giovedì 1 settembre 2011

Se preghi, sei teologo... Evagrio, il pontico

Evagrio appartiene al mondo monastico e la sua riflessione sulla preghiera riguarda in primo luogo i monaci. Egli fonda la sua dottrina sulla Sacra Scrittura e sull'esperienza dei monaci santi che lo hanno preceduto ma il messaggio elaborato è assai utile per ogni fedele.

Qual'è il ruolo della preghiera in Evagrio? La preghiera conduce il credente alla comunione con Dio. Non si tratta di una comunione qualsiasi ma di una unionemistica, di esperienza, nella quale si sperimentano fenomeni particolari di relazione con Lui. Su questo evento culmine egli è molto discreto e ne parla soltanto per accenni.

L’unione mistica è chiamata gnosi oppure teologia (TP 60). Per giungere ad essa è necessario percorrere un lungo cammino di conversione, denominato, invece, prassi o vita pratica (praktike). La preghiera è necessaria per poter percorrere tutto l’itinerario di conversione e per poter accedere alla conoscenza (gnosi). Una volta raggiunto questo traguardo la preghiera cambia aspetto e nome: si sperimenta come preghiera pura o spirituale. In questo stadio culminante della vita ascetica, preghiera e unione con Dio si confondono, sono la medesima realtà. «Dio è solito rivelarsi nello stato di preghiera» (TP 51). Il culmine della vita mistica corrisponde alla preghiera pura. Evagrio usa altre espressioni simili: preghiera vera, immateriale, nuda, ardente. La evoca in altre modalità: bisogna ritrovare il luogo di Dio. È un’esperienza in cui è assente il turbamento ed invece si sperimenta una gioia senza limiti. Tutta la persona si avverte come illuminata da una luce immateriale. Si vive in confidenza con Dio o in un dialogo con lui di carattere ineffabile, superando ogni senso di paura o di estraneità. Cresce il nostro desiderio di Lui (TP 118). Soltanto allora, in quell’esperienza cilminante, l’uomo raggiunge la somma beatitudine (TP 153), com’era desiderio anche dei filosofi. «Quando, accostandoti alla preghiera, sei pervenuto al di sopra di ogni altra gioia, allora hai veramente trovato la preghiera» (TP 153).

Inoltre, soltanto chi ha raggiunto questo traguardo vive la vera carità verso il prossimo: «Beato è il monaco che guarda alla salvezza e al progresso di tutti come se fossero suoi propri, con ogni gioia» (TP 122) e «Beato è il monaco che considera tutti gli uomini come Dio, dopo Dio» (TP 123); ancora: «Monaco è colui che da tutti è separato e con tutti armonicamente unito» (TP 124).

L’obiettivo più ambizioso della vita monastica e cristiana consiste nel raggiungimento del livello più elevato della preghiera. Soltanto a motivo di questa possibilità inaudita, conveniene abbandonare tutto (e intraprendere la vita monastica): «Se desideri pregare, rinunzia a tutto per ereditare il tutto» (TP 36). Pregare diventa perciò l'attività principale del monaco: «Non ci è stato prescritto di lavorare e vegliare e digiunare di continuo ma ci è stata fatta legge di pregare incessantemente (1 Ts 5,17)». La raccomandazione che Paolo apostolo rivolgeva a tutti i cristiani, viene rivolta in modo particolare ai monaci. La preghiera diventa la virtù più grande:

«Come la vista è il migliore di tutti i sensi, così pure la preghiera è la più divina di tutte le virtù» (TP 150). «Che cosa c’è di più eminente del conversare con Dio e dell’essere tratto in intima unione con Lui?» (TP 34)

Nella condizione terrena il progresso spirituale non è mai acquisito definitivamente e la preghiera pura non può quindi darsi come possesso permanente. La preghiera, perciò, prepara l'esperienza mistica, rende possibile il suo godimento e la conserva nel tempo.

Il Trattato sulla preghiera

Evagrio cerca dunque la teologia, ossia la conoscenza di Dio per esperienza. All’epoca non era ancora stato elaborato un linguaggio specifico per i fenomeni di carattere mistico ma egli è tra quelli che cominciano a costruire questa scienza. In realtà è inadeguato, a suo riguardo, parlare di fenomeni. Egli infatti, com’era abitudine dei Padri del deserto, diffida in prima istanza di fenomeni quali visioni, audizioni, rapimenti (cf. TP 94. 114-115). Si concentra piuttosto sull’elemento essenziale della preghiera spirituale. Proprio quella rappresenta il regno e la sua giustizia al quale si deve la priorità (Cf. Mt 6,33 e TP 38).

