta il compimento. Esso viene innestato nella radice santa dell’olivo Israele e i battezzati stanno fra gli altri rami (i giudeo-cristiani). «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3,29).

v.20 I profeti avevano parlato di sacrifici offerti ai demoni che rendevano i sacrificanti malvagi come loro: «Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio, a dèi che non conoscevano. La Roccia che ti ha generato, tu hai trascurato» (Dt 32,17). «Essi non ofriranno più i loro sacrifici ai satiri, ai quali sogliono prostituirsi» (Lev 17,7). «Il resto dell’umanità non si convertì dalle opere delle sue mani; non cessò di prestare culto ai demoni e agli idoli e non si convertì dagli omicidi né dalle stregonerie» (Ap 9,20-21). 

v. 21 «Elia si accostò a tutto il popolo e disse: “Fino a quando salterete da una parte all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!”» (1 Re 18,21). «Non lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti. Quale rapporto infatti può esservi fra giustizia e iniquità, o quale comunione fra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non credente? Quale accordo fra tempio di Dio e idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente» (2 Cor 6,14-16). «Nessuno può servire due padroni» (Mt 6,24). 

v.22a «Il Signore tuo Dio è fuoco divoratore, un Dio geloso» (Dt 4,24). 

v.22b «Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua?» (Gb 40,9). 

23«Tutto è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto è lecito!». Sì, ma non tutto edifica. 24Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri. 25Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza, 26perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene. 27Se un non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. 28Ma se qualcuno vi dicesse: «È carne immolata in sacrificio», non mangiatela, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; 29della coscienza, dico, non tua, ma dell’altro. Per quale motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe essere sottoposta al giudizio della coscienza altrui? 30Se io partecipo alla mensa rendendo grazie, perché dovrei essere rimproverato per ciò di cui rendo grazie? 

Ritorna sull’argomento dal quale era iniziata la riflessione attuale: come deve comportarsi un fedele se gli viene offerta carne sacrificata agli idoli? Ha escluso in modo netto che un cristiano possa partecipare ai riti in onore delle divinità, ma non proibisce di consumare carni avanzate a questi sacrfici (e portate al mercato a prezzo ridotto), a meno che un altro non si scandalizzi di questa consumazione ritenendola una pratica idolatrica. Il cristiano è libero quando si lascia condizionare dalle difficoltà altrui evitando di imporre le proprie vedute, altrimenti rimane schiavo di se stesso e dei propri interessi. 

v. 23 Nella ripresa, cerca di rispondere alle obiezioni sollevate da parte di qualche fedele più libertario: tutto è lecito! L’apostolo non oppone altri principi per contrastare questo slogan libertario ma si limita ad osservare che non tutto però è utile e soprattutto osserva che un determinato agire non costruisce rapporti sereni, a prescindere dall’intenzione di chi opera. 

vv. 29-30 Sarebbe auspicabile che nessuno condizionasse un altro in modo pesante a motivo dei suoi scrupoli e che, dopo aver reso grazie a Dio, ogni commensale potesse mangiare con serenità qualsiasi alimento. Probabilmente, Paolo sarebbe d’accordo con questa prassi ma egli è mosso da un principio maggiormente improntata alla carità. «Ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1 Tm 4,4). «C’è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però sia fermo nella propria convinzione. Chi si preoccupa dei giorni, lo fa per il Signore; chi mangia di tutto, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio» (Rm 14, 5-6). 

31Dunque, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 

La gloria di Dio risplende in tutta la sua forza quando rifulge la carità e l’amore del prossimo diventa il criterio d’ogni scelta. «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). «Qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre» (Col 3,17). «Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 4,11). 

32Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; 33così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

«Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza» (2 Cor 6,3-4). «Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello» (Rm 14,12-13). «Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me» (Rm 15, 1-3). 

Capitolo 11

Alcuni comportamenti dei membri della comunità avevano suscitato scandali e disagi, in modo particolare durante il culto. La rinuncia ai propri diritti, convinzioni o semplici abitudini, se essa è necessaria per evitare scandali o equivoci, ricompare anche nelle questioni dibattute in questa parte della lettera (velo per le donne e capelli corti per gli uomini). Paolo deve intervenire per pacificare la comunità. A prescindere da queste questioni, è di capitale importanza imparare a vivere nella carità, nel reciproco rispetto, per vivere in sintonia con il culto. L’apostolo coglie l’occasione per ricordare il significato profondo della cena del Signore (o Eucaristia) e per correggere altri comportamenti che erano in contrasto con essa. La libertà del cristiano non è imposizione dei propri punti di vista ma liberazione dall’egoismo e dall’accentramento su di sé. Libero è chi può finalmente lascia scorrere, senza intoppi, l’energia della carità infusa in lui dallo Spirito; è amore del bene per il bene, oltre ogni legge ed ogni limite, ad imitazione di Dio. 

1Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. 

Paolo ha sempre cercato di piacere al prossimo per edificarlo, non per suscitare ammirazione o consenso. Così può rendersi modello da imitare. «Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo» (Fil 3,17-18). Deve essere imitato perché, a sua volta, egli è stato imitatore di Dio Padre come si è rivelato in Gesù: «Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,1). 

I cristiani possono diventare un modello gli uni per gli altri e testimonianze vive della presenza del Vangelo. «Voi, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei» (1 Ts 2,14). «Dio non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora rendete ai santi. Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo… imitatori di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse» (Eb 6,10-11). 

2Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse.

L’imitazione si fonda sul ricordo delle istruzioni ricevute che hanno creato delle tradizioni vive, un vangelo vissuto. «Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,1-2). «State saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera» (2 Ts 2,15). «Vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l’insegnamento che vi è stato trasmesso da noi» (2 Ts 3,6). 

Le tradizioni erano già state onorate presso l’ebraismo: «Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli che sono sotto il dominio del re lo ascoltassero e ognuno abbandonasse la religione dei propri padri, io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell’alleanza dei nostri padri. Non sia mai che abbandoniamo la legge e le tradizioni. Non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra» (1 Mc 2,19-21).

3Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. 

Qual è il significato del termine capo (kefale) attribuito a Cristo? Gesù Cristo porta a compimento il servizio di Mosè: «proprio lui Dio mandò come capo e liberatore, per mezzo dell’angelo che gli era apparso nel roveto» (At 7,35). Infatti, «Dio ha innalzato [Gesù] alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati» (At 5,31). Mosé e Gesù, quindi, sono capi perché liberano e salvano.

Gesù è capo perché datore di vita: «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18). È capo perché è Salvatore: «Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo» (Ef 5,23). 

È diventato datore di vita, affrontando la sofferenza connessa al suo compito: «Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10). Dal momento che Gesù ha dato tutto se stesso agli uomini, viene glorificato dal Padre: «Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose» (Ef 1,22-23). Chi ha dato tutto se stesso «parla come uno che ha autorità», è il capo carovana che guida alla salvezza (cf Eb 2,10). L’uomo “capo della donna” è veramente tale quando imita l’autorità di Gesù. 

Nel contesto d’una mentalità nettamente patriarcale, Paolo innesta principi di fede e di comportamento che tendono ad anticipare la novità assoluta della nuova creazione, inaugurata dalla Pasqua del Signore. La novità (escatologica) costituisce l’essenza della vita cristiana: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-29). Questa novità, già vissuta nell’assemblea eucaristica, rinnova la Chiesa e la società, entrambe refrattarie ad accogliere in totalità la novità del Vangelo, al modo del lievito che fermenta tutta la pasta con gradualità. 

4Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. 5Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata. 6Se dunque una donna non vuole coprirsi, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. 

v.5 Consente che una donna preghi o profetizzi nell’assemblea di culto. Questo è l’elemento nuovo, di enorme importanza. Vuole, però, che compia questo servizio a capo coperto. L’eccessiva disinvoltura, attuata nel profetare a capo scoperto, creava scandalo. Ribadisce, quindi, il principio già sostenuto nella questione delle carni offerte agli idoli: conoscere e godere d’una mentalità libera, dal punto di vista cristiano, è un sapere autentico soltanto se non ferisce la coscienza dell’altro. Chi conosce senza esercitare la carità, è un cristiano inconsistente che frantuma la comunione. 

Emerge, comunque, la tensione tra la novità evangelica che suscita nuove convinzioni e la difficoltà a recepirla. Tutti consentono al principio proclamato finchè non si arrestano inquieti di fronte alle conseguenze ultime derivanti dalla sua applicazione. Paolo deve mediare tra la difesa d’un principio da lui divulgato e la recezione pratica di esso. Questo vale anche per lui che si muove piuttosto imbarazzato nella questione. 

7L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. 8E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; 9né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. 

Il suo intento è pacificare la comunità ed eliminare una prassi per molti scandalosa. Per fare questo ha bisogno di richiamarsi alla Scrittura e ricorda il secondo racconto della creazione, quello che parla della formazione di Eva da Adamo. Trascura, però, il primo racconto dove sia il maschio che la femmina vengono proclamati ad immagine di Dio. L’idea che la donna fu creata per l’uomo riprende il passo dove si afferma che Dio creò per l’uomo un aiuto che gli fosse pari. Il testo, tuttavia, lascia intuire la fragilità di Adamo nel trovarsi da solo e il dono della complementarietà che riceve grazie all’esistenza di Eva. 

Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli. 11Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. 12Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.

Paolo intuisce la scarsa consistenza degli argomenti che ha tirato in campo e nell’imporre un comportamento che, di per sé, consolida l’idea dell’inferiorità della donna, lo trasforma in un gesto di riabilitazione: se tiene il capo coperto, onora se stessa; è un segno d’autorità a motivo degli angeli (una menzione piuttosto misteriosa). Completa il riferimento biblico a cui ha accennato (ricordando il messaggio della prima creazione?) e difende la pari dignità della donna rispetto all’uomo «dal punto di vista» del Signore [v. 11: nel Signore]; dal punto di vista degli uomini la parità è meno scontata. 

13Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio col capo scoperto? 14Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, 15mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo. 

