lunedì 11 luglio 2011

Istruzione sulla preghiera (Tertulliano)

Il noto patrologo bolognese, Lorenzo Perrone, ha pubblicato uno studio dal titolo La preghiera secondo Origene. L’impossibilità donata. [Morcelliana, Brescia 2011]. Il nono capitolo del libro [La costruzione di un modello] allarga il discorso ed espone la dottrina di altri Padri sulla preghiera [da Tertulliano ad Agostino]. Riassumo il contenuto della trattazione per quanto riguarda l’insegnamento di Tertulliano sulla preghiera.

Perrone privilegia, naturalmente, il trattato De oratione, sia pure dopo aver dato qualche ragguaglio sul messaggio presente nell’Apologetico, un’opera di poco anteriore. «Il De oratione, è un trattato con intenti catechetici e pastorali che illustra la preghiera alla luce del Padrenostro, rivolgendosi ad un pubblico composto verosimilmente sia dai neofiti sia dall'insieme dei fedeli. Forse anche in considerazione di ciò si spiega l'assenza di riferimenti al dibattito filosofico sulla preghiera o al suo possibile esito «mistico» a differenza di Clemente e Origene». Nel suo trattato, Tertulliano commenta il Padrenostro ma non si limita a questo, preferendo passare ad un discorso più generale sulla preghiera. Egli anticipa così altri Padri, come Cipriano ed Origene. Ha il merito di offrire la prima esposizione organica sul tema.


L’orazione cristiana presenta un carattere trinitario. Grazie ad essa, anche noi siamo inseriti nel dialogo che avviene all’interno di Dio stesso: essa è rivolta al Padre, sotto la guida del Figlio e con il sostegno dello Spirito. Per questo presenta anche un risvolto comunitario. Tertulliano anticipa ciò che sarà sviluppato in modo più esplicito da Cipriano di Cartagine: colui che recita il Padre nostro si relaziona ugualmente alla chiesa Mater. La recita del Padrenostro esige, quindi, la disponibilità a vivere in fratellanza. Il rilievo comunitario dell’oratio dominical'induce pertanto a giudicare severamente il fatto che taluni fedeli, a conclusione di essa, si sottraggano al bacio di pace nei giorni di digiuno.

Si è poi affermata un'altra abitudine [riprovevole]. Coloro che digiunano si astengono, quando hanno pregato in comune, dal dare ai loro fratelli il bacio della pace, che è il sigillo della preghiera. C'è forse un momento più opportuno per dare la pace ai nostri fratelli di quello in cui il nostro comportamento rende più efficace la nostra preghiera, per condividere con loro la nostra azione e vivere con essi in pace e in buon accordo? La preghiera non è completa se non si conclude con il bacio della pace. Può la pace disturbare chi rende omaggio a Dio? Che significato ha un'offerta da cui ci si ritira senza la pace? (De oratione 18)

Un altro aspetto rilevato da Perrone è l’insistenza con cui Tertulliano proclama la novità della preghiera cristiana rispetto a quella ebraica, al punto che essa può sostituire interamente l’antico sacrificio: «la vecchia economia dell'Antico Testamento, che arriva ad includere anche la prassi di preghiera del Battista e dei suoi discepoli, è superata dalla venuta di Cristo. Pertanto la preghiera cristiana è chiamata a fungere da sostituto del sacrificio, essendo essa la vera «vittima spirituale», in conformità con le indicazioni espresse da Gesù nel dialogo con la Samaritana (Gv 4, 23-24)». Il tema era già conosciuto sia dalla Bibbia come da altri autori cristiani, ma egli lo radicalizza. Bisogna cambiare anche i contenuti stessi dell’orazione. Invece di rivolgere a Dio domande per «cose carnali» (carnalia), i cristiani pregano per «cose spirituali» (spiritalia) e sono mossi a pregare così da un atteggiamento di amore che s'indirizza verso tutti gli uomini.

Perrone osserva come, pur evidenziando la discontinuità con il culto antico, Tertulliano cerchi nel contempo d'assicurare la continuità del Padre nostro non solo con il messaggio di Gesù - per cui «la preghiera del Signore, secondo una formulazione giustamente celebre, viene ad essere un «compendio dell'intero vangelo» (breviarium totius evangelii) - ma anche con la rivelazione biblica nel suo insieme». Il Padre nostro rappresenta la sintesi di tutta quanta la Scrittura.

