venerdì 8 luglio 2011

La Penitenza nel pensiero dei Padri


«Teniamo lo sguardo fisso sul sangue di Cristo e comprendiamo quanto è prezioso per suo padre, dal momento che è stato versato per la nostra salvezza e ha portato a tutto il mondo la grazia del pentimento. Ripercorriamo tutte le generazioni e apprendiamo che Dio di generazione in generazione ha dato spazio per il pentimento a quanti desideravano tornare a lui. Volendo dunque che tutti quelli che ama partecipino al pentimento li ha fortificati con la sua volontà onnipotente. Perciò obbediamo al suo magnifico e glorioso volere, e supplicando la sua misericordia e la sua bontà, prosterniamoci e ritorniamo alla sua compassione...».

È un passo della lettera ai Corinzi di Clemente Romano (70-130). Questi annuncia che nella morte di Gesù (anzi grazie al sangue sparso da Gesù) Dio realizza un progetto coltivato da sempre e realizzato in diverse circostanze in modo parziale. Ora, invece, esso si compie in modo perfetto: il sangue di Cristo ha portato a tutto il mondo la grazia della conversione. Ci troviamo di fronte alla misericordia, alla bontà e alla compassione di Dio.

In sintonia con la lettera agli Ebrei e ai Romani la conversione cristiana comincia da Cristo, dai suoi meriti (volendo usare questo termine giuridico). Clemente mette in risalto l'impegno drammatico di Cristo, compendiato nell'immagine del sangue, prezioso davanti a Dio. Gesù si è reso affidabile davanti a Dio, perché è stato fedele a Lui, anche a costo di gravi sofferenze. La conversione sgorga quindi dall'opera di Dio, da ciò che Lui ha pagato perché l'uomo finalmente fosse diverso davanti ai suoi occhi. La penitenza cristiana deriva da questa base sacramentale ossia dalla propiziazione donata da Dio, dal sacrificio al quale Lui si è sobbarcato per modificare l'atteggiamento e il comportamento dell'uomo.

Da questo lato i Padri riecheggiano quanto era stato annunciato dalla Scrittura: la giustificazione per grazia. Il messaggio di Paolo della giustificazione per grazia non è affatto trascurato:

«Dio è giusto e come tale non poteva giustificare gli ingiusti: volle perciò che ci fosse l'intervento di un propiziatore affinché venissero giustificati per la fede in lui quanti non potevano essere giustificati per le proprie opere. Cristo è propiziatorio, sacerdote e offerta presentata a favore del popolo; non solo dei credenti ma anche di tutto il mondo». (Origene, Commento alla lettera ai Romani)

«Penso che sia sufficiente, come esempio, quel ladrone che crocifisso con Cristo gli gridò dalla croce: Signore Gesù ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno. Nel vangelo non viene raccontata una qualche altra buona azione ma per questa sola fede gli dice Gesù: In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso. Anche in molti passi del vangelo leggiamo che il salvatore ha usato questa espressione per affermare che la fede di chi credeva era la causa della sua salvezza. Da tutto ciò appare chiaro come l'apostolo abbia ragione nel ritenere che l'uomo sia giustificato mediante la fede senza le opere della legge» (Origene 165).

Questo per quanto attiene l’annuncio basilare.

Affiora poi nei loro interventi la stessa preoccupazione che troviamo già in Paolo. La giustificazione per grazia (un perdono ottenuto così a buon mercato, in modo estremamente facile) non diventa un incentivo per continuare a peccare? Dove và a finire l'impegno della conversione?

«Forse qualcuno, però, ascoltando ciò potrebbe lasciarsi andare e impigrirsi nel compiere il bene, sapendo che la sola fede è sufficiente per la giustificazione. A costui diremo che se uno dopo essere stato giustificato si comporta in modo ingiusto senza dubbio ha disprezzato la grazia della giustificazione. Non è per questo che uno riceve il perdono dei peccati per ritenere che gli sia stata data licenza di peccare di nuovo» (Origene, Commento alla lettera ai Romani 165)

Spiega Origene: quando l'uomo riceve in sé l'atto di fede che lo giustifica senza alcuna opera, riceve con questa fede la radice del comportamento retto che si svilupperà da quel momento in avanti. Con la grazia della giustificazione non si riceve la licenza di peccare ma l'avvio sacramentale di un'esistenza nuova caratterizzata dalle opere buone che «Dio ha predisposto» perchè noi le realizzassimo.