Il dato naturale a cui si appella è, in realtà, un elemento culturale prevalente nella società dell’epoca, dove le donne in pubblico si velavano; soltanto schiave e prostitute si muovevano a capo scoperto. Accenna anche a maschi che assumevano attitudini femminili. Un moralista appartenente allo stoicismo, Epitteto condannava la confusione tra i sessi. «C’è qualcosa di più inutile dei peli sul mento? Eppure, la natura non ha utilizzato anche questi nel modo più conveniente possibile? Non ha separato grazie ad essi il maschio della femmina? Perciò dovremmo salvaguardare i segni che Dio ci ha dati e non dovremmo rifiutarli nè per quanto dipende da noi confondere i sessi che si trovano ben distinti» (Diatribe, I,16,14). Rimproverava i maschi che facevano consistere il loro valore nella mera ricerca della bellezza fisica che comprendeva anche una cura particolareggiata dei capelli trascurando la vera bellezza che consisteva nel coltivare la rettitudine (Diatribe III,1, 7-15). 

16Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio. 

Oltre agli argomenti teologici esposti, Paolo si appella alla sua autorità d’apostolo: «… così dispongo in tutte le Chiese» (1 Cor 7,17). «Vi prego: diventate miei imitatori! Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa» (1 Cor 4,17). 

17Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 

La riunione di culto, in modo particolare la celebrazione della cena del Signore, presuppone che vi sia già una concordia tra i fedeli e che la preghiera la renda ancora più salda. 

Nell’assenza di carità l’assemblea, invece, si raduna per il peggio. «Ammasso di stoppa è una riunione di iniqui, la loro fine è una fiammata di fuoco» (Sir 21,9). «Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità» (Is 1,13). «Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?» (1 Cor 3,3). «Dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni» (Gc 3,16).

v. 19 Quando sorgono conflitti, appare in evidenza quali siano le persone che camminano nella carità e quali, invece, si lascino trascinare da loro egoismo. 

20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! 

La “frazione del pane” o “cena del Signore” è memoriale della passione e risurrezione del Signore nell’attesa del suo ritorno. Mediante questa liturgia, i cristiani si uniscono al Signore e fra di loro; essa li costituisce “corpo di Cristo”. La mancanza di tale di spirito di comunione annienta il beneficio della partecipazione alla Pasqua del Signore (v.27). Avulsa da ogni impegno etico, il rito eucaristico non si distingue più da un rito pagano, dove il proposito di vivere nella rettitudine non era neppure richiesto. 

Alcuni, quasi in via normale, tentavano di disgiungere la scelta di fede dal comportamento: «Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, insaziabili nel peccato, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia» (2 Pt 2,13-14). 

Paolo aveva già richiamato la necessità di uno spirito di comunione: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1 Cor 10,17). «Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: “Il Corpo di Cristo”, e tu rispondi: “Amen”. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo “Amen”. Perché [il corpo di Cristo] nel pane? Chi è questo unico pane? Pur essendo molti, formiamo un solo corpo. Ricordate che il pane non è composto da un solo chicco di grano, ma da molti» (Agostino, Discorso 272,1). 

23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 

La celebrazione eucaritica non è un’invenzione di Paolo o della Chiesa. La tradizione a cui ora accenna potrebbe indicare una tramissione orale di un comando di Gesù, iniziata già all’interno della primitiva comunità cristiana [prima ancora della composizione dei Vangeli] o, perfino, una rivelazione personale comunicata all’apostolo dal Signore. 

Nella notte, nell’ora in cui dominò la tenebra, il Signore fece risplendere la sua luce; [invece di imprecare contro il buio, accese una luce che non sarà mai spenta]. Gesù viene consegnato [tradito] da Giuda, ma in realtà è lui stesso che si consegna a Dio a favore degli uomini. [Il verbo paradidomai significa tradire o consegnare]. Gesù trasforma un crimine, in un atto d’amore totale: è la transustanziazione della sua vita. Non cerca di salvarsi, né pretende di essere salvaguardato da Dio, ma anticipa la sua auto-consegna sulla croce. 

Rendere grazie (eucharistesas): nella cena pasquale, Israele ringraziava il Signore per tutti i gesti di liberazione compiuti a suo favore. Gesù ringrazia per la liberazione che procurerà grazie alla sua morte, rende grazie per essere lui stesso il dono definitivo di Dio. Tutta la sua persona (corpo o carne), da sempre, è stata un pane, un alimento di vita; lo sarà in modo particolare nella sua morte: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,54-55). 

Spezzare è l’atto che permette la condivisione. «Spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro» (Mt 6,41). 

Fare memoria di lui è vivere come lui, all’insegna dell’amore: «Chi si unisce al Signore, forma con lui un solo spirito con lui» (1 Cor 6,17). La Pasqua è un evento perenne: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore» (Es 12,14). L’egoista è provo di senno: «A chi è privo di senno [la Sapienza] dice: “Venite, mangiate il mio pane,  bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete,  andate diritti per la via dell’intelligenza”» (Pr 9,4-6). L’Eucarestia è il giardino del battezzato che sperimenta l’ebbrezza della virtù dell’amore : «Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;  mangio il mio favo e il mio miele, bevo il  mio vino e il mio latte. Mangiate, amici,  bevete; inebriatevi d’amore» (Ct 5,1). 

25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Il calice di vino richiama alla mente il sangue che verserà alla sua morte. Il sangue veniva sparso per espiare i peccati, riconciliare e siglare l’alleanza con Dio. «Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del  popolo. Dissero: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”.  Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il  Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”» (Es 24,7-8). Gesù sparse il suo sangue per stabilire la riconciliazione con Dio: «Cristo entrò una volta per sempre nel santuario [del cielo], non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). La sua morte consente la stipula della nuova Alleanza, promessa dai profeti: «Vi siete accostati a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,24). Il valore di questa Alleanza Nuova sta nel fatto che essa rende possibile osservare la Parola: «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33). «Ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,14).

27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 

v.27 Mangiare in modo indegno (anaxìos) è accostarsi alla mensa del Signore senza aver alcun riguardo per il corpo ecclesiale. Chi disprezza i poveri, manca di rispetto verso Cristo. Il partecipante deve esaminarsi per vedere se egli riconosce il corpo (ecclesiale) del Signore perché se, invece, crea divisioni e discriminazioni nei confronti dei più deboli, verrà condannato perché il Signore distrugge chi distrugge il suo tempio (Cf 1 Cor 3,17). 

v. 28 «Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”. Quello ammutolì» (Mt 22,11-12). 

30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. 

Il giudizio del Signore si attua come pedagogia severa per evitare in seguito di dover condannare. «Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te» (Dt 8,5). «Egli ferisce e fascia la piaga, colpisce e la sua mano risana» (Gb 5,18). «Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come nell'arsura estiva si inaridiva il mio vigore» (Sal 32,4). «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Gv 1,9). «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?» (Eb 12,7). «Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. Ricorda come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non sarai vigilante, verrò come un ladro» (Ap 3,2-3). 

33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta. 

Il comando finale riassume il messaggio esposto. Gli invitati alla cena del Signore devono aspettarsi e mangiare insieme. Alcuni, come gli schiavi, ad esempio, non potevano giungere sempre in tempo. Non era possibile che ci fossero persone sazie ed altre affamate. Paolo non raccomanda impegni eroici ma semplici accorgimenti di rispetto reciproco. L’esercizio della carità comincia dal poco. «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41). «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13). «La gioia sovrabbondante [delle Chiese della Macedonia] e la loro estrema povertà hnno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2 Cor 8,2). 

L’opera dello Spirito e i Carismi

Capitoli 12-14

Confessare Gesù

Paolo parla dell’influsso e della guida dello Spirito negli uomini e poi dei carismi, ossia dei doni assolutamente gratuiti elargiti da lui ai credenti. [Charisma  deriva dal verbo charizomai che significa fare un regalo o un favore; perì pneumaticon: persone spirituali o doni spirituali]. 

Il primo e il più grande dono è la fede in Gesù: «Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio» (Ef 2,8). «Il dono di grazia non è come la caduta: se per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti» (Rm 5,15). 

1Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell'ignoranza. 

L’apostolo spiega quale sia l’influsso dello Spirito Santo riguardo ai credenti (vv.1-3). 

v.2 A prescindere da questo caso riguardante i carismi, il cristiano viene liberato da quella ignoranza di Dio che si manifesta nell’agire iniquo, «nel soffocare la verità nell’ingiustizia» (Rm 1,18): «Vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza» (Ef 4,17-19). 

2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti.

Chi si volge ad una divinità, non lo fa in seguito ad una libera decisione ma per un trascinamento costringente: «Se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi…» (Dt 30,17). Il Signore “attira”, non “trascina”. In ogni caso, chi è trascinato, non è libero: «L’uomo è schiavo di ciò che lo domina» (2 Pt 2,19). 

Le divinità sono mute, non possono coinvolgersi in un dialogo - «hanno bocca e non parlano, … dalla gola non escono suoni» (Sal 115,5.7) - , a differenza del Signore che ha parlato «molte volte e in diversi modi» (Eb 1,1). «A che giova un idolo scolpito? L'artista confida nella propria opera, sebbene scolpisca idoli muti. Guai a chi dice al legno: “Svégliati”, e alla pietra muta: “Àlzati”. Può essa dare un oracolo? Ecco, è ricoperta d'oro e d'argento, ma dentro non c'è soffio vitale» (Ab 2,18-19). 

Dio Padre parla a noi e suscita in noi la parola di risposta: «La sapienza aveva aperto la bocca dei muti» (Sap 10,21). «Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio. Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, voi eravate sottomessi a divinità che in realtà non lo sono. Ora invece avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti» (Gal 4,7-8). 

3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!, se non sotto l'azione dello Spirito Santo.

Chi rinnega Gesù mostra di essere trascinato dallo spirito impuro, mentre chi lo confessa è guidato dallo Spirito Santo: «Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio» (1 Gv 4,1-3). 

La fede cristiana nasce dal riconoscimento della signoria di Gesù, un atto che salva: «Gesù seppe che avevano cacciato fuori [il cieco guarito]; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell'uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui» (Gv 9,35-38). «Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è Signore” e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9). «Ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,11). «Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvo. Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,21.36). «In nessun altro c’è salvezza; non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12). «L'uomo è stato ferito a tal punto da non poter essere curato da nessuno, ma solo da Dio, al quale tutto è possibile. Egli stesso, venendo, ha tolto i peccati dal mondo, cioè ha seccato la fonte impura dei pensieri dell'anima. Come infatti la donna emoroissa, da nessuno dei medici è stato curata, finché accostatasi al Signore, credendo in verità, gli toccò il lembo della veste e così subito si accorse di essere guarita, così nessuno dei giusti ha potuto curare l'anima trafitta sin dal principio dalla ferita incurabile delle passioni del male» (Pseudo Macario, Omelia 20,5 Campone 129).