La preghiera deve essere appresa ma il suo vero maestro non può essere altri che Dio stesso. «È per questa ragione che Gesù, con il Padrenostro, ha trasmesso ai suoi discepoli un modello(forma) da seguire. Attenendosi a tale «disciplina di preghiera» («ordinata religio orationis») l'orazione, animata dallo Spirito di Dio, sale al cielo affidando al Padre quanto ci ha insegnato il suo Figlio».

A partire da questi dati teologici, l’antico autore africano presenta le modalità ed i contenuti propri dell'orazione cristiana. Il cristiano prega nel segreto e in modo breve, senza moltiplicare vane parole.

Il precetto di adorare nel segreto implica allora una disposizione di fede nei riguardi della presenza di Dio e l'astensione da qualunque ostentazione da parte dell'orante, che si rivolge in esclusiva a Dio come colui a cui egli offre la sua preghiera. Inoltre la raccomandazione della brevità nel pregare è associata per Tertulliano all'idea che Dio non fa mai mancare la sua assistenza provvidenziale, secondo l'insegnamento trasmesso da Mt 6,8.

La preghiera è soprattutto richiesta «domanda» (petitio),ma sono ben presenti altri aspetti. In realtà nel Padrenostrola glorificazione di Dio, richiamata nella prima parte, è coordinata con la considerazione delle necessità degli uomini, espresse nella seconda parte.

«Nella sua sapiente articolazione la Preghiera del Signore da la precedenza ai «beni celesti» (caelestia), che sono oggetto delle prime tre petizioni, e solo in secondo luogo fa spazio alle «necessità terrene». Tale schema, diversamente da Origene, guida l'interpretazione della quarta petizione sotto un duplice profilo, per cui il «pane» da richiedere è sì anzitutto Cristo, ma esso può pure significare il pane corporeo, implicando però una richiesta dello stretto necessario e la rinuncia al superfluo, con un risvolto polemico verso i pagani. In ogni modo, secondo Tertulliano, Cristo da spazio nel suo insegnamento sulla preghiera alla manifestazione dei bisogni umani a seconda delle diverse circostanze, purché l'orazione sia sempre edificata sul fondamento del Padrenostro come suo presupposto e paradigma normativo».

A parere dell’antico Padre, il Padrenostro include una preghiera d'intercessione, di carattere universale. Soprattutto la prima petizione rappresenta un’invocazione a Dio perché la sua santificazione si attui da parte di tutti gli uomini, inclusi i nemici, e non esclusivamente nei fedeli.

La preghiera non può essere avulsa dallo stile di comportamento. L'invito a pregare, con la prospettiva di ricevere, secondo la promessa di Gesù nel vangelo (Gv 16, 24; Mt 7, 7-8; Lc 11,9-10), implica per l'orante che egli formuli le sue richieste tenendo presenti anche i comandamenti di Dio. È fondamentale l'atteggiamento spirituale con cui si invoca. Ad esempio, deporre l'ira e di pregare con animo riconciliato è ricondotta anzitutto all'insegnamento evangelico (Mt 5, 23-24), visto come il primo requisito per poter accedere alla preghiera.

La fedeltà ai comandamenti apra alla preghiera la via del cielo. E in primo luogo: non presentiamoci all’altare di Dio prima di esserci sbarazzati di ogni forma di odio e offesa nei confronti dei nostri fratelli. Come accedere alla pace di Dio senza la pace? Come chiedere che ci vengano rimessi i nostri debiti, se non rimettiamo quelli degli altri? Come placare il Padre, se ci siamo irritati contro un fratello, poiché ogni collera ci è proibita fin dal principio?

Quando Giuseppe rimandò a casa i suoi fratelli perché gli conducessero suo padre, raccomandò loro di «non litigare durante il cammino» (Gen 45,24). Questo avvertimento era rivolto a noi - la nostra dottrina, infatti, prende spesso il nome di cammino - nel timore che, sulla strada della preghiera, ci avvicinassimo al Padre con la collera nel cuore. Il Signore, poi, ampliò il senso della legge, aggiungendo al divieto dell'omicidio quello della collera. Egli non permette di placarla nemmeno con una semplice parola. Se poi è proprio necessario andare in collera, non lo si deve fare, come consi­glia l'apostolo, oltre il tramonto del sole (Ef4,26). Non è forse temerario passare un'intera giornata senza pregare, mentre rifiuti di dare soddisfazione a un fratello o perdere il beneficio della preghiera per aver perseverato nell'odio? (De oratione 11)

«Tertulliano appare preoccupato di disegnare l'immagine di un orante che si conforma nel suo animo allo spirito verso cui s'indirizza nella preghiera. Per questa via l'orante assicura una congenialità, cioè un'affinità spirituale che solo può consentirgli di entrare in dialogo con Dio. Accennando nuovamente all'aspetto pneuma-tologico, sia pure in termini che non risultano troppo definiti, Tertulliano torna dunque a profilare la preghiera del cristiano come orazione spirituale».