«All’uomo la fede viene ascritta a giustizia, anche se non ha ancora compiuto opere di giustizia, ma per il solo motivo che ha creduto in Colui che giustifica l’empio. Il primo passo per essere giustificati da Dio è la fede in chi ci giustifica. Tale fede, però, sta attaccata nel terreno dell’anima e come una radice, dopo aver ricevuto la pioggia, quando avrà cominciato ad essere coltivata mediante la legge di Dio, lascerà spuntare un albero che porta frutti di opere. Quindi non dalle opere cresce la radice della giustizia ma da questa il frutto delle opere, ossia da quella radice di giustizia per la quale Dio ascrive la giustizia prescindendo dalle opere» (Origene, Commento alla lettera ai Romani, IV, I, p.181).

2. Vincolata alla giustificazione per grazia e alla conversione, la Pen. è strettamente legata al Battesimo. Pen e battesimo sono strettamente legati tra loro: la Pen o prepara al battesimo o cerca di recuperane la grazia. Nel pensiero dei Padri sono presenti, a questo riguardo, delle tensioni di carattere pastorale:

a. Sebbene la grazia sia donata facilmente (a prescindere del tutto dai meriti) e il perdono sia accordato con grande disponibilità, l'impegno per liberarci dal peccato, per annientarlo dall'esistenza è assai gravoso. Nel Trattato De paenitentia, Tertulliano evoca il peccato originale. Il richiamo a questo aspetto favorisce la convinzione che la liberazione dal peccato rappresenti un tirocinio impegnativo. Così Carpin sintetizza il pensiero di Tertulliano su questo punto (Introduzione pag 31):

Adamo ha perduto il paradiso non solo per sé, ma anche per la sua discendenza; è incorso nella morte trascinandosi dietro tutta l'umanità; inoltre ha immesso nella natura umana un vizio di male che l'ha corrotta, una propensione al male che induce l'uomo ai peccati personali. Ogni uomo, fin dalla propria origine, porta in sé un difetto naturale poiché la natura ereditata da Adamo è stata corrotta. Ma poiché la privazione della grazia è l’aspetto formale del peccato - e il peccato di Adamo ci ha privati anzitutto della grazia (che è la nostra partecipazione alla vita divina) -, si può affermare che ogni uomo nasce peccatore: non perché abbia personalmente peccato, ma perché possiede la natura umana priva della grazia divina. Pertanto, come è nostra la natura umana che riceviamo per generazione, così diventa nostro il peccato che inerisce alla natura umana corrotta da Adamo. Il perdono dei peccati, tramite il battesimo e la penitenza, ci ristabilisce in quello stato di grazia che Adamo, peccando, ha perduto per noi e che noi ereditiamo in forza del nostro legame con lui e col suo peccato. In definitiva, la penitenza che precede il battesimo e la riconciliazione dev'essere profonda, poiché la propensione al male rimane in noi anche dopo la reintegrazione nella grazia di Dio. Inoltre siamo soggetti alle continue tentazioni del maligno, che tende a sottometterci alla schiavitù del peccato da cui ci libera la grazia di Cristo.

Il catecumenato non è soltanto un tempo di istruzione ma un tirocinio che prepara e anticipa l'impegno proprio del cristiano. É accompagnato allora da forme penitenziali (fra le quali prevale il digiuno) ma anche da esorcismi, da preghiere prolungate ed intense, di carattere comunitario. Parlando al di fuori di un linguaggio teologico, non si tratta di convincere Dio ad essere misericordioso ma di essere capaci di accogliere e di saper rivivere il suo dono. I Padri non fanno sconti. Non attenuano per nulla il peso del giogo del Signore. Assicurano soltanto che, una volta assunto, con il tempo non solo sembrerà più leggero ma renderà molto più robusto chi lo porta. Tendenzialmente, pur desiderando la massima espansione del Vangelo a tutti, non vogliono accaparrare tutti. Non è raro trovare chi consigli di rimandare il battesimo, qualora si verifichi che il candidato non sia pronto, ossia non sia in grado di vivere gli impegni che dovrebbe assumersi. Ad esempio Agostino, da vescovo, rifletterà in modo critico sul comportamento della madre Monica. Da ragazzo Agostino, in seguito ad una malattia grave che avrebbe potuto portarlo alla morte, chiese il battesimo. Monica, invece, non appena lo vide riprendersi, rinviò il battesimo in data da destinarsi. Non voleva che il figlio fosse battezzato prima di aver superato le crisi e i bollori della giovinezza che, facilmente, lo avrebbero privato ancora della grazia. In modo paradossale, Agostino è privato del battesimo proprio a motivo della stima che Monica aveva verso quel sacramento (Confessioni I, 11.17). Ho detto Agostino critica un tale atteggiamento ma era assai diffuso all’epoca.