L'opera più significativa di Evagrio sull'argomento del culto è il Trattato sulla preghiera. Non dobbiamo, tuttavia, aspettarci di trovare una trattazione articolata. Essa si presenta nella forma di 153 sentenze (un rimando ai pesci catturati dagli apostoli dopo la risurrezione ma anche ad una concezione filosofica che risale a Pitagora). Il monaco preferisce questo modo di scrivere che è più vicino all'esplorazione esistenziale, alla saggezza biblica e popolare. Egli espone il succo della sua esperienza in un detto che costringe alla riflessione prolungata e diventa più facile da memorizzare. Nonostante questa forma apparentemente dispersiva, il trattato non è affatto privo di unitarietà e di organicità.

Evagrio inizia la sua riflessione usando un'immagine biblica interpretata in modo allegorico: pregare è come offrire incenso profumato. In questo modo egli rielabora un'immagine biblica già aprezzata dal suo maestro Origene.

«Se si vuol preparare un profumo di soave fragranza, si metteranno insieme, secondo la Legge (Es 30, 34-35), il trasparente incenso, la cassia, l'onice e la mirra. Ecco il quaternario delle virtù». «Fintantoché non avrai rinunciato alle passioni, e il tuo intelletto avrà continuato ad opporsi alla virtù e alla verità, non troverai nel tuo petto profumo di soave fragranza» (TP 141)

Anche nel seguito dell’opera ritorna sull’immagine dell’incenso (Cf TP 75.76.77). Il vantaggio di questo simbolo sta nel fatto di suggerire che l'esercizio della preghiera deve essere accompagnato dall'abbandono del peccato e dalla ricerca di una vita retta e virtuosa. L'intelletto che prega deve, contemporaneamente, cercare il dominio delle passioni. L'offerta dell'incenso si trasforma così in un richiamo alla necessità di esprimere una preghiera che si espande nell’esistenza.

«Se desideri pregare, non fare nulla di ciò che è in antitesi con la preghiera, perché Dio, accostandosi a te, si faccia tuo compagno di viaggio» (TP 65). «Aspiri alla preghiera? Emigra da quaggiù, e abbi in ogni tempo la tua patria nei cieli, non meramente con la semplice parola, ma con la pratica angelica e la scienza divina» (TP 142).

Che significa, allora, la purezza (o l’immaterialità) esigita dalla vera preghiera? Il distacco dalla materia non consiste in un'opposizione al mondo fisico o al corpo ma al peccato. La materia a cui si oppone Evagrio è il peccato. Nel paragrafo 147, ad esempio, egli dichiara che offre a Dio un incenso ben gradito colui che si premura di vivere riconciliato con il fratello. La purezza dell'incenso è data dall'assenza di rancore. Pregare ed odiare è come attingere acqua per riversarla in una botte forata (TP 22). Esempi d’immersione nella materia compaiono nei paragrafi dove si parla del monaco che, nell’accingersi alla preghiera, viene distratto dal ricordo di oggetti ritenuti necessari o turbato dalle controversie precedenti. Il risentimento e il desiderio di rivalsa inpediscono la purezza dell’orazione (TP 10.11). Anzi:

«Tutto quanto avrai fatto per vendicarti di un fratello che ti abbia arrecato offesa, diverrà per te pietra d’inciampo nel tempo della preghiera» (TP 13). «Se desideri pregare come si deve, non rattristare anima alcuna, altrimenti corri invano» (TP 20)

L’intelletto si ispessisce, accumula materiale di scoria e quindi si vieta lo slancio in alto, quando si lascia irretire dalla gola, dalla fornicazione, dall’avarizia e dalla collera. Immerso in queste passioni l’uomo perde la capacità di pregare come si deve (TP 50).

La purezza, quindi, esige la purificazione da tutto ciò che può impedire la comunione con Dio; richiede poi l'acquisizione delle virtù che ci rendono simili a Lui; infine, i fenomenici di carattere mistico che attestano l'avvenuta assimilazione a Dio del credente implicano il superamento di tutto l'ambito creaturale (o materiale).

