sabato 14 aprile 2012

Isacco di Ninive . Appunti

Creazione e redenzione

Dio è amore senza misura e senza limiti. L’amore divino trascende ogni umana comprensione e descrizione attraverso la parola.
La creazione e la venuta di Cristo in terra non avevano entrambe che un solo fine: rivelare al mondo l’amore divino, senza limiti. Tale amore è il fondamento dell’universo, governa il mondo e lo condurrà a quell’esito glorioso nel quale verrà interamente consumato da Dio.
Dio non è soltanto il creatore dell’universo e la sua forza motrice. Egli è prima di tutto un vero padre per gli esseri dotati di ragione, da lui generati attraverso la grazia affinché diventino eredi della sua gloria nel tempo a venire, ed egli possa mostrare loro la sua opulenza, che sarà la loro delizia senza fine. Nel suo immenso e smisurato amore supera ogni cosa in tenerezza paterna. Il suo atteggiamento verso il mondo creato è dunque caratterizzato da un'incessante sollecitudine provvidenziale per tutti i suoi abitanti, per gli angeli e i demoni, per gli uomini e gli animali. Nessuna creatura è esclusa dallo sguardo della sua amante provvidenza, ma l'amore del Creatore si riversa egualmente su tutte le cose.
Niente di ciò che avviene nella creazione potrebbe alterare la natura del Creatore che è alta, nobile, gloriosa, perfetta, compiuta nella sua conoscenza e intera nel suo amore. Per questa ragione Dio ama allo stesso modo i giusti e i peccatori, e non fa nessuna distinzione fra loro. Dio conosceva la vita peccaminosa che l'uomo avrebbe condotto già prima di crearlo, eppure lo creò. Dio conosceva tutti prima che diventassero giusti o peccatori, ma il suo amore non mutò a causa del cambia­mento che essi avrebbero subito. Anche le azioni riprovevoli sono da lui misericordiosamente accolte, e i loro autori perdonati senza biasimo da un Dio che conosce tutto e al quale ogni cosa è rivelata prima che accada, e che conosceva i limiti della nostra natura prima di crearci. Giacché Dio, che è buono e pieno di compassione, non ha l'abitudine di giudicare le debolezze della natura umana o delle azioni che si compiono necessariamente, benché riprovevoli.
Anche quando castiga, Dio lo fa per amore o mirando alla salvezza del punito piuttosto che per sanzionare. Dio rispetta la libera volontà dell'uomo e non desidera contrastarla:
Dio castiga con amore, non per vendicarsi - tutt'altro! - ma per cercare di portare a compimento la sua immagine. Non prova collera - a meno che la correzione risulti impossibile -perché non cerca vendetta. Tale è l'intento dell'amore: il castigo per amore mira alla correzione, non alla sanzione ... Chi considera Dio come un vendicativo che da in tal modo prova della sua giustizia, a guardar bene lo accusa di scarsa bontà. Non piaccia a Dio che in quella fonte d'amore e in quell'oceano debordante di bontà possa mai essere riconosciuta la vendetta!
Così presso Isacco l'immagine del Dio-giudice è completamente eclissata da quella del Dio-amore e del Dio-misericordia. Dio non vuole giudicare nessuno. Al contrario, desidera essere il padre di tutti. 



