giovedì 1 settembre 2011

Il cristiano secondo l'apostolo Paolo

Quando gli Atti descrivono l'evento della conversione (o chiamata) di Paolo, parlano di una luce che lo avvolge. L'immagine significa l'amore avvolgente di Dio (com'era già accaduto ai pastori di Betlemme cf. Lc 2,9), come annuncia il salmo: (139,5).

Perché Paolo è stato abbagliato da Gesù, da che cosa è stato colpito a suo riguardo?

Lo splendore di Gesù corrisponde alla sua estrema generosità per la quale ha consegnato tutto se stesso, soprattutto nella sua morte in croce. Se Gesù non avesse amato fino all'estremo (Gv 13,1 ), non avrebbe potuto possedere quella luminosità radiosa. La sua gloria comincia dall'innalzamento sulla croce (Gv 13,11). D'altro canto, il suo donarsi nella passione e nella croce, non è soltanto un evento di tenebra e di dolore, ma un avvenimento in cui si dispiega lo splendore della sua bontà. L'evento pasquale è, dunque, la composizione unitaria di due aspetti complementari e inseparabili di gloria e umiliazione. Paolo parla in modo diretto della luminosità di Gesù quando dichiara: (Gal 2,20).

L'apostolo aveva già ricevuto molto materiale su cui riflettere, una tradizione. Ha saputo che Gesù, pur esistendo presso il Padre prima della creazione del mondo, non ha voluto godere della sua situazione d'esenzione dal dolore della terra, ma ha accettato di far parte del mondo, uomo tra gli uomini Si è svuotato dei suoi vantaggi (Cf Fil 2). Lo richiedeva il Padre, a favore dell'umanità. Generando il Figlio, il Padre ha riversato tutto se stesso in Lui. Quando Gesù si svuota, agisce come fa il Padre, lo imita, attua in se stesso la medesima energia d'amore.

Lo svuotamento di Gesù si compie attraverso la discesa a tre livelli:

1. Diventa uomo come noi. Non vive da persona privilegiata, non fa parte del mondo degli uomini importanti; non fa parte dell'ambiente del danaro, della vanagloria o del dominio sugli altri, dell'astuzia e dell'oppressione.

2. Gesù vive l'elemento essenziale e più profondo della fede: l'uniformità alla volontà del Padre, ciò che anche le persone stimate come religiose sono esitanti a fare. A differenza di Adamo o di Israele nel deserto, Gesù si fida di Dio e lo ringrazia anche quando deve passare attraverso la via stretta ed angusta. Obbedisce al punto da affrontare perfino la morte.

3. Il terzo livello di discesa, quello più profondo, l'ultimo: la croce. La crocifissione era la condanna più infamante. Vivendo questo evento, Gesù sperimenta dall'interno la crudeltà e la lontananza dell'uomo da Dio al punto che si può dire che Dio lo ha fatto peccato (2 Cor 5,21) o che ha sperimentato la totale aridità terrena, denominata maledizione (3,13).

Ad esprimere tutto questo in una parola: Gesù ha provato il peggio dell'uomo, perché noi potessimo partecipare al meglio che è racchiuso in Lui. Paolo è stato catturato (ghermito) dalla bontà unica di Gesù. Ne conserva sempre vivo il ricordo e vuole che i cristiani ricordino questo: (cf Gal 3,1).

Ora il credente, grazie alla fede nel perdono gratuito di Dio, viene coinvolto nella luminosità del Risorto e diventa luce in lui. Partecipa già al presente alla vita di cui gode il Risorto; riceve la vita nuova (che non può subire la morte). Possiede infatti lo stesso Spirito di Cristo, il dono massimo di Dio (Rm 5,5) che è come un pegno e un inizio della realtà futura (Ef 1,14). Vivendo con Cristo in Dio, è già come trasferito nel cielo, ossia nella vita eterna. Il compito del cristiano ha un carattere pasquale: far morire in se stesso ciò che è estraneo alla vita celeste e camminare nella carità (Ef 5,1), producendo nella massima misura (ricolmi) (Fil 1,11).

Ho tracciato così il nucleo essenziale della vita cristiana: la partecipazione alla luce di Cristo.

Riprendiamo alcuni elementi esplicativi:

La spiritualità cristiana è cristocentrica.

Gesù non è soltanto un maestro ma un vivente con il quale formiamo un'unità. Egli è in noi e noi siamo in Lui. Anzi siamo con lui, in Dio. Noi più che seguaci di una dottrina, o discepoli di un maestro, siamo persone che vivono di lui e collaborano alla sua azione con la quale intende formare se stesso in noi. Il compito della Chiesa, e di ogni singolo battezzato in essa, assomiglia a quello d'una gestante: custodire la vita nuova che palpita in grembo (Gal 4,19). La spiritualità cristiana è mariana.