I Carismi

4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 

Ora Paolo parla dei doni gratuiti di Dio (carismi). Essi, pur essendo molteplici, derivano da un solo Spirito, da un solo Signore, da un unico Dio. In altri termini: Dio opera mediante Gesù Signore e questi agisce mediante lo Spirito. Il primo dono fontale della fede, quindi, si diversifica e si mostra differenziato in molteplici rivoli in vista dell’edificazione della comunità. 

Ogni dono viene da Dio che opera tutto in tutti: «Signore, tutte le nostre imprese tu compi per noi» (Is 26,12). «È Dio che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore» (Ef 2,13). «Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,11-13). «Come quelli che sono su una nave non bevono l'acqua del mare né da esso prendono vesti o vitto, ma li portano con sé sulla nave; così anche le anime dei cristiani ricevono il cibo celeste e le vesti spirituali non da questo mondo ma dall'alto, dal cielo. Pertanto, durante la loro vita, viaggiano sulla nave dello spirito buono e vivificatore e superano le potenze avverse del male» (Pseudo Macario, Omelie 45,6)

8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell'unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l'interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Il cristiano è in relazione diretta con lo Spirito che elargisce a lui doni personali. «Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento; chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,6-8). Esempi di sapienza o conoscenza: «Il faraone disse a Giuseppe: “Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo, non c'è nessuno intelligente e saggio come te. Tu stesso sarai il mio governatore”» (Gen 41,39). «Ho riempito Besalèl (l’artista) dello spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro» (Es 31,3). «Vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere» (Lc 21,15). 

Esempi di Profezia: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì, - dicelo Spirito-, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguno» (Ap 14,13). «Agabo, venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: “Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani”» (At 21,11). 

Per fede, intende una fiducia profonda: «I discepoli si avvicinarono a Gesù e gli chiesero: “Perché noi non siamo riusciti a scacciare il demonio? Ed egli rispose loro: “Per la vostra poca fede”» (Mt 17,19-20). 

12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 

La varietà delle opere e degli operatori, resa possibile da un solo Spirito, induce Paolo a vedere nella comunità un organismo vivente. A sorpresa, invece di affermare: come il corpo è uno solo, così è anche la Chiesa, dichiara così è anche il Cristo. Cristo, quindi, è una collettività, un corpo provvisto di molteplici membra. Questa è un’affermazione teologica molto significativa. «Non lui [Cristo] un individuo singolo e noi [cristiani] una moltitudine, ma noi, moltitudine, divenuti uno in lui che è uno» (Agostino, Sul salmo 127,3). Già nel momento della chiamata alla fede, Cristo Risorto aveva fatto capire a Paolo che Egli era presente in modo invisibile nei discepoli e che si identificava con loro (cf At 9,5). 

La Chiesa è il Cristo vivente nel mondo, il suo corpo visibile. «Essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose» (Ef 4,23). «Io sono la vite voi i tralci» (Gv 15,5). «Chi si unisce al Signore, forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6,17). «Cristo vive in me» (Gal 2,20). «Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27). Di conseguenza Egli continua a vivere e agire attraverso i battezzati: «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 10,40). «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). 

Paolo applica a Cristo la concezione veterotestamentaria della personalità corporativa; come altri personaggi biblici, Egli è insieme individuo e moltitudine. Ciò appare evidente nella figura del Figlio dell’uomo che è una singola persona ma anche una collettività, è il popolo dei santi (Dn 7,13-14,27). Lo stesso vale per Giacobbe: i suoi discendenti sono lui: «La tua discendenza [o Giacobbe] sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra» (Gen 28,14). Cf. Is 52,13-53,12: il Servo del Signore rappresenta tutti. 

13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Grazie al Battesimo, nel quale riceviamo lo Spirito Santo, tutti diventiamo membra vive di Cristo, con pari dignità. «Anche sopra gli schiavi e sulle schiave in quei giorni effonderò il mio spirito» (Gl 3,2). «Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). «Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11). «Tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). 

14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 

vv. 14-16 Paolo incoraggia i membri della comunità che si sentivano poco rilevanti e venivano messi da parte dalle persone più ragguardevoli. L’umile non deve pensare di non far parte del corpo perché detiene un incarico che non lo mette in evidenza. «Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 4,10-11). 

v. 17 Non tutti possono esercitare un servizio appariscente ma tutti detengono un ruolo necessario per il funzionamento di tutto l’organismo. Tutti i membri della comunità appartengono a qualcosa di più grande di loro e nessun è autosufficiente. «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12,4-5). Tutti sono chiamati a collaborare e a vivere in comunione, non a competere o isolarsi. Non dovrebbero invidiare gli altri né sentirsi inutili perché ciascuno ha un ruolo insostituibile nel corpo di Cristo. «Fratelli, qualunque cosa facciano, debbono essere animati da amore e letizia vicendevoli. Chi lavora dica di colui che prega: Poiché mio fratello possiede un tesoro che è comune, anch’io ce l'ho. E chi prega dica di chi legge: Poiché egli riceve un compenso per la sua lettura, anch'io ne traggo un guadagno. E chi lavora, dica di nuovo: il ministero che svolgo è utile a tutti. Come infatti le membra del corpo, pur essendo molte, formano un solo corpo e si aiutano scambievolmente, anche se ciascuno svolge un suo compito, ma l’occhio vede per tutto il corpo, lavora per tutte le membra, il piede cammina sostenendole tutte e ogni altro membro partecipa delle stesse sensazioni, così siano anche i fratelli fra di loro. Pertanto chi prega non giudichi chi lavora, per il fatto che non prega; chi lavora non condanni chi prega, perché sembra riposare, giacché, in realtà, anch’egli lavora. Ma ciascuno, se svolge un compito, lo svolga per la gloria di Dio» (Pseudo-Macario, Omelia 3,2). 

21Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi. 22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 

v.21 Il discorso è rivolto a chi apprezzava il carisma ricevuto ma guardava con sufficienza le persone che avevano ricevuto doni meno appariscenti. Chi sa di essere occhio, non deve disprezzare chi è mano; chi funge da testa, non può dimenticare l’importanza del piede. «Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi» (Rm 12,15-16). 

v.22 Certe parti del corpo che non si vedono (cuore, fegato, polmoni) sono comunque necessarie. «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» (Mc 12,42). 

Altre membra, quelle più intime, ricevono maggior rispetto, perciò i cristiani meno maturi (dei quali la comunità potrebbe vergognarsi) appartengono anch’essi al corpo di Cristo: «Mi hanno abbandonato gli uomini perché le mie piaghe fanno loro schifo, quelle che io ho ritenuto di dover schiudere alla tua misericordia. Quelli dicono: Và fuori dai piedi, perché sei un peccatore. Allontanati che ci insozzi. Ma tu, o Signore, mi curi e non ti contamini, perché sei tu il Dio della mia salvezza, o Signore» (Ambrogio, Sui dodici salmi, Pl 14,1085.1087)

v. 24 Dio del resto ha sempre privilegiato i poveri, attribuendo maggior onore a chi non ne aveva. «Quando offri un banchetto invita poveri, storpi…» (Lc 14,13). «Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero» (Sal 113,7). «Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, e i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele» (Is 29,19). «Il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (Is 49,13). «Beati in poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). «Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno?» (Gc 2,5). 

26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 

«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15). «Vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello» (Gal 6,1-5). «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo» (Eb 13,1-3). «Porta le infermità di tutti come un valido atleta. Dove è maggiore la fatica, più grande sarà anche il premio. Se ami solo i buoni discepoli, non ne avrai alcun merito. Cerca piuttosto di conquistare, con la dolcezza, i più riottosi. Non ogni ferita va curata con lo stesso medicamento. Calma i morsi più violenti con applicazioni di dolcezza» (Ignazio d’Antiochia, A Policarpo, 1,1-4)

27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? 31Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. 

Alcuni ministeri sono, dal punto di vista organico, più importanti di altri (anche se il credente più importante è colui che possiede più amore): sono quelli che hanno relazione con la predicazione e l’istruzione (apostoli, profeti e maestri). «Dove manca una guida il popolo va in rovina; la salvezza dipende dal numero dei consiglieri» (Pr 11,14). Tuttavia i fedeli non devono aspirare a cariche o a ricevere un determinato incarico perché è il Signore stesso a stabilire servizi e ministeri ad ogni singolo. «Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie» (Lc 9,1). «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28). «Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento; chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,6-8).

Capitolo 13 Il Carisma migliore

1Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. 2E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. 3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. 

La presenza o l’assenza della carità è il criterio per stabilire il valore di qualsiasi azione carismatica. Non è sufficiente agire ma è necessario rendersi conto della motivazione dell’agire e della modalità con cui si opera. Dapprima ridimensiona il parlare nelle lingue. Chi lo fa senza amore, ossia badando solo al suo bisogno d’esprimersi, il suo parlare si riduce ad essere un rumore fastidioso. Poi parla di altri doni ai quali attribuiva maggior importanza, soprattutto quello della profezia. Chi istruisce in modo profondo o compie opere straordinarie, se compie tutto questo per altri motivi che non sia la volontà di servire, resta una nullità. Infine parla di due gesti che sono davvero mirabili e suscitavano grande ammirazione: il martirio e la solidarietà radicale. Anche in questi casi l’azione da sola può ridursi ad orgoglio sterile. 

Lo scopo del comando che Paolo impartì a Timoteo, ossia di correggere opinioni false, era motivato dalla «carità, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera» (1 Tm 1,5). «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Riguardo alla fede: «In Cristo Gesù vale la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). 

«Una vergine di questa terra, anche se riceve promesse di nozze e numerosi doni, anche se ha avuto pieno potere su tutto il patrimonio, se non arriva all'unione carnale, rimane estranea all'uomo di cui porta il nome. Così l'anima che rimane vergine per Cristo, anche se riceve dei doni in gran numero, parola, interpretazione, capacità di guarire, ma non è giudicata degna dell'unione con lo Sposo incorruttibile, ella gli rimane estranea. Lolio di esultanza e l’abito nuziale non si riconoscono dai carismi, ma dalla stessa adozione filiale, nella quale risiede l’immutabile carità» (Pseudo Macario, III,28, 3,1-5, Campone 214).