Incarnazione

Nelle Centurie di conoscenza i passi più sorprendenti sull'incarnazione sono quelli in cui il grande monaco parla dell'amore di Dio per la sua creazione, principale e unica ragione della discesa del Figlio sulla terra e della sua morte sulla croce: qui si manifesta nel modo più chiaro il suo amore per l'umanità; da questo momento in poi gli uomini sono chiamati a rispondere all'amore di Dio con il loro amore:
II Signore Dio ha consegnato suo figlio alla morte sulla croce a causa del suo amore ardente per la creazione ... Avrebbe potuto benissimo riscattarci in altro modo, ma ha voluto così mostrarci il suo traboccante amore come insegnamento per noi, e attraverso la morte dell'unico figlio ci ha riavvicinato a sé. Sì, se avesse avuto qualcosa di più prezioso ce l'avrebbe donato, affinché la nostra stirpe diventasse- sua proprietà. Per via del suo grande amore non desiderava assolutamente fare violenza alla nostra libertà, pur potendolo; ma ha preferito che ci riavvicinassimo a lui attraverso l'amore di ciò che avremmo potuto comprendere. A causa del sue' amore per noi e per obbedienza al Padre, Cristo ha accettato con gioia gli oltraggi e lo sconforto ... Allo stesso modo i santi, quando raggiungono la pienezza, la acquistano tutti nel medesimo grado e, riversando copiosamente il loro amore e la loro compassione su tutti gli uomini, assomigliano a Dio.
E così che l'incarnazione ha avuto luogo a causa dell'amore del Padre e del Figlio per gli uomini; parimenti, è a causa di questa incarnazione che un uomo può ora pervenire si un grado di amore che lo rende somigliante a Dio.
Per Isacco l'incarnazione costituisce la nuova rivelazione su Dio. Al tempo dell'Antico Testamento, prima dell'incarnazione, gli uomini erano incapaci di contemplare Dio e di intenderne la voce. Dopo l'incarnazione è diventato possibile:
La creazione non lo poteva guardare prima che ne prendesse una parte presso di sé per conversare con lei, dal momento che neppure essa poteva intendere la sua voce quando le parlava faccia a faccia. I figli d'Israele non erano nemmeno in grado di sentire la sua voce quando si rivolgeva loro dalla nube (cf. Dt 5,23 ss.) ... Ma ora che con la sua venuta ha riversato la sua grazia sul mondo, egli è disceso non già in mezzo a un terremoto o a un turbine di fuoco, ne con fragore spaventoso e potente (cf. 1 Re 19, r 1-12), ma dolcemente, come pioggia sulla lana, come gocce di pioggia che cadono sulla terra (cf. Sai 72,6), ed è stato visto conversare con noi sotto altra forma.
Quando il Verbo si è fatto carne le porte della contemplazione e della visione si sono aperte in Gesù non solo per gli uomini ma anche per gli angeli, giacché prima dell'incarnazione non era loro possibile penetrare questi misteri.
Secondo Isacco, l'incarnazione del Salvatore e la sua morte sulla croce avrebbero avuto luogo
non già per riscattarci dal peccato, ma unicamente perché il mondo si rendesse conto dell'amore che Dio porta alla sua creazione… Egli non ha voluto una morte normale, affinché tu potessi renderti conto della natura di questo mistero. Ha trovato invece la morte tra i crudeli tormenti della croce. Che bisogno c'era degli oltraggi e degli sputi di cui fu coperto? La sola morte sarebbe bastata alla nostra redenzione - soprattutto la sua morte - senza tutto ciò che vi si aggiunse. Com'è grande la sapienza di Dio! E come è piena di vita! Ora puoi comprendere tu stesso perché la venuta di nostro Signore sia stata accompagnata da tutti questi altri avvenimenti, e renderti conto del motivo per cui egli stesso espose personalmente e chiaramente il suo progetto: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16), riferendosi all'incarnazione e al rinnovamento che ne consegue.
L'unico motivo dell'incarnazione del Verbo era dunque l'amore di Dio, e non la necessità di riscattare l'umanità dal peccato. Isacco non mette minimamente in dubbio la redenzione, ma la intende in un modo particolare. Ai suoi occhi essa significa prima di tutto la restaurazione di quel primato dell'amore che esisteva alle origini fra Dio e il mondo creato. Tale primato fu abolito dalla caduta, poiché l'uomo non si comportava più come figlio di Dio ma come servo disobbediente. Nondimeno, Dio è rimasto suo padre, e il suo amore di padre richiama gli uomini a quello stato originario. L'amore di Dio, dunque, e non la necessità di riscattare l'uomo dal peccato, fu l'unico motivo dell'incarnazione del Verbo: poiché ha voluto che gli uomini tornassero a rivolgersi a lui come a un padre, Dio stesso si è fatto uomo.
Isacco non respingeva l'idea di una deificazione dell'uomo, tutt'altro: vedeva anzi in essa il fine ultimo della vita umana. Ma il suo modo di spiegare come Cristo l'abbia resa possibile è caratteristico. Per lui l'uomo Gesù, ascendendo a Dio dopo la resurrezione, ha elevato la natura umana al livello della divinità. Inoltre la passione, la morte, la resurrezione e l'ascensione di Cristo hanno aperto alla natura umana la possibilità di salire fino a Dio:
In mezzo a uno splendore ineffabile, il Padre lo innalzò al cielo al proprio fianco, a un posto al quale nessun essere umano si era ancora spinto ma dove, attraverso la sua attività, Dio aveva invitato tutti gli esseri razionali, angeli e uomini, a quell'ingresso beato, per gioire nella luce divina della quale era rivestito l'uomo che è ripieno di tutto ciò che è santo e che si trova ora con Dio in una gloria e un onore ineffabili.
Si tratta dunque di un approccio soteriologico, in cui l'essenza del messaggio cristiano è salvaguardata: l'uomo è salvato da Cristo attraverso l'unione della natura umana con la divina. La via per la quale l'uomo Gesù è salito dalla terra al cielo e dall'umano al divino è aperta a tutti.