b. La Chiesa antica manifesta una concezione alta del battesimo. Esso rede gli uomini creature celesti. Nella settimana di Pasqua, nell'Africa, i neobatezzati (ma anche molti fedeli) cercavano, con un impegno scrupoloso non lontano da supestizione, di non entrare a contatto diretto con la terra e per questo tutti si obbligavano a calzare dei robusti sandali. Si riteneva che coloro che emergevano dal fonte, avessero poteri di guarigione o di intercessione.

Racconta Agostino nel De civitate Dei (22, 8 [4-6]).

«A Cartagine, Innocenza, donna molto pia, di nobile famiglia, aveva un tumore alla mammella, male, come dicono i medici, non curabile con medicine. Quindi o si suole recidere e asportare dal corpo la parte in cui si forma, ovvero, affinché l'individuo viva un po' più a lungo, anche se la morte seguirà quantunque più tardi, si deve smettere, secondo l'opinione di Ippocrate, come dicono, qualsiasi cura. Lei aveva ricevuto questo consiglio da un medico esperto in materia e grande amico di casa e s'era raccomandata soltanto a Dio con la preghiera. All'avvicinarsi della Pasqua fu avvertita in sogno che qualsiasi donna battezzata venisse per prima incontro a lei, mentre guardava verso il battistero dalla parte delle donne, le segnasse la parte col segno di Cristo. Lo fece e la guarigione seguì immediatamente. Il medico, il quale le aveva prescritto di non usare alcun trattamento se voleva vivere un po' più a lungo, avendola in seguito visitata e costatando completamente guarita la cliente, che precedentemente con una visita aveva accertato affetta da quel male, le chiese con impeto quale cura avesse usato... È avvenuto anche nella medesima città che un medico, malato di gotta, avendo dato il proprio nome per il battesimo, prima che fosse battezzato, gli fu ingiunto in sogno da fanciulli negri riccioluti, in cui ravvisò i demoni, di non farsi battezzare entro l'anno. Non avendo ubbidito loro, provò un dolore lancinante, quale mai aveva provato, perché gli calpestarono i piedi e a più forte ragione, sconfiggendoli, non differì di purificarsi nel lavacro di rigenerazione, come aveva promesso. Ma nel battesimo fu libero non solo dal dolore da cui, oltre il consueto, era tormentato, ma anche dalla gotta e in seguito, sebbene poi vivesse a lungo, non ebbe più dolore ai piedi. Ma chi lo sapeva? Io tuttavia ne sono a conoscenza e pochissimi fratelli ai quali poté giungere la notizia. Un attore a riposo di Curubi, mentre veniva battezzato, è stato guarito non solo dalla paralisi, ma anche da un'informe ernia scrotale e, libero dall'uno e dall'altro fastidio, come se non avesse avuto alcun male, risalì dal fonte battesimale. Chi conosce il fatto se non Curubi e pochi altri che hanno potuto sentirne parlare? Noi, quando lo abbiamo saputo, dietro ordine del santo vescovo Aurelio l'abbiamo fatto venire a Cartagine».

Questi racconti attestano la stima profonda verso il battesimo. Affiora tuttavia un sentimento contrario. L'esperienza deludente degli effetti pratici del battesimo, hanno indotto molti cristiani a dare importanza capitale allo sforzo ascetico. Qualche gruppo ereticale, come quello dei messaliani, finiva col negare ogni importanza al battesimo. La conversione sarebbe dipesa esclusivamente dalla preghiera continua e dall'impegno penitenziale. Questo atteggiamento non fu condiviso dalla grande Chiesa ma proviamo ascoltare un'esortazione del Pseudo macario, molto vicino all'ambiente messaliano.