La parola “amore”, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata. Nel cosiddetto inno alla carità scritto da San Paolo, riscontriamo alcune caratteristiche del vero amore. È prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta. 

4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 

La carità è magnanima

Dio è «lento all’ira » (Es 34,6; Nm 14,18). Si mostra quando la persona non si lascia guidare dagli impulsi e evita di aggredire. È una caratteristica del Dio dell’Alleanza che chiama ad imitarlo. La pazienza di Dio è esercizio di misericordia verso il peccatore e manifesta l’autentico potere. Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di dominare gli impulsi, e la vita di relazione si trasformerà in un campo di battaglia. Per questo la Parola di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità » (Ef 4,31). Questa pazienza si rafforza quando riconosco che anche l’altro possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato. 

benevola è la carità

La “pazienza” nominata al primo posto non è un atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”. L’amore non è solo un sentimento; “amare”  vale a dire: “fare il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole». In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire. 

non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio

Nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro (cfr At 7,9; 17,5). L’invidia è una tristezza per il bene altrui che dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere. Mentre l’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io. Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in modo di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro. L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità. Amo quella persona, la guardo con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto « perché possiamo goderne » (1 Tm 6,17), e dunque accetto dentro di me che possa godere di un buon momento. 

Non si vanta: parla della vanagloria, l’ansia di mostrarsi superiori per impressionare gli altri con un atteggiamento pedante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro. 

Non si gonfia: l’amore non è arrogante. Non si “ingrandisce” di fronte agli altri, e indica qualcosa di più sottile. Ci si considera più grandi di quello che si è perché ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per esempio per dire che « la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica » (1 Cor 8,1). Vale a dire, alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole. In un altro versetto lo utilizza per criticare quelli che si “gonfiano d’orgoglio” (cfr 1 Cor 4,18), ma in realtà hanno più verbosità che vero “potere” dello Spirito (cfr 1 Cor 4,19). È importante che i cristiani vivano questo atteggiamento nel loro modo di trattare i familiari poco formati nella fede, fragili o meno sicuri nelle loro convinzioni. A volte accade il contrario: quelli che, nell’ambito della loro famiglia, si suppone siano cresciuti maggiormente, diventano arroganti e insopportabili. L’atteggiamento dell’umiltà appare qui come qualcosa che è parte dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà. Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice loro: « tra voi non sarà così » (Mt 20,26). La logica dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro sentire il suo potere, ma quella per cui « chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore » (Mt 20,27). Nella vita di relazione non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore. « Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili » (1 Pt 5,5). 

non manca di rispetto

Amare significa anche rendersi amabili. Vuole indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri. La cortesia « è una scuola di sensibilità e disinteresse » che esige dalla persona che « coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere ». Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò « ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano ». Ogni giorno, « entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. […] E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore ». Per disporsi ad un vero incontro con l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui. Questo non è possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli errori altrui, forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti. L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale. In tal modo protegge sé stesso, perché senza senso di appartenenza non si può sostenere una dedizione agli altri, ognuno finisce per cercare unicamente la propria convenienza e la convivenza diventa impossibile. Una persona antisociale crede che gli altri esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo il loro dovere. Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: « Coraggio figlio! » (Mt 9,2). « Grande è la tua fede! » (Mt 15,28). « Alzati! » (Mc 5,41). « Va’ in pace » (Lc 7,50). « Non abbiate paura » (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù. 

non cerca il proprio interesse

« Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri » (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: « Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? [...] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso » (Sir 14,5-6). 102. Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che « è più proprio della carità voler amare che voler essere amati » e che, in effetti, «le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate». Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, « senza sperarne nulla » (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è « dare la vita » per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8). 

non si adira, non tiene conto del male ricevuto

Se la prima espressione dell’inno ci invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di fronte alle debolezze o agli errori degli altri, adesso appare un’altra parola – paroxynetai – che si riferisce ad una reazione interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di una violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare. Alimentare tale aggressività intima non serve a nulla. Ci fa solo ammalare e finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri. Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio (cfr Mt 7,5), e come cristiani non possiamo ignorare il costante invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: « Non lasciarti vincere dal male » (Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira » (Ef 4,26). La reazione interiore di fronte a una molestia causata dagli altri dovrebbe essere anzitutto benedire nel cuore, desiderare il bene dell’altro, chiedere a Dio che lo liberi e lo guarisca: « Rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione » (1 Pt 3,9). Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre “no” alla violenza interiore. 

Non tiene conto del male ricevuto 

Non è rancoroso. Se permettiamo ad un sentimento cattivo di penetrare nelle nostre viscere, diamo spazio a quel rancore che si annida nel cuore. Il contrario è il perdono, un perdono fondato su un atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a cercare delle scuse per l’altra persona, come Gesù che disse: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno » (Lc 23,34). Invece la tendenza è spesso quella di cercare sempre più colpe, di immaginare sempre più cattiverie, di supporre ogni tipo di cattive intenzioni, e così il rancore va crescendo e si radica. In tal modo, qualsiasi errore o caduta del coniuge può danneggiare il vincolo d’amore e la stabilità familiare. Il problema è che a volte si attribuisce ad ogni cosa la medesima gravità, con il rischio di diventare crudeli per qualsiasi errore dell’altro. La giusta rivendicazione dei propri diritti si trasforma in una persistente e costante sete di vendetta più che in una sana difesa della propria dignità.  Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri. 

Ma questo presuppone l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in famiglia cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà uno spazio di tensione permanente e di reciproco castigo. 

non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità

Godere del male indica qualcosa di negativo insediato nel segreto del cuore della persona. È l’atteggiamento velenoso di chi si rallegra quando vede che si commette ingiustizia verso qualcuno. La frase si completa con quella che segue, che si esprime in modo positivo: si compiace della verità. Vale a dire, si rallegra per il bene dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue capacità e le sue buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti. Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché « Dio ama chi dona con gioia » (2 Cor 9,7), nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro. Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù, « si è più beati nel dare che nel ricevere! » (At 20,35). 

L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”.

 Tutto scusa

In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo contro-culturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare.  In primo luogo si afferma che “tutto scusa” (panta stegei). Si differenzia da “non tiene conto del male”, perché questo termine ha a che vedere con l’uso della lingua; può significare “mantenere il silenzio” circa il negativo che può esserci nell’altra persona. Implica limitare il giudizio, contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. «Non condannate e non sarete condannati » (Lc 6,37). «Non sparlate gli uni degli altri, fratelli» (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri procurando loro dei danni molto difficili da riparare. Per questo la Parola di Dio è così dura con la lingua, dicendo che è « il mondo del male » che «contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita» (Gc 3,6), «è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,8). Se «con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio» (Gc 3,9), l’amore si prende cura dell’immagine degli altri, con una delicatezza che porta a preservare persino la buona fama dei nemici. È l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro. Un fatto sgradevole nella relazione non è la totalità di quella relazione. Dunque si può accettare con semplicità che tutti siamo una complessa combinazione di luci e ombre. L’altro non è soltanto quello che a me dà fastidio. È molto più di questo. Per la stessa ragione, non pretendo che il suo amore sia perfetto per apprezzarlo. Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma limitato e terreno. Perciò, se pretendo troppo, in qualche modo me lo farà capire, dal momento che non potrà né accetterà di giocare il ruolo di un essere divino né di stare al servizio di tutte le mie necessità. L’amore convive con l’imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata. 

tutto crede 

Tale fiducia fondamentale riconosce la luce accesa da Dio che si nasconde dietro l’oscurità, o la brace che arde ancora sotto le ceneri. Questa stessa fiducia rende possibile una relazione di libertà. Non c’è bisogno di controllare l’altro, di seguire minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia. L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare. Questa libertà, che rende possibili spazi di autonomia, apertura al mondo e nuove esperienze, permette che la relazione si arricchisca e non diventi una endogamia senza orizzonti. In tal modo i coniugi, ritrovandosi, possono vivere la gioia di condividere quello che hanno ricevuto e imparato al di fuori del cerchio familiare. Nello stesso tempo rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché quando uno sa che gli altri confidano in lui e ne apprezzano la bontà di fondo, allora si mostra com’è, senza occultamenti. Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo giudicano senza compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà mantenere i suoi segreti, nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello che non è. Viceversa, dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto, ciò permette che emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti l’inganno, la falsità e la menzogna. 

 Tutto spera 

L’altro può cambiare. Spera sempre che sia possibile una maturazione, un sorprendente sbocciare di bellezza, che le potenzialità più nascoste del suo essere germoglino un giorno. Non vuol dire che tutto cambierà in questa vita. Implica accettare che certe cose non accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva diritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra. Qui si fa presente la speranza nel suo senso pieno, perché comprende la certezza di una vita oltre la morte. Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile. 

Tutto sopporta 

Significa mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile. Non consiste soltanto nel tollerare alcune cose moleste, ma in qualcosa di più ampio: una resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida. 

«La persona che ti odia di più, ha qualcosa di buono dentro di sé; e anche la nazione che più odia, ha qualcosa di buono in sé; anche la razza che più odia, ha qualcosa di buono in sé. E quando arrivi al punto di guardare il volto di ciascun essere umano e vedi molto dentro di lui quello che la religione chiama “immagine di Dio”, cominci ad amarlo nonostante tutto. Non importa quello che fa, tu vedi lì l’immagine di Dio. C’è un elemento di bontà di cui non ti potrai mai sbarazzare. […] Un altro modo in cui ami il tuo nemico è questo: quando si presenta l’opportunità di sconfiggere il tuo nemico, quello è il momento nel quale devi decidere di non farlo. […] Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema. […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito,  è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male. […] Qualcuno deve avere abbastanza fede e moralità per spezzarla e iniettare dentro la stessa struttura dell’universo l’elemento forte e potente dell’amore» (Martin Luther King. 

L’amore non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di ferire o di far pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è amore malgrado tutto. Ammiriamo, per esempio, l’atteggiamento di persone che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, e tuttavia, a causa della carità coniugale che sa andare oltre i sentimenti, sono stati capaci di agire per il suo bene, benché attraverso altri, in momenti di malattia, di sofferenza o di difficoltà. Anche questo è amore malgrado tutto. 

8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. 9Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.