L'umiltà, mezzo per assomigliare a Dio

Per Isacco il Siro parlare di umiltà è parlare di Dio, perché ai suoi occhi Dio è prima di tutto "mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Tale umiltà si è manifestata al mondo all'atto dell'incarnazione del Verbo. Nell'Antico Testamento Dio era rimasto invisibile e inaccessibile a chiunque. Ma dopo essersi rivestito di umiltà celando la sua gloria sotto una carne umana, Dio diventò visibile e avvicinabile. Ogni cristiano è invitato a imitare Cristo nella sua umiltà. Praticandola, diventa simile al Signore che se ne era rivestito.
L'umiltà unita a fatiche correttamente praticate fa dell'uomo un Dio in terra.
Inizialmente non è attraverso ogni sorta di fatiche ascetiche che l'uomo riesce a farsi adottare da Dio e a diventare simile a lui; per Isacco, la prima condizione è essere umili. L'ascesi senza l'umiltà non porta da nessuna parte, mentre l'umiltà senza ascesi è sufficiente per essere adottati da Dio:
L'umiltà, anche senza ascesi, fa perdonare molte offese, mentre le opere, senza umiltà, non danno alcun profitto; anzi, procurano grandi mali. Per questo, come ho appena detto, con l'umiltà devi guadagnarti il perdono delle tue azioni malvagie. Ciò che il sale è per il cibo, l'umiltà lo è per la virtù, potente com'è nel cancellare molti peccati ... Se la possediamo, essa farà di noi dei figli di Dio e, anche in assenza di opere buone, ci indirizzerà a lui. Senza l'umiltà, infatti, tutte le nostre opere sono inutili, così come ogni virtù e ogni pur onesta fatica.
Ne consegue che nessuno deve aspettarsi frutti dal suo travaglio spirituale prima di aver conquistato l'umiltà, quali che siano gli sforzi ascetici messi in atto per perseguire il suo scopo. Chi è rivestito di umiltà assomiglia a tal punto a Dio da suscitare attorno a sé l'amore che tutti portano a Dio, perché ormai è considerato un dio in terra. Così l'umiltà aiuta a ripristinare fra le persone relazioni fondate sull'amore:
Nessuno mai odia chi è umile, né lo ferisce con parole, ne lo disprezza, perché il suo Signore lo ama ed egli è amato da tutti. Ama tutti e tutti lo amano. E caro a tutti, dovunque si presenti è visto come un angelo di luce ed è circondato di onori. Ridotti al silenzio, il saggio e il maestro avvezzi a discorrere cedono la parola all'umile. Tutti gli occhi sono rivolti alla sua bocca e a ogni parola che ne esce. E il mondo attende le sue parole quasi fossero le parole di Dio ... Tutti lo annunciano come un Dio, anche se non è esperto di parole, anche se il suo aspetto suscita ribrezzo ed è insignificante.
Quando l'uomo è reso simile a Dio grazie all'umiltà, è ricondotto alla condizione priva di peccato della sua origine e ritrova l'armonia che allora regnava tra l'uomo e l'universo e che è stata spezzata per effetto della caduta. Non solo le persone, ma anche gli animali e gli elementi obbediscono all'umile, come obbedivano ad Adamo nel paradiso. Persino i demoni gli sono sottomessi. Se l'umiltà è dono sovrannaturale concesso da Dio, ne consegue che quanti sono per natura gentili, calmi, pacati o dolci non possono essere tutti considerati veramente umili. Egli insegna che l'umiltà naturale non può mai sostituirsi a quella che, nel cristiano, è frutto di un pentimento profondo o del pensiero della grandezza di Dio e dell'umiltà di Cristo. L’umiltà naturale, invece, non ha niente a che vedere con quella spirituale.

Segni d’umiltà

L'umiltà è prima di tutto una qualità inferiore che consiste nella fiducia in Dio, nella diffidenza verso se stessi e nel sentimento di essere indegni e indifesi, unito a quello della presenza dello Spirito santo celato nelle profondità del proprio cuore.
Nel contempo l'umiltà si manifesta esteriormente sotto forma di apparenza dimessa, abbigliamento povero, ritegno nel parlare, rifiuto dei privilegi, abitudine a non reagire, a onorare gli altri, a sopportare insulti e tormenti. Gli aspetti inferiori ed esteriori dell'umiltà sono intimamente legati e non possono essere separati: l'umiltà esteriore sarebbe falsa se l'uomo non si umiliasse davanti a Dio nel proprio cuore, l'umiltà inferiore non sarebbe vera se non si manifestasse in alcun modo all'esterno.
Se vogliamo distinguerle meglio a partire dai segni interiori, il primo sembra essere quello di un sentimento profondo della presenza di Dio, dal quale ha origine l'umiltà. Nessuno può conquistare l'umiltà da solo, come risultato dei suoi sforzi e delle sue attività esteriori, ma si umilia veramente quando incontra Dio e ne percepisce la grandezza nel proprio nulla: dopo tale incontro si avvicina a Dio in un silenzio profondo del cuore, e non si reputa degno nemmeno di pronunciare le parole della preghiera al cospetto di colui che è al di là di ogni parola. Questa preghiera silenziosa e umile conduce alle profondità mistiche della contemplazione di Dio.
Un altro segno consiste nell’essere morti al mondo.
Un altro ancora è il risveglio della voce della coscienza che impara a non accusare mai Dio o il prossimo, a non incolpare le circostanze della vita, a non giustificare se stessi. La quiete interiore è uno dei segni caratteristici dell'umiltà. Essa si manifesta nell'assenza di ogni paura di fronte agli eventi, e nella fiducia nella provvidenza divina che protegge da ogni male. Chi è umile non teme le cose che accadono accidentalmente, perché teme solo Dio: il timore di Dio scaccia ogni altra paura dal suo cuore. E un timore che implica un atteggiamento di religioso terrore davanti a Dio e lo sforzo di non offenderlo con azioni o pensieri peccaminosi. Per Isacco l'umiltà trae origine proprio da questo timore di Dio, L'umiltà implica un cuore contrito, il timore e la gioia spirituale.
Una manifestazione esteriore dell’umiltà è la sopportazione senza un lamento di ogni sorta di umiliazioni.
Sopportare accuse e ingiurie senza protestare è la virtù più alta. La vera umiltà poi si manifesta nell’onorare il prossimo al di sopra dei suoi meriti, perché l’umile tratta tutti quelli che incontra con rispetto, onore e amore.