Mosè, Isaia, il Pater

Quali altri riferimenti biblici utilizza il nostro autore? A prima vista sembra che egli non attinga alla Scrittura in modo ampio e profondo come aveva fatto Origene; è vero che le citazioni sono più rade ma in realtà i riferimenti biblici occupano un carattere strutturante del suo discorso.

Mostra una certa simpatia per Mosè, considerato dalla Bibbia l'uomo più mansueto della terra (Nm 12,3) e che intercede presso Dio per la salvezza del popolo (Es 31,32). In lui Evagrio vede adombrato il monaco libero dalle passioni e attento al suo impegno primario, quello cultuale. Và ricordato che il dominio dell'ira è una delle qualità che, secondo Evagrio, dovrebbe caratterizzare il monaco e che la violenza è la passione che contrasta in modo più radicale la comunione con Dio.

«Se Mosè, quando tentò di avvicinarsi al roveto ardente, ne fu impedito finché non si fosse liberato dai calzari ai piedi, come mai tu, che vuoi vedere Colui che è al di sopra di ogni concetto e diventare suo interlocutore, non ti liberi da ogni pensiero contaminato da passioni?» (TP 4). «È giusto che non preghi solo per la tua purificazione, ma anche per tutti i tuoi simili, al fine di imitare la condotta degli angeli» (TP 39).

In Isaia, invece, coglie l’uomo che vive l’ideale della compunzione o della contrizione del cuore:

«Certamente, se hai consapevolezza del tuo metro, ti sarà gradita la compunzione: chiamerai misero te stesso – come Isaia – poiché impuro… tu osi presentarti al Signore» (TP 79)

Sorprende il fatto che Evagrio non commenti in modo completo la preghiera di Gesù o non alluda ad altri oranti neotestamentari, come l'apostolo Paolo. Questo non autorizza a sospettare una svalutazione del Nuovo Testamento. La scoperta recente di un commento al Padrenostro di Evagrio, tramandato dai discepoli in arabo e in copto, ci costringe ad una valutazione meno sospettosa del suo pensiero.

In questo testo, il monaco del deserto sostiene che la preghiera ha il compito di ricondurre l'uomo alla sua natura primitiva (katà physin). Siamo ricondotti, così, nel pieno ambito della sua visione ascetico-mistica.

Egli riecheggia la tradizione a lui precedente, quando ricorda che l'invocazione a Dio come Padre, implica la nostra disponibilità a comportarci da figli. La tradizione dei Padri nel suo insieme si oppone alla divaricazione tra preghiera e vita. La seconda invocazione, resa come venga il tuo regno, seguendo una variante testuale, è interpretata nel senso: venga il tuo Spirito Santo. La variante ha il merito di evidenziare l'importanza decisiva della presenza dello Spirito per dare continuità all'opera di Gesù e per rendere possibile la partecipazione di qualsiasi credente al suo movimento salvifico. L'interpretazione della terza invocazione, invece, rievoca di nuovo un tratto origeniano: la volontà di Dio è la salvezza di ogni anima razionale. Assai suggestivo è il significato attribuito all'invocazione successiva: «Il nostro pane di domani è l'eredità di Dio. Noi preghiamo adesso perché ce ne dia il pegno oggi, cioé affinché la sua dolcezza si faccia sentire in noi in questo secolo, suscitando una sete ardente».

Difficile dubitare che questo trattato non appartenga ad Evagrio. L'interpretazione delle domande corrisponde ai suoi interessi esposti nelTrattato sulla preghiera. Di fatto, nel Trattato, egli menziona il Padrenostroin termini equivalenti. Basta leggere il paragrafo 58:

«Se vuoi pregare, hai bisogno di Dio, che dona la preghiera a chi prega. Invocalo, dunque, dicendo: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”, cioè lo Spirito Santo e il tuo Figlio Unigenito. Questo, infatti, il suo insegnamento, quando ha detto di adorare in spirito e verità”»

Anche per Lui, l'uso della preghiera del Signore è fondamentale: chi vuole pregare ha bisogno dell'aiuto di Dio; è il Signore stesso ad offrire la grazia della preghiera ed anche il suo paradigma.