Dopo aver inneggiato all'amore evangelico, proietta lo sguardo verso la vita eterna. Dal punto di vista della venuta gloriosa di Cristo, l'amore risulta ancora più notevole, essendo l'unica realtà che non verrà meno. Se guardiamo le cose dal punto di vista terreno, sono poche quelle che valgono davvero e che rimangono a fondamento della vita dei credenti: sono la fede, la speranza e la carità. «Sopra tutte queste cose rivestitevi della carità» (Col 3,14). 

Bisogna ridimensionare l'importanza riservata ai doni spirituali, anche quelli più prestigiosi come la capacità di pregare in lingue la profezia e il dono della conoscenza. Legati come sono a questo mondo transitorio e imperfetto, ne condividono le carenze e sono destinati a svanire con esso. Passando dalla condizione terrena alla vita dei risorti con un processo di maturazione analogo a quello che dall'infanzia conduce alla maturità, i credenti in Cristo scopriranno con chiarezza la caducità e l'imperfezione dei doni terreni dello spirito. 

12Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. 13Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Per quanto riguarda la conoscenza, per esempio, sulla terra possiamo sì conoscere Dio cioè entrare il rapporto con lui, ma in fondo vediamo di lui soltanto qualche immagine come in uno specchio. A quei tempi gli specchi piuttosto rudimentali non permettevano una visione nitida. La creazione del mondo manifesta qualche cosa del suo autore, ma di fatto, per chi è ancora in cammino in questo mondo, Dio rimane invisibile. Paolo ammette che per ora conosce il Signore in maniera imperfetta. Spera che da risorto lo conoscerà perfettamente faccia a faccia come si narrava di Mosè (Es 33,11). Quando saremo resuscitati potremo conoscere Dio in un modo più perfetto rispetto a quello della fede terrena. La fede si trasformerà in visione e non avremo più bisogno di sperare la felicità eterna perché di fatto ne saremo entrati in possesso definitivamente. «Sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione -, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi» (2 Cor 5,6-8). «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2)

Ciò che quindi rimarrà per sempre in paradiso è il bene che avremmo voluto e che continueremo a volere a Dio e agli altri. I ricchi «facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1 Tm 6,18-19).  «Le fu data (alla Sposa/Chiesa) una veste di lino puro e splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19,8). Se questo è il destino glorioso dell'amore umano, è chiaro perché esso, sia la virtù più grande. Ogni altra realtà della vita, inclusi i doni della grazia, profuma fin d'ora di eternità tanto nella misura in cui è intrisa di carità. «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4, 16). (Cf. Manzi 189-190).

Capitolo 14 Un’assemblea caritatevole

1Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia. 2Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. 3Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. 4Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l'assemblea. 5Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l'assemblea ne riceva edificazione. 

Paolo, dopo aver celebrato il valore della carità, invita a procurarsi questa virtù e offre delle esemplificazioni su come viverla nella pratica. Ad esempio, il dono della profezia è migliore di quello di parlare lingue sconosciute, proprio perché è più utile per edificare il prossimo. Nelle scelte di vita, l’utilità del prossimo ha sempre la precedenza rispetto al nostro diritto o al nostro bisogno. 

I testi del Nuovo Testamento fanno risaltare l’importanza della profezia, dell’istruzione e del reciproco sostegno. Il Signore Gesù ha dato ad alcuni di essere profeti «per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo» (Ef 4,12). L’apostolo confermava «i discepoli esortandoli a restare saldi nella fede perché, dicevano: dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). «Confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate» (1 Ts 5,11). Il vescovo sia «fedele alla Parola, che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori» (Tt 1,9). 

6E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento? 

Per ribadire il principio del primato dell’edificazione della comunità, l’apostolo si serve di alcuni esempi. Il primo è un esempio personale. Se, giunto a Corinto, avesse parlato in lingue, non sarebbe  nata la comunità e non riuscirebbe oggi a confermarla nellla fede. 

7Ad esempio: se gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra, non producono i suoni distintamente, in che modo si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? 8E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia? 9Così anche voi, se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! 

Il secondo esempio è musicale. Perché ci sia una melodia, uno strumento deve emmettere un suono distinto rispetto a quello d’un altro. Un esercito non inizia la battagia se non ha udito il segnale d’attacco con chiarezza. Allo stesso modo la comunità non matura nella fede e nella battaglia della vita se non ha ascoltato in modo adeguato le parole della predicazione. 

10Chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. 11Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me. 12Così anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l'edificazione della comunità. 13Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di saperle interpretare.

Esempio delle lingue. Gli uomini non comunicano tra loro in modo soddisfacente se non parlano la stessa lingua. La comunità non può essere composta da persone che sono estranee le une dalle altre ma da persone che comunicano bene tra loro. Lo scopo di ogni incontro comunitario sta nel reciproco consolidamento mediante una comunicazione chiara e profonda. Chi parla in lingue cerchi anche di saperle interpretare. 

14Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l'intelligenza. 16Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l'Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? 17Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l'altro non viene edificato. 18Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi; 19ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue. 

Paolo mostra, partire dalla propria esperienza personale quanto sia fecondo fare preghiere a Dio non solo con il proprio spirito, anche con la propria intelligenza. Designa con il termine spirito gli aspetti più emotivi della persona, mentre con intelligenza la mente cosciente razionale dell'essere umano. L'ideale sarebbe pregare con entrambi. Per questo richiede che la preghiera in lingua sia tradotta, così Da coinvolgere anche le facoltà intellettuali sia del carismatico che la eleva a Dio, sia degli altri che lo ascoltano. Egli propone se stesso come modello in quanto, anche se potrebbe parlare le lingue, preferisce essere utile agli altri piuttosto che abbandonarsi alla sua preferenza personale. 

20Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi. 21Sta scritto nella Legge: In altre lingue e con labbra di stranieri parlerò a questo popolo, ma neanchecosì mi ascolteranno, dice il Signore. 22Quindi le lingue non sono un segno per quelli che credono, ma per quelli che non credono, mentre la profezia non è per quelli che non credono, ma per quelli che credono. 

v.20 I fedeli devono essere innocenti come i bambini che non hanno peccato ma maturi nel modo di pensare. L’incapacità di assumere le istanze proprie della carità rende un credente una persona immatura nella fede. Bisogna crescere nella fede «così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo» (Ef 4,14-15). «Mentre mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male. Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi» (Rm 16,20).

v.21 In una profezia (28, 11-12), Isaia annuncia che Dio parlerà in altre lingue. Questo carisma, allora, viene realmente da Dio. Tuttavia più che ai credenti, esso è un segno destinato ai pagani, i quali potranno rimanere impressionati e colpiti, benchè questo stupore non sia sufficiente per condurli alla fede. A Pentecoste, «tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (At 2,4); alcuni rimasero stupiti favorevolmente ma «altri li deridevano e dicevano: “si sono ubriacati di vino dolce» (At 2,13). 

23Quando si raduna tutta la comunità nello stesso luogo, se tutti parlano con il dono delle lingue e sopraggiunge qualche non iniziato o non credente, non dirà forse che siete pazzi? 24Se invece tutti profetizzano e sopraggiunge qualche non credente o non iniziato, verrà da tutti convinto del suo errore e da tutti giudicato, 25i segreti del suo cuore saranno manifestati e così, prostrandosi a terra, adorerà Dio, proclamando: Dio è veramente fra voi!

Un non credente viene colto da stupore nell’ascoltare il ronzio delle lingue ma si converte soltanto ascoltando la predicazione espressa dai profeti. «Così dice il Signore degli eserciti: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi”» (Zc 8,23). «Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito; quando me lo hai fatto capire, mi sono battuto il petto, mi sono vergognato e ne provo confusione» (Ger 31,19). «All'udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo» (At 2,37-38). 

26Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l'edificazione. 27Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due, o al massimo in tre, a parlare, uno alla volta, e vi sia uno che faccia da interprete. 28Se non vi è chi interpreta, ciascuno di loro taccia nell'assemblea e parli solo a se stesso e a Dio. 

La comunità si esprimeva tutta con grande libertà e senso di partecipazione. «Non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,18-20). «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori» (Col 3,16). Suggerisce delle norme pratiche perché il culto si svolga in modo ordinato, nella pace. 

29I profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino. 30Ma se poi uno dei presenti riceve una rivelazione, il primo taccia: 31uno alla volta, infatti, potete tutti profetare, perché tutti possano imparare ed essere esortati. 32Le ispirazioni dei profeti sono sottomesse ai profeti, 33perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace.

Giovanni, autore del libro dell’Apocalisse, si presenta come un profeta: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (Ap 22,6). 

Compare la necessità del discernimento delle parole espresse sotto ispirazione: «Non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio. In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio» (1 Gv 4,1-3). 

v. 33 «Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi» (2 Ts 3,16). 

Come in tutte le comunità dei santi, 34le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. 35Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. 

Il comando che impone alle donne di tacere è cotrasta con la possibilità concessa a loro di profetare durante il culto (Cf 11,5), purché lo facciano con il capo velato. «Dobbiamo proprio a Paolo un'ampia documentazione sulla dignità e sul ruolo ecclesiale della donna. Egli parte dal principio fondamentale, secondo cui per i battezzati non solo “non c'è né giudeo né greco, né schiavo né libero”, ma paradossalmente neppure “né maschio né femmina”: il motivo è che “tutti siamo uno solo in Cristo Gesù” (Gal 3,28), cioè tutti accomunati nella stessa dignità di fondo, benché ciascuno con funzioni specifiche ( 1Cor 12,7). Ebbene, l’Apostolo ammette come cosa normale che nelle assemblee cristiane la donna possa intervenire a “profetare” (1 Cor 11,5), cioè a pronunciarsi in modo aperto e pubblico sotto l’influsso dello Spirito, purché sia per l'edificazione della comunità; perciò la successiva esortazione a che “le donne nelle assemblee tacciano” (1 Cor 14,34) va piuttosto relativizzata e va compresa […] certo come semplice richiamo concreto al buon ordinamento delle assemblee stesse» (Romano Penna, Battesimo e identità cristiana: una doppia immersione, San Paolo, Milano 2022, 208). 

Del resto nella Chiesa primitiva esisteva il ministero della profezia femminile. Ad esempio, l’evangelista Filippo «aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia» (At 21,9). Non è documentato che, oltre alle parole profetiche su ispirazione, le profetesse si dedicassero all’istruzione durante il culto ma, comunque, erano invitate a farlo almeno in altre circostanze: «Le donne anziane abbiano un comportamento santo: non siano maldicenti né schiave del vino; sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani …, perché la parola di Dio non venga screditata» (Tt 2,3-5). 