Il pentimento

Isacco considera il pentimento un rimedio inventato da Dio per il nostro continuo rinnovamento e per la nostra guarigione.
Il pentimento è un sentimento spirituale costante in ogni asceta, che si protrae giorno e notte nel suo cuore. Non è un sentimento limitato a un periodo della vita o a una specifica categoria di persone, ma universale.
Se tutti siamo peccatori e nessuno è grande davanti alle tentazioni del peccato, è chiaro che non c'è virtù più eccelsa del pentimento (nessuno infatti potrà mai portarne a termine l'opera. Esso si addice sempre ai peccatori ma anche ai giusti che aspirano alla salvezza. Non c'è limite alla pienezza, poiché anche la pienezza dei perfetti non è mai veramente compiuta. E per questo che il pentimento non è legato a opere o momenti dati e dura fino alla morte.
Il significato del termine pentimento ... è il seguente: una continua supplica piena di tristezza che, grazie alla preghiera di compunzione, riavvicina l'anima a Dio, per cercare il perdono delle offese passate e chiedere di esserne preservati per l'avvenire.
In questa definizione si possono distinguere tre elementi. In primo luogo il pentimento è una preghiera rivolta a Dio da parte di chi sta al suo cospetto e non si accontenta di riflettere nel proprio intimo sui suoi peccati passati. In secondo luogo, esso comporta la rinuncia ai peccati passati e il rammarico per averli com­messi. Da ultimo, il pentimento mira al futuro e ormai non ha altro desiderio che guardarsi dal peccato.
Isacco paragona il pentimento a una nave presa a nolo per attraversare il mare che ci separa dal paradiso spirituale. Timoniere è il timore di Dio, meta del viaggio il porto dell'amore divino. Chiunque sia "afflitto e pesantemente oppresso" dal pentimento può entrare in porto. "Carica tutti i miei impulsi sulla navicella del pentimento, affinché io possa solcare esultando il mare del mondo, per entrare infine nel porto della tua speranza": ecco la sua preghiera.
Il tema del pentimento come secondo battesimo fa parte della tradizione patristica, e anche lui lo sviluppa in tal senso. Egli non pensa che Dio volesse privare l'uomo, per avere questi abusato della sua libertà, della condizione di felicità a lui destinata. Ecco quindi che "Dio concepì nella sua misericordia un secondo dono, quello del pentimento, affinché la vita dell'anima potesse ogni giorno rinnovarsi e rimettersi sulla retta via. Il pentimento è appunto questo rinnovamento della grazia battesimale perduta a causa del peccato:
II pentimento è donato come grazia dopo la grazia, giacché esso costituisce una seconda rigenerazione operata da Dio. Ciò che abbiamo ricevuto come promessa solenne nel battesimo ora lo otteniamo come dono attraverso il pentimento.
Attraverso il pentimento l'uomo riceve di nuovo la conoscenza che gli era stata donata al battesimo come promessa.
Parlando del pentimento Isacco, seguendo la tradizione, paragona le lacrime del pentimento al sangue dei martiri. Il pentimento appare perciò come un frutto dell'azione della grazia divina sull'anima, alla quale Dio inizialmente concede di prendere coscienza dei suoi peccati. Questa presa di coscienza penetra nell'anima quando Dio ci vede soffrire ogni sorta di prove. Isacco considera più importante essere consapevoli dei propri peccati che compiere miracoli o avere visioni soprannaturali o mistiche, giacché proprio attraverso una tale consapevolezza si intraprende la via del pentimento, che è virtù più grande di tante altre:
Chi conosce i propri peccati è più grande di chi fa del bene al mondo intero con la sua sola presenza. Chi geme sulla propria anima, anche per un'ora soltanto, è più grande di chi risuscita un morto con la preghiera e abita in mezzo agli uomini. Chi è giudicato degno di vedere se stesso è più grande di chi è giudicato degno di vedere gli angeli, giacché quest'ultimo vede con gli occhi del corpo mentre il primo scruta dentro di sé con gli occhi dell'anima. Colui che segue Cristo pentendosi nella solitudine è più grande di chi loda Dio nel mezzo di un'assemblea.
Il pentimento unisce cuore e intelletto. Isacco riconosce nel "dolore del cuore" e nella "tristezza della mente" due attributi del pentimento. Il "cuore affranto e umiliato" del salmista (cf. Sal 51,19) si ottiene attraverso il processo del pentimento, quando la presa di coscienza del peccato coincide con la liberazione dal suo peso; in una sua preghiera Isacco dice:
Sei tu che concedi il pentimento e un cuore afflitto al peccatore che si pente; così tu rendi leggero il suo cuore togliendogli il peso del peccato che lo prostra, grazie al sollievo dato dall'afflizione e dal dono delle lacrime.
Il perdono dei peccati è risultato e frutto del pentimento al quale fa immediatamente seguito, per quell'amore smisurato di Dio per gli uomini che ha spinto il Figlio di Dio non solo a perdonare i peccatori ma anche a farsi uomo per salvarli dal peccato:
Poiché il suo volto inclina sempre verso il perdono ... egli effonde su di noi la sua grazia immensa e senza limiti come l'oceano. A qualsiasi uomo che dia segno anche solo di un minimo sentimento di dolore per quanto ha fatto e di un desiderio di compunzione. Dio accorda immediatamente, lì e subito, il perdono dei peccati.
Dunque il cristiano, purché si penta, non ha il diritto di dubitare del perdono di Dio per i suoi pur gravi peccati. Tale fiducia nel perdono deriva dalla concezione di Isacco della misericordia di Dio, più grande della sua giustizia, e anche dalla sua concezione della provvidenza divina e più particolarmente dell'incarnazione di Dio il Verbo, che già conteneva la promessa di una riconciliazione tra Dio e il genere umano:
Vedendo e ascoltando tali cose, chi potrebbe essere così turbato dal ricordo dei propri peccati da nutrire questo dubbio nell'animo: "Dio è davvero pronto a perdonarmi le cose che mi fanno soffrire e il cui ricordo mi tormenta? Cose di cui ho orrore ma verso le quali continuo a inclinare e la cui sofferenza, dopo averle commesse, è più dolorosa di una puntura di scorpione? Le aborro, nondimeno mi ci trovo continuamente invischiato, e se da una parte me ne pento con dolore, dall'altra vi faccio sempre tristemente ritorno". Ecco cosa pensano molti tra coloro che hanno timore di Dio e si applicano alla virtù, trafitti dal dolore della compunzione. Piangono i loro peccati, ma la prosperità del mondo li costringe a far fronte alle cadute da essa stessa provocate, e così vivono tutto il tempo tra peccato e pentimento. Cara umanità, non dubitiamo dunque della speranza della nostra salvezza, vedendo pieno di sollecitudine per essa colui che ha patito per causa nostra. La sua misericordia è ben più grande di quanto noi possiamo concepire, la sua grazia maggiore di quanto noi possiamo chiedere. La destra del Signore si stende infatti giorno e notte spiando l'occasione per sostenerci, confortarci e incoraggiarci insieme a quanti si rammaricano della loro poca rettitudine; soprattutto per vedere se c'è qualcuno che soffre anche un minimo di dolore e tristezza, per potergli accordare il perdono dei peccati.
Così, attraverso un atto di pentimento, avviene la riconciliazione tra Dio e il peccatore. Da quest'ultimo ci si aspetta che si penta dei peccati commessi, si risolva, con un atto di volontà, a guardarsene per il futuro, e perseveri nella preghiera davanti a Dio per chiedergli perdono. Tale perdono viene da Dio, che riconcilia l'uomo con la propria persona e lo rende partecipe del suo amore.