«Quelli che non hanno ascoltato la parola di Dio, si gonfiano senza motivo e pensano di poter annientare con la propria volontà gli assalti del peccato che è stato condannato (vinto) soltanto dal mistero della croce. La libera volontà in potere dell'uomo gli consente di resistere al diavolo, ma non lo rende capace di dominare interamente le passioni. Sta scritto: Se il Signore non costruisce la casa e non custodisce la città, invano veglia il custode e si affatica il costruttore. È impossibile infatti camminare sull'aspide se prima, per quanto gli è possibile, l'uomo non ha purificato se stesso e non ha ricevuto la forza dal Signore che ha detto: Ecco, vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico.

Sforzati dunque di divenire irreprensibile figlio di Dio.... In quale modo potrai essere giudicato degno... se non versando lacrime giorno e notte come il salmista che dice: laverò ogni notte il mio letto, inonderò di lacrime il mio giaciglio? 8. In effetti le lacrime, che nascono realmente da una grande afflizione e da un cuore angosciato, sono per l'anima come un cibo provveduto da quel pane celeste cui ebbe parte innanzitutto Maria, quand'era seduta ai piedi del Signore e piangeva secondo la testimonianza del Salvatore. Quali perle preziose in quell'effusione di lacrime beate, quale pronto e docile ascolto, quale coraggio e quale sapienza! 9. Imita questa donna come un figlio, imita colei che a null'altro volgeva lo sguardo se non al solo che ha detto: Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra e vorrei che fosse già acceso. Vi è infatti un fuoco dello Spirito che rianima l'ardore dei cuori; perciò il fuoco immateriale e divino è solito illuminare le anime, provarle come oro puro nella fornace, e consumare la malizia come paglia» (Omelia 25).

Nell'esortazione del Pseudo-Macario appare la profonda convinzione della difficoltà a sradicare il peccato anche dal battezzato. Nelle sue omelie accenna di rado al battesimo. Tutta la speranza è riposta nella forza del calore dello Spirito che penetra dell'uomo grazie alla purificazione (ossia lo sforzo ascetico) e la preghiera continua, accompagnata dalle lacrime. Nel corso della storia della Chiesa diventerà ovvio scrivere trattati di spiritualità senza accennare alla struttura sacramentaria o alla liturgia. Tutta l'attenzione verrà posta sui suggerimenti ascetici e sui mezzi di grazia, tra cui la preghiera.

Come venire in soccorso di coloro che, dopo aver ricevuto il battesimo, ricadevano nel peccato? Mi riferisco a peccati gravi, considerati anche reati sul piano civile. Esiste soltanto la penitenza battesimale? All’inizio si era propensi a pensare così. Si è confusa la possibilità reale del non peccare con l’impeccabilità effettiva.

Proprio la difficoltà pastorale indurrà i Padri a più miti consigli. I cristiani, spaventati circa la possibilità a recuperare la grazia del perdono, si sentiranno indotti a rinviare il battessimo, talora fino al punto di morte. Si fa strada allora la possibilità di una paenitentia saecunda. Non ritorno su questi concetti poichè è materia conosciuta. Contro i rigoristi che continuavano a pensare ad un’unica forma penitenziale, quella del battesimo, nelle chiese viene istituito, al pari dell’ordine dei catecumeni, quello dei penitenti.

Il peccatore si rivolgeva al vescovo per chiedere di essere introdotto in questo gruppo riconosciuto. La cerimonia di ingresso si svolgeva in presenza dell'assemblea e si prevedeva l'imposizione delle mani da parte del vescovo, la consegna del cilicio e dei vestiti penitenziali e si concludeva con la scomunica rituale o espulsione simbolica dei penitenti dalla chiesa, da quel momento privati della comunione [communicatio) e inseriti nel rango dei penitenti.

Aggregati all'ordo paenitentium i penitenti iniziavano l'itinerario penitenziale, prendendo posto alla soglia della chiesa per chiedere ai fedeli che vi transitavano un aiuto.... La durata della penitenza dipendeva dalla gravità della colpa e dalla condotta del penitente e si concludeva con l’atto della riconciliazione».

Gli storici insistono nel calcare il prevalere dell’atteggiamento della misericordia contro le asprezze del rigorismo. È vero che i Padri parlano volentieri della misericordia divina. Ma ecco un altro paradosso. Questo concetto di misericordia dobbiamo contestualizzarlo nel tempo. Ciò che per i Padri era esercizio di misericordia per noi sarebbe rigore gravoso. L’azione penitenziale consisteva nel sottoporsi a digiuni, elemosine, veglie prolungate, preghiere in ginocchio.