«Lo Spirito Santo, che ha compassione della nostra debolezza, viene a visitarci pur se ancora non siamo purificati. Nel caso in cui trovi che il nostro intelletto lo prega anche soltanto col desiderio della verità, Egli viene su di esso... volgendolo all'amore per la preghiera spirituale» (TP 62)

Che l'orante, nella recita di questa invocazione, debba acquisire lo spirito di Gesù lo si deduce da quanto insegna a proposito della sottomissione alla volontà di Dio.

«Non pregare perché si realizzino i tuoi voleri, in quanto essi non sempre sono in sintonia con la volontà di Dio. Ma prega piuttosto, come ti è stato insegnato, dicendo: "Sia fatta in me la tua volontà". Così pure in ogni circostanza chiedi che sia fatta la sua volontà, perché Egli vuole ciò che è bene e utile all'anima, e che invece non sempre cerchi» (TP 31; cf. TP 32-33). «Non volere che le cose vadano come sembra bene a te, ma come piace a Dio. Così sarai senza turbamento e riconoscente nella tua preghiera» (TP 89).

Evagrio e il Vangelo

Evagrio, quindi, non trascura affatto l'insegnamento di Gesù. Traendo ispirazione dalle esortazioni riportate dal Vangelo di Matteo, esorta a respingere la vanagloria, l'esibizione del proprio spirito di devozione. Insiste nella brevità della preghiera: essa deve essere intensa, animata da fede; non vale la quantità ma la qualità (TP 148). Ripropone l'umiltà del pubblicano (TP 103. 121) e la riconciliazione con il fratello come condizione indispensabile per l'esaudimento (TP 21.147). Tutte queste esortazioni immettono in modo naturale nel solco della tradizione evangelica e dei Padri precedenti. Sono normali esortazioni che riecheggiano nell'introduzione all'orazione. In tutti questi insegnamenti, Evagrio non cerca alcuna originalità. La ricerca della preghiera pura viene inserita nell'ambito del Vangelo.

Vediamo, ad esempio, il richiamimo alla parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 10-14) o a quella dei due debitori:

«Non pregare come il fariseo, ma prega come il pubblicano nel luogo sacro della preghiera, perché anche tu venga giustificato dal Signore. Impegnati ardentemente per non pregare contro qualcuno durante la preghiera. Altrimenti abbatti ciò che edifichi, rendendo abominevole la tua preghiera» (TP 103). «Beato è il monaco che si considera rifiuto di tutti (1 Cor 4,13)» (TP 121). «Il debitore di diecimila talenti ti insegni che, se non rimetti al tuo debitore, neppure tu otterrai la remissione. Sta scritto infatti: "Lo diede in mano agli aguzzini" (Mt 18,34)» (TP 103).

Compunzione

Il lettore moderno forse sarà sorpreso nel constatare l’insistenza sul tema della contrizione del cuore che si esprime fino all’effusione di lacrime. Questo disagio potrebbe essere un segnale della nostra estraneità al mondo dello spirito. La contrizione del cuore scaturisce dal messaggio biblico ma anche dell’esperienza degli uomini spirituali. Costoro, proprio perché si sentono accolti e perdonati da Dio, proprio perché si sono avvicinati a Lui in modo più profondo partecipando alla sua luce, avvertono in maniera ancora più forte la dissomiglianza con lui. Avvertono con un dolore più acuto il fatto di aver peccato e sanno che questa contrizione li purifica, li rende meno indegni della relazione con Dio e più stabili nel suo servizio (TP 5-7. 78-79)

«È proprio della preghiera la concentrazione accompagnata da riverenza, compunzione e dolore dell’anima nel confessare le cadute tra muti gemiti» (TP 42) «Se ti sembra di non aver bisogno di lacrime per i peccati nella tua preghiera, considera quanto ti sei allontanato da Dio, mentre dovresti essere sempre in Lui, e allora verserai più calde lacrime» (TP 78).

L’insistenza sulla contrizione del cuore è un tema molto diffuso tra i monaci del deserto. Tipica di Evagrio è, invece, l'insistenza sul carattere agonicodell'invocazione. Il cristiano che prega con fervore si trova al centro di una battaglia: è violentemente contrastato dagli spiriti maligni (TP 94-100. 134-140) e assistito dagli angeli (TP 30), anzi può diventare uguale all'angelo (TP 113), in quanto partecipe della sua stessa gnosi.