Una scuola di preghiera

II tema della preghiera è quello più spesso evocato e più approfonditamente sviluppato. Chi legge le sue opere non solo è in grado di farsi un'idea precisa del modo in cui pregavano Isacco e i fedeli della chiesa d'oriente di quel tempo, ma dispone per giunta di una descrizione dettagliata riguardo alla teoria e alla prassi della preghiera secondo la tradizione cristiano-orientale nel suo insieme. Per questi motivi gli scritti del Siro sono stati una scuola di preghiera per i suoi contemporanei e lo sono rimasti per molti cristiani nelle diverse regioni del mondo in cui si continua a leggerli e a metterne in pratica i consigli.

La preghiera

La conversazione della mente con Dio costituisce l'attività spirituale più elevata e più importante per ogni cristiano, e non può essere paragonata a nessun'altra attività: proprio come nulla può essere paragonato a Dio, così non c'è ne servizio ne opera che possano essere paragonati alla conversazione con Dio nella quiete. Per preghiera Isacco intende l'insieme degli atti che accompagnano la conversazione della mente con Dio:
Ogni applicazione dell'intelletto a Dio e ogni meditazione sulle cose spirituali che sia circondata di preghiera si chiama preghiera ed è compresa sotto questo nome, che si tratti di letture diverse, delle grida di una bocca che rende grazie a Dio, di pensieri dolorosi riguardo al Signore, di inclinazioni del corpo, di alleluia della salmodia e di tutto ciò che è alla base di un insegnamento sulla vera preghiera.
Secondo il pensiero ascetico tradizionale dei cristiani d'oriente la preghiera è la base della vita spirituale cristiana, fonte e origine di ogni bene.
Isacco definisce la preghiera come "la libertà della mente, la sospensione di tutto ciò che appartiene alla terra e un cuore il cui sguardo è interamente rivolto al desiderio ardente che accompagna la speranza delle cose a venire". Un altro passo presenta la preghiera come un'attività che rende lo spirito dell'uomo simile a Dio:
Nulla è tanto amato da Dio e onorato dagli angeli, nulla umilia tanto Satana e incute terrore ai demoni, fa tremare il peccato, fa scaturire la conoscenza, attira la misericordia, cancella i peccati, conquista l'umiltà, rende sapiente il cuore, procura consolazioni e unifica l'intelletto, nulla produce tutti questi effetti così pienamente come un solitario inginocchiato per terra e dedito alla preghiera continua. E quello il porto della conversione che tanti pensieri di pentimento mescolati alle lacrime ardentemente desiderano. Essa è il tesoro della forza, il lavacro del cuore, il sentiero della purezza, la via delle rivelazioni e la scala dell'intelletto. Essa rende la mente simile a Dio e attraverso i suoi slanci gli fa il dono di riceverlo, come se fosse già nelle realtà future.
Nell'ora della preghiera, quando la mente è raccolta e tutti i sensi sono stati ricondotti all'armonia, si produce un incontro tra Dio e l'orante. "Perché tutte le rivelazioni di Dio ai santi giungono nel momento della preghiera?", si chiede Isacco, e risponde: "Perché nessun tempo come quello della preghiera è fatto per la santità". Ecco perché tutti i doni spirituali e tutte le visioni mistiche furono accordate ai santi durante le loro preghiere. Fu allora che un angelo apparve a Zaccaria per annunciargli il concepimento di Giovanni il Battista (cf. Lc 1, 11 ss.); fu durante la preghiera dell'ora sesta che Pietro ricevette una visione da parte di Dio (cf. At 10,9 ss.), e l'angelo apparve a Cornelio mentre era raccolto in preghiera (cf. At 10,3 ss.).