Molteplici missionarie del Vangelo avevano lavorato insieme a Paolo: Febe, Priscilla, Maria, Giunia, Trifena e Trifosa, Perside, Giulia e Olimpas (Cf Rm 16). Sono state vere evangelizzatrici, non delle semplici collaboratrici domestiche. Giovanni Crisostomo, soffermandosi sull’elogio che l’apostolo rivolge a Maria (Rm 16,6), osserva: «Di nuovo Paolo esalta e addita a esempio una donna, e di nuovo noi uomini   siamo sommersi dalla vergogna … ma siamo anche onorati. Siamo onorati, infatti, perché abbiamo con noi donne del genere; ma siamo sommersi dalla vergogna, perché siamo molto indietro al loro confronto. Se apprendiamo, tuttavia, da dove traggono il loro onore, ben presto potremo raggiungerle anche noi. Da dove traggono l'onore? Ascoltino uomini e donne: dai sudori sostenuti per la verità» (Omelia 31,1 PG 60, 668-669).

Già nell’Antico Testamento esisteva il ministero della profezia femminile. Maria, Debora, Culda, Anna erano profetesse. «Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello» (Es 15,20). «In quel tempo era giudice d’Israele una donna, una profetessa, Dèbora, moglie di Lappidòt. Ella sedeva sotto la palma di Dèbora, sulle montagne di Èfraim, e gli Israeliti salivano da lei per ottenere giustizia» (Gdc 4,4-5). «Il sacerdote Chelkia [con altri] si recò dalla profetessa Culda, moglie di Sallum, la quale abitava nel secondo quartiere di Gerusalemme; essi parlarono con lei» (2 Re 22,14). Luca ricorda la profetessa Anna: «C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,36-38). 

Come c’erano falsi profeti, c’erano anche false profetesse; il discernimento era necessario: (Ne 6,14 [Noadia] Ez 13,17 [«Rivolgiti alle figlie del tuo popolo che profetizzano secondo i loro desideri»]. 

36Da voi, forse, è partita la parola di Dio? O è giunta soltanto a voi? 37Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto vi scrivo è comando del Signore. 38Se qualcuno non lo riconosce, neppure lui viene riconosciuto. 39Dunque, fratelli miei, desiderate intensamente la profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. 40Tutto però avvenga decorosamente e con ordine.

Mette in discussione l’atteggiamento di alcuni membri della comunità che si comportavano come se la rivelazione fosse un dono esclusivo per loro. In realtà dovrebbero confrontarsi con altre Chiese e riconoscere l’autorità dell’apostolo. Le persone che si considerano animate dallo Spirito Santo, proprio per questo, dovrebbero approvare l’istruzione dell’apostolo e consentire ad esso perché il ministero dell’autorità è carismatico come lo è la profezia (cf 12,4-5).

Riassume, quindi, il messaggio appena esposto: esprimersi in lingue è permesso ma è preferibile comunicare parole di profezia perché esse convincono e confortano. «Quando non c’è visione profetica, il popolo è sfrenato» (Pr 29,18). 

Ordine e decoro devono sempre animare le assemblee cultuali, evitando caos e protagonismi. 

La Risurrezione

Capitolo 15

1Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi 2e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! 

Il Vangelo nel quale restate saldi. 

Paolo richiama il Vangelo che ha già annunciato alla comunità e ricorda la loro accoglienza. «Rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti» (1 Ts 2,13). Sono stati e dovranno continuare ad essere semi sparsi sul buon terreno che «ascoltano la Parola, l'accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno» (Mc 4,20). 

«Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento e il tuo cuore custodisca i miei precetti, perché lunghi giorni e anni di vita e tanta pace ti apporteranno. Bontà e fedeltà non ti abbandonino: légale attorno al tuo collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore, e otterrai favore e buon successo agli occhi di Dio e degli uomini» (Pr 3,1-3). «Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica» (Fil 4,9).

se lo mantenete come ve l’ho annunciato

«Bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta» (Eb 2,1). È possibile essere attratti da una falsa dottrina: «Se il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo» (2 Cor 11,4). «Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema» (Gal 1,8). «Ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui; purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo» (Col 1,22-23).

3A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 

Richiama la tradizione vivente: ha trasmesso, ciò che anche lui aveva ricevuto. Aveva accolto la tradizione degli apostoli nella Chiesa di Antiochia di Siria di cui fece farte dopo la sua adesione a Cristo (At 11,20-21.25-26). Anzitutto, al primo posto (en protois), richiama il contenuto essenziale della fede, detto Kerygma. «Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti. Per questo anche il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato» (Evangelii gaudium, 164) 

Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto

Riferisce un evento capitale del passato. «Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio» (1 Pt 3,18). «Ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo malvagio, secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). «Consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio…» (At 2,23). «Ecco i segni dei chiodi, ecco le ferite! Io ho sofferto tutte queste cose per te che sei stato ferito con molti colpi e trascinato da molti nemici in una dura schiavitù. Ma io, nella mia bontà, sono venuto a cercarti per liberarti, giacché dall'inizio ti ho fatto a mia immagine» (PseudoMacario, III, 3,1,5-3,2). Il Signore «è venuto a prendere le tue afflizioni e i tuoi pesi e a donarti la sua pace, ma tu non vuoi sopportare fatiche e soffrire, per ottenere il tal modo, la guarigione delle tue ferite» (Pseudo Macario Omelia 27,26 Campone 131).

La menzione della sepoltura, poi, stabilisce il carattere reale e definitivo della morte. 

e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.

Cerca di usare un linguaggio umano per annunciare un evento superiore: si risvegliò, si alzò. Il verbo non è al passato perché l’evento della Risurrezione è permanente. Cristo non è tornato in vita come altri ma ha vinto la morte; è la risurrezione e la vita (Gv 11,27), è vivente (Lc 24,5), seduto alla destra del Padre (Eb 8,1). Il terzo giorno è quello dell’evento della salvezza: «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare» (Os 6,2). La Scrittura attesta che la relazione con Dio, garantita dalla sua benevole fedeltà, non può essere spezzata dalla morte: «Per questo gioisce il mio cuore, anche il mio corpo riposa al sicuro perché non abbandonerai la mia vita negli inferi» (Sal 16,9-10). 

Richiama l’attestazione di fede dei primi testimoni e fa sapere che sono stati molti. Il Risorto non fu visto ma apparve; come Dio, appare a coloro che chiama. «Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità» (Mc 16,14)..

8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

L’elenco dei testimoni della risurrezione comincia con Cefa (Pietro), il più importante e termina con Paolo, l’ultimo, totalmente indegno di essere chiamato all’apostolato. «A me, che sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8). Si considera un aborto: era un morto vivente, viveva come uno che non aveva neppure cominciato a vivere. L’amore di Dio è stato così potente non solo da restituirlo alla vita ma a renderlo capace di faticare per il Signore più di tutti: «Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli!» (2 Cor 11,5). «… a motivo della grazia che mi è stata data da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all'obbedienza, con parole e opere, con la forza dello Spirito» (Rm 15,15-18). «Ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (1 Tm 1,16). 

così predichiamo e così avete creduto

In conclusione, attesta di appartenere in pieno al gruppo degli apostoli. La fede è un processo che ha un inizio e che esige di essere confermato lungo la vita. 

12Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? 13Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! 14Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. 15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. 

L’annuncio della risurrezione di Cristo è un portale che apre ai credenti la realtà viva di Cristo. Alcuni fedeli, però, negavano la possibilità che ci potesse essere una resurrezione dai morti. Paolo contesta: se non può darsi risurrezione, essa non può essere attribuita neppure a Gesù ed allora l’annuncio cristiano non avrebbe alcun senso. Il cristianesimo, infatti, non consiste nell’applicare gli insegnamenti di un maestro del passato ma è partecipazione della vita «con Cristo in Dio» (Col 3,3); è possesso della vita eterna nell’attesa della participazione alla glorificazione di Cristo. «Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono» (Ap 3,21). Il cristiano cerca di vivere gli insegnamenti di Gesù perché è già lui: è un tralcio che fa parte della vite, è la vite. 

Inoltre l’esaltazione di Cristo assicura che il Padre ha concesso il perdono dei peccati, ottenuto per noi da Gesù con la sua obbedienza fino alla morte. «È stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). 

Infine, se Cristo non è risorto e non c'è una vita oltre la morte, allora i cristiani, che spesso affrontano sofferenze, persecuzioni e rinunce per la loro fede, lo fanno invano e sono persino da compatire, perché hanno costruito tutta la loro esistenza su una speranza illusoria. Invece, è vero il contrario: «Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» (1 Ts 4,14). «Beati i morti che muoiono nel Signore: essi riposeranno dalle lori fatiche, perché le loro opere li seguono» (Ap 14,13). «Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). 

20Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. 22Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. 

La primizia (offerta dei primi prodotti) anticipava l’intero raccolto e, quindi, dal momento che Cristo è la primizia, ciò che è accaduto a lui, accadrà anche ad altri; tutti i fedeli morti godranno della stessa sorte di Cristo, perché «Egli è il capo del corpo (kephale), della Chiesa. Egli è principio (archè), primogenito (prototokos) di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18). «Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). 

v. 22 In Adamo tutti muoiono, in Cristo rivivranno. Nella Bibbia, alcuni personaggi, in quanto capi o progenitori, formano una realtà unica con il gruppo di persone che guidano o con i loro discendenti (cf Manzi 223-225). Il rapporto di solidarietà con cui siamo legati a Cristo è ben più stretto della connivenza di morte con Adamo. «Se per la caduta di uno solo [Adamo] la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (Rm 5,17).

23Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. 24Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. 25È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, 27perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. 

v. 23 «Il Signore discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore» (1 Ts 4,16-17).

v. 24 La fine della storia corrisponde alla consegna del suo regno, da parte di Gesù, al Padre. Nel frattemo dovrà sbaragliare in modo completo le potenze cosmiche già sconfitte. 

v. 25 È necessario: corrisponde al volere di Dio che Gesù dilati e mantenga la sua sovranità finchè non abbia sconfitto tutto ciò che contrasta con il progetto salvifico di Dio, soprattutto la morte. Paolo sembra ispirarsi al salmo 110 ma con delle differenze: nel salmo Dio concede la sovranità al suo Eletto (“Siedi alla mia destra”) ma sarà Egli stesso vincerà i nemici; secondo Paolo, invece, è il Messia stesso ad assoggettare i nemici, per adempiere la missione ricevuta. Il Risorto, quindi, agisce come Dio. Ad essere sconfitti ora non sono soltanto dei nemici ma tutti i nemici. La sovranità del Risorto è totale. 