Perrone richiama la rilevanza della testimonianza di Tertulliano per quanto riguarda la struttura di orazione comunitaria, ecclesiale, che proseguirà nella Chiesa fino alla costituzione dell’attuale liturgia delle ore.

«Quanto ai tempi di preghiera, Tertulliano si premura di rammentare preliminarmente la base scritturistica anche per le tre ore «canoniche» (terza, sesta e nona): pur senza renderle vincolanti, incoraggia la loro adozione come «regola» ternaria, nel segno di una spiritualità «eucaristica» indirizzata alla Trinità. Egli non riflette apparentemente su come si debba attuare l’oratio contìnua in risposta al mandato di ITs 5, 17, ma le sue ulteriori indicazioni sfociano in pratica nel disegnare un orizzonte di preghiera per la vita quotidiana del cristiano. Questi è chiamato a iniziare e concludere le sue giornate con l'orazione, rispettando i due momenti, alba e tramonto, che Tertulliano considera di rito. Ma al tempo stesso il fedele accompagna con la preghiera le sue attività giorno per giorno, rispettando in tal modo il primato delle realtà spirituali sulle cose terrene. Dovrà dunque pregare prima dei pasti e prima di fare il bagno, nell'accogliere in casa sua l'ospite e soprattutto lo straniero, e rispondere a sua volta con la preghiera a chi lo accoglierà in questa stessa maniera. Nell'individuare gli spazi quotidiani per l'orazione Tertulliano ne evidenzia l'aspetto strutturale e insieme dinamico, che si rende ancor più manifesto nella condotta di coloro che «con maggior diligenza» aggiungono alle loro preghiere «Alleluia» e salmi. Tutto ciò non fa che arricchire l'espressione della preghiera rendendola un «sacrifìcio pingue» offerto a Dio. Né Tertulliano dimentica la componente agonica della preghiera: il fedele deve sempre munirsi di essa come un'arma in risposta all'insidia costante del nemico».

Circa il tempo della preghiera, non saranno inutili alcune osservazioni. Voglio in primo luogo parlare delle ore che comunemente dividono la giornata in quattro: terza, sesta, nona. Le troviamo spesso nella Scrittura. Lo Spirito Santo discese per la prima volta sui discepoli radunati all'ora terza. Pietro, il giorno in cui ha la visione della grande tovaglia che scende dal cielo con una variegata comunità di animali, era salito sul tetto all'ora sesta per pregare. Lo stesso Pietro, con Giovanni, all'ora nona, era salito al tempio dove restituì la salute a un paralitico. Tutto questo è stato fatto senza alcun carattere normativo. Noi possiamo, tuttavia, scorgervi un'indicazione sul tempo della preghiera, nel quale dob­biamo sentirci obbligati a distoglierci dagli affari profani.

Vediamo Daniele agire in questa maniera, secondo l'uso di Israele; noi dobbiamo, allo stesso modo, adorare Dio almeno tre volte al giorno, lo dobbiamo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. A parte, naturalmente, le preghiere ufficiali che dobbiamo - inutile ricordarlo - recitare all'inizio della giornata e al calare della notte. È ugualmente opportuno che i fedeli non mangino né facciano il bagno senza aver prima pregato: dare sollievo e nutrimento allo spirito viene prima del sollevare e nutrire il corpo, i beni celesti prima di quelli terreni. (De oratione 25)

Trai gesti che accompagnano il culto, è interessante scoprire il significato che Tertulliano attribuisce a quello d’elevare le mani:

«Quanto al gesto di levare le mani verso l'alto, presente nel testo paolino, Tertulliano, riformulando qui la spiegazione dell'Apologetico, l'interpreta non tanto come la proiezione esteriore di uno stato d'animo volto ad un'elevazione spirituale, bensì come imitatio crucis: il fedele è chiamato infatti non solo ad innalzare le mani ma anche a spiegarle seguendo l'esempio del Cristo crocifìsso. Inoltre, questo gesto deve essere compiuto con l'umiltà che contraddistingue la preghiera del pubblicano, atteggiando il volto a sentimenti di ritegno e modestia, ed evitando nel contempo di affidare la preghiera alla forza della voce, dal momento che Dio sta in ascolto del cuore».