Vediamo ora le principali condizioni poste da Isacco perché la preghiera sia vera.
La prima condizione è di pregare attentamente e senza distrazioni: le attività esteriori non dovrebbero mai distoglierci dalla preghiera.
Bisogna poi combattere i pensieri estranei alla preghiera, che provengono dal demonio e turbano la mente: «Non dipende da noi che pensieri estranei si introducano o meno nella nostra mente quando preghiamo; ma fermarsi o non fermarsi a meditare su di essi, questo sì che dipende da noi». Così dicendo Isacco si rifà all'insegnamento monastico corrente sulla vigilanza (in greco népsis), che implica un atteggiamento di attenzione tale da vigilare sull'intelletto e scacciarne ogni pensiero estraneo non appena si presenta; insegnamento già impartito con straordinaria chiarezza da Evagrio nei suoi testi sul discernimento delle passioni e dei pensieri, e sulla vigilanza.
In terzo luogo, è importante evitare durante la preghiera tutto ciò che e frutto di immaginazione: ogni immagine o rappresentazione che prendesse forma nella mente costituirebbe una barriera tra l'uomo e Dio e rischierebbe di distruggere l'opera della preghiera.
In quarto luogo, bisogna pregare con umiltà. La preghiera dell'umile passa direttamente dalla sua bocca all'orecchio di Dio:
A Dio non dire niente che sappia di erudizione, ma avvicinati a lui con il pensiero di un bambino, e diventerai degno di quella protezione di cui i padri circondano i loro figli più piccoli.
In quinto luogo, è importante pregare con sentimenti profondi e lacrime. L'afflizione del cuore unitamente alle sofferenze corporali così come le prostrazioni devono diventare parte integrante della preghiera.
In sesto luogo, è importante pregare con pazienza e ardore, due qualità che hanno a che fare con l'amore di Dio.
In settimo luogo, ogni parola della preghiera deve sgorgare dalle profondità del cuore. Anche se sono tratte dai salmi, le parole della preghiera devono essere pronunciate come se fossero di colui che prega:
Recitando i versetti dei salmi, non fare come chi ripete le parole di un altro, per non restare completamente estraneo alla compunzione e alla gioia racchiuse nei salmi. Al contrario, recita le parole della salmodia come se fossero veramente tue, in modo da formulare la tua supplica con comprensione e con una compunzione dotata di discernimento.
Isacco tiene in grande considerazione la salmodia e sottolinea l'importanza di meditare le parole dei salmi:
Le parole sorprendenti depositate nei cantici affidati alla santa chiesa, insieme alle molte altre parole elevate che lo Spirito ha sparso in questi canti armoniosi, possono secondo alcuni prendere il posto della preghiera perfetta. A meditarle, esse fanno nascere in noi preghiere pure e intuizioni elevate e ci avvicinano alla limpidezza della mente e allo stupore di fronte a Dio, e a tutto ciò che Dio userà per illuminarci con la sua sapienza al momento opportuno, quando sceglieremo versetti appropriati per offrirli al Signore con l'intento di farne una supplica, e li ripeteremo a lungo e con calma.
In ottavo luogo, non bisogna "preoccuparsi della quantità della preghiera, bensì mirare alla qualità". Può succedere che un solo versetto di un salmo basti ad alimentare un lungo momento di preghiera; ma in altri casi il monaco deve cambiare spesso salmo.
Non è poi escluso che il nostro autore alluda alla pratica, diffusa tra i monaci, della preghiera continua sulla base di una breve formula come la "preghiera di Gesù".
In nono luogo, al momento della preghiera bisogna essere certi della propria assoluta fiducia in Dio. Per questo non si devono chiedere a Dio i beni materiali che egli ci darebbe comunque, anche senza esserne pregato.
Infine, la preghiera non è priva di relazione con la vita concreta di ciascuno di noi. Essa deve corrispondere alla condotta di un monaco: una preghiera che non si accompagna a una bella condotta è come un'aquila che perde le penne. Se l'orante trascura gli altri elementi dell'ascesi, la sua preghiera ne risentirà.
Secondo Isacco, dunque, le caratteristiche della preghiera sono l'attenzione e la vigilanza, l'assenza di distrazioni, di pensieri estranei e immaginazioni, l'umiltà, il pentimento e le lacrime, la pazienza e il fervore, le parole che affiorano dal profondo del cuore, la cura della qualità e non della quantità, la fede, l'abbandono fiducioso a Dio e uno stile di vita che le sia consono. Una preghiera dotata di queste qualità arriverà presto e facilmente alle orecchie di Dio.
Ma perché sembra che a volte Dio tardi a rispondere alle nostre domande o che addirittura non le esaudisca? Isacco ipotizza due ragioni. La prima è la provvidenza di Dio, grazie alla quale egli dona a ciascuno secondo la sua misura e la sua capacità di ricevere. Dipende anche dai nostri peccati che ci allontanano da Dio.