«Davvero l'hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» (Sal 8,6-7) «Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto» (Eb 2,9). 

Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. 28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. 

Gesù è sottomesso a Dio in quanto adempie totalmente la missione affidatagli dal Padre, affinchè il suo amore colmi ogni realtà (oppure: ricolmi ogni uomo; en pasin= in tutto o in tutti). 

29Altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro? 

Un passo dal significato incerto. 1. Paolo fa notare che i Corinti, nonostante l’apparente incredulità, si comportano come se i defunti continuassero a vivere dal momento che alcuni si facevano battezzare al posto di un congiunto già defunto. Ricorda loro una prassi cultuale del tutto sconosciuta e non più seguita nel tempo 2. Coloro che si fanno battezzare per i morti, in realtà, sono tutti gli evangelizzatori che si immergono nei travagli della loro missione allo scopo di vivificare gli uomini che sono morti [battezare significa immergere]. Il seguito del discorso, conferma questa seconda ipotesi. 

30E perché noi ci esponiamo continuamente al pericolo? 31Ogni giorno io vado incontro alla morte, come è vero che voi, fratelli, siete il mio vanto in Cristo Gesù, nostro Signore! 32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? 

vv. 30-32 Parlando di sé, testimonia di credere fermamente nella risurrezione altrimenti, a motivo delle sofferenze che affronta, non potendo contare su una nuova vita, avrebbe scelto di essere il più miserabile di tutti gli uomini. Come missionario, ogni giorno affronta la morte e si paragona a chi combatte contro le fiere. «So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni» (At 20,23). «Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,36-37). «Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2 Cor 4,11).

Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. 33Non lasciatevi ingannare: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi». 34Tornate in voi stessi, come è giusto, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

L’assenza di speranza in una vita futura, spinge l’incredulo a “mordere la vita” presente, cercando il più possibile il piacere come unica vera risorsa. Questo atteggiamento porta a trascurare ogni altro valore e favorisce la conflittualità di tutti contro tutti. Alcuni fedeli sono stati corrotti da cattive compagnie e si sono dati ad una vita di peccato, tipica di quanti non conoscono Dio. 

Paolo assiste a comportamenti già condannati dai profeti: «Vi invitava in quel giorno il Signore, Dio degli eserciti, al [pentimento]. Ecco invece gioia e allegria, sgozzate bovini e scannate greggi, mangiate carne e bevete vino: “Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo!”. Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi: “Certo non sarà espiato questo vostro peccato”» (Is 22,12-14). «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati… Venite dunque e godiamo dei beni presenti! Saziamoci di vino  pregiato e di profumi, nessuno di  noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. Lasciamo dappertutto i  segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la nostra  parte. Spadroneggiamo sul giusto, che è povero, non risparmiamo  le vedove,  né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato. La  nostra forza sia legge della giustizia» (Sap 2,1-11). 

35Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». 36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. 37Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. 38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. 

Il tema della risurrezione fa sorgere in modo spontaneo molti interrogativi. Paolo risponde con una certa ruvidezza forse perché sospetta che queste domande intendano piuttosto alimentare dubbi anziché chiarimenti. Nel tentativo di ribadire la sua fede, recupera indizi dalla natura. Il mondo naturale offre degli elementi d’osservazione che suggeriscono la “naturalezza” della risurrezione: da un chicco che muore, spunta un germoglio che diventa poi una spiga. Il confronto non è tra l’uno (che muore) e i molti (che vivono grazie a questa morte) (come in Gv 12,24), ma tra la morte e una nuova vita. In modo paradossale, è la morte a consentire la vita. Anziché spegnere ogni attesa, da essa può germinare una diversa esistenza, perfino più ricca. Il detto di Gesù specifica questa prospettiva di base. Il processo naturale da morte a vita non accade per una energia che risiede negli elementi, quasi per automatismo, ma perché è Dio ad intervenire per assicurare questo sviluppo. La natura non è soltanto natura ma creazione. 

Paolo vi si ispira, poiché il mondo creato rimane sempre la prima rivelazione dell’agire di Dio. Se la risurrezione trascende di gran lunga la vita fisica, tra le due non si pone soltanto discontinuità ma anche una continuità sia pure per semplice analogia, come viene supposto dalla formula creazione e nuova creazione. La prima prepara la seconda che la supera, ma senza l’idea di creazione, parlare di nuova creazione sarebbe incomprensibile. Gesù stesso spiegava la profondità insondabile del Regno, con immagini tratte dal mondo naturale. 

39Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. 40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. 41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. 

La risurrezione riguarda il corpo e prima o poi bisogna parlare di esso. Di nuovo bisogna ricorrere alla potenza creativa di Dio che dona a tutti gli essere dei corpi differenti, peculiari a ciascuno. Ogni corpo possiede la sua gloria tipica ma alcuni superano gli altri nello splendore. Dio può dar vita a corpi dalla qualità infinitamente superiore a quelli che conosciamo e che formano la nostra umanità. 

42Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; 43è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; 44è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. 

La nuova creazione inaugurata dalla risurrezione di Cristo apre agli uomini novità impensabili. Il corpo di Cristo ora è incorruttibile, glorioso, potente, totalmente plasmato dallo Spirito Santo. Il cristiano riceve il dono di partecipare alla sorte del Cristo glorioso. «Trasformerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,21). «Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora apparirete con lui nella gloria» (Col 3,4).

Se esiste un corpo animale, cioè terreno (il termine animale non ha nessun senso dispregiativo), può esistere anche un corpo spirituale. La potenza creativa di Dio, scaturisce dalla forza del suo amore gratuito. La dimensione terrena verrà trasformata in una dimensione celeste, ossia pienamente pervasa dall’azione salvifica, completa e definitiva di Dio.

Sta scritto infatti che 45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste. 

La prima creazione, che è quella che conosciamo e sperimentiamo, è sintetizzata nella figura (mitica) del primo Adamo; la nuova creazione è cominciata con Cristo Risorto, il secondo Adamo (personaggio storico). 

Cristo è proclamato “Spirito vivificante”. Che significa? Cristo, nell’atto della sua risurrezione, entra in modo pieno nella dimensione divina. Lo Spirito di Dio ha trasformato in modo radicale la sua umanità terrestre. Ora, non soltanto è vivo ma è anche vivificante: Egli comunica ai fedeli la sua stessa vita. «Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel Figlio suo» (1 Gv 5,11). Paolo annuncia la promozione dell’uomo integrale, nella sua componente spirituale ma anche fisica. 

L’uomo terrestre viene denominato “animale”, cioè provvisto di un’anima che lo vivifica o “psichico” (il termine greco per parlare di anima). Paolo richiama il secondo racconto della creazione dell’uomo: «Il Signore plasmò l’uomo come polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). L’espressione uomo fatto di terra, uomo animale o psichico, non contiene nulla di dispregativo. Anzi, nella mistica cristiana, il ritorno alla condizione primitiva di Adamo era considerato un traguardo spirituale di grande valore. «Nuovamente poi, dopo la venuta di Cristo, per mezzo della potenza del battesimo, gli uomini hanno raggiunto la statura primitiva di Adamo, sono signori dei demoni e delle passioni» (Pseudo Macario, Omelia 1,2,1). Gesù stesso, quando prese carne, divenne un “essere vivente”, privo del peccato. 

È posta, piuttosto, una differenza qualitativa tra l’uomo della prima creazione, denominato terrestre e quello della novità definitiva di Dio, chiamato celeste. La prima creazione, considerata buona fin dall’inizio, non esaurisce le possibilità dell’amore di Dio il quale vuole aprire una nuova creazione, alla quale i fedeli faranno parte. Essi attingeranno all’acqua della vita eterna: «Io sono l'Alfa e l'Omèga, il Principio e la Fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell'acqua della vita. Chi sarà vincitore erediterà questi beni; io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio» (Ap 21,6-7). 

50Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l’incorruttibilità.

L’apostolo si sta opponendo a quanti pensavano che la risurrezione fosse soltanto un semplice ritorno a questa vita. Lo preciserà ancora meglio nel versetto 53: «È necessario che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità». La corporeità non viene esclusa dal Regno, ma ma dovrà essere una corporeità redenta, liberata dalla corruzzione e resa gloriosa grazie alla partecipazione allo splendore del Risorto. «Anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,21-24). 

51Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, 52in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 

Mistero non significa, qui, una verità inaccessibile ma è chiamata così l’opera definitiva di Dio che, dopo essere rimasta sconosciuta agli uomini, ora viene rivelata. «A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell'eterno Dio…» (Rm 16,25-26). 

È posta in risalto l’azione trasformatrice di Dio il solo che può rendere tutti gli uomini adeguati alla vita eterna. Essa viene inserita in un scenario proprio dell’apocalittica. «Sulla parola del Signore vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore» (1 Ts 4,15-17). Dovranno godere di questa trasformazione sia i defunti, sia quanti saranno ancora in vita. 

53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità. 54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. 55Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? 

Paolo associa la risurrezione all’incorruttibilità. I risorti vivranno in Dio, al modo di Cristo stesso. «Quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli» (2 Cor 5,1). Non saranno diluiti in un oceano divino, ma conserveranno la loro identità, consolidata dall’essere in piena comunione con il Signore e con il prossimo. La morte sarà annientata. «Eliminerà la morte per sempre» (Is 25,8, Cf Os 13,14). 

56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. 57Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! 58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

La Legge non fornisce, a chi si propone d’osservarla, la forza sufficiente per farlo. Nonostante il suo buon proposito, il fedele cade nel peccato che provoca la morte, come se esso fosse il pungiglione d’un insetto mortifero. «In base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti a Dio, perché per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato» (Rm 3,20). «Sappiamo che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm 7,14-17). 

Dio, grazie all’opera di Gesù, ha concesso agli uomini il dono di vincere sul peccato e, quindi, anche sulla morte. Questa consapevolezza induce i fedeli a corrispondere alla sua grazia. 