La testimonianza proposta dal De oratione è assai rilevante: «In nessun altro trattato eucologico dei primi secoli incontriamo una ricchezza di esperienze paragonabile agli spunti che Tertulliano ci offre sulle usanze del suo tempo, a completamento delle indicazioni offerte nell'Apologetico».

Egli si fonda sull’autorità della Bibbia, trasmessa dagli uomini dello Spirito: «Si noterà in primo luogo la normadell’auctoritas scritturistica, che permea in profondità tutto il suo discorso… la misura per giudicare i singoli comportamenti dell'orante è ricavata per Tertulliano dall'insegnamento del Signore e degli apostoli, con esplicita riserva verso scritti quali il Pastore di Erma che non rivestono un identico statuto canonico».

Questa è appunto l'offerta spirituale che mette fine ai sacrifìci di un tempo. «Che m'importa dei vostri sacrifìci senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Chi vi ha chiesto queste vittime?» (Gs 1,11). Il vangelo ci insegna cosa chiede Dio. È scritto: «Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio, infatti, è spirito» (Gc 4,23). Questi sono gli adoratori che egli esige.Noi siamo i veri adoratori e i veri sacerdoti quando preghiamo in spirito e gli offriamo la nostra preghiera come ostia appropriata e gradita, quella che egli ha chiesto e si è riservata. Noi la portiamo all'altare di Dio, offerta con tutto il cuore, nutrita di fede, purificata dalla verità, integra con la sua sincerità, pura e casta, coronata di carità, con un corteo di buone opere, tra salmi e inni. essa ci otterrà da Dio tutto quello che possiamo domandare. (De oratione 28)

Cosa può, infatti, rifiutare a una preghiera fatta «in spirito e verità» un Dio che la esige? Leggiamo, ascoltiamo, vediamo le prove della sua efficacia. Un tempo la preghiera liberava dalle fiamme, dalle fiere, dalla fame, eppure non aveva ricevuto la sua forma dal Cristo. Quanto più efficace è la preghiera cristiana! Essa non pone tra le fiamme un angelo per spargere rugiada; non chiude le fauci ai leoni e non da agli affamati il pasto di un contadino; non allontana mai, con un'azione di grazia, il senso della sofferenza; essa lascia soffrire, sentire, patire, istruisce mediante il dolore, aumenta la grazia in proporzione al coraggio, cosicché la fede sa ciò che ottiene da Dio, comprendendo ciò che soffre per Dio.

La preghiera di un tempo infliggeva dei mali, faceva a pezzi gli eserciti nemici, impediva i benefìci delle piogge. Oggi, la azione consiste nel ritrarre le anime dei morti dal cammino della morte, di guarire gli infermi, di restituire la salute ai malati, di cacciare il demone dai posseduti, di aprire le porte delle prigioni, di sciogliere i legami degli innocenti.

Essa, inoltre, cancella le colpe, respinge le tentazioni, spegne il fuoco delle persecuzioni, consola gli afflitti, affascina i cuori generosi; guida i viandanti, placa le onde, spaventa i briganti, nutre i poveri, piega i ricchi, risolleva i caduti, arresta nella loro caduta quelli che cadono, fortifica coloro che stanno in piedi.

La preghiera è il baluardo della fede, la nostra armatura offensiva e difensiva contro il nemico che ovunque ci tende agguati. Non avanziamo mai senza armi. Di giorno, facciamo il nostro turno di guardia, di notte la veglia d'armi. E sotto le armi, custodiamo lo stendardo del nostro capo e attendiamo nella preghiera la tromba dell'angelo.

Ugualmente, tutti gli angeli pregano, tutte le creature pregano, gli animali domestici come le bestie selvatiche pregano, piegano le ginocchia uscendo dalle loro stalle o dalle loro tane, levano gli sguardi e un capo attento verso il cielo e a modo loro vi inviano i loro sospiri. Anche gli uccelli, al mattino, spiccano il volo e salgono verso il cielo, stendono le loro ali a forma di croce, come si tendono le braccia, e dicono qualcosa che sembra una preghiera.

Ma perché parlare ulteriormente della pratica della preghiera? Lo stesso Signore nostro ha pregato, a lui onore e potenza nei secoli dei secoli. (De oratione 29)

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