La lectio

Un altro elemento importante della preghiera era costituito dalla recitazione di testi in spirito di preghiera, che noi chiamiamo lettura o lectio divina. Per Isacco, come per tutta la tradizione monastica antica, tale lettura consisteva non tanto in uno studio intellettuale del testo biblico, quanto piuttosto in un dialogo, un incontro, una rivelazione da esso ricevuta: il testo della Bibbia è un mezzo per fare esperienza diretta del dialogo con Dio, per incontrarlo misticamente e raccogliere intuizioni sulla sua realtà profonda.
Isacco parla della lettura della Scrittura come del mezzo più importante per la trasformazione spirituale che accompagna l'abbandono di una vita di peccato:
L'inizio di un cammino di vita consiste nell'occupare incessantemente l'intelletto con le parole di Dio e nel vivere in povertà ... Per bandire dalla nostra anima le tendenze alla dissolutezza che vi si sono incrostate e cacciarne i ricordi attivi che si ribellano nella carne e vi producono una fiamma inquieta, niente è più efficace che immergersi nell'amore ardente per esserne istruiti e scrutare da vicino le intuizioni profonde contenute nelle divine Scritture. Quando i pensieri di un uomo sono totalmente e deliziosamente immersi nei tesori di sapienza celati nella Scrittura, con l'aiuto delle facoltà da essa illuminate egli si getta dietro le spalle il mondo con tutto ciò che gli appartiene ... Spesso non sa neppure più come servirsi dei pensieri che visitano abitualmente la natura umana, e la sua anima è rapita a causa dei nuovi incontri che affiorano dall'oceano dei misteri della Scrittura.
Nella cella, la lettura riguarda non solo la Scrittura ma anche gli scritti dogmatici e ascetici dei padri della chiesa. Isacco raccomanda entrambi.
Leggere la Scrittura, i padri e le vite dei santi, così come pregare, significa frequentare Dio. Egli consiglia di alternare lettura e preghiera, in modo che i pensieri provenienti dalla Scrittura riempiano la mente durante la preghiera. Passando da una frequentazione all'altra, la mente si rammenta sempre di Dio:
Leggi spesso e avidamente gli scritti dei dottori della chiesa che trattano della provvidenza di Dio ... Leggi anche i due Testamenti che Dio ci ha consegnato perché potessimo conoscere l'universo intero ... Per passare da una frequentazione all'altra cerca dunque di leggere libri che ti spianino le vie sottili della disciplina ascetica, della contemplazione e della vita dei santi ... Per mezzo della lettura ogni volta l'anima è di nuovo illuminata, rinnovata e aiutata a pregare senza posa e senza inquietudine.
Isacco chiama la lettura "fonte della preghiera pura", ma sottolinea altresì che essa deve limitarsi alla Scrittura e alla letteratura ascetica. Se il monaco è assorbito dalla lettura di numerosi libri su argomenti d'ogni sorta, la sua mente ne sarà distratta e impedita dal raggiungere lo stato della preghiera pura. […]