Epilogo

Capitolo 16

16 1Riguardo poi alla colletta in favore dei santi, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. 2Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte ciò che è riuscito a risparmiare, perché le collette non si facciano quando verrò. 3Quando arriverò, quelli che avrete scelto li manderò io con una mia lettera per portare il dono della vostra generosità a Gerusalemme. 4E se converrà che vada anch’io, essi verranno con me. 

Gli apostoli Pietro e Giovanni raccomandarono a Paolo di “ricordarsi dei poveri” della Chiesa Madre di Gerusalemme che si trovavano in grave indigenza (Gal 2,10). Suggerisce ai suoi fedeli di mettere da parte qualcosa «ogni primo giorno dopo il Sabato» (16,2), quando la comunità si raduva per l’Eucaristia. I Corinzi erano stati i primi a volere la colletta e ad intraprenderla (Cf 2 Cor 8,10). Sussisteva il rischio di un caduta della spinta di generosità. Egli non voleva essere troppo insistente ma neppure consentire che i suoi fedeli diventassero spilorci: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguagliamza» (2 Cor 8,13). 

La somma raccolta sarà portata da Paolo insieme ad altri per fugare ogni dubbio di appropriazione indebita: «Con ciò intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata. Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli uomini» (2 Cor 8,20-21). 

5Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, perché la Macedonia intendo solo attraversarla; 6ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l’inverno, perché prepariate il necessario per dove andrò. 7Non voglio infatti vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po’ di tempo con voi, se il Signore lo permetterà. 8Mi fermerò tuttavia a Èfeso fino a Pentecoste, 9perché mi si è aperta una porta grande e propizia e gli avversari sono molti. 

In quel momento Paolo si trova ad Efeso, insieme ad Aquila e Priscilla ed Apollo ma spera di ritornare, in seguito, in Macedonia (Filippi, Tessalonica) e a Corinto. La programmazione dei viaggi dipende sempre in primo luogo dalle priorità legate all’evangelizzazione (e al calendario della navigazione). 

10Se verrà Timòteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi: anche lui infatti lavora come me per l’opera del Signore. 11Nessuno dunque gli manchi di rispetto; al contrario, congedatelo in pace perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli. 12Riguardo al fratello Apollo, l’ho pregato vivamente di venire da voi con i fratelli, ma non ha voluto assolutamente saperne di partire ora; verrà tuttavia quando ne avrà l’occasione. 

Invia a Corinto Timoteo ma vuole che questi ritorni presso di lui perché è un collaboratore di particolare valore. «Non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda: tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il Vangelo insieme con me, come un figlio con il padre» (Fil 2,20-22). «Tu [Timoteo] mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze» (2 Tm 3,10).

Timoteo era una persona già un discepolo stimato prima ancora di incontrare l’apostolo: «Paolo si recò anche a Derbe e a Listra. Vi era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco: era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere a motivo dei Giudei che si trovavano in quelle regioni: tutti infatti sapevano che suo padre era greco» (At 16,1-3). 

Apollo, un evangelizzatore molto stimato che, suo malgrado, che aveva causato divisioni in comunità a Corinto, per il momento vuole rimanere ancora ad Efeso, la città del suo primo impegno missionario: «Arrivò a Èfeso un Giudeo, di nome Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. Egli cominciò a parlare con franchezza nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. Poiché egli desiderava passare in Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza. Giunto là, fu molto utile a quelli che, per opera della grazia, erano divenuti credenti. Confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (At 18,24-28).

13Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti. 

«Sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pratica tutta la legge. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, e così avrai successo in ogni tua impresa. Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo» (Gs 1,7-8).

14Tutto si faccia tra voi nella carità. 

«In Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). Dio «in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). «La vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento perché possiate distinguere ciò che è meglio» (Fil 1,9). 

15Una raccomandazione ancora, fratelli: conoscete la famiglia di Stefanàs. Furono i primi credenti dell’Acaia e hanno dedicato se stessi a servizio dei santi. 16Siate anche voi sottomessi verso costoro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. 17Io mi rallegro della visita di Stefanàs, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza: 18hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Apprezzate persone come queste. 

Raccomanda alcuni membri della comunità che la presiedono e che si erano recati presso Paolo, ad Efeso, per parlare con lui della situazione della Chiesa di Corinto. 

19Le Chiese dell’Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa. 20Vi salutano tutti i fratelli. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. 

Uno dei mezzi principali con i quali le diverse Chiese cercavano di consolidarsi a vicenda era l’epistolario. «Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi» (Col 4,16). 

Lo stesso accade nel tempo successivo: «Non ho potuto scrivere a tutte le chiese perché sono dovuto partire all’improvviso, secondo gli ordini [del magistrato]. Scrivi tu [o Policarpo] alle chiese della regione orientale, tu che conosci la volontà di Dio, perché anch’esse facciano lo stesso. Quelle che possono mandino messaggeri, le altre almeno lettere, e le affidino a coloro che tu invierai, e ne avrete ben giustamente gloria eterna» (Ignazio a Policarpo, 8,3). 

«Nel ricevere le vostre lettere e nel leggere, nei vostri scritti, i buoni sentimenti e l'amore che nutrite per me, mi sono sentito in mezzo a voi, fratelli carissimi, quasi trasportato all'improvviso da lontanissima distanza, come Abacuc che dall'angelo fu portato a Daniele. Le lacrime si mescolavano alla mia gioia; il vivo desiderio di leggere era impedito dal pianto. Passai in questo stato d'animo alcuni giorni nei quali mi sembrava di parlare con voi. Mi sentivo come investito da ogni parte di ricordi consolanti che mi facevano rivivere la vostra fede, il vostro affetto, i frutti della vostra carità, e così mi pareva di non essere più in esilio, ma di trovarmi quasi d'improvviso in mezzo a voi…» (Eusebio di Vercelli, Epistolario, 2). 

21Il saluto è di mia mano, di Paolo.

L’apostolo detteva le lettere ad un tachigrafo e firmava, in seguito, la copia scritta su papiro, per autenticarla e impedire eventuali manipolazioni. «Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, di mia mano!» (Gal 6,11). 

22Se qualcuno non ama il Signore, sia anàtema! Maràna tha! 23La grazia del Signore Gesù sia con voi. 24Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù! 

Paolo è sempre incentrato su Gesù Cristo. L’invocazione a lui, in aramaico, era una formula di preghiera liturgica già tradizionale, nata tra le comunità di lingua aramaica e trasmessa anche alle comunità di lingua greca. 

«Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime. Se vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?» (2 Cor 12,15). «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine» (Col 3,12). 

Appendice: l’elemosina 

La Bibbia prescrive l’elemosina al povero e la necessità di ricordarsi dei più bisognosi: 

«I bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: «Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra»» (Dt 15,11).

«Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto; perciò ti comando di fare questo» (Dt 24,20-22)

«Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,9-10).

«Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia, se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l'affamato e copre di vesti chi è nudo, se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall'iniquità e pronuncia retto giudizio fra un uomo e un altro, se segue le mie leggi e osserva le mie norme agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, oracolo del Signore Dio» (Ez 18,5-9)

Essa procura un tesoro nel cielo, libera dal male e dalla morte: 

«Tuttavia sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l'elemosina. Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. Disponi dei beni secondo i comandamenti dell'Altissimo e ti saranno più utili dell'oro. Riponi l'elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni male. Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante, essa combatterà per te di fronte al nemico» (Sir 29,8-13). 

«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-21).

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,32-34).

Espia i peccati: 

«L'acqua spegne il fuoco che divampa, l'elemosina espia i peccati. Chi ricambia il bene provvede all'avvenire, al tempo della caduta troverà sostegno. Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. Non rattristare chi ha fame, non esasperare chi è in difficoltà. Non turbare un cuore già esasperato, non negare un dono al bisognoso. Non respingere la supplica del povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non dare a lui l'occasione di maledirti, perché se egli ti maledice nell'amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera. Porgi il tuo orecchio al povero e rendigli un saluto di pace con mitezza. Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore e non essere meschino quando giudichi. Sii come un padre per gli orfani, come un marito per la loro madre: sarai come un figlio dell'Altissimo, ed egli ti amerà più di tua madre» (Sir 3,30-4.10). 

Beato chi la compie! Fa’ un prestito al Signore

«Chi disprezza il prossimo pecca, beato chi ha pietà degli umili!» (Pr 14,21). 

«Chi ha pietà del povero, fa un prestito al Signore, che gli darà la sua ricompensa» (Pr 19,17). 

Offre al Signore un sacrificio di lode: 

«Chi osserva la legge vale quanto molte offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva. Chi ricambia un favore offre fior di farina,chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode» (Sir 35,1-4).

Si salva dalla sventura: 

«Chi chiude l’orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta» (Pr 21,13). 

«Per chi dona al povero non c’è indigenza, ma chi chiude gli occhi avrà grandi maledizioni» (Pr 28,27). 

L’elemosina, insieme al digiuno e la preghiera, è uno ddei tre pilastri del mondo: 

«È meglio la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l'ingiustizia. Meglio praticare l'elemosina che accumulare oro. L'elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l'elemosina godranno lunga vita. Coloro che commettono il peccato e l'ingiustizia sono nemici di se stessi» (Tb 12,8-10).

Deve essere compiuta nel segreto, senza ostentazione: 

«Mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,3-4). 

Con essa, il fedele si mostra padre dei poveri, così come Dio lo è per gli orfani e le vedove e diviene come un figlio dell’Altissimo, il quale amma chi dona con gioia: 

«Ero rivestito di giustizia come di un abito. Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto, spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda» (Gb 29,14-17). 

«Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l'orfano- poiché fin dall'infanzia come un padre io l'ho allevato e, appena generato, gli ho fatto da guida -, se mai ho visto un misero senza vestito o un indigente che non aveva di che coprirsi, se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, riscaldàti con la lana dei miei agnelli, se contro l'orfano ho alzato la mano, perché avevo in tribunale chi mi favoriva, mi si stacchi la scapola dalla spalla…» (Gb 31,16-22). 

«Sii come un padre per gli orfani, come un marito per la loro madre: sarai come un figlio dell'Altissimo, ed egli ti amerà più di tua madre» (Sir 4,10). 

«Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). 

Cristo si è fatto povero e i suoi discepoli devono dare tutto se stessi: 

«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). 

«Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri» (1 Gv 3,17-20).

«Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21).

Cristo si identifica con il povero: 

«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).


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