Lo sforzo di chi lotta appare anche nella necessità di contrastare il tedio o le altre difficoltà tipiche dell’orazione:

«Talora, non appena ti sarai messo in preghiera, pregherai bene; talaltra, nonostante i tuoi grandi sforzi, non conseguirai lo scopo, perché tu, sempre più cercandone la perfetta riuscita, una volta ottenutala, la serbi al sicuro da qualsiasi saccheggio» (TP 29)

Un’ultimo aspetto. Evagrio espone la sua dottrina in un linguaggio platonico e l'accompagna con finissime osservazioni di carattere psicologico. Come scorgere questo linguaggio platonico? Faccio un esempio. Stando nell'ambito biblico, potremmo definire la preghiera in questo modo: dialogo dell'uomo con Dio. Evagrio, talora, la definisce invece: ascesa dell'intelletto a Dio. Secondo questa visuale, sembra che sia privilegiato un elemento della persona, ossia il suo intelletto, rispetto alla globalità dell’uomo; in secondo luogo è evidenziata l'ascesa e quindi lo sforzo ascensionale dell'uomo, secondo la visuale platonica. Anche pe questo Evagrio viene definito (o accusato) di intellettualismo mistico. Ciò dipende dal ruolo che gioca l’inteletto umano nell’ascesa a Dio. Tuttavia Evagrio non intende il termine in senso razionalistico come avviene per noi. L’intelletto richiama la nostra somiglianza a quella Ragione che è il Verbo stesso di Dio. Intelletto può essere inteso, allora, come sapienza. Implica non solo la capacità di riflettere o di argomentare in modo scientifico ma anche, e soprattutto, la capacità di amare. L’intelletto che sale e s’avvicina a Dio è «pervaso da sommo amore» (TP 52). Evagrio completa il suo linguaggio platonizzante con un linguaggio più biblico: «Chi ama Dio conversa sempre con Lui come con un padre…» (TP 54).

In via generale, la trasformazione del linguaggio raramente rimane un'operazione innocua. Mentre si intende dire la stessa cosa in altre parole, si hanno dei cambiamenti d'accento che provocano delle conseguenze sul piano del cammino spirituale, a titolo di guadagno ma anche di perdita. Nasce la necessità di un discernimento accorto, attento a cogliere l'opera dello Spirito nei limiti del travaglio di ogni inculturazione. Evagrio sembra avvertire questo problema quando, usando un linguaggio comune ai dotti dell’epoca, lo accompagna con una terminologia più vicina alla Bibbia. Così l’immagine dell’ascesa (anabasis) verso Dio, tipica dell’ascensionismo platonico (secondo il quale giocherebbe un ruolo primario lo sforzo dell’uomo), viene corretta con l’immagine della compassione o della discesa di Dio. Lo Spirito ha compassione dell’incertezza del nostro pregare (TP 62) e Dio vuole farsi nostro compagno di viaggio (TP 65). La preghiera dell’uomo è soltanto attesa di Dio. Come il vero credente prospettato dal profeta Abacuc (2,1), il monaco rimane fedele al suo posto di guardia, in ardente attesa della venuta del Signore:

«Sta’ al tuo posto di guardia, custodendo il tuo intelletto dai pensieri nel tempo della preghiera, sì che esso resti nella tranquillità che gli è propria, perché Colui che ha compassione degli ignoranti venga a visitare anche te: allora riceverai un dono di preghiera davvero glorioso» (TP 69).

Gli studiosi d'Evagrio hanno valutato in modo diverso il valore complessivo del suo messaggio. La valutazione riguarda il suo rapporto con il platonismo, mediato da Origene. Nessuno discute il valore della persona e la forza spirituale della sua esperienza. Egli avrebbe ripreso e valorizzato opinioni del maestro alessandrino, elaborate da quest'ultimo a semplice titolo d'ipotesi (ad esempio la dottrina della preesistenza delle anime). In ogni caso è assodato che la sua esperienza può essere ricollocata facilmente nell'ambito biblico e nella visione comune della Chiesa. Lo conferma il fatto che le sue opere sono state lette ed apprezzate con continuità secolare, sia pure attribuite in modo erroneo a san Nilo d'Ancira.

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