La penitenza antica era pubblica (o ecclesiale). Aveva un carattere drammatico, oneroso, laborioso. Era unica (non si poteva ritornare una seconda volta nell’ordo paenitentium) ed eccezionale (legata a peccati gravi). A partire dal sec. IV, l’ingresso del diritto romano nella legislazione ecclesiastica creò i presupposti per una prassi penitenziale regolata dai canoni, più omogea ma anche più rigida.

Osserva il Colli: «Insieme con le strutture fondamentali dell'antica procedura penitenziale vennero codificate anche semplici raccomandazioni, applicate in origine a casi particolari, che vennero ad assumere il carattere di leggi inflessibili: i cosiddetti "interdetti" vigenti anche dopo la riconciliazione. Ne risultò una prassi penitenziale di un rigore e di una severità tali da renderla impraticabile. Stupisce il fatto che pastori come Ambrogio, Agostino, Cesarie di Arles, Gregorio Magno e Isidoro di Siviglia - che pure hanno lottato contro la severità dei novaziani e l'arroganza dei donatisti e hanno dato prova di saggezza pastorale - non abbiamo ritenuto di dover correggere la prassi penitenziale adattandola alle nuove situazioni civili e religiose».

È vero che i Padri, quando rifiutavano un’ulteriore ammissione all’ordine dei penitenti non intendevano esprimere una condanna nei confronti del peccatore escluso. Questi non veniva considerato un dannato ma veniva lasciato alla misericordia di Dio. La Chiesa considerava esaurite le sue risorse non quelle della fedeltà di Dio. Molti, poi, ottenevano la riconciliazione sul letto di morte con il viatico.

Di fatto, però, questa penitenza seconda, con l’andar del tempo, divenne uno smacco pastorale. Come i fedeli rinviavano il battesimo, così i peccatori cercavano di rinviare la penitenza pubblica alla fine della vita. Si ridusse un sacramento dei vecchi. Riporto una bella osservazione di Claudio Collo:

«Una prassi penitenziale di invidiabile ricchezza (alta concezione della chiesa e della sua santità, rilevanza ecclesiale del peccato e della conversione/riconciliazione, ruolo solidale di tutta la comunità cristiana, distribuzione del processo penitenziale nel tempo e nello spazio, visibilizzazione del graduale ritorno del peccatore) venne relegata nei rituali mentre si apriva un preoccupante vuoto penitenziale per i giovani e per gli adulti» (Collo 1120-1121).

L’insegnamento dei Padri diventa più prezioso quando si accolgono i loro suggerimenti circa la penitenza ordinaria.

Il loro punto di partenza è sacramentale. La penitenza dipende dall’annuncio pasquale. Il cristiano possiede la reale possibilità di ottenere il perdono ma anche di annullare il peccato. La vita nuova della risurrezione è qualcosa di reale. La penitenza diventa l’arte della santificazione nel suo versante negativo; dal versante positivo, è l’arte di crescere nella carità mediante l’acquisto delle virtù.

Nonostante questo annuncio positivo, il cristiano sperimenta sempre la sua povertà e si scopre peccatore. Anche quando i peccati gravi sono evitati, il peccato estende e manifesta in noi la sua potenza. L’egoismo è il padrone più duro.

Origene ha stillato per primo un elenco di opere, desunto dalla Sacra Scrittura, con le quali possiamo contrastare e vincere il peccato:

«Forse gli ascoltatori della Chiesa diranno: erano trattati meglio gli antichi che noi; allora l’offerta di sacrifici di vario rito procurava il perdono ai peccatori. Presso di noi c’è un unico perdono dei peccati che viene dato al principio per la grazia del battesimo; dopo di che al peccatore non è concessa alcuna misericordia e alcun perdono. Certo: una disciplina più stretta conviene al cristiano, per il quale Cristo è morto. Per te è stato sgozzato il Figlio di Dio, e ancora ti attira il peccato? Tuttavia - affinché non succeda che queste cose ti abbattano per la disperazione - hai sentito quanti siano nella Legge i sacrifici per i peccati; ascolta ora quante siano le remissioni dei peccati nei Vangeli.