Vediamo ora qualche consiglio di Isacco sul modo di leggere la Scrittura.
La prima condizione per ogni lettura fatta in cella sarà il silenzio, la quiete: "Persevera nella lettura mentre ti trovi nella quiete, affinché il tuo intelletto sia attratto a ogni istante verso la meraviglia e lo stupore".
La seconda condizione è il raccoglimento della mente e l'assenza di pensieri provenienti dall'esterno:
Liberati da ogni preoccupazione riguardante il corpo e i grattacapi degli affari, affinché, attraverso la dolce comprensione del senso delle Scritture che sorpassa ogni altra sensazione, tu possa gustarne nell'anima il dolcissimo sapore.
La terza condizione è di pregare prima di cominciare a leggere:
Non accostarti alle parole dei misteri contenuti nelle divine Scritture senza pregare e supplicare Dio di aiutarti, ma di': "Signore, concedimi di sentire la forza che esse contengono!". Considera la preghiera come la chiave di una vera comprensione della divina Scrittura.
La comprensione del senso interiore e nascosto della Scrittura è il fine principale della lettura.
Non scrutinare con pedanteria parole che, scritte sulla base dell'esperienza, hanno l'intento di sostenere il tuo genere di vita e aiutarti con le loro elevate intuizioni a elevare te stesso. Scopri l'intenzione soggiacente a ogni passo delle Scritture che incontri, per immergerti più profondamente in esso e sondare le intuizioni profonde negli scritti di uomini che ricevettero l'illuminazione. Coloro che nel loro genere di vita sono condotti dalla grazia divina a ricevere l'illuminazione si accorgono sempre di qualcosa di simile a un raggio spirituale che passa attraverso le righe e le rende capaci di distinguere le parole dette in modo ordinario da quelle importanti per l'illuminazione dell'anima. Chi legge in modo ordinario righe che contengono un significato importante rende ordinario anche il suo cuore e lo priva di quella potenza santa che può procurargli un sapore dolcissimo, attraverso intuizioni che immobilizzano l'anima nello stupore. Ogni cosa abitualmente segue ciò che è proprio della sua specie; così l'anima che ha ricevuto una partecipazione dello Spirito e sente una frase in cui si nasconde una potenza spirituale, la tiene ardentemente per sé.
Questo passo si può considerare il credo di Isacco circa il modo di comprendere la Scrittura. Egli distingue da una parte "le parole dette in modo ordinario", che non parlano né al cuore né alla mente, dall'altra "ciò che è detto spiritualmente" e si rivolge direttamente all'anima del lettore. Questa distinzione non significa che la Scrittura contenga contemporaneamente parole significative e parole insignificanti, ma piuttosto che non tutte le parole della Scrittura sono ugualmente importanti per tutti i lettori. Isacco pone qui l'accento sull'atteggiamento soggettivo del lettore: ci sono parole e frasi che lo lasciano freddo e indifferente, altre che lo infiammano al fuoco dell'amore divino. E importante non lasciar passare inosservati quei versetti della Scrittura che sono "pieni di senso", per non restare privati delle intuizioni spirituali che essi contengono.
Quando un monaco legge la Scrittura cercando di afferrarne il contenuto nascosto, la sua comprensione aumenta in proporzione alla lettura e lo conduce per gradi a uno stato di stupore spirituale, raggiunto il quale egli si trova completamente immerso in Dio.
La lettura è la fonte della preghiera. Grazie alla lettura e alla preghiera "siamo trasportati verso l'amore di Dio la cui dolcezza si espande incessantemente nei nostri cuori come il miele nel favo, e le nostre anime esultano al sapore che il servizio nascosto della preghiera e della lettura delle Scritture riversa nel nostro cuore". In seguito alla lettura e alla preghiera e all'amore di Dio che da esse promana, il cuore dei lettori si infiamma e rimane in conversazione costante con Dio, e il loro intelletto "fa schiudere un simbolo particolare della verità, risultato delle delizie continue che provengono da queste parole importanti con le quali essi si danno pena notte e giorno". La ricerca dei sensi spirituali nelle parole della Scrittura li conduce a uno stato di profonda gioia interiore:
Cosa c'è di più di grande che gioire continuamente in Dio lodandolo a ogni istante con un nuovo canto di lode scaturito dallo stupore dell'anima in letizia, contemporaneamente a molte altre cose che nascono dalla stessa fonte, come la preghiera che zampilla improvvisamente, perennemente e spontaneamente dalle profondità di un cuore in cerca della contemplazione?
Isacco denuncia poi quelli che leggono la Scrittura unicamente allo scopo di ricavarne materia di gloria umana, o per rendere la mente più acuta. La Scrittura dev'essere letta solo "a causa della verità" : allora soltanto la mente del lettore
abita continuamente in cielo, conversando a ogni istante con Dio, e i suoi pensieri navigano verso il mondo a venire cui anelano ... La sua mente medita sulla speranza futura e, nel corso della sua vita, non sceglie altro compito ne fatica ne servizio che sia più grande di questa sola occupazione.
Giunto a questo stadio l'uomo è come un angelo che non pensa più ad altro che a Dio e alle cose di Dio. Queste citazioni bastano a mostrare l'estrema importanza agli occhi di Isacco della lettura delle Scritture e dei padri, e a stabilire che la lectio faceva parte della sua concezione della preghiera. Bisogna ricordare che nell'antichità cristiana, e più in particolare nella pratica dei monaci, la lettura, anche solitaria, non si faceva solo con gli occhi bensì ad alta voce. La Scrittura veniva letta lentamente, con molte pause, e ogni frase o parola era oggetto di meditazione. La "lettura pregata" , cioè una lettura che investe il massimo possibile di attenzione su ogni singola parola, resta la forma ideale per chi vuoi penetrare il significato spirituale delle sante Scritture. L'esperienza e le raccomandazioni di Isacco mantengono qui tutto il loro valore.
Ad onta del suo grande amore per la lettura, specialmente della Bibbia, egli tuttavia ammette che possa esistere uno stato spirituale nel quale nessuna lettura è più necessaria. […]


Appunti da Ilarion Alfeev, La forza dell'amore. L'universo spirituale di Isacco il Siro, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose

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