La spiritualità del cristiano è pasquale.

Egli può far rivivere in sé le due fasi dell'unico evento pasquale: «... perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10)

La luce della vita nuova di Cristo, vivente in lui, gli rende possibile consegnare se stesso nella carità. Si pone a servizio dei fratelli, rinunciando a far il male e imparando ad operare il loro bene ( Fil 2,5). Nella misura in cui muore a se stesso, il cristiano vede dilatarsi in lui la luce del Risorto: (2 Cor 3,18).

La vita cristiana è Spirituale.

Cristo vive ed opera in noi grazie all'infusione del suo Spirito. Lo Spirito è l'essere di Dio Padre (Dio è Spirito). Come Spirito Dio è anche santo. Con tali attribuzioni la Bibbia non intende dire soltanto che Dio sia privo di materia o che è perfetto nella virtù ma che possiede una qualità di vita sconosciuta alla semplice creatura. Dio è Santo perché non viene meno nel suo essere amore. Cristo ha ricevuto lo Spirito senza misura (Gv 3,34) e così ha potuto mostrare la qualità di vita propria di Dio Padre. Egli è stato il Santo di Dio. Donandoci il suo Spirito, Cristo si è trasferito in noi (2 Cor 3,17). Soltanto grazie a questa presenza, di Lui o dello Spirito, possiamo partecipare alla luce del Signore, diventare conformi a Lui, vivere la sua carità.

La vita cristiana è permeata dalla carità.

Cristo, mediante l'azione dello Spirito, riproduce in noi quello stile di consegna di sé che lo condotto fino alla morte. Il cristiano, dietro Cristo, non sale ma scende. Anche se preferirebbe trovarsi subito nella gloria con Cristo, egli sceglie di rimanere nei travagli della carne (Fil 1,22-24). Solo chi si immerge, riceve lo Spirito (cf. Mt 3,16).

Il racconto del rapporto tra Abramo e Lot, il tentativo di Giacobbe di riconciliarsi con il fratello Esaù (vedi in seguito), il difficile rapporto tra Mosè e i fratelli ricordano che la costruzione della comunione è un cantiere difficile.

La vita cristiana è escatologica. Ricevendo lo Spirito, il cristiano è trasferito in Dio; vive con Cristo in Dio. La sua cittadinanza è nei cieli (Fil 3,20). Ne possiede la caparra. Illuminato nel Battesimo, egli gusta i prodigi del mondo futuro (Eb 6,5). Il grappolo di Eskol portato dagli esploratori agli Israeliti (Num 13-14) assicura che la terra futura è già in loro possesso. Però come fecero gli Israeliti, i cristiani possono decadere dalla grazia e rifiutare (Eb 6,6-7; Gal 5,4). Gli Israeliti volevano tornare in Egitto, il cristiano può voler tornare nel mondo.

La spiritualità cristiana è teocentrica.

Nasce da Dio Padre e si consuma in Dio. Dio è Padre essenziale, non ha mai cominciato ad essere tale; da sempre è Colui che dona la vita e vuole donarla. Per questo si prende cura dell'empio e per l'uomo corrotto invia e sacrifica il Figlio (Rm 5,8). Gesù impara dal Padre ad amare i peccatori e, condividendo il suo desiderio di vedere gli uomini riconciliati con sé, viene tra noi come messaggero di riconciliazione (2 Cor 5,19-20). Quale amico degli uomini, Dio si propone di riconciliarsi con loro perdonando gratuitamente le loro colpe. Per fare questo costituisce il Figlio Gesù come strumento di perdono. Questi affronta i travagli della sua missione fino alla morte, vince il peccato nell’umanità, affinché il progetto d'amore del Padre avesse compimento e la sua gloria potesse risplendere nella sua pienezza (Fil 2,11). Lo scopo finale della sua missione è che Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28).

Il cristiano, rinunciando alla sua giustizia ( a salvarsi da sé, in base ai propri meriti), accoglie la giustizia che viene da Dio, ossia il suo perdono gratuito (Fil 3,9). Si riveste di Cristo e della sua santità. Come Gesù, si dedica a Dio (Rm 6,11.13) e si propone d’imitarne l'amore (Ef 5,1); aspira a glorificare Dio in tutta la sua vita (1 Cor 6,20) vivendo da figlio adottivo, fino ad unirsi con Cristo in Lui nell'ora della completa redenzione (Ef 1, 13-14) .



Nessun commento:

Posta un commento