C'è la prima, quando siamo battezzati per la remissione dei peccati. Una seconda remissione avviene nella sofferenza del martirio; la terza è quella che viene data grazie all'elemosina. Dice infatti il Salvatore: Date piuttosto quello che avete, ed ecco che tutto è puro per voi. Una quarta remissione dei peccati avviene quando anche noi rimettiamo i peccati ai nostri fratelli; dice infatti proprio il Signore e Salvatore: Se rimettete di cuore ai vostri fratelli i loro peccati, anche a voi il Padre vostro rimetterà i vostri peccati. Ma se non li rimettete di cuore ai vostri fratelli, neppure a voi li rimetterà il Padre vostro; come anche ci ha insegnato di dire nella preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.

Una quinta remissione dei peccati è quando si converte un peccatore dalla via in cui errava. Cosi infatti dice la Scrittura divina: Chi fa convenire un peccatore dalla via in cui errava, salva la sua anima dalla morte, e copre una moltitudine di peccati. Una sesta remissione avviene per l’abbondanza della carità, come dice l’apostolo: la carità copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4,8). C’è anche una settima remissione dei peccati - dura e faticosa - quella mediante la penitenza, quando il peccatore bagna di lacrime il suo letto tore bagna di lacrime il suo letto , e le sue lacrime gli sono di pane giorno e notte, quando non si vergogna di rivelare il peccato al sacerdote del Signore, e di cercare la medicina secondo la parola di colui che afferma: Ho detto: confesserò contro di me la mia ingiustizia al Signore, e tu hai rimesso l’empietà del mio cuore. In ciò si adempie anche la parola dell'apostolo Giacomo: Se uno si ammala, chiami i presbiteri della Chiesa, e questi gli impongano le mani, ungendolo di olio nel nome del Signore. La preghiera della fede salverà l'infermo e, se ha commesso dei peccati, gli saranno rimessi.

Anche tu, dunque, quando vieni alla grazia del battesimo, offri un vitello, poiché sei battezzato nella morte del Cristo; quando sei portato al martirio, offri un capro, poiché hai sgozzato il diavolo, autore del peccato. Quando fai elemosina e accordi ai bisognosi con sollecita pietà l'affetto della misericordia, colmi il sacro altare di pingui capretti. Giacché, se rimetti di cuore il peccato al tuo fratello e, deposto il gonfiore dell'ira, ricuperi in te un animo mite e semplice, confida di avere immolato un ariete e di avere offerto in sacrificio un agnello. Ancora: se, fornito delle letture divine, meditando come colomba e vegliando nella Legge del Signore giorno e notte, converti il peccatore dal suo errore e — rigettato il male — lo riporti alla semplicità della colomba e lo fai imitare, nell'adesione a quello che è santo, l'unione della tortora, hai offerto al Signore un paio di tortore o due piccoli di colombe. Se abbonda nel tuo cuore quella carità che è più grande della speranza e della fede, cosi da amare il tuo prossimo non solo come tè stesso, ma come ha mostrato colui che diceva: Nessuno ha amore più grande quanto il dare la propria vita per i propri amici, sappi che tu offri pani di fior di farina intrisi nell'olio della carità, senza alcun fermento di malizia e malvagità, in azzimi di purezza e verità. Se sei nell'amarezza del tuo pianto, consumato dal lutto, dalle lacrime, dalle lamentazioni, se mortifichi la tua carne e la dissecchi con digiuni e molta astinenza, e dici: Le mie ossa sono abbrustolite come una padella da friggere, allora offri un sacrificio di fior di farina cotta in padella o sulla graticola; in questo modo si troverà che tu offri in maniera più vera e perfetta, secondo il Vangelo, quei sacrifici che, secondo la Legge, Israele non può più offrire. (Omelie sul Levitico II, 4)

All’inizio del brano citato, si osservi come affiori l’angoscia di molti cristiani dell’epoca: gli ebrei erano più fortunati perché avevano molte opportunità per essere prosciolti dal peccato. Così viene rovesciato il messaggio della lettera agli Ebrei (mentre i sacerdoti del tempio rinnovano in continuazione i loro sacrifici inefficaci, l’unico sacrificio di Gesù ha annullato il nostro peccato). Origine richiama, in breve, che noi siamo stati giustificati grazie alla morte di Cristo e che, a motivo di questo dono, non dovremmo più avere relazione con il peccato: «Per te è stato sgozzato il Figlio di Dio, e ancora ti attira il peccato?». Compare qui l’annuncio della Chiesa, vero nella sua assolutezza ma, che esasperato potrebbe condurre alla disperazione (è il termine usato da Origene).

Dopo queste dichiarazioni idealiste, un po’ astratte, l’Alessandrino, in modo più realistico presenta le altre possibilità di penitenza. Compare per ultima la poenitentia saecunda, della quale Origene non nasconde la durezza. Essa è accompagnata da lacrime.

Nel testo origeniano emergono, in ogni caso, le varie forme di penitenza consigliate per il cammino normale di conversione. La formula di Origene verrà ripetuta da altri. Nel Medioevo Cassiodoro includerà anche la partecipazione all’Eucaristia.

Un ultimo aspetto. Abbiamo sentito Origene parlare della lacrime. Da questo riferimento, ci viene naturale passare a quello che a partire dai Padri viene chiamato il dono delle lacrime (la compunzione, il penthos, la katanyxis).

Per esporre meglio questo aspetto, opero una distinzione di comodo: il dono delle lacrime come semplice contrizione del cuore il dono delle lacrime come compunzione.

La contrizione del cuore è in relazione con la confessione, il pentimento e il dolore del peccato. Tutti questi fenomeni avvengono al penitente quando egli inizia una vera conversione. Non è un risultato da poco perché la percezione della tenebra si avverte soltanto quando ci si trova saldamente nella luce. Essere addolorati - il vangelo presenta il caso di Pietro o quello della donna peccatrice -, soprattutto se il dolore si esprime mediante un vero pianto, è già un grande risultato. Riguardo a questa modalità di pianto, i Padri sottolienano tre aspetti rilevanti.

Non è necessario che il dolore sia espresso con un pianto che erompe in lacrime fisiche. Conoscono un pianto interiore, gemiti interiori e lacrime spirituali.

Secondo, il dolore del cuore, quando avviene per opera dello Spirito, non conduce mai all’abbattimento, ma è un pianto corroborante, misto a sentimenti di gioia.

Terzo, la contrizione del cuore è più valida ed efficace di un lungo periodo di faticosa paenitenzia saecunda. Il dolore ripara veramente il danno compiuto e facilita in modo assai intenso la riconciliazione con Dio.

La penitenza consiste in ultima analisi nel dolore del peccato compiuto. Il pianto corrisponde ad una vera rinascita. Nel battesimo ci si lava con l’acqua che è esterna a noi, con la contrizione ci si bagna con lacrime che salgono dal cuore.

Passiamo, ora, al secondo elemento: il dono delle lacrime come compunzione. Abbiamo visto come, per quanto riguardava il catecumeno, il processo di liberazione dal peccato fosse piuttosto difficile e prolungato. Si trattava soprattutto di affrontare un percorso di carattere pedagogico. Dopo il battesimo la ricaduta nel peccato grave, comportava per i Padri una penitenza piuttosto gravosa. La riconciliazione non veniva offerta, se il penitente non mostrava un vero distacco dal peccato e non avesse offerto un’adeguato risarcimento del male fatto. Ho detto anche che la durata di questo periodo di penitenza poteva essere abbreviata, qualora il penitente si mostrasse particolarmente pentito e impegnato nella riparazione. I suggerimenti penitenziali richiamati da Origene, sono concepiti come modalità per operare una adeguata espiazione.

Oggi siamo meno sensibili al concetto di risarcimento o a quello di espiazione. Nella mentalità si è diffusa l’opinione che Dio deve perdonare sempre, senza chiedere nulla. Questo modo di pensare coglie la verità quando si parla della disponibilità da parte di Dio, ma diventa un pensiero piuttosto fuorviante se presuppone che da parte nostra non occorra far niente per risarcire o soprattutto per crescere nella rettitudine e nell’onestà.

Forse possiamo comprendere meglio, se passiamo dalla sfera giuridica a quella dello Spirito. A prescindere da qualsiasi imposizione legale, è il pentimento autentico ad esigere una riparazione. Nel vangelo di Luca, Zaccheo, quando si pente, sente la necessità di opporre al suo peccato, un risarcimento che supera quanto era strettamente richiesto dalla Legge. L’espiazione non nasce dalla severità della Legge, ma dalla creatività dell’amore, dalla sua alta sensibilità. La carità offre più del giusto, mentre non evita la misura del giusto. La donna peccatrice che sfida il disprezzo dell’ambiente sociale per profumare il corpo di Gesù, vuole onorarlo con un atto d’amore probabilmente dopo che era già stata perdonata. Per aver amato molto, viene liberata da ogni debito di colpa. La volontà di riparare non è un sentimento ulteriore rispetto al pentimento (quasi l’aggiunta di un apparato giuridico dopo che tutto si è risolto nel perdono) ma è volontà che nasce dal sentimento del pentimento vero. Non esiste sentimento vero che accetta di cavarsela con poco e che non sia pronto a tradursi in azione. La rivolta contro il concetto dell’espiazione forse nasce anche dalla confusione tra ciò che deriva dalla legge e ciò che è proviene dall’amore. Certo la riparazione è richiesta dal senso di giustizia ma il risarcimento offerto da Gesù proviene da un'altra origine, ed è molto di più di una imposizione legale. In questo caso l’espiazione sta più nel sentimento dell’offerente che nel risarcimento secondo un computo legale.

I Padri parlano del perdono di Dio, della cancellazione della colpa e del suo ricordo, al termine di un cammino penitenziale che corrisponde al dono della compunzione propriamente detta. A questo punto l’uomo non riceve più soltanto un’assoluzione ma una cancellazione totale del debito e soprattutto riceve la possibilità di entrare nella nuova creazione. Il rinnovamento che conclude un lungo cammino di conversione, è siglato dal “dono delle lacrime”:

«Quando sarai giunto alla regione delle lacrime, comprendi che la mente ha posto i piedi sulla via del mondo nuovo. Ora incomincia a respirare l'aria meravigliosa di là, ora incomincia a versare lacrime. Quando il tempo della nascita è giunto, la mente percepisce qualcosa di quel mondo, come un tenue profumo. E poiché non può sostenere ciò che è inconsueto, essa muove il corpo col pianto misto ad una gioia che supera la dolcezza del miele. Entrerai allora nella pace che supera ogni intelligenza… Allora percepirai quella trasfigurazione che l'intera natura riceverà in futuro nel rinnovamento di tutte le cose» (Isacco di Ninive, Discorsi ascetici/1, XIV, p. 166-167).



Sintesi:



Nella visuale dei Padri è evidente la difficoltà a garantire l’equilibrio tra beni spirituali contrastanti: la larghezza della misericordia divina e la consapevolezza della gravità del peccato; la facilità del perdono, con la serietà della riparazione. Gradualmente, da un’unica forma penitenziale (il Battesimo) si passa ad un’altra forma penitenziale riconosciuta (poenitentia secunda), dapprima ammessa una sola volta ma poi di fatto concepita come reiterabile (questo verrà riconosciuto nel primo medioevo con la cosidetta penitenza tariffata).

Per i Padri non è importante esclusivamente la confessione del peccato o l’assoluzione ma era importante il processo di conversione. L’assoluzione avveniva dopo un cammino penitenziale, sotto il controllo del vescovo. Una liberazione dal male (da vizi contratti e alimentati a lungo) non è mai cosa facile e repentina.

Insieme alle varie penitenze suggerite (cf. l’elenco di Origene), acquista rilievo soprattutto il dolore sincero. È l’amore a coprire la moltitudine del peccato.

I Padri apprezzano l’esperienza mistica della compunzione. La remissione piena del peccato commesso può avvenire già al presente e queso fatto apre l’ingresso nel mondo nuovo.

Bibliografia:

Tertulliano, La Penitenza. Testo critico, Introduzione, traduzione, note di Aldo Carpin, Edizioni san Clemente/ Studio domenicano, Bologna 2011. Bibliografia all’interno del testo (81-85).

Voci: Battesimo (di W. Harmeless) e Penitenza (di A. Fitgerald), in Allan Fitgerald, Agostino, Dizionario eniclopedico, Città Nuova, Roma 2007, pp. 274-284 e 1092-1100.

Voce: Penitenza (Sacramento della), di C. Collo, in Teologia, Dizionari di San Paolo, a cura di G. Barbaglio, Giampiero Bof, S. Dianich, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002, pp. 1106-